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domenica 25 maggio 2025

Siamo nel nostro “momento Lenin”? - Emiliano Brancaccio

Da: https://www.rosalux.de - Emiliano Brancaccio è professore di Economia politica presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II e promotore, con Robert Skidelsky, dell’appello “Le condizioni economiche per la pace” pubblicato sul Financial Times , Le Monde e Econopoly de Il Sole 24 Ore . - Emiliano Brancaccio - www.emilianobrancaccio.it - 


Una statua di Lenin a Osh, Kirghizistan.CC BY-SA 4.0 , Foto: Wikimedia Commons / Adam Harangozó


L'istante, il "momento" decisivo: il concetto è diffuso tra gli scienziati di ogni tipo. In fisica, Galileo chiamava "momento" la diminuzione della gravità di un corpo che poggia su un piano inclinato. In economia, si parla di "momento di Minsky", dal nome del teorico Hyman Minsky, per descrivere il momento in cui una bolla speculativa sui mercati finanziari raggiunge la sua massima estensione prima di scoppiare. In tutti questi casi è implicito un cambiamento di scenario: il "momento" come punto di svolta nelle "leggi del moto" di un sistema.

Applicando questa idea all'indagine dei processi storici, sembra lecito azzardare che il tumulto globale che osserviamo oggi possa essere definito qualcosa di simile a un "momento Lenin". Il riferimento, tuttavia, non è a Vladimir Lenin, il rivoluzionario bolscevico in sé, quanto piuttosto a Vladimir Lenin, l'infaticabile studioso che, allo scoppio della Prima guerra mondiale, scrisse il suo famoso saggio su " Imperialismo: fase suprema del capitalismo" , un testo che continua a rivelarsi estremamente utile per comprendere le tendenze storiche ancora oggi.

L'Imperialismo di Lenin è un'opera più sottovalutata dagli economisti volgari che sopravvalutata dai comunisti ortodossi. Non può certo essere definita "scientifica" in senso moderno: la falsificazione popperiana – o qualsiasi altra modalità di verifica empirica – è resa impraticabile dal tenore narrativo dell'opera. La sua lettura, tuttavia, offre una cornucopia di intuizioni altamente originali, da cui molteplici generazioni di studiosi, marxisti e non, hanno tratto spunto per ricerche pionieristiche. [1]

L'intuizione leniniana che meglio ha resistito alla prova del tempo è il nesso tra l'intreccio dei rapporti internazionali di credito e debito, i correlati processi di centralizzazione del capitale in blocchi monopolistici contrapposti e la conseguente mutagenesi della lotta economica in un vero e proprio conflitto militare. Il "momento Lenin", potremmo dire, è proprio quel punto di svolta angoscioso degli eventi: l'ora del terrore collettivo in cui l'intreccio della competizione capitalista trabocca nello scontro armato. In questo senso, la guerra in Ucraina e le sue conseguenze, che saranno molto lunghe e tortuose, possono essere considerate il "momento Lenin" di questa nuova era di disordine mondiale. 

domenica 16 marzo 2025

Dazi, capitali e cannoni, protezionismo imperiale - Emiliano Brancaccio

Da: https://ilmanifesto.it - Emiliano Brancaccio è professore di Politica economica presso l'Università del Sannio - Emiliano Brancacciowww.emilianobrancaccio.it 

Vedi anche: Le condizioni economiche per la pace - Emiliano Brancaccio  

Guerra capitalista e condizioni economiche per la pace - Emiliano Brancaccio

Leggi anche: CLASSE (lotta di) - Emiliano Brancaccio 


«C’è un aggressore e c’è un aggredito». Lo slogan più martellante degli ultimi anni vive una seconda giovinezza. Applicato fino a ieri al solo tema della guerra, oggi viene riciclato nel campo delle politiche commerciali. L’odierno aggressore è infatti Trump, che si è messo a brandire l’arma dei dazi anche contro l’Unione europea. Che provocata reagisce, approvando uguali e contrarie misure protezioniste a danno di una lunga lista di prodotti made in Usa.

A prima vista sembra una classica reazione da manuale. Persino Adam Smith, precursore della dottrina del libero scambio, ammetteva la rappresaglia protezionista contro provvedimenti restrittivi stranieri. 

Smith però si premurava di aggiungere che la risposta dell’aggredito dovesse puntare alla «rimozione dei dazi o delle proibizioni che l’hanno originata». La contemplava cioè quale arma tattica, per indurre l’aggressore a ravvedersi e a ripristinare i liberi commerci. Gli sherpa dell’Ue insistono a dire che questo è esattamente l’obiettivo della reazione protezionista europea: metter paura a Trump, per indurlo a più miti consigli. La speranza è che il nuovo presidente americano torni al vecchio friend shoring: imporre dazi a tutti, tranne agli amici europei.

Ma nelle stanze del potere gli scettici ormai sgomitano. Mario Draghi è tra questi. A suo avviso, l’Ue deve elevare barriere commerciali e finanziarie non come tattica contingente ma come strategia di lungo periodo. Il motivo è che l’onda protezionista che viene dall’atlantico non è il capriccio di un altro pazzo al potere ma è la conseguenza di gravi problemi strutturali dell’economia americana, di competitività e di debito verso l’estero. Per questa ragione, la guerra economica mondiale è destinata a durare e si annuncia come una lotta di tutti contro tutti. In un tale scenario, l’Europa aggredita deve imparare a diventare potenza aggressiva, attraverso i dazi e non solo.

Ecco perché ormai lo slogan dell’aggressore e dell’aggredito suona male anche in tema di guerra. Con l’attacco all’Ucraina, la Russia si è macchiata dell’onta di avere inaugurato un’epoca di nuovi e ancor più intensi massacri globali: negare questa evidenza vorrebbe dire passare dalla padella dei pugilatori a pagamento atlantisti alla brace delle majorettes putiniane. Ma l’idea che von der Leyen e i suoi intendano riarmare l’Europa per difendersi da una possibile invasione russa è l’ennesima semplificazione di comodo.

La vera spiegazione del riarmo europeo è un’altra. Per lungo tempo i paesi Ue hanno agito da vassalli dell’impero americano. Dove l’America muoveva le truppe, lì si creavano occasioni di profitto per aziende statunitensi in primo luogo, ma subito dopo anche per imprese britanniche, francesi, tedesche, italiane. Dall’Est Europa, all’Africa, al Medio oriente, così l’imperialismo atlantico ha agito per decenni. Ma nel momento in cui la crisi del debito forza l’impero americano a ridimensionare l’area d’influenza e a caricare di dazi anche i vassalli, il problema delle diplomazie europee diventa uno solo: progettare un imperialismo autonomo, in grado di accompagnare la proiezione del capitalismo europeo verso l’esterno con una potenza militare autonoma. Ancora una volta, Draghi riconosce il punto. Macron, Merz e Meloni non lo ammettono apertamente, ma l’obiettivo è quello.

Vista sotto questa angolazione, la difesa dell’Ucraina diventa un tipico caso di scuola per il progetto imperialista europeo. Non si tratta di proteggere i confini dell’Unione da una futura invasione cosacca. Piuttosto, si tratta di riannodare con la forza i fili dell’accordo di «associazione Ue-Ucraina» iniziato nel lontano 2008. Una lunga serie di intese con un già implicito profilo imperiale, che mirava a estromettere le aziende russe dagli affari nell’area e da cui tutti i guai sono iniziati. Naturalmente, ciò che vale per il fronte insanguinato dell’Ucraina vale anche per tutte le altre linee di confine: i più grandi profitti saranno preda di chi saprà scortare i capitali con le truppe e i cannoni.

Il «momento» del nuovo imperialismo è dunque giunto. Occorre proteggere l’esportazione di capitali europei con milizie europee. Con buona pace delle bandiere blu e oro che verranno agitate in piazza, questo è lo scopo ultimo di ReArm Europe.

giovedì 14 novembre 2024

Le condizioni economiche per la pace - Emiliano Brancaccio

Da: AccademiaIISF - Emiliano Brancaccio è professore di Politica economica presso l'Università del Sannio - www.emilianobrancaccio.it 


- Saluti istituzionali Tomaso Montanari Rettore della Università per stranieri di Siena, Presidente onorario IISF
- Introduzione Geminello Preterossi Università degli studi di Salerno, Direttore di studi IISF

- Ignazio Visco sul libro di Emiliano Brancaccio Le condizioni economiche per la pace
- Modera Paola Nania GR1 Radio Uno RAI

giovedì 7 marzo 2024

La porta delle lacrime, le risa del capitale e l'inflazione. Riflessioni amare sulla crisi del Mar Rosso - Andrea Pannone

 Da: https://www.machina-deriveapprodi.com - Andrea Pannone, economista esperto nell'analisi dei processi di innovazione tecnologica e dei suoi riflessi a livello microeconomico e macroeconomico. Attualmente è ricercatore senior alla Fondazione Ugo Bordoni, ente in cui lavora dal 1993. Si è laureato con lode in Scienze Statistiche ed Economiche all’Università di Roma La Sapienza presso cui ha conseguito anche il Dottorato in Scienze Economiche. È stato docente di economia politica e di economia dei nuovi media in diversi master organizzati in Università pubbliche e private. È autore di pubblicazioni nazionali e internazionali. Ha pubblicato per DeriveApprodi «Che cos'è la guerra? La logica dei conflitti capitalistici tra XX e XXI secolo».

crisi del Mar Rosso

Nel testo odierno, Andrea Pannone riflette sulle conseguenze economiche del conflitto in Medio Oriente e delle azioni del gruppo yemenita Houthi.

È un testo molto utile perché spiega i maggiori beneficiari delle tensioni belliche, gli interessi materiali sul campo e dunque le contraddizioni tra gli attori della guerra.



La guerra nello stretto e le conseguenze sul commercio mondiale

 Come ci ricorda il National Geographic Magazine, Bab el-Mandeb, in arabo la Porta delle lacrime, è una piccola strozzatura geografica nel Mar Rosso che ha un'influenza enorme sull’economia mondiale: è un punto chiave per il controllo di quasi tutte le spedizioni tra l'Oceano Indiano e il Mar Mediterraneo attraverso il Canale di Suez[1]. Da lì, come ormai noto, passa quasi il 15% del commercio marittimo globale, compreso l’8% del commercio mondiale di cereali, il 12% del petrolio commercializzato via mare e l’8% del commercio totale di gas naturale liquefatto.

Da circa due mesi alcune navi che transitano in quel tratto sono prese di mira dai droni e dai missili del movimento yemenita Houthi, da anni sostenuto dall’Iran. Alcune navi, non tutte però. Solo le navi mercantili che navigano al largo delle coste dello Yemen e che hanno collegamenti con Israele. Gli stessi Houthi presentano gli attacchi come una risposta alla mancata condanna da parte dell’occidente al massacro che il governo di Netanyahu sta compiendo a Gaza. In realtà, si potrebbe a buon diritto sostenere (come fa ad esempio Emiliano Brancaccio nell’articolo Lo stretto necessario, il Manifesto, 23 gennaio 2024) che le azioni degli Houthi, sicuramente ben note a Teheran, vadano a vantaggio di un progetto antitetico a quello dell’Occidente che mira a contrastare, anche con l’imposizione di barriere commerciali e finanziarie, la crescente sfida dei competitor cinesi e russi al dominio economico degli Stati Uniti e al loro storico ruolo guida delle relazioni geopolitiche. Qualunque sia la loro effettiva motivazione, gli scontri armati hanno avuto come conseguenza l’aumento delle tensioni belliche in Medio Oriente e l'arrivo di navi da guerra di diversi paesi occidentali (in particolare statunitensi e britanniche, ma anche le navi italiane dovrebbero rivestire un ruolo) allo scopo di pattugliare l'area, mentre molte compagnie internazionali di shipping (ad esempio Maersk Line, Hapag Lloyd e Mediterranean Shipping Company)  stanno decidendo di tornare a percorrere come in passato la rotta più lunga e più costosa per raggiungere il Mediterraneo: quella che obbliga alla circumnavigazione dell'Africa. Difficile prevedere in prospettiva l’esito di questo nuovo scenario di guerra. Questo scritto si prefigge, coerentemente all’approccio già seguito in Pannone 2023(a) e 2023(b), di focalizzare l’attenzione non già sulle finalità  geopolitiche degli Stati o dei gruppi armati coinvolti nel gioco delle parti, quanto sugli interessi materiali dei gruppi economico-finanziari che possono trarre maggiore beneficio da un’escalation controllata del conflitto in Medio Oriente – di cui la guerra con gli Houthi è solo l’ultimo atto – e che oggi hanno il potere di plasmare le politiche dei governi e il destino dei popoli.


I maggiori beneficiari delle nuove tensioni belliche

venerdì 16 febbraio 2024

La giungla contro il giardino. A proposito di “La guerra capitalista” - Giorgio Gattei

Da: contropiano.org - Giorgio Gattei è uno storico del pensiero economico ed economista marxista italiano. Professore di Storia del Pensiero Economico presso la Facoltà di Economia dell'Università di Bologna. 

Leggi anche: Pane e tulipani, ovvero così non parlò Piero Sraffa. Cronache marXZiane n. 8 - Giorgio Gattei


1) Mi sembra doveroso partire dalla preoccupata constatazione di Papa Bergoglio, espressa il 10.3.2023 in occasione del decimo anniversario del suo pontificato, che «in poco più di cent’anni ci sono state tre guerre mondali: 1914-1918, 1939-1945, e la nostra; che è anch’essa una guerra mondiale. È cominciata a pezzetti ma adesso nessuno può dire che non è mondiale. Le grandi potenze vi sono tutte invischiate. Il campo di battaglia è l’Ucraina, ma lì lottano tutti».

E bravo il nostro Papa nel riconoscere che la guerra russo-ucraina non è affatto “locale”, come quelle precedenti in Jugoslavia, Afghanistan, Iraq, Siria o Libia, bensì planetaria!

Però bisognerebbe sforzarsi di indicare anche in maniera esplicita quali sono le effettive parti in lotta, che solo superficialmente sono la Russia e l’Ucraina. Infatti, tutti sappiamo che dietro l’Ucraina c’è la NATO a guida americana con l’Unione Europea al traino e che la Russia di Putin, nell’immaginario occidentale, altro non è se non la prosecuzione di quella Unione Sovietica che aveva dato del filo da torcere agli Stati Uniti lungo tutto il periodo della c.d. “guerra fredda”.

Per questo il conflitto in corso è “mondiale”, potendosi anche considerare come quel “finale caldo di partita” che finora era stato scansato per la minaccia di Mutua Distruzione Atomica Assicurata, ma che adesso potrebbe anche non essere più evitabile.

Proprio questo gli Stati Uniti ci vanno dentro con mano leggera senza inviare “scarponi sul terreno” (come hanno fatto in Vietnam, Afghanistan e Iraq) e senza applicare la “no fly zone” (come nel caso della Serbia e della Libia) per il pericolo che Putin finisca per utilizzare (come ha minacciato), se aggredito sul territorio nazionale, anche armi atomiche “tattiche”, dove però non si sa bene dove il “tattico” finisca.

Così Biden, che ha riportato a casa i soldati americani dall’Afghanistan, non sembra avere nessuna voglia di passare alla storia come il presidente che ha fatto entrare gli USA nella Terza guerra mondiale, ben consapevole (come ha detto in televisione il 10 febbraio 2022) che «se russi e americani iniziano a spararsi addosso, quella è una guerra mondiale» (cit. in “Limes“, 2022, n. 2).

mercoledì 18 ottobre 2023

Guerra capitalista e condizioni economiche per la pace - Emiliano Brancaccio

Da: transformitalia - Emiliano Brancaccio è professore di Politica economica presso l'Università del Sannio - www.emilianobrancaccio.it 

                                                                              

venerdì 14 luglio 2023

“La ragione capitalistica genera i mostri della guerra” - Frida Nacinovich intervista Emiliano Brancaccio

Da: https://www.sinistrasindacale.it - Emiliano Brancaccio è professore di Politica economica presso l'Università del Sannio - www.emilianobrancaccio.it 

Professore di Politica economica e docente di Economia politica ed Economia internazionale all’Università del Sannio a Benevento, Emiliano Brancaccio è diventato negli ultimi vent’anni uno dei più influenti studiosi del pensiero economico cosiddetto critico, o meglio eterodosso. Lo stesso, confindustriale Sole24ore lo fotografa come un economista di “impostazione marxista, ma aperto a innovazioni ispirate dai contributi di John Maynard Keynes e Piero Sraffa”. Sulla guerra, sul conflitto armato fra Russia e Ucraina (più Occidente), in corso da un anno e mezzo, Brancaccio ha un’idea chiara: “Questo non è uno scontro di civiltà. È uno scontro fra capitalismi. È necessario esaminare le basi economiche di questi conflitti per comprenderli e per cercare di interromperli. Se non ci soffermiamo sui fattori economici, non ci capiremo niente dei venti di guerra di questo tempo”. Nel secolo del finanz-capitalismo, dominante sul pianeta da quarant’anni e passa, anche i conflitti armati devono essere letti con le lenti del pensiero economico. Altrimenti c’è il rischio di perdersi nella propaganda di un’informazione a senso unico, da entrambe le parti, o di riflessioni antropologiche incapaci di cogliere le ragioni alla base non solo di questa guerra ma delle guerre in generale. Allora ringraziamo il professor Brancaccio per avere risposto ad alcune nostre domande.


Il suo ultimo libro si intitola ‘La guerra capitalista’, scritto assieme ai colleghi Stefano Lucarelli e Raffaele Giammetti (Mimesis 2022). Può spiegarcene la genesi?

Nel dibattito prevalente sulla guerra c’è una grave lacuna: manca un’interpretazione economica dei conflitti militari. I commentatori di grido assecondano le narrazioni dei comandanti in capo, che richiamano alti valori e nobili principii per tentare di giustificare i massacri in corso. Da un lato, gli atlantisti insistono sull’esigenza di difendere la libertà dell’Ucraina aggredita. Dall’altro lato, gli avversari dell’imperialismo occidentale avallano l’interpretazione putiniana, secondo cui la guerra si è resa necessaria per tutelare la sicurezza territoriale della Russia contro l’avanzata della Nato a est. In questo tipo di spiegazioni c’è qualcosa di vero, beninteso. Ma nel complesso tali narrazioni sono essenzialmente “idealistiche”, perché non prendono in considerazione le basi economiche, “materiali”, dello scontro in atto. La conseguenza è un dibattito sulla guerra assolutamente ingenuo e fuorviante. Il nostro libro nasce dall’urgenza di rilanciare un’interpretazione più smaliziata, diciamo pure “materialista”, della guerra moderna.  

venerdì 17 marzo 2023

La riforma del MES



Iniziativa politica sulla riforma del Meccanismo europeo di stabilità MES e le sue ricadute sociali. 
Interventi di Emiliano Brancaccio, Gianmario Cesarini e Marco Veronese Passarella
Introduzione di Pasquale Vecchiarelli. 
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                              

venerdì 9 settembre 2022

La dittatura della finanza e il mercato del gas – Andrea Fumagalli

 Da: http://effimera.org - Andrea Fumagalli è un economista e accademico italiano. 

Leggi anche: Le speculazioni sul gas che stanno creando il caro-bollette. E le Authority stanno a guardare… - Mario Menichella

Bolletta energetica alle stelle… e se la guerra non c’entrasse (quasi) niente? - Antonio Minaldi 

Speculatori e guerrafondai. Così restiamo prigionieri sul gas - Emiliano Brancaccio



Prefazione

Il 12 e 13 settembre 2008, nel pieno del crollo finanziario dei subprime negli Usa, due giorni prima del fallimento della Lehmann Brother (15 settembre 2008), a Bologna si svolgeva un convegno organizzato da UniNomade sui mercati finanziari e la crisi dei mercati globali. Gli atti di quel convegno (e molto di più) verranno pubblicati l’anno successivo da Ombre Corte a cura di Andrea Fumagalli e Sandro Mezzadra con il titolo Crisi dell’economia globale. Mercati finanziari, lotte sociali e nuovi scenari politici[1]. All’interno di quella raccolta di saggi, compariva un testo di Stefano Lucarelli: “Il biopotere della finanza”. All’epoca, tale titolo ci pareva più che mai azzeccato per descrivere il dominio delle oligarchie finanziare nel definire le traiettorie di accumulazione del nuovo capitalismo delle piattaforme, che da lì a poco sarebbe emerso dalle ceneri di quella crisi.

Oggi a quasi 15 anni da quegli eventi, possiamo dire di aver sottovalutato il problema. Certo, la nostra analisi si era rivelata più che corretta nel sottolineare il ruolo centrale e dominante della finanza speculativa nel nuovo (dis)ordine monetario internazionale e il tendenziale declino del dollaro come moneta di riserva internazionale. Ma nel frattempo, il biopotere (che poteva dare origine anche a qualche forma di contropotere, come illusoriamente ha fatto credere la parabola del bitcoin) si è trasformato in una vera e propria dittatura.

La finanziarizzazione delle materie prime

Ciò che sta succedendo nella determinazione del prezzo del gas nel mercato di Amsterdam lo conferma ampiamente. Già nel passato c’erano state avvisaglie della capacità della speculazione finanziaria, oggi sempre più essenza e anima dei mercati finanziari, di stravolgere in modo quasi irreversibile le stesse regole di funzionamento di un mercato neo-liberista. Nel 2008, ad esempio, il prezzo del petrolio aveva registrato un’impennata dai 70$/barile del dicembre 2007 ai 142$/barile dell’estate 2008, per poi calare entro la fine dell’anno a quota 33$: una bolla speculativa che si era sgonfiata, però, molto rapidamente.

Ma ciò che sta succedendo al mercato del gas presenta novità che devono essere sottolineate. Fino a pochi anni fa, le dinamiche di mercato e il prezzo che si determinava nello scambio reale tra domanda e offerta delle commodities erano la base sulle quali si formavano le aspettative sui prodotti derivati (di solito i futures) che alimentano l’attività speculativa. Il prezzo sui mercati reali era la base delle dinamiche speculative e delle convenzioni finanziarie che di volta in volta alimentavano le decisioni speculative.

martedì 6 settembre 2022

Speculatori e guerrafondai. Così restiamo prigionieri sul gas - Emiliano Brancaccio

Da: https://www.lanotiziagiornale.it - Emiliano Brancaccio è docente di Politica economica all’Università degli Studi del Sannio di Benevento.

Leggi anche: Oltre l’Ucraina, le segrete cause materiali della guerra - Emiliano Brancaccio 

La battaglia del gas. Con la mossa russa in gioco la nostra sopravvivenza - Alberto Negri 




L’aumento del prezzo del gas? Brancaccio: “La causa principale può essere sintetizzata così: gli speculatori scommettono sui guerrafondai” 


L’aumento del prezzo del gas? “La causa principale può essere sintetizzata così: gli speculatori stanno scommettendo sui guerrafondai”. È chiaro sul punto Emiliano Brancaccio, docente di politica economica presso l’Università del Sannio e protagonista di dibattiti con alcuni tra i massimi esponenti della teoria e della politica economica internazionale, tra cui Mario Monti, Olivier Blanchard, Daron Acemoglu.

“I professionisti della finanza – continua il professore ed intellettuale ora in libreria con “Democrazia sotto assedio (Piemme) – giocano sulla previsione che i venti di guerra non si placheranno, e che il conflitto con la Russia sia destinato a durare. L’idea prevalente è che i paesi europei della NATO sono pronti a sostenere i costi della transizione necessaria per fare a meno dell’energia russa in tempi relativamente brevi”.

Cosa comporta tutto questo? 

Questa politica europea, così avventurista e forzata, suscita forti aspettative di aumento dei prezzi dell’energia e quindi crea enormi occasioni di guadagno speculativo: i professionisti sui mercati si fanno prestare denaro, comprano gas, attendono che il prezzo salga, lo rivendono, restituiscono i prestiti e si tengono i guadagni netti. Il risultato è che il prezzo esplode, a livelli anche superiori rispetto a quelli causati dalla sola guerra.

Il governo Draghi spinge per un tetto europeo al prezzo del gas. Per quale motivo non si riesce ad attuare? 

martedì 19 luglio 2022

"Crisi, catastrofe, rivoluzione". Una conversazione con Emiliano Brancaccio.

Da: https://www.iltascabile.com - Emiliano Brancaccio è docente di Politica economica all’Università degli Studi del Sannio di Benevento. Autore di saggi pubblicati da riviste accademiche internazionali, ha promosso il “monito degli economisti” contro le politiche europee di austerity e l’appello per un ”piano anti-virus”, pubblicati sul ”Financial Times”. Sua è la rubrica Eresie su RAI Radio 1. Tra le sue pubblicazioni, L'austerità è di destra (2012); Il discorso del potere (2019); Il manuale Anti-Blanchard Macroeconomics (2020); Non sarà un pranzo di gala. Crisi, catastrofe, rivoluzione, Meltemi edizioni; Democrazia sotto assedio. La politica economica del nuovo capitalismo oligarchico, PIEMME edizioni; www.emilianobrancaccio.it - https://www.facebook.com/emiliano.brancaccio.3

Vedi anche: Catastrofe o Rivoluzione - Incontro con Emiliano Brancaccio autore di "Non sarà un pranzo di gala"

There is (no) alternative: pensare un’alternativa. Dibattito con Olivier Blanchard e Emiliano Brancaccio

Regolamentare il mercato - Daron Acemoglu, Emiliano Brancaccio 


Continuano le conversazioni della redazione con intellettuali capaci di aiutarci a leggere la guerra in corso, alla ricerca di uno scambio con punti di vista che possano restituire la complessità e la portata di quanto sta accadendo. L’intervista di oggi è con l’economista Emiliano Brancaccio, Professore di politica economica presso l’Università degli Studi del Sannio, a Benevento, tra i principali esponenti delle scuole di pensiero economico critico. Seguiamo Brancaccio da quando siamo venuti a conoscenza dei suoi lavori più recenti: Democrazia sotto assedio. La politica economica del nuovo capitalismo oligarchico (Piemme, 2022) e Non sarà un pranzo di gala. Crisi, catastrofe, rivoluzione (Meltemi, 2020), due saggi capaci di individuare le tendenze generali della fase storica che stiamo attraversando: su scala globale, una centralizzazione del potere in sempre meno mani che conduce inevitabilmente a una contrazione dello spazio democratico.

Ci interessava in particolare la sua capacità di portare un punto di vista radicale in sedi istituzionali che, da profani, immaginiamo restie alla critica che invece Brancaccio sa esercitare. Siamo partiti allora dalla guerra in Ucraina, come abbiamo già fatto con Marco D’EramoAlfonso Desiderio e Maria Chiara Franceschelli, ma siamo arrivati a toccare un’ampia rete di aspetti macroeconomici e politici della contemporaneità, e ne abbiamo approfittato per farci chiarire alcuni punti delle sue analisi. Il risultato è una conversazione ambiziosa, dallo sguardo ampio, ma che speriamo possa servire a orientarci, in modo molto pragmatico, a capire se e come possiamo sperare di avere voce in capitolo sul nostro futuro. (https://www.iltascabile.com)