domenica 31 agosto 2025

LA MORTE DI AMR - Chris Hedges

Da: Lavinia Marchetti - Tratto da: Chris Hedges, fazieditore.it/un-genocidio-annunciato -  Chris Hedges è un giornalista vincitore del Premio Pulitzer, è stato corrispondente estero per quindici anni per il New York Times, dove ha lavorato come capo dell'Ufficio per il Medio Oriente e dell'Ufficio balcanico per il giornale. -

Leggi anche: Chris Hedges: "Un genocidio annunciato" - Alessia Arcolaci 

Vedi anche: Piergiorgio Odifreddi, Le radici nazi-fasciste di Netanyahu e Israele (https://www.youtube.com/watch?v=1xi9aBzLbRE)


Per chi non avesse letto questo testo fondamentale, copio qui un capitolo, il capitolo 3, non è tecnico, è "solo" un fatto, un morto tra le decine di migliaia di morti, eppure fa capire più di mille saggi geopolitici cosa significhi vivere un genocidio sulla propria pelle. (Lavinia Marchetti)


"3. La morte di Amr  

La mattina in cui è stato ucciso, Amr Abdallah si era svegliato prima dell’alba per recitare le preghiere del Ramadan insieme al padre, la madre, due fratelli più piccoli e una zia, in un campo nella zona meridionale di Gaza. «Te noi adoriamo e a Te chiediamo aiuto», pregavano. «Guidaci sulla retta via – la via di coloro che hai colmato di grazia, non di coloro che sono incorsi nella Tua ira, né di quanti hanno abbandonato la retta via»

Era buio. Sono tornati nelle loro tende. La loro vecchia vita non c’era più: il paese, Al-Qarara, la casa costruita con il denaro messo da parte dal padre di Amr nei trent’anni di lavoro nel Golfo Persico, i frutteti, la scuola, la locale moschea e il museo culturale della cittadina con manufatti risalenti al 4000 avanti Cristo. Tutto ridotto in macerie. 

Amr, che aveva diciassette anni, avrebbe preso il diploma di maturità nel 2024, ma le scuole sono state chiuse nel novembre 2023. Sarebbe andato all’università, forse sarebbe diventato un ingegnere come il padre, una figura di spicco nella sua comunità. Amr era uno studente dotato. Adesso viveva in una tenda in un’area indicata come “sicura” che Israele bombardava sporadicamente. Faceva freddo e pioveva. La famiglia si stringeva assieme per scaldarsi. La fame li avvolgeva come una serpentina. «Quando si fa il nome di Amr è come se stessi parlando della luna», mi dice lo zio Abdulbaset Abdallah, che vive nel New Jersey. «Era il tipo speciale: bello, brillante, gentile»

sabato 30 agosto 2025

ADDIO COLONIALISMO - Nicolò Monti

Da: Nicolò Monti - Nicolò Monti già segretario nazionale della Federazione Giovanile Comunista Italiana (FGCI). 

Leggi anche: Il Partito Comunista Cinese e lo Stato in economia - Nicolò Monti 


Il primo dicembre 2024 la Cina aveva annunciato l’azzeramento di ogni tariffa doganale alle importazioni paesi meno sviluppati con cui intrattiene relazioni diplomatiche, inclusi 33 paesi africani sul 100% dei loro prodotti. 

Dall'introduzione della politica tariffaria zero fino a marzo di quest'anno, le importazioni cinesi dai paesi meno sviluppati africani sono aumentate del 15,2% su base annua, raggiungendo i 21,42 miliardi di dollari. 

Nei supermercati cinesi sono diventati sempre più comuni vini sudafricani, tonno senegalese, avocado kenioti, ananas beninesi e caffè ruandese. 

Sulla base di questo grande successo, l’Amministrazione Generale delle Dogane cinese ha annunciato a Luglio scorso che la politica di zero dazi verrà estesa a tutti i paesi africani con cui la Repubblica Popolare ha rapporti diplomatici (tutti tranne l’ex Swaziland, Eswatini, che riconosce Taiwan). Wang Jinjie, vicesegretario generale del Centro per gli studi africani dell'Università di Pechino ha dichiarato a proposito che "La politica di zero dazi riduce significativamente le barriere all'ingresso sul mercato per i prodotti africani, aprendo la strada a maggiori volumi di esportazione e a categorie di prodotti più diversificate". 

Nel 2024 il commercio bilaterale tra Cina e Africa ha raggiunto i 295,6 miliardi di dollari, stabilendo un record per il quarto anno consecutivo e segnando il 16° anno consecutivo in cui la Cina è rimasta il principale partner commerciale dell'Africa. Nei primi sei mesi del 2025 gli scambi hanno già raggiunto i 165 miliardi di dollari, con un aumento del 14,4% rispetto al 2024. La totale apertura del mercato interno cinese a tutto il continente africano prelude ad un aumento esponenziale di tali scambi, aprendo le porte ad una nuova era per i paesi africani. 

venerdì 29 agosto 2025

La resistenza partigiana - Lorenzo Forlani

Da: Lorenzo Forlani Giornalista e analista freelance. Vive tra Beirut e Roma. - lorenzoforlani86 - lorenzo forlani - lorenzo_forlani - https://contropiano.org -



Trovo irritante non solo la generica retorica ma proprio questo costante cerchiobottismo su Israele e su Hamas. Irritante non solo perché tende a lavare migliaia di coscienze e a sollecitare quelle di chi ha fatto l’ignavo fino a tre minuti fa ma anche perché impedisce di capire di cosa stiamo parlando. 

Il commentatore saggio e moderato dice: basta con la guerra, basta bombardamenti, sfamate i palestinesi, abbasso Netanyahu, via Hamas da Gaza. 

Ora, capisco bene che con una tale premessa, avventurarmi nel dirvi la mia su cosa ci sia di profondamente sbagliato nell’ultimo segmento di questi slogan rischia di farmi apparire come “pro Hamas”. Pazienza. Non mi fotte più davvero nulla. 

Si è superato da un bel po’ il limite, anche nel mondo professionale in cui sguazzo - anzi forse sopratutto in quello, visto come è stato mediamente accolto e riportato l’assassinio Anas Al Sharif -, per cui a me dal 2025, anzi da un pochino prima, non interessa più granché del mio posizionamento professionale, medito di fare o mi attrezzo per fare altre cose rispetto al giornalismo, perché questo è un momento epocale che dovrò giustificare, spiegare a mio figlio, e nel frattempo mi rifiuto di accodarmi alle filastrocche pre confezionate e ancora vendibili, quelle che ci permettono di stare (almeno) o collaborare qui e lì, di poter scrivere per il giornale X o Y, senza essere del tutto osteggiati o ostracizzati. 

O magari direttamente messi in pericolo con accuse di “sostegno al terrorismo”, dato che abbiamo scoperto come per alcuni - i palestinesi - anche solo esprimere sostegno sui social per un movimento sia il lasciapassare per la propria morte violenta, per il proprio omicidio. 

giovedì 28 agosto 2025

Con la camera di Hussam si spegne il giornalismo - Alberto Negri

Da:  https://ilmanifesto.it - Alberto Negri -  Alberto Negri è giornalista professionista dal 1982. Laureato in Scienze Politiche, dal 1981 al 1983 è stato ricercatore all'Ispi di Milano. Storico inviato di guerra per il Sole 24 Ore, ha seguito in prima linea, tra le altre, le guerre nei Balcani, Somalia, Afghanistan e Iraq. 

Leggi anche: Eliana Rivala-strage-per-spegnere-una-telecamera? 

Vedi anche: 𝐈𝐋 𝐃𝐄𝐋𝐈𝐑𝐈𝐎 𝐃𝐄𝐈 𝐍𝐄𝐆𝐀𝐒𝐈𝐎𝐍𝐈𝐒𝐓𝐈 - https://www.facebook.com/share/v/1ADZ2qy7Tn/

RICORDIAMOLI


Uccidono come assassini non come soldati, mentono come i peggiori mafiosi perché sanno di restare impuniti. L’ordine è: spara, spara subito alla telecamera della Reuters. Cadono i primi morti. Poi un silenzio sospeso, sembra irreale.

Arrivano i soccorsi correndo sulle scale dell’ospedale Nasser di Khan Younis. Ecco di nuovo il momento di colpire. Il thank israeliano spara ancora: il bilancio sarà di 20 morti tra cui 5 giornalisti. È la tecnica del «doppio colpo», illegale per le norme internazionali, ma non per Israele. Che adesso si giustifica come un criminale di strada. L’esercito ieri ha affermato che a Gaza la brigata Golani ha colpito la telecamera «ritenendo che fosse stata piazzata lì da Hamas per monitorare i movimenti dei combattenti». 

L’ennesima sanguinosa menzogna di una propaganda senza freni inibitori. Il bersaglio è la camera dell’agenzia britannica Reuters che invia in tutto il mondo in diretta le battaglie e i bombardamenti nella Striscia.

L’inquadratura viene lasciata fissa con piccoli cambi ma deve essere comunque manovrata: a farlo era l’altro giorno Hussam Al Masri, ucciso dall’esplosione. La diretta della Reuters sugli schermi europei si interrompe così all’improvviso. Resta solo un’ultima immagine, la polvere che copre tutto, la fine di Hussam e la morte del giornalismo vero, che dovrebbe spingere, almeno l’Europa ancora libera, a osservare un silenzio stampa per questo che non è un incidente ma un omicidio premeditato.

Questo se non vogliamo, come scriveva ieri Matteo Nucci sul manifesto (distopie-reali-il-racconto-dei-fatti-e-la-narrazione-della-menzogna), che la menzogna ripetuta in maniera ossessiva e dilagante non diventi verità. Le dimensioni del genocidio palestinese, la devastazione di Gaza, la carestia usata come arma di guerra, l’assassinio dei giornalisti e dei testimoni stanno andando oltre ogni limite. E qui c’è ancora chi sostiene che tutto questo è una falsità. E se proprio tutto questo orrore avviene la colpa è di Hamas. Qui c’è gente ancora incline a credere al premier israeliano Netanyahu, inseguito come Putin da un mandato come criminale di guerra della Corte penale internazionale, il quale sostiene che la carestia è una fake news e la maggior parte dei morti sono terroristi.

Persino i servizi israeliani lo smentiscono: l’83% delle vittime a Gaza sono civili. Ma pure di dare consistenza alle sue menzogne Netanyahu, mentre si prepara a occupare Gaza City, non solo bolla come bugiardi tutti – dagli operatori umanitari ai medici, dalle grandi ong ai sopravvissuti – ma cerca di eliminare tutte le fonti con la strage sistematica e voluta dei giornalisti palestinesi. È semplicemente un assassino.

Ma qui il silenzio stampa, l’indignazione, le condanne morali, il riferimento flebile a una giustizia che forse non verrà mai, non bastano. Qui bisogna fare qualche cosa. Applicare sanzioni. L’Unione europea dovrebbe sospendere gli accordi di associazione e di finanziamento di Israele. Magari annullare pure acquisti e vendite di armi e congelare gli insidiosi accordi di sicurezza con il governo di Tel Aviv: è questo che fa dei governanti europei dei complici del massacro di Gaza. Più si va avanti e più si capisce che l’inazione europea con i suoi proclami ipocriti è la maschera di un verità indicibile per molti: Israele fa parte integrante dei nostri apparati di sicurezza, basti pensare che nel 2023 l’Italia ha appaltato a Netanyahu la nostra cybersecurity. Israele sa tutto di noi e noi voltiamo la testa dall’altra parte, siamo persino spinti a dare credito a lui e al suo alleato Trump. Perché l’Unione europea stenta a intervenire? Abbiamo paura. Dal 2022 gli Usa hanno sanzionato 6mila imprese e individui della Russia e neppure vagamente farebbero una ritorsione a Israele: è l’unico stato al mondo che può influire sulla politica a Washington. È possibile che se la Ue o uno stato europeo varasse sanzioni serie a Tel Aviv, gli Stati uniti interverrebbero per fargliela pagare. L’atmosfera pesante che si respira si è capita bene dall’incontro tra Putin e Trump e dalla «non trattativa» sui dazi con gli Usa.

In ballo però non c’è solo la questione palestinese. Lo si capisce bene leggendo il rapporto di Francesca Albanese sull’economia del genocidio, che ha avuto l’ulteriore conferma del quotidiano britannico Guardian. Nella strage di Gaza, forse anche in questa del Nasser, sono coinvolte le grandi multinazionali americane, non solo del settore bellico. Israele si affida a Microsoft e alle sue strutture per archiviare le intercettazioni dei palestinesi nei territori illegalmente occupati. Sorveglianza e intercettazioni tengono un intero popolo sotto controllo: figuriamoci se non sapevano che la telecamera dell’ospedale era della Reuters. Ecco che cosa dovremmo temere e che forse già temono i governi europei: Israele e gli Usa (che detengono la stragrande quota di mercato mondiale della cybersecurity) possono fare di noi quel che vogliono. Il genocidio e gli omicidi di Gaza ci riguardano.

mercoledì 27 agosto 2025

Le conseguenze della scienza: Enrico Fermi, la bomba atomica e il ruolo dei fisici - CARLO ROVELLI

Da: https://www.corriere.it - MATEMATICAFISICAeSCIENZE - Carlo Rovelli, fisico, saggista e divulgatore scientifico è stato docente universitario in Italia, Francia e Usa. 

Leggi anche: Heidegger e la bomba atomica: ovvero la scienza deve pensare - Gianni Vattimo, Massimo Zucchetti 

https://zucchett.wordpress.com/2025/08/06/cronache-della-bomba/

Vedi anche: I rischi inaccettabili di una guerra nucleare - Massimo Zucchetti 

Hiroshima - les images inconnues

Il premio Nobel italiano fu tra le più grandi menti del Novecento, sia in campo teorico sia sperimentale, ma la politica non lo interessava. Ora che il rischio nucleare è così alto, serve un impegno civile degli studiosi.
Lo scorso 5 agosto, alla vigilia dell’ottantesimo anniversario dei bombardamenti atomici sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki, il fisico Carlo Rovelli ha inaugurato su Corriere.it la sua serie video in dieci puntate La bomba atomica. La cattiva coscienza della fisica. Riflessioni personali sul nucleare. Titolo del primo episodio, nel quale Rovelli parla dello sviluppo dell’arma nucleare, è: 1934 Enrico Fermi. Sul «Corriere della Sera» del 14 agosto è intervenuta Angela Bracco, presidente della Società italiana di Fisica, sostenendo che la figura di Fermi era stata «screditata». Rovelli ha risposto nella stessa pagina (qui l’intervento di Bracco e la risposta di Rovelli )Il video ha continuato a suscitare dibattito e, nel testo qui sotto, il fisico torna ad approfondire alcune questioni. (https://www.corriere.it)
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Alcune frasi su Enrico Fermi nei video dedicati al rischio nucleare che ho registrato per questo giornale, hanno dato origine a una polemica vivace. Con pieno rispetto per chi ha giudizi diversi dai miei, vorrei chiarire qui la mia opinione sulle questioni sollevate.

martedì 26 agosto 2025

L'intima relazione fra imperialismo e fascismo - Alessandra Ciattini

Da: la Città Futura - https://www.lacittafutura.it - Alessandra Ciattini (collettivo di formazione marxista "Stefano Garroni”) ha insegnato Antropologia culturale alla Sapienza, collabora con https://www.unigramsci.it


Con la professoressa dell'Università popolare Antonio Gramsci cerchiamo di comprendere le connessioni profonde fra il capitalismo sempre più in crisi e i regimi autoritari e antidemocratici. Intervista a cura de La città futura realizzata da Renato Caputo

                                                                           

lunedì 25 agosto 2025

QUANDO SI TRATTA DI PACE, ISRAELE NON PERDE MAI L'OCCASIONE DI PERDERE UN'OCCASIONE - Muhammad Shehada

Da La Zona Grigia - Originale: https://www.newarab.com - Muhammad Shehada è uno scrittore e analista palestinese di Gaza e responsabile degli affari europei presso Euro-Med Human Rights Monitor. Seguitelo su Twitter: @muhammadshehad2 

Leggi anche: I palestinesi non sono responsabili dello stermino degli ebrei. Perché ne pagano la colpa? - Alessandra Ciattini

Per oltre mezzo secolo, il più grande ostacolo alla pace in Medio Oriente non è stata l'assenza di coraggiose aperture palestinesi, ma l' instancabile determinazione israeliana a seppellirle prima che potessero mettere radici.

Di volta in volta, dal riconoscimento senza precedenti di Israele da parte dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) nel 1988 e dalla rinuncia alla lotta armata, ai leader di Hamas che offrono cessate il fuoco decennali, i leader palestinesi hanno messo sul tavolo compromessi storici.

E ripetutamente, Israele ha affrontato questi momenti non a mani aperte, ma con pugni chiusi, sabotaggi politici e omicidi . Lo schema è così coerente, così deliberato, che "perdere un'opportunità di pace" ha cessato di essere un tragico incidente ed è diventato una dottrina calcolata.

Nel 1988, l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) fece a Israele l'offerta più generosa nella storia palestinese. L'OLP accettò lo Stato di Israele, cedette il 78% della Palestina storica a "uno Stato ebraico" , condannò "il terrorismo in tutte le sue forme" e chiese in cambio uno Stato in Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est.

Questo avrebbe dovuto essere lo scenario ideale per Israele: porre fine al conflitto, alla Prima Intifada e al suo isolamento internazionale, e garantire il proprio futuro nella regione. Invece, Tel Aviv è precipitata nel panico più totale.

Il primo ministro Yitzhak Shamir ha immediatamente respinto il gesto dell'OLP, definendolo "folle e pericoloso" e giurando che Israele "non permetterà mai la creazione di uno stato palestinese indipendente nei territori occupati".

Il suo Ministro della Difesa, Yitzhak Rabin, promise di usare "il pugno di ferro" per annientare questa offerta di pace. Il Ministero degli Esteri israeliano attivò una squadra di controllo dei danni per diffamare la proposta dell'OLP. L'unico giornalista israeliano, David Grossman, che osò riferire della decisione dell'OLP fu licenziato dal suo incarico radiofonico e attaccato alla Knesset e su tutti i media israeliani.

Anche il governo israeliano e le organizzazioni filo-israeliane statunitensi hanno criticato gli ebrei americani che hanno incontrato Yasser Arafat per rafforzare il suo gesto di pace. Gli Stati Uniti hanno negato ad Arafat il visto per presentare la sua offerta all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite.