La teoria Marxista poggia la sua forza sulla scienza... che ne valida la verità, e la rende disponibile al confronto con qualunque altra teoria che ponga se stessa alla prova del rigoroso riscontro scientifico... il collettivo di formazione Marxista Stefano Garroni propone una serie di incontri teorici partendo da punti di vista alternativi e apparentemente lontani che mostrano, invece, punti fortissimi di convergenza...
martedì 16 febbraio 2016
"L' arte della Guerra"* - Manlio Dinucci
*Da: http://www.marx21.it/index.php/internazionale/pace-e-guerra/26591-manlio-dinucci-larte-della-guerra-
domenica 14 febbraio 2016
Manuale di autodifesa contro il lavoro nero* - Camera Popolare del Lavoro di Napoli
*Da: http://clashcityworkers.org/
Che si tratti di un tavolo da servire, di un palco da montare, di una lezione da preparare, di un bambino cui badare, di una borsa da fabbricare, di un palazzo da costruire, di pomodori da raccogliere, tutti abbiamo tantissime storie del genere da raccontare.
Che si tratti di un tavolo da servire, di un palco da montare, di una lezione da preparare, di un bambino cui badare, di una borsa da fabbricare, di un palazzo da costruire, di pomodori da raccogliere, tutti abbiamo tantissime storie del genere da raccontare.
Non a caso l'Italia è considerata patria del lavoro “nero”. Che poi qualcuno
una busta paga ce l'abbia pure non è che cambi molto: se la mansione, l'orario,
la paga che vengono messi nero su bianco non corrispondono al vero, non è che
ci renda poi così tranquilli, né tanto meno “regolari”. Lavoro “nero” o
“grigio” – come si definisce il lavoro quando uno un contratto ce l'ha, ma
quest’ultimo è falso – cambia poco: niente ferie, malattie, permessi,
contributi, insomma zero tutele, zero diritti, e tanta, tanta impotenza e
solitudine.
E la rabbia e il disincanto ci prendono quando televisione e giornali ci dicono
che la situazione sta migliorando, che il Jobs Act funziona, che in fondo basta
non essere “choosy” e una soluzione la si trova. E lo vengono a dire a noi, con
le nostre storie di merda, con fratelli, sorelle e amici costretti ad emigrare
perché qui è sempre più dura. E magari pretendono pure che gli crediamo, sennò
siamo “gufi”.Ma come si fa, se attorno a noi il lavoro nero non diminuisce? Se
le forme di lavoro “legale” gli assomigliano sempre più?
Ormai il contratto a tempo indeterminato non è solo una chimera; con le “tutele crescenti” praticamente non esiste più. Precariato a vita e per legge. Oppure prendiamo i voucher, sempre più diffusi e che un datore di lavoro può tirar fuori quando c'è un'ispezione (che poi, l'ispettore del lavoro è una figura quasi mitologica visto che quasi nessuno riesce a vederne uno!).
Ormai il contratto a tempo indeterminato non è solo una chimera; con le “tutele crescenti” praticamente non esiste più. Precariato a vita e per legge. Oppure prendiamo i voucher, sempre più diffusi e che un datore di lavoro può tirar fuori quando c'è un'ispezione (che poi, l'ispettore del lavoro è una figura quasi mitologica visto che quasi nessuno riesce a vederne uno!).
Lamentarsi non basta – ce lo dicono sempre. E hanno pure
ragione. Allora noi qualcosa la vogliamo fare. Ne abbiamo piene le scatole di
sentirci fare la predica. Ci fosse mai uno che viene e ti dice qualcosa di
veramente utile, qualcosa che possa far cambiare un minimo la situazione in cui
ci troviamo.
La denuncia non ci basta, e con questo manualetto abbiamo
l'ambizione di andare oltre. Vogliamo rompere il muro di silenzio su una
situazione che riguarda migliaia e migliaia di persone, e che a stento emerge
dalle statistiche ISTAT, e costringere tutti – media, istituzioni – a non fare
finta di non vedere e dare delle risposte. Vogliamo rendere il sonno dei nostri
“donatori di lavoro” meno placido e sicuro, vogliamo vederli con la strizza
addosso, in poche parole vogliamo combattere il problema a monte, non solo dopo
che si è presentato. E possiamo farlo.
Leggi il manualetto: http://www.clashcityworkers.org/images/pdf/2015_12_18_manuale-lavoro-nero.pdf
La crisi capitalistica e le sue ricorrenze: una lettura a partire da Marx - Riccardo Bellofiore
“la produzione capitalistica sviluppa la tecnica e la combinazione del
processo di produzione sociale solo minando al tempo stesso le fonti primigenie
di ogni ricchezza: la terra e il lavoratore” (K. Marx, Capitale)
"la lotta operaia è venuta assumendo caratteri tali per cui essa
non è stata più né semplicemente redistributiva né semplicemente normativa, ma
è diventata politica in un senso più stretto, in quanto cioè ha indebolito
spesso profondamente, una delle condizioni necessarie alla realizzazione del
rapporto capitalistico, ossia la subordinazione, la mancanza di autonomia,
della classe operaia all'interno del processo produttivo . . . la crisi
economica, e sociale, è dovuta essenzialmente a questa spinta operaia, nel
senso che il processo accumulativo, già colpito dai successi ottenuti, al
principio degli anni Sessanta, sul terreno della distribuzione, è stato poi
ancor più duramente colpito da quella conquista di autonomia operaia che ha
fortemente limitato la possibilità di risposta del capitale in termini
tradizionali, in termini cioè di aumento del grado di sfruttamento"
(C. Napoleoni)
"Io voglio spiegare i punti decisivi di queste lotte: gli scioperi
selvaggi, la lotta contrattuale che la Fiat ha cercato di fermare sospendendo
30 mila operai. Il padrone con il salario crede di comprare un operaio come si
compra un chilo di mele. Tu ti vendi e io ti pago. Poi ti consumo come voglio.
La mela la tagliuzzo, la faccio cuocere, la lascio marcire [...] la mordo. Il
destino della merce è infatti quello di lasciarsi consumare [...] Ma l'operaio
è una merce un poco speciale, non basta vendersi ad un buon prezzo, non vuole
più lasciarsi consumare come piace ai padroni. E' una merce questa che vuole
avere il potere di controllare ogni giorno il modo del suo consumo, per questo
ora si fanno le lotte interne sul lavoro per il controllo operaio"
(S. Gaudenti, brano tratto da un'intervista del "Corriere della sera"
ad alcuni operai, registrata durante l'autunno caldo del '69 e mai pubblicata
su quel quotidiano. Fu resa disponibile vent'anni fa da Pino Ferraris che la
aveva nel suo archivio, e comparve sul "manifesto")
Introduzione
Nell’attuale dibattito sulla crisi due sono i filoni
interpretativi principali che si richiamano a Marx e che proclamano una sua
rinnovata attualità. Il primo, proposto da quegli autori che si vogliono
marxisti “ortodossi”, è quello che legge la finanziarizzazione come conseguenza
della caduta tendenziale del saggio del profitto, e in quest’ottica individua
una lunga tendenza alla stagnazione che comincia negli anni Settanta del
Novecento. L’altra interpretazione, prevalente per lo più in quei marxisti influenzati
dal keynesismo e dal neoricardismo, fa riferimento alla tendenza alla crisi da
realizzazione, ovvero da insufficienza da domanda. Questo secondo filone
evidenzia come, dopo la controrivoluzione monetarista degli anni Ottanta del
Novecento, siano avvenuti profondi mutamenti nella distribuzione del reddito con la caduta della quota dei
salari, e sostiene che in un mondo di bassi salari la ragione di fondo della
crisi sia l'insufficienza della domanda di consumi: una prospettiva più o meno
dichiaratemente sottoconsumista. In entrambi i casi, la crisi attuale coverebbe
da molto tempo, e sarebbe la crisi di un capitalismo che si può ben definire
asfittico, sostanzialmente e (ormai) perennemente stagnazionistico.
Ritengo che un’interpretazione marxiana della crisi non
possa essere sganciata dalla caduta tendenziale del saggio del profitto, ma che
questa vada interpretata come una sorta di meta-teoria della crisi, che ingloba
al suo interno le altre e diverse teorie della crisi che si possono trovare o derivare
dal Capitale. In quel che segue, procederò in prima battuta ad una ricognizione
delle diverse teorie della crisi riconducibili a Marx, e che sono di solito
esposte come filoni alternativi e incompatibili.
In secondo luogo, cercherò di
integrare i diversi spunti che si trovano in Marx in un discorso unitario,
dentro una lettura non meccanicistica della caduta del saggio di profitto.
Questo discorso si prolunga in uno schizzo storico della dinamica lunga del
capitale: dalla Grande Depressione di fine Ottocento, alla Grande Crisi degli
anni Trenta del secolo scorso, alla Crisi Sociale nei processi immediati della
valorizzazione degli anni Sessanta-Settanta. Infine, leggerò su questo sfondo
la dinamica capitalistica di fine Novecento e la crisi che si è materializzata
in questo ultimo decennio, sottolineando il legame tra finanziarizzazione e
frammentazione del lavoro, e cercando di individuare le novità più
significative nella morfologia del sistema economico e sociale.
[...] In effetti, sostiene Marx, le crisi hanno luogo a partire da
una caduta degli investimenti, e questa deriva da una crisi della
profittabilità. La questione, dunque, si trasforma, e diviene quella di
comprendere la ricorrenza delle crisi, riconducendola a una compressione del
saggio del profitto, e spiegandone le ragioni. Su questo, Marx propone nei suoi
manoscritti una serie di prospettive diverse, di cui è dibattuta la possibilità
di riconduzione a un quadro unitario e coerente.
Leggi tutto: http://wwwdata.unibg.it/dati/persone/46/3905-Marx%20e%20la%20crisi%20-%20Bellofiore.pdf
sabato 13 febbraio 2016
Storia del pensiero scientifico e filosofico* – Ludovico Geymonat
*Da: https://unisafilosofiateoreticaonline.wordpress.com/supplementi/storia-del-pensiero-scientifico-e-filosofico-ludovico-geymonat/
Quando nasce la storia della filosofia come disciplina?
Possiamo dire che la disciplina è sempre esistita sin dal momento in cui l’uomo
ha incominciato a filosofare, gli stessi “Dialoghi” di Platone sono storia
della filosofia perchè includono il pensiero di Socrate e rappresentano un
esempio di ricostruzione del pensiero del filosofo da parte di un altro
filosofo. Non è quindi eccessivo definire Platone come il primo storico della
filosofia e come il primo interprete delle teorie filosofiche esposte prima di
lui.
Diceva Hegel che le opere dei filosofi non li hanno seguiti nelle tombe e che
ogni periodo ha avuto la sua filosofia, possiamo aggiungere con molta umiltà
che ogni epoca ha avuto i suoi interpreti delle filosofie passate.
Geymonat può essere definito l’interprete della filosofia
che ha seguito metodologicamente l’impostazione enciclopedica dell’illuminismo
e che ha interpretato il pensiero filosofico secondo le categorie del marxismo.
Geymonat era un razionalista, uomo di scienza e nel contempo
filosofo della scienza, fu sua la prima cattedra di Filosofia della scienza
istituita a Milano nel 1956.
Proprio la sua formazione lo portò a concepire la storia delle idee filosofiche strettamente congiunta a quella del pensiero scientifico ed è questo il fatto che segna lo stacco rispetto ad altri modi di vedere la filosofia per esempio come supremo rimedio contro il dolore ma nello stesso tempo la sua impostazione razionalista lo portò ad essere un autentico interprete della filosofia come “epistème” in cui sono svelati il Senso e l’Origine del divenire che si deve liberare dalla protezione dell’immutabile.
Proprio la sua formazione lo portò a concepire la storia delle idee filosofiche strettamente congiunta a quella del pensiero scientifico ed è questo il fatto che segna lo stacco rispetto ad altri modi di vedere la filosofia per esempio come supremo rimedio contro il dolore ma nello stesso tempo la sua impostazione razionalista lo portò ad essere un autentico interprete della filosofia come “epistème” in cui sono svelati il Senso e l’Origine del divenire che si deve liberare dalla protezione dell’immutabile.
Geymonat era convinto che non ci poteva essere sviluppo sociale
senza progresso tecnologico, probabilmente non aveva tutti i torti quando
invitava ad abbandonare le elucubrazioni metafisiche ma c’è da dire che proprio
in ambito filosofico sono nate tutte quelle perplessità verso le “magnifiche
sorti e progressive” e a quali insidiosi vicoli ciechi possa portare
l’eccessiva fiducia nel positivismo logico che non è in grado di esaurire le
domande che da sempre assillano l’uomo.
Dialoghi di profughi II* - Bertolt Brecht
Da: https://www.facebook.com/notes/maurizio-bosco/dialoghi-di-profughi-ii-bertolt-brecht/10153467818783348
Cos'è "Dialoghi di profughi": http://www.controappuntoblog.org/2013/10/18/quando-si-parla-di-umorismo-io-penso-sempre-al-filosofo-hegel-fluchtlingsgesprache-dialoghi-di-profughi-brecht-bertolt/
Cos'è "Dialoghi di profughi": http://www.controappuntoblog.org/2013/10/18/quando-si-parla-di-umorismo-io-penso-sempre-al-filosofo-hegel-fluchtlingsgesprache-dialoghi-di-profughi-brecht-bertolt/
DOVE SI PARLA DI BASSO MATERIALISMO - DEI LIBERI PENSATORI -
ZIFFEL SCRIVE LE SUE MEMORIE - INVADENZA DEGLI UOMINI IMPORTANTI
Ziffel e Kalle furono molto sorpresi, quando, due giorni
dopo, si incontrarono di nuovo al ristorante della stazione. Kalle era vestito
allo stesso modo, mentre Ziffel non portava più il pesante cappotto che l’ultima
volta, benché fosse già estate, ancora indossava.
ZIFFEL Ho trovato una stanza. sono sempre felice, quando
riesco a sistemare i miei novanta chili di carne ed ossa. Non è cosa da poco,
di questi tempi, mettere in salvo un tal mucchio di carne. e la responsabilità
naturalmente è maggiore. E’ più grave se vanno a male novanta chili che solo
sessantacinque.
KALLE Anzi, per lei deve essere più facile. La corpulenza fa
buona impressione. E’ segno di benessere, e il benessere fa buona impressione.
ZIFFEL Io non mangio più di lei.
KALLE Non sia così suscettibile! Non ho mica niente in
contrario che lei mangi a sazietà. Per la gente perbene sarà magari una
vergogna patir la fame, ma da noi non è una vergogna mangiare a sazietà.
venerdì 12 febbraio 2016
LA CRISI IRRISOLTA* - Francesco Schettino
Da: https://rivistacontraddizione.wordpress.com/
Quel che si cela
dietro ai drammatici crolli di borsa.
È un fatto tristemente noto, grazie anche alla pluralità di
pellicole girate sul soggetto e, soprattutto per espe-rienza diretta di coloro
che tra la fine degli anni settanta e l’inizio degli ottanta erano almeno
adolescenti, che l’eroina è una bestia feroce in grado di trasformare
completamente qualsiasi essere umano sino a ridurne in fumo ogni traccia di
razionalità. Questo concetto doveva essere ben chiaro anche alla classe
dominante giacché, anche attraverso l’inondazione del mercato di questa
immondizia, che si sostituiva alle cosiddette droghe leggere, o agli
allucinogeni, ampiamente usati nella decade precedente, essa riuscì – in modo
estremamente più efficace di qualsiasi altra manovra repressiva – ad infliggere
un colpo mortale a quello che era restato del movimento della sinistra
alternativa italiana erede della resistenza al fascismo e delle battaglie di
classe di fine anni cinquanta ed inizio anni sessanta1. È altrettanto riconosciuto,
anche grazie alla recente uscita di libri o testi sul tema, come la cocaina,
droga di classe (dominante) per eccellenza, circoli abbondantemente negli
ambienti della finanza ed in particolare a Wall Street, come ampiamente descritto
e documentato da un recente film di Scorsese.
Dunque, droga, dipendenza e tossicomania sono elementi che,
in un modo o in un altro sono connaturati al modo di produzione del capitale
giacché, essendo esso stesso un meccanismo sociale che agisce alla stregua di
un organismo biologico, non può esimersi dall’essere attratto da
sostanze\elementi che possono generare dipendenza risollevando, nell’immediato,
da fasi più o meno lunghe di crisi profonda.
In questo caso si fa riferimento a un’altra sostanza che
pian piano sta assumendo questo ruolo per gran parte del capitale mondiale:
genera dipendenza e assuefazione; violente alternanze di depressione ed
euforia, senza che ci sia modo di intervenire altrimenti per arginare questo
bipolarismo. In molti penseranno che si stia alludendo al profitto, forma
monetaria dello sfruttamento; altri, più correttamente immagineranno che il
riferimento è al plusvalore ricordando la naturale “voracità” del capitale che
Marx non tarda mai di rimarcare. In realtà stiamo parlando di un qualcosa che
non agisce in maniera benefica sul ritmo di accumulazione, bensì, proprio come
l’eroina, può determinare effetti stupefacenti nell’immediato a cui seguono –
più o meno immediatamente – reazioni nefaste ed incontrollabili.
"Il vecchio muore e il nuovo non può nascere"* - Renato Caputo
*Da: http://www.lacittafutura.it/
Vedi anche: http://www.byoblu.com/post/notiziedalweb/il-video-che-tutti-dovremmo-sapere-a-memoria
Vedi anche: http://www.byoblu.com/post/notiziedalweb/il-video-che-tutti-dovremmo-sapere-a-memoria
“La crisi consiste
appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo
interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati”, osservava Gramsci
in una nota scritta in carcere nel 1930; questa considerazione è purtroppo
ancora oggi particolarmente attuale. Se non saremo in grado di far nascere una
più razionale organizzazione della società, sulle rovine dell’attuale, andremo
incontro a un’epoca ancora più oscurantista e imbarbarita della presente.
Sfruttando a proprio vantaggio una crisi provocata da
assetti proprietari sempre più monopolizzati da pochissimi privati, che
impediscono lo sviluppo economico, una élite progressivamente ristretta si
appropria di una quota sempre più spropositata del prodotto di un lavoro in
misura crescente diviso e strutturato a livello internazionale. Così oggi l’1%
della popolazione, senza dover lavorare, possiede maggiori ricchezze del 99%,
spesso costretto a faticare per tutta la vita per consentire a una
ristrettissima minoranza di vivere nel lusso più sfrenato, tanto che 63 nababbi
si appropriano di una quota maggiore della ricchezza totale di 3 miliardi e
seicento milioni di persone, il 50% più povero dell’umanità.
In tale situazione ormai solo un mentecatto può dar credito
all’ideologia positivista, espressione sovrastrutturale del dominio della
borghesia, secondo la quale il progresso tecnologico e scientifico risolverà
progressivamente i problemi della società visto che gli interessi degli
industriali non possono che coincidere con gli interessi dei salariati. Allo
stesso modo non può che apparire assurda la fede liberale nelle capacità della
società civile, non ostacolata dal potere politico, di autoregolarsi secondo le
sacre leggi di un mercato, per cui domanda e offerta tenderebbero
spontaneamente a equilibrarsi.
giovedì 11 febbraio 2016
Classe, lotta di classe e prostituzione - Gianfranco Pala
*Da: http://www.gianfrancopala.tk/ (http://www.contraddizione.it/quiproquo.htm)
L’OMBRA DI MARX - estratti da “piccolo dizionario marxista” contro l’uso ideologico delle parole
L’OMBRA DI MARX - estratti da “piccolo dizionario marxista” contro l’uso ideologico delle parole
È di moda, soprattutto nei tempi di indebolimento del
pensiero, predicare la fine delle classi e, a fortiori, della lotta
di classe. Che ciò sia fatto dall’ideologia dominante è ovvio; che tale
predica venga assimilata e ripetuta acriticamente dagli esponenti dell’“asinistra”
è conseguenza necessaria proprio di quello stesso dominio di classe “solido e
pericoloso” che costoro vorrebbero far credere di esorcizzare. E la faccenda
non è recente, se già Marx si sentì in dovere di precisare, nel poscritto
alla seconda edizione del primo libro del Capitale, che “l’economia
politica, in quanto concepisce l’ordinamento capitalistico come forma assoluta
e definitiva della produzione sociale, può rimanere scienza soltanto finché la
lotta delle classi rimane latente o si manifesta soltanto in fenomeni isolati.
Dal momento in cui la lotta fra le classi raggiunse, tanto in pratica che in
teoria, forme via via più pronunciate e minacciose, per la scienza economica
borghese quella lotta suonò la campana a morte. Ora non si trattava più di
vedere se questo o quel teorema era vero o no, ma se era utile o dannoso, comodo
o scomodo al capitale, se era accetto o meno alla polizia. Ai ricercatori
disinteressati subentrarono pugilatori a pagamento, all’indagine scientifica
spregiudicata subentrarono la cattiva coscienza e la malvagia intenzione
dell’apologetica”. Del resto, che la lotta di classe appaia spenta agli occhi
dei proletari è inevitabile in momenti in cui la parte attiva di codesta lotta
venga perseguita dalla borghesia trionfante, ancorché in crisi, e non sia più
svolta se non marginalmente dal proletariato stesso. Tutto ciò non esime dal
riconoscere le contraddizioni del modo di produzione capitalistico, il
persistere della lotta delle classi che lo costituiscono e, anzitutto,
l’esistenza e la riproduzione delle classi stesse.
In prima istanza, dal punto di vista della base economica
del modo di produzione capitalistico, la definizione di classe sociale
può essere immediatamente circoscritta all’omogeneità di funzione svolta dai
diversi soggetti nel processo di produzione. L’identità funzionale
individua l’appartenenza all’una o all’altra classe in sé,
oggettivamente identificata. Tale appartenenza, pertanto, non pertiene alla
sfera empirica del tipo di attività svolta, né dell’ammontare di reddito
percepito, né tantomeno può corrispondere biunivocamente con i singoli
individui empirici. Essa è, per l’appunto, oggettiva e trascende il soggetto
individuale in quanto un medesimo soggetto può svolgere più di una funzione nel
processo di produzione, con diverse mansioni e livelli di reddito, per cui la
sua appartenenza a quella o quell’altra classe dipende da quale sua figura
prevalga sulle altre, da quella che ne determina in prima istanza il
ruolo e la funzione sociale. Dunque, nel modo di produzione capitalistico che
sta a fondamento delle formazioni economiche sociali moderne a dominanza
borghese, la prima e principale divisione funzionale al processo di produzione
medesimo mette: da un lato, la classe di coloro che sono proprietari
delle condizioni oggettive della produzione, in quanto non produttori,
ossia tali che per definire la loro funzione peculiare non è necessario che
essi partecipino attivamente alla produzione stessa; dall’altro, la classe
di coloro che sono effettivamente i produttori della ricchezza sociale
nella forma storica data, in quanto non proprietari di quelle condizioni
della produzione, pur se accidentalmente e parzialmente possano esserlo.
martedì 9 febbraio 2016
domenica 7 febbraio 2016
La “saggezza” della banca centrale, Dallo ZIRP al NIRP: l’ultimo lancio di dadi* - Michael Roberts
Il recente annuncio
della Banca del Giappone (BoJ), che introdurrà un tasso di interesse
negativo (NIRP) per le banche commerciali in possesso di riserve di
contanti, è l’ammissione finale che la politica monetaria supportata dagli
economisti ufficiali ed implementata a livello globale dalle banche centrali ha
fallito.
Le principali armi
di politica economica, usate a partire dal crac finanziario globale e della
conseguente Grande Recessione al fine di evitare un’altra Grande Depressione
come quella del 1930, erano state prima il tasso di interesse a zero (ZIRP),
poi le ‘non-convenzionali’ misure monetarie del ‘quantitative easing (QE)’ (che
incrementava la quantità di denaro con cui vengono rifornite le banche), che un
anno fa o giù di lì avevano fissato al 2% l’obiettivo dell’inflazione. Si
supponeva che lo ZIRP e una fornitura di denaro virtualmente illimitata (QE)
avrebbero rilanciato l’economia globale, in modo che eventualmente il
capitalismo e le forze del mercato avrebbero prevalso e avrebbero portato ad
una ‘normale’ e duratura crescita economica e ad una più piena occupazione.
Ma QE e ZIRP hanno
fallito nel raggiungimento del loro obiettivi di inflazione (e crescita). Al
contrario, le principali economie sono vicine alla deflazione, con un crollo
dei prezzi delle materie prime e dell’energia insieme ai prezzi dei beni nei
negozi e sulla vetrina di Internet. La deflazione ha il suo lato buono ed il
suo lato cattivo. Sicuramente, abbassa il costo di molte cose ma fa anche
crescere l’onere reale del ripagamento del debito per coloro che ne hanno fatto
uso. E se i prezzi sono continuamente in calo, si genera una mancanza di
volontà a spendere o ad investire, nella speranza che sia più conveniente
aspettare. La deflazione è un sintomo di un’economia debole, ma è anche una
delle cause che la rendono ancora più debole.
La deflazione può diventare un
avvitamento deflazionistico del debito.
Così ora abbiamo il
NIRP.
"Vita di Galileo" di Bertolt Brecht - Regia di Antonio Calenda (2008)
Da: http://gabriellagiudici.it/
Galileo lesse il verdetto
e un monacello venne a trovarlo.
Era figlio di poveri contadini,
voleva sapere come acquistare il sapere,
voleva saperlo, voleva saperlo.
voleva sapere come acquistare il sapere,
voleva saperlo, voleva saperlo.
Palazzo dell’ambasciata fiorentina a Roma.
Galileo sta parlando con frate Fulgenzio.
Galileo sta parlando con frate Fulgenzio.
sabato 6 febbraio 2016
“SMART WORKING”: Sfruttamento illimitato della costrizione al lavoro* - Carla Filosa
*Da: http://www.lacittafutura.it/
Leggi anche: http://www.lacittafutura.it/giornale/la-nuova-svolta-lavorativa.html
"In realtà, il dominio dei capitalisti sugli operai non è se non dominio delle condizioni di lavoro autonomizzatesi contro e di fronte al lavoratore... cioè i mezzi di produzione... e i mezzi d sussistenza,... benché tale rapporto si realizzi soltanto nel processo di produzione reale, che è essenzialmente processo di produzione di plusvalore; processo di autovalorizzazione del capitale anticipato." (Marx, Il Capitale, libro I, cap. VI inedito)
Leggi anche: http://www.lacittafutura.it/giornale/la-nuova-svolta-lavorativa.html
"In realtà, il dominio dei capitalisti sugli operai non è se non dominio delle condizioni di lavoro autonomizzatesi contro e di fronte al lavoratore... cioè i mezzi di produzione... e i mezzi d sussistenza,... benché tale rapporto si realizzi soltanto nel processo di produzione reale, che è essenzialmente processo di produzione di plusvalore; processo di autovalorizzazione del capitale anticipato." (Marx, Il Capitale, libro I, cap. VI inedito)
Mediaticamente coinvolti in questi ultimi tempi solo dai
cosiddetti diritti civili, forse non ricordiamo nemmeno più quella proposta
effettuata nel dicembre scorso dal ministro Poletti, sull’abolizione “tecnologica”
della misurazione temporale della giornata lavorativa. Dopo
l’impegno, in settembre, ad abbassare le pensioni a chi ne avesse anticipato la
fruizione, l’ineffabile ministro del Lavoro si è messo all’opera per
rosicchiare, non solo il salario differito sui binari della riforma Fornero, ma
anche quello diretto, angustamente percepito solo come busta paga, ma in realtà
di natura sociale. I diritti fondamentali, quelli conquistati entro il rapporto
lavorativo vessatorio e fraudolento, sono così scivolati nell’inavvertita
prassi governativa abile nell’elargire una progressiva dimenticanza da spargere
su tutto il piano del reale. Sublimati su battaglie giuridiche, i conflitti
sono stati spostati su piani ideologico-religiosi con altri soggetti di diritto,
dal piano economico a quello sociale, più permeabile a compromessi. Il capitale
rimane pertanto nel cono d’ombra, libero di far erodere anche il salario
indiretto con il taglio delle spese sociali e i favori fiscali alle imprese.
Quando poi le “innovazioni” politiche non si vogliono far
capire bene agli interessati, ormai si usa la lingua dominante sul mercato
mondiale. Il titolo apparso (Smart working) sulSole 24ore (1.12.15)
a proposito della geniale proposta del ministro G. Poletti di abolire il criterio
temporale applicato al lavoro – altrui, si sarebbe completato in
altri tempi - , non fa eccezione. Nell’articolo citato, rispondono poi i
metalmeccanici Cisl, senza avvedersi della portata del problema.
L’inimitabile trovata, non del suddetto ministro, che non ci
sarebbe mai arrivato da solo, ma del suo “think tank” (cordata di pensatoi),
merita quindi di andare a fondo in questa ennesima obsoleta “innovazione”.
Rosa Luxemburg e Hannah Arendt sulla rivoluzione*
[Rosa Luxemburg, “Juniusbroschüre” Scritto nell’aprile 1915,
Pubblicato a Zurigo nel febbraio 1916]
[…] L’aspetto più sconcertante dei consigli era che essi
attraversavano non solo tutte le linee dei partiti, e riunivano membri di
diversi partiti, ma che questa appartenenza partitica non aveva alcuna
importanza. Erano insomma gli unici organi politici aperti ai cittadini che non
appartenevano a nessun partito. Perciò entravano inevitabilmente in conflitto
con tutte le assemblee, coi vecchi parlamenti non meno che con le “nuove
assemblee costituenti”, per la semplice ragione che queste ultime, anche nei
loro settori più estremisti, erano pur sempre figlie del sistema partitico. In
questa fase, ossia nel bel mezzo della rivoluzione, erano i programmi di
partito che più di qualsiasi altra cosa dividevano i consigli dai partiti;
perché questi programmi, per rivoluzionari che fossero, erano tutti “formule
preconfezionate” che non richiedevano azione, ma esecuzione – “di essere messe
energicamente in pratica”, come puntualizzava Rosa Luxemburg, con la sua
straordinaria chiarezza di idee sulla posta in gioco. [Hannah Arendt, Sulla Rivoluzione (1963), Edizioni di
Comunità, Milano 1983, pp. 305-306].
venerdì 5 febbraio 2016
DIALETTICA IN MARX, dove (e come) cominciare... - Stefano Garroni
«La saggezza riguarda
i beni umani e le cose su cui è possibile deliberare. Infatti noi diciamo che
soprattutto questa è la funzione del saggio: il deliberare bene; e nessuno
delibera sulle cose che non possono essere diversamente, né su quelle che non abbiano
un qualche fine che sia un bene realizzabile con l’azione.
L’uomo che sa
deliberare bene in senso assoluto è colui che, seguendo il ragionamento, sa
indirizzarsi, tra i beni realizzabili nell’azione, a quello che è il migliore
per l’uomo.
La saggezza non ha
come oggetto solo gli universali, ma bisogna che essa conosca anche i
particolari. Infatti essa concerne l’azione, e l’azione riguarda le situazioni
particolari. È per questa ragione che alcuni uomini, pur non conoscendo gli
universali, sono, nell’azione, più abili di altri che li conoscono, e questo
vale anche negli altri campi: sono coloro che hanno esperienza.
Se, infatti, uno sa
che le carni leggere sono facili da digerire e salutari, ma non sa quali siano
le carni leggere, non produrrà la salute; la produrrà piuttosto colui che sa
che le carni degli uccelli sono leggere e salutari.
La saggezza, poi,
riguarda l’azione: cosicché deve possedere entrambi i tipi di conoscenza, o di
preferenza quella dei particolari».
giovedì 4 febbraio 2016
mercoledì 3 febbraio 2016
Parole (usi impropri, anglicismi, acronimi)* - Gianfranco Pala
Da: http://www.gianfrancopala.tk/ (http://www.contraddizione.it/quiproquo.htm)
“Nominibus mollire licet mala”, recita un proverbio latino che in italiano ora, morta quella lingua, si può semplicemente dire “al nome è consentito addolcire il male”. Già, perché – nonostante la ricchezza di alcune lingue (e, vivendo ancora qui, si può dire di quella italiana in particolare), e forse proprio per codesta ricchezza la quale designa una profonda storia contenutistica di concetti che l’ideologia dominante vuol far presto dimenticare – il linguaggio si sta impoverendo e imbastardendo sempre più. Undici anni fa, l’inaugurazione di questa rubrica fu dedicata proprio a una breve considerazione di Engels e Marx sul “linguaggio”. Ci sembra perciò significativo, in questa occasione particolare, tornare sulla “critica del senso comune nell’uso ideologico delle parole”, che è quasi sempre un uso improprio delle “parole” stesse.
L’OMBRA DI MARX - estratti da “piccolo
dizionario marxista” contro l’uso ideologico delle parole
“Nominibus mollire licet mala”, recita un proverbio latino che in italiano ora, morta quella lingua, si può semplicemente dire “al nome è consentito addolcire il male”. Già, perché – nonostante la ricchezza di alcune lingue (e, vivendo ancora qui, si può dire di quella italiana in particolare), e forse proprio per codesta ricchezza la quale designa una profonda storia contenutistica di concetti che l’ideologia dominante vuol far presto dimenticare – il linguaggio si sta impoverendo e imbastardendo sempre più. Undici anni fa, l’inaugurazione di questa rubrica fu dedicata proprio a una breve considerazione di Engels e Marx sul “linguaggio”. Ci sembra perciò significativo, in questa occasione particolare, tornare sulla “critica del senso comune nell’uso ideologico delle parole”, che è quasi sempre un uso improprio delle “parole” stesse.
E neppure parliamo qui di grammatica e sintassi, congiuntivo
e condizionale, costruzione delle frasi, ecc. Inutile insistere neppure su
fastidiose imprecisioni relative all’italiano moderno, come “fila” che al
plurale, dal neutro latino, sta per fili e non va confuso con “file” che è il
plurale corretto del singolare femminile fila. Così, a es., non esiste più la
possibilità, ancorché su quasi tutta la stampa o nei cartelli e toponomastica
ufficiale se ne faccia uno sconsiderato uso, di scindere preposizioni
articolate – come “nel” o “del” – nei termini “ne il” o “de il”, giacché “ne” o
“de” hanno ben altri significati [cfr. anche il poi citato Lepri].
Scrivere oggi “ne "la Contraddizione"” o “de "Il capitale"”
è improprio e sbagliato. Chi si esprimerebbe con frasi tipo “de la medesima
hora” o “ne lo tuo inferno”, se non un saggista medievale? Attualmente più
nessuno. Quelle particelle infatti non designano più preposizioni semplici,
bensì pronomi o forme avverbiali (e possono essere ancora usati solo se con
l’apostrofo di elisione di una “i” finale, come de’ o ne’, per
“dei” o “nei”). Ma lasciamo queste piccinerie, insieme a tante altre.
Ci riferiamo, invece,
all’invadenza di anglicismi (a quell’abitudine niente affatto necessaria, cioè,
che non sia legata al progresso storico effettivo, e non certo al normale
impiego di termini evidentemente anglofoni da parte di persone di madrelingua
inglese), fatto soltanto in ossequio al balbettìo dei padroni imperanti, o pure
all’eccesso sconsiderato di acronimi (molti, per giunta, anglofoni) di cui
nemmeno i proni utilizzatori spesso conoscono il significato, o ancora allo
stravolgimento italiota di termini nati con ben altri significati (si pensi per
tutti a “rivoluzione”) o alla quasi sparizione di alcuni altri (come “imperialismo”
o “lotta di classe”). L’unico termine, forse, che qui per ora si salva
è “contraddizione”, il quale è probabilmente trascurato e quasi ignorato dal
sistema (anche sul piano brutalmente commerciale, e ne abbiamo avuto una
riprova empirica su internet), poiché è il concetto stesso di contraddizione
ciò di cui il pensiero e la società dominante non sanno che vuol dire e che
farsene.
CLAUDIO NAPOLEONI: SMITH, RICARDO, MARX* - Marco Palazzotto
*Da: http://www.palermo-grad.com/
Il saggio Smith, Ricardo e Marx – Considerazioni sulla storia del pensiero economico fu pubblicato per la prima volta nel 1970 da Boringhieri. Lo stesso testo ebbe una rivisitazione nel 1973 per via dell’evoluzione del pensiero di Napoleoni in merito alla teoria marxiana.
Claudio Napoleoni può essere annoverato tra i più importanti economisti
italiani del dopoguerra. Viene definito “marxiano” in quanto non approdò mai in
maniera netta alla scuola marxista in senso proprio; si possono
anzi rilevare nello sviluppo della sua formazione scientifica varie fasi
teoriche: da quella smithiana a quella marxiano-schumpeteriana, passando anche
per una fase ricardiana. Fu anche parlamentare: eletto come indipendente nelle
liste del PCI nel 1976 divenne poi senatore nel 1983. Scomparve nel 1988
all’età di 64 anni.
Il saggio Smith, Ricardo e Marx – Considerazioni sulla storia del pensiero economico fu pubblicato per la prima volta nel 1970 da Boringhieri. Lo stesso testo ebbe una rivisitazione nel 1973 per via dell’evoluzione del pensiero di Napoleoni in merito alla teoria marxiana.
L’autore svolge delle riflessioni sul pensiero economico partendo dai fisiocratici.
Napoleoni infatti ritiene si possa parlare di economia politica, come scienza
sociale, soltanto dopo il 1.700: e proprio i fisiocratici sono i primi a
fornire una rappresentazione sufficientemente compiuta del processo
capitalistico. Secondo Napoleoni la linea di distinguo tra economie
precapitalistiche e capitalistiche sta nella diversa natura del sovrappiù.
Viene definito sovrappiù quella parte del prodotto sociale che
eccede la ricostituzione dei mezzi di produzione, inclusi i mezzi di
sussistenza necessari a sopravvivere per coloro - i lavoratori - che hanno
portato con il loro lavoro alla determinazione del prodotto sociale stesso.
Nelle economie precapitalistiche il sovrappiù era destinato al consumo delle
classi più ricche. Successivamente, con la nascita del capitalismo, questo
sovrappiù in parte viene utilizzato per il consumo dei proprietari dei mezzi di
produzione, in parte viene reinvestito, ovvero utilizzato nel processo di
accumulazione.
Il punto di forza della fisiocrazia fu proprio l’importanza accordata al
sovrappiù, che questi pensatori chiamano “prodotto netto”.
Il limite di questa scuola stava nell’analizzare tale prodotto netto in termini fisici,
fuori da una teoria del valore e solo per singoli settori. Sraffa dimostrò
tuttavia che la rappresentazione in termini fisici è possibile, a patto però
che ci si riferisca al sistema nel suo complesso e non ai singoli settori, come
invece avviene con i fisiocratici.
Altro limite stava nel considerare la produttività del lavoro non tanto legata
al lavoro stesso, quanto alla capacità di mettere capo ad una produzione
fisica nel settore dell’agricoltura, considerato unico settore generatore di
sovrappiù.
martedì 2 febbraio 2016
Democrazia, potere e sovranità nell’Europa di oggi* - Yanis Varoufakis
In un’estesa intervista l’ex ministro greco delle finanze
Yanis Varoufakis sostiene che lo Stato-nazione è morto e che la democrazia
nell’UE è stata sostituita da una tossica depoliticizzazione algoritmica che,
se non contrastata, condurrà alla depressione, alla disintegrazione e forse
alla guerra in Europa. Varoufakis sollecita il lancio di un movimento
paneuropeo per democratizzare l’Europa, per salvarla prima che sia troppo
tardi. Intervista di Nick Buxton per il Transnational Institute
(TNI).
Quali consideri le maggiori minacce alla democrazia oggi?
La minaccia alla democrazia è sempre stata il disprezzo che
il sistema prova per essa. La democrazia, per sua stessa natura, è molto
fragile e l’antipatia nei suoi confronti da parte del sistema è sempre
estremamente pronunciata. Il sistema ha sempre cercato di svuotarla.
Questa storia risale all’antica Atene, ai primi tentativi di
dar vita ad una democrazia. L’idea che i poveri, che erano la maggioranza,
potessero controllare il governo era sempre contestata. Platone scrisse La
Repubblica come trattato contro la democrazia, argomentando a favore
di un governo degli esperti.
Analogamente nel caso della democrazia statunitense, se si
guarda ai documenti federalisti e ad Alexander Hamilton, si vedrà che c’era un
tentativo di contenere la democrazia, non di rafforzarla. L’idea che stava
dietro alla democrazia rappresentativa era che i mercanti rappresentassero il
resto della popolazione perché la plebe non era considerata all’altezza del
compito di decidere su importanti questioni di Stato.
Gli esempi sono innumerevoli. Si consideri soltanto quello
che è successo con il governo Mossadeq in Iran negli anni ’50 o con il governo
Allende in Cile. Ogni volta che le urne producono un risultato che non piace al
sistema, il processo democratico è rovesciato oppure è minacciato di essere
rovesciato.
Dunque, se mi chiedi chi sono e sono sempre stati i nemici
della democrazia, la risposta è: i grandi poteri economici.
Quest’anno pare che la democrazia sia sotto attacco più
che mai da parte di un potere radicato. La tua percezione è questa?
lunedì 1 febbraio 2016
Dialoghi di profughi* - Bertolt Brecht
*Da: https://www.facebook.com/notes/10151238640803348/?pnref=story
Cos'è "Dialoghi di profughi": http://www.controappuntoblog.org/2013/10/18/quando-si-parla-di-umorismo-io-penso-sempre-al-filosofo-hegel-fluchtlingsgesprache-dialoghi-di-profughi-brecht-bertolt/
Cos'è "Dialoghi di profughi": http://www.controappuntoblog.org/2013/10/18/quando-si-parla-di-umorismo-io-penso-sempre-al-filosofo-hegel-fluchtlingsgesprache-dialoghi-di-profughi-brecht-bertolt/
DOVE SI PARLA DI PASSAPORTI. – DELLA PARITA’ TRA BIRRA
E SIGARI. – DELL’AMORE PER L’ORDINE.
Mentre la furia della guerra, che pure aveva già mezzo
dissanguata l’Europa, era ancora giovane e bella e stava giusto pensando come
fare un salto anche in America, al ristorante della stazione di Helsinki due
uomini sedevano a un tavolo e, guardandosi prudentemente attorno di quando in
quando, parlavano di politica. Uno era alto e grosso e aveva mani bianche e
lisce, l’altro era di statura bassa, tarchiato, con mani da operaio
metallurgico. Quello alto teneva sollevato il suo bicchiere di birra e lo
guardava contro luce.
QUELLO ALTO La birra non è
birra, ma in compenso i sigari non sono sigari; il passaporto quello no, deve
essere per forza un passaporto, perché ti lascino entrare in questo paese.
QUELLO BASSO Il passaporto è la parte più nobile
di un uomo. E difatti non è mica così semplice da fare come un uomo. Un essere
umano lo si può fare dappertutto, nel modo più irresponsabile e senza una
ragione valida; ma un passaporto, mai. In compenso il passaporto, quando è
buono viene riconosciuto; invece un uomo può essere buono quanto vuole, non
viene riconosciuto lo stesso.
QUELLO ALTO Si può dire che
l’uomo è soltanto il meccanico portatore di un passaporto. Glielo si mette in
tasca, così come si mette un pacchetto di azioni nella cassaforte, la quale in
sé e per sé non ha nessun valore, ma solo contiene oggetti di valore.
QUELLO BASSO Eppure si potrebbe
sostenere che l’uomo, in un certo senso, è necessario al passaporto. La cosa
principale è il passaporto, giù il cappello davanti a lui, ma senza il relativo
individuo esso non sarebbe possibile, o almeno non completo. E’ come il
chirurgo: gli ci vuole il malato, per poter fare un’operazione; quindi non è
autonomo è una cosa soltanto a metà, con tutta la sua scienza. In uno Stato
moderno è lo stesso: la cosa principale è il Führer o Duce, ma gli ci vuole anche
la gente da guidare. Loro sono grandi, ma qualcuno deve pur pagare per la loro
grandezza; se no, non va.
L’economista in tuta da lavoro: Federico Caffè e il capitalismo in crisi - Riccardo Bellofiore
Da: http://elearning.unibg.it/economia/bellofiore/2016/caffe.pdf
Leggi anche: http://gondrano.blogspot.it/2014/11/federico-caffe-e-lintelligente_16.html con, in appendice, l'intervista concessa da F. Caffè a "Sinistra 77"
https://3.bp.blogspot.com/-9k-f6y9zoL4/WDsMcEM9MwI/AAAAAAAAVRo/oc-BrlZil8k1yfCEezNs-oTsbYHv4LE1QCLcB/s1600/amo.png
...Il “rivoluzionario” Keynes, sostiene Caffè, lo si capisce
appieno solo se del marginalismo che lo precede e che lo segue non si dà una
rappresentazione stereotipata e caricaturale: se, insomma, se ne valorizzano le
precisazioni e qualificazioni, come per esempio gli sforzi incessanti di
introdurre imperfezioni e indeterminazioni. È del tutto coerente che il nostro
autore, sul terreno della didattica dell’economia, si dichiari favorevole a
quei tentativi che, più che manuali in senso proprio, provano sin dai primi
anni dell’università, non a proporre soluzioni o a solidificare certezze, ma a
suggerire al lettore e allo studente «ciò che andrebbe preso in considerazione
quando egli cerchi di formarsi una opinione personale sui problemi che gli
vengono presentati dall’epoca cui appartiene» [Economia senza profeti:
Contributi di bibliografia economica, 1977 (d’ora in poi
ESP), 55]. Dando sempre conto
della pluralità delle teorie, del loro sfondo storico, delle loro premesse
ideologiche. Il nostro autore dedica attenzione costante alle interpretazioni
del Grande Crollo degli anni Trenta, e mette in guardia dal rischio di una
ricaduta in vecchi errori. Non ne trae però spunto per una applicazione
immediata delle lezioni di quella vicenda storica al presente: è semmai
interessato a individuare le differenze e le novità. La più recente tendenza
sistematica alla inflazione, e il suo accoppiarsi al rallentamento della
crescita del reddito e all’impennarsi della disoccupazione, non hanno per Caffè
un legame sostanziale né con la eccessiva creazione di mezzi monetari né lo
stato di pieno impiego. Al contrario, l’inflazione continua ad avere una
funzione di stimolo della crescita, e ciò cui si deve porre attenzione sono le
implicazioni distributive. Il nostro autore condivide, peraltro, la tesi di una
difficile conciliazione dei tre obiettivi dell’aumento del salario reale, della
difesa del potere d’acquisto, del pieno impiego – problema che era ben noto a
Keynes, e a cui si può porre rimedio solo per il tramite di una politica dei
redditi (nell’onorato, anche se problematico significato di una epoca andata:
quella di una crescita parallela di salario e produttività). Quel che è chiaro
è che Caffè non si lascia in alcun modo sedurre dalle proposte di
partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa, o alla sua proprietà:
l’autentico potere dei lavoratori sta «nella forza della organizzazione
sindacale e nella pressione che quest’ultima è in grado di esercitare in sede
di negoziazione contrattuale (intesa in senso non meramente salariale)» (ESP,
86).
Leggi anche: http://gondrano.blogspot.it/2014/11/federico-caffe-e-lintelligente_16.html con, in appendice, l'intervista concessa da F. Caffè a "Sinistra 77"
https://3.bp.blogspot.com/-9k-f6y9zoL4/WDsMcEM9MwI/AAAAAAAAVRo/oc-BrlZil8k1yfCEezNs-oTsbYHv4LE1QCLcB/s1600/amo.png
Federico Caffè: riformista
solitario e sempre combattivo, ma forse anche uomo per cui i dolori privati e
l’infelicità pubblica avevano superato la soglia della sopportabilità. Non è
facile parlarne in modo misurato. Come recita il titolo di un libro di qualche
decennio fa, sopprimere la distanza uccide. Forte la tentazione di sovrapporre
le proprie preferenze e i propri giudizi su una figura che ha sempre brillato
per equilibrio dottrinale nella passione conoscitiva, per volontà determinata
nella battaglia riformista, per approfondimento concettuale nella costante
tensione all’intervento. Un economista che non ha mai voluto farsi profeta, e
che ha però saputo essere un maestro.
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