venerdì 12 febbraio 2016

"Il vecchio muore e il nuovo non può nascere"* - Renato Caputo

*Da:   http://www.lacittafutura.it/
Vedi anche:   http://www.byoblu.com/post/notiziedalweb/il-video-che-tutti-dovremmo-sapere-a-memoria
 “La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati, osservava Gramsci in una nota scritta in carcere nel 1930; questa considerazione è purtroppo ancora oggi particolarmente attuale. Se non saremo in grado di far nascere una più razionale organizzazione della società, sulle rovine dell’attuale, andremo incontro a un’epoca ancora più oscurantista e imbarbarita della presente. 

Sfruttando a proprio vantaggio una crisi provocata da assetti proprietari sempre più monopolizzati da pochissimi privati, che impediscono lo sviluppo economico, una élite progressivamente ristretta si appropria di una quota sempre più spropositata del prodotto di un lavoro in misura crescente diviso e strutturato a livello internazionale. Così oggi l’1% della popolazione, senza dover lavorare, possiede maggiori ricchezze del 99%, spesso costretto a faticare per tutta la vita per consentire a una ristrettissima minoranza di vivere nel lusso più sfrenato, tanto che 63 nababbi si appropriano di una quota maggiore della ricchezza totale di 3 miliardi e seicento milioni di persone, il 50% più povero dell’umanità.  

In tale situazione ormai solo un mentecatto può dar credito all’ideologia positivista, espressione sovrastrutturale del dominio della borghesia, secondo la quale il progresso tecnologico e scientifico risolverà progressivamente i problemi della società visto che gli interessi degli industriali non possono che coincidere con gli interessi dei salariati. Allo stesso modo non può che apparire assurda la fede liberale nelle capacità della società civile, non ostacolata dal potere politico, di autoregolarsi secondo le sacre leggi di un mercato, per cui domanda e offerta tenderebbero spontaneamente a equilibrarsi.

giovedì 11 febbraio 2016

Classe, lotta di classe e prostituzione - Gianfranco Pala

*Da:   http://www.gianfrancopala.tk/    (http://www.contraddizione.it/quiproquo.htm)
L’OMBRA DI MARX - estratti da “piccolo dizionario marxista” contro l’uso ideologico delle parole 


Classe

È di moda, soprattutto nei tempi di indebolimento del pensiero, predicare la fine delle classi e, a fortiori, della lotta di classe. Che ciò sia fatto dall’ideolo­gia dominante è ovvio; che tale predica venga assimilata e ripetuta acritica­mente dagli esponenti dell’“asinistra” è conseguenza necessaria proprio di quello stesso dominio di classe “solido e pericoloso” che costoro vorrebbero far credere di esorciz­zare. E la faccenda non è recente, se già Marx si sentì in dovere di precisare, nel poscritto alla seconda edizione del primo libro del Capitale, che “l’econo­mia politica, in quanto concepisce l’ordinamento capitalistico come forma as­soluta e definitiva della produzione sociale, può rimanere scienza soltanto finché la lotta delle classi rimane latente o si manifesta soltanto in fenomeni isolati. Dal momento in cui la lotta fra le classi raggiunse, tanto in pratica che in teoria, forme via via più pronunciate e minacciose, per la scienza economi­ca borghese quella lotta suonò la campana a morte. Ora non si trattava più di vedere se questo o quel teorema era vero o no, ma se era utile o dannoso, co­modo o scomodo al capitale, se era accetto o meno alla polizia. Ai ricercatori disinteressati subentrarono pugilatori a pagamento, all’indagine scientifica spregiudicata subentrarono la cattiva coscienza e la malvagia intenzione dell’apologetica”. Del resto, che la lotta di classe appaia spenta agli occhi dei proletari è inevitabile in momenti in cui la parte attiva di codesta lotta venga perseguita dalla borghesia trionfante, ancorché in crisi, e non sia più svolta se non marginalmente dal proletariato stesso. Tutto ciò non esime dal riconosce­re le contraddizioni del modo di produzione capitalistico, il persistere della lotta delle classi che lo costituiscono e, anzitutto, l’esistenza e la riproduzione delle classi stesse.

In prima istanza, dal punto di vista della base economica del modo di produ­zione capitalistico, la definizione di classe sociale può essere immediatamen­te circoscritta all’omogeneità di funzione svolta dai diversi soggetti nel pro­cesso di produzione. L’identità funzionale individua l’appartenenza all’una o all’altra classe in sé, oggettivamente identificata. Tale appartenenza, pertanto, non pertiene alla sfera empirica del tipo di attività svolta, né dell’ammontare di reddito percepito, né tantomeno può corrispondere biunivocamente con i singoli individui empirici. Essa è, per l’appunto, oggettiva e trascende il sog­getto individuale in quanto un medesimo soggetto può svolgere più di una funzione nel processo di produzione, con diverse mansioni e livelli di reddito, per cui la sua appartenenza a quella o quell’altra classe dipende da quale sua figura prevalga sulle altre, da quella che ne determina in prima istanza il ruolo e la funzione sociale. Dunque, nel modo di produzione capitalistico che sta a fondamento delle for­mazioni economiche sociali moderne a dominanza borghese, la prima e prin­cipale divisione funzionale al processo di produzione medesimo mette: da un lato, la classe di coloro che sono proprietari delle condizioni oggettive della produzione, in quanto non produttori, ossia tali che per definire la loro fun­zione peculiare non è necessario che essi partecipino attivamente alla produ­zione stessa; dall’altro, la classe di coloro che sono effettivamente i produtto­ri della ricchezza sociale nella forma storica data, in quanto non proprietari di quelle condizioni della produzione, pur se accidentalmente e parzialmente possano esserlo.

domenica 7 febbraio 2016

La “saggezza” della banca centrale, Dallo ZIRP al NIRP: l’ultimo lancio di dadi* - Michael Roberts



Il recente annuncio della Banca del Giappone (BoJ), che introdurrà un tasso di interesse negativo (NIRP) per le banche commerciali in possesso di riserve di contanti, è l’ammissione finale che la politica monetaria supportata dagli economisti ufficiali ed implementata a livello globale dalle banche centrali ha fallito.

Le principali armi di politica economica, usate a partire dal crac finanziario globale e della conseguente Grande Recessione al fine di evitare un’altra Grande Depressione come quella del 1930, erano state prima il tasso di interesse a zero (ZIRP), poi le ‘non-convenzionali’ misure monetarie del ‘quantitative easing (QE)’ (che incrementava la quantità di denaro con cui vengono rifornite le banche), che un anno fa o giù di lì avevano fissato al 2% l’obiettivo dell’inflazione. Si supponeva che lo ZIRP e una fornitura di denaro virtualmente illimitata (QE) avrebbero rilanciato l’economia globale, in modo che eventualmente il capitalismo e le forze del mercato avrebbero prevalso e avrebbero portato ad una ‘normale’ e duratura crescita economica e ad una più piena occupazione.

Ma QE e ZIRP hanno fallito nel raggiungimento del loro obiettivi di inflazione (e crescita). Al contrario, le principali economie sono vicine alla deflazione, con un crollo dei prezzi delle materie prime e dell’energia insieme ai prezzi dei beni nei negozi e sulla vetrina di Internet. La deflazione ha il suo lato buono ed il suo lato cattivo. Sicuramente, abbassa il costo di molte cose ma fa anche crescere l’onere reale del ripagamento del debito per coloro che ne hanno fatto uso. E se i prezzi sono continuamente in calo, si genera una mancanza di volontà a spendere o ad investire, nella speranza che sia più conveniente aspettare. La deflazione è un sintomo di un’economia debole, ma è anche una delle cause che la rendono ancora più debole. 
La deflazione può diventare un avvitamento deflazionistico del debito.

Così ora abbiamo il NIRP.

"Vita di Galileo" di Bertolt Brecht - Regia di Antonio Calenda (2008)



Da:        http://gabriellagiudici.it/


Galileo lesse il verdetto                              
e un monacello venne a trovarlo.                                  
Era figlio di poveri contadini,                                       
voleva sapere come acquistare il sapere,
voleva saperlo, voleva saperlo.

Palazzo dell’ambasciata fiorentina a Roma.
Galileo sta parlando con frate Fulgenzio.

sabato 6 febbraio 2016

“SMART WORKING”: Sfruttamento illimitato della costrizione al lavoro* - Carla Filosa

*Da:    http://www.lacittafutura.it/
Leggi anche:  http://www.lacittafutura.it/giornale/la-nuova-svolta-lavorativa.html



 "In realtà, il dominio dei capitalisti sugli operai non è se non dominio delle condizioni di lavoro autonomizzatesi contro e di fronte al lavoratore... cioè i mezzi di  produzione... e i mezzi d sussistenza,... benché tale rapporto si realizzi soltanto nel processo di produzione reale, che è essenzialmente processo di produzione di plusvalore; processo di autovalorizzazione del capitale anticipato." (Marx, Il Capitale, libro I, cap. VI inedito) 




Mediaticamente coinvolti in questi ultimi tempi solo dai cosiddetti diritti civili, forse non ricordiamo nemmeno più quella proposta effettuata nel dicembre scorso dal ministro Poletti, sull’abolizione “tecnologica” della misurazione temporale della giornata lavorativa. Dopo l’impegno, in settembre, ad abbassare le pensioni a chi ne avesse anticipato la fruizione, l’ineffabile ministro del Lavoro si è messo all’opera per rosicchiare, non solo il salario differito sui binari della riforma Fornero, ma anche quello diretto, angustamente percepito solo come busta paga, ma in realtà di natura sociale. I diritti fondamentali, quelli conquistati entro il rapporto lavorativo vessatorio e fraudolento, sono così scivolati nell’inavvertita prassi governativa abile nell’elargire una progressiva dimenticanza da spargere su tutto il piano del reale. Sublimati su battaglie giuridiche, i conflitti sono stati spostati su piani ideologico-religiosi con altri soggetti di diritto, dal piano economico a quello sociale, più permeabile a compromessi. Il capitale rimane pertanto nel cono d’ombra, libero di far erodere anche il salario indiretto con il taglio delle spese sociali e i favori fiscali alle imprese.

Quando poi le “innovazioni” politiche non si vogliono far capire bene agli interessati, ormai si usa la lingua dominante sul mercato mondiale. Il titolo apparso (Smart working) sulSole 24ore (1.12.15) a proposito della geniale proposta del ministro G. Poletti di abolire il criterio temporale applicato al lavoro – altrui, si sarebbe completato in altri tempi - , non fa eccezione. Nell’articolo citato, rispondono poi i metalmeccanici Cisl, senza avvedersi della portata del problema.

L’inimitabile trovata, non del suddetto ministro, che non ci sarebbe mai arrivato da solo, ma del suo “think tank” (cordata di pensatoi), merita quindi di andare a fondo in questa ennesima obsoleta “innovazione”.

Rosa Luxemburg e Hannah Arendt sulla rivoluzione*


 “Se scoppia la guerra, facciamo la rivoluzione”. Le rivoluzioni non vengono “fatte”, e grandi movimenti popolari non vengono inscenati con ricette tecniche tratte pronte dalle istanze di partito. Piccoli circoli di congiurati possono “preparare” per un determinato giorno e ora un putsch, possono dare al momento buono alle loro due dozzine di aderenti il segnale della “zuffa”. Movimenti di massa attivi in grandi momenti storici non possono essere guidati con questi stessi metodi primitivi. Lo sciopero di massa “meglio preparato” in certe circostanze può miserevolmente fallire proprio nel momento in cui una direzione di partito gli da “il segnale di via”, o afflosciarsi dopo un primo slancio. L'effettivo svolgimento di grandi manifestazioni popolari e azioni di massa in questa o in quella forma, è deciso da tutta una serie di fattori economici, politici e psicologici, dal livello di tensione del contrasto di classe, dal grado di educazione, dal punto di maturazione raggiunto dalla combattività delle masse, elementi tutti imponderabili e che nessun partito può artificialmente manipolare. Ecco la differenza tra le grandi crisi storiche e le piccole azioni di parata che un partito ben disciplinato può in tempi di pace pulitamente eseguire con un colpo di bacchetta delle “istanze”. Ogni ora storica esige forme adeguate di movimento popolare: essa stessa se ne crea delle nuove, improvvisa mezzi di lotta in precedenza sconosciuti, vaglia e arricchisce l'arsenale popolare, incurante di qualsivoglia prescrizione di partito.
[Rosa Luxemburg, “Juniusbroschüre” Scritto nell’aprile 1915, Pubblicato a Zurigo nel febbraio 1916]


[…] L’aspetto più sconcertante dei consigli era che essi attraversavano non solo tutte le linee dei partiti, e riunivano membri di diversi partiti, ma che questa appartenenza partitica non aveva alcuna importanza. Erano insomma gli unici organi politici aperti ai cittadini che non appartenevano a nessun partito. Perciò entravano inevitabilmente in conflitto con tutte le assemblee, coi vecchi parlamenti non meno che con le “nuove assemblee costituenti”, per la semplice ragione che queste ultime, anche nei loro settori più estremisti, erano pur sempre figlie del sistema partitico. In questa fase, ossia nel bel mezzo della rivoluzione, erano i programmi di partito che più di qualsiasi altra cosa dividevano i consigli dai partiti; perché questi programmi, per rivoluzionari che fossero, erano tutti “formule preconfezionate” che non richiedevano azione, ma esecuzione – “di essere messe energicamente in pratica”, come puntualizzava Rosa Luxemburg, con la sua straordinaria chiarezza di idee sulla posta in gioco.                                                   [Hannah Arendt, Sulla Rivoluzione (1963), Edizioni di Comunità, Milano 1983, pp. 305-306]. 

venerdì 5 febbraio 2016

DIALETTICA IN MARX, dove (e come) cominciare... - Stefano Garroni



«La saggezza riguarda i beni umani e le cose su cui è possibile deliberare. Infatti noi diciamo che soprattutto questa è la funzione del saggio: il deliberare bene; e nessuno delibera sulle cose che non possono essere diversamente, né su quelle che non abbiano un qualche fine che sia un bene realizzabile con l’azione.
L’uomo che sa deliberare bene in senso assoluto è colui che, seguendo il ragionamento, sa indirizzarsi, tra i beni realizzabili nell’azione, a quello che è il migliore per l’uomo.
La saggezza non ha come oggetto solo gli universali, ma bisogna che essa conosca anche i particolari. Infatti essa concerne l’azione, e l’azione riguarda le situazioni particolari. È per questa ragione che alcuni uomini, pur non conoscendo gli universali, sono, nell’azione, più abili di altri che li conoscono, e questo vale anche negli altri campi: sono coloro che hanno esperienza.
Se, infatti, uno sa che le carni leggere sono facili da digerire e salutari, ma non sa quali siano le carni leggere, non produrrà la salute; la produrrà piuttosto colui che sa che le carni degli uccelli sono leggere e salutari.
La saggezza, poi, riguarda l’azione: cosicché deve possedere entrambi i tipi di conoscenza, o di preferenza quella dei particolari». 
(Aristotele, “Etica Nicomachea”, Sulla differenza tra sapienza e saggezza)

mercoledì 3 febbraio 2016

Parole (usi impropri, anglicismi, acronimi)* - Gianfranco Pala

Da:    http://www.gianfrancopala.tk/     (http://www.contraddizione.it/quiproquo.htm)
L’OMBRA DI MARX - estratti da “piccolo dizionario marxista” contro l’uso ideologico delle parole  

  “Nominibus mollire licet mala”, recita un proverbio latino che in italiano ora, morta quella lingua, si può semplicemente dire “al nome è consentito addolcire il male”. Già, perché – nonostante la ricchezza di alcune lingue (e, vivendo ancora qui, si può dire di quella italiana in particolare), e forse proprio per codesta ricchezza la quale designa una profonda storia contenutistica di concetti che l’ideo­logia dominante vuol far presto dimenticare – il linguaggio si sta impoverendo e imbastardendo sempre più. Undici anni fa, l’inaugura­zione di questa rubrica fu dedicata proprio a una breve considerazione di Engels e Marx sul “linguaggio”. Ci sembra perciò significativo, in questa occasione particolare, tornare sulla “critica del senso comune nell’uso ideologico delle parole”, che è quasi sempre un uso improprio delle “parole” stesse.

 E neppure parliamo qui di grammatica e sintassi, congiuntivo e condizionale, costruzione delle frasi, ecc. Inutile insistere neppure su fastidiose imprecisioni relative all’italiano moderno, come “fila” che al plurale, dal neutro latino, sta per fili e non va confuso con “file” che è il plurale corretto del singolare femminile fila. Così, a es., non esiste più la possibilità, ancorché su quasi tutta la stampa o nei cartelli e toponomastica ufficiale se ne faccia uno sconsiderato uso, di scindere preposizioni articolate – come “nel” o “del” – nei termini “ne il” o “de il”, giacché “ne” o “de” han­no ben altri significati [cfr. anche il poi citato Lepri]. Scrivere oggi “ne "la Contraddizione"” o “de "Il capitale"” è improprio e sbagliato. Chi si esprimerebbe con frasi tipo “de la medesima hora” o “ne lo tuo inferno”, se non un saggista medievale? Attualmente più nessuno. Quelle particelle infatti non designano più preposizioni semplici, bensì pronomi o forme avverbiali (e possono essere ancora usati solo se con l’apostrofo di elisione di una “i” finale, come de’ o ne’, per “dei” o “nei”). Ma lasciamo queste piccinerie, insieme a tante altre.

 Ci riferiamo, invece, all’invadenza di anglicismi (a quell’abitudine niente affatto necessaria, cioè, che non sia legata al progresso storico effettivo, e non certo al normale impiego di termini evidentemente anglofoni da parte di persone di madrelingua inglese), fatto soltanto in ossequio al balbettìo dei padroni imperanti, o pure all’ec­cesso sconsiderato di acronimi (molti, per giunta, anglofoni) di cui nemmeno i proni utilizzatori spesso conoscono il significato, o ancora allo stravolgimento italiota di termini nati con ben altri significati (si pensi per tutti a “rivoluzione”) o alla quasi sparizione di alcuni altri (come “imperialismo” o “lotta di classe”). L’uni­co termine, forse, che qui per ora si salva è “contraddizione”, il quale è probabilmente trascurato e quasi ignorato dal sistema (anche sul piano brutalmente commerciale, e ne abbiamo avuto una riprova empirica su internet), poiché è il concetto stesso di contraddizione ciò di cui il pensiero e la società dominante non sanno che vuol dire e che farsene.

CLAUDIO NAPOLEONI: SMITH, RICARDO, MARX* - Marco Palazzotto

*Da:     http://www.palermo-grad.com/


Claudio Napoleoni può essere annoverato tra i più importanti economisti italiani del dopoguerra. Viene definito “marxiano” in quanto non approdò mai in maniera netta alla scuola marxista in senso proprio;  si possono  anzi rilevare nello sviluppo della sua formazione scientifica varie fasi teoriche: da quella smithiana a quella marxiano-schumpeteriana, passando anche per una fase ricardiana. Fu anche parlamentare: eletto come indipendente nelle liste del PCI nel 1976 divenne poi senatore nel 1983. Scomparve nel 1988 all’età di 64 anni.   

Il saggio Smith, Ricardo e Marx – Considerazioni sulla storia del pensiero economico fu pubblicato per la prima volta nel 1970 da Boringhieri. Lo stesso testo ebbe una rivisitazione nel 1973 per via dell’evoluzione del pensiero di Napoleoni in merito alla teoria marxiana.

L’autore svolge delle riflessioni sul pensiero economico partendo dai fisiocratici. Napoleoni infatti ritiene si possa parlare di economia politica, come scienza sociale, soltanto dopo il 1.700: e proprio i fisiocratici sono i primi a fornire una rappresentazione sufficientemente compiuta del processo capitalistico. Secondo Napoleoni la linea di distinguo tra economie precapitalistiche e capitalistiche sta nella diversa natura del sovrappiù. Viene definito sovrappiù quella parte del prodotto sociale che eccede la ricostituzione dei mezzi di produzione, inclusi i mezzi di sussistenza necessari a sopravvivere per coloro - i lavoratori - che hanno portato con il loro lavoro alla determinazione del prodotto sociale stesso. Nelle economie precapitalistiche il sovrappiù era destinato al consumo delle classi più ricche. Successivamente, con la nascita del capitalismo, questo sovrappiù in parte viene utilizzato per il consumo dei proprietari dei mezzi di produzione, in parte viene reinvestito, ovvero utilizzato nel processo di accumulazione. 

Il punto di forza della fisiocrazia fu proprio l’importanza accordata al sovrappiù, che questi  pensatori  chiamano “prodotto netto”. Il limite di questa scuola stava nell’analizzare tale prodotto netto in termini fisici, fuori da una teoria del valore e solo per singoli settori. Sraffa dimostrò tuttavia che la rappresentazione in termini fisici è possibile, a patto però che ci si riferisca al sistema nel suo complesso e non ai singoli settori, come invece avviene con i fisiocratici.
Altro limite stava nel considerare la produttività del lavoro non tanto legata al lavoro stesso,  quanto alla capacità di mettere capo ad una produzione fisica nel settore dell’agricoltura, considerato unico settore generatore di sovrappiù.

martedì 2 febbraio 2016

Democrazia, potere e sovranità nell’Europa di oggi* - Yanis Varoufakis


 In un’estesa intervista l’ex ministro greco delle finanze Yanis Varoufakis sostiene che lo Stato-nazione è morto e che la democrazia nell’UE è stata sostituita da una tossica depoliticizzazione algoritmica che, se non contrastata, condurrà alla depressione, alla disintegrazione e forse alla guerra in Europa. Varoufakis sollecita il lancio di un movimento paneuropeo per democratizzare l’Europa, per salvarla prima che sia troppo tardi. Intervista di Nick Buxton per il Transnational Institute (TNI).  


Quali consideri le maggiori minacce alla democrazia oggi?

La minaccia alla democrazia è sempre stata il disprezzo che il sistema prova per essa. La democrazia, per sua stessa natura, è molto fragile e l’antipatia nei suoi confronti da parte del sistema è sempre estremamente pronunciata. Il sistema ha sempre cercato di svuotarla.
Questa storia risale all’antica Atene, ai primi tentativi di dar vita ad una democrazia. L’idea che i poveri, che erano la maggioranza, potessero controllare il governo era sempre contestata. Platone scrisse La Repubblica come trattato contro la democrazia, argomentando a favore di un governo degli esperti.
Analogamente nel caso della democrazia statunitense, se si guarda ai documenti federalisti e ad Alexander Hamilton, si vedrà che c’era un tentativo di contenere la democrazia, non di rafforzarla. L’idea che stava dietro alla democrazia rappresentativa era che i mercanti rappresentassero il resto della popolazione perché la plebe non era considerata all’altezza del compito di decidere su importanti questioni di Stato.
Gli esempi sono innumerevoli. Si consideri soltanto quello che è successo con il governo Mossadeq in Iran negli anni ’50 o con il governo Allende in Cile. Ogni volta che le urne producono un risultato che non piace al sistema, il processo democratico è rovesciato oppure è minacciato di essere rovesciato.
Dunque, se mi chiedi chi sono e sono sempre stati i nemici della democrazia, la risposta è: i grandi poteri economici.

Quest’anno pare che la democrazia sia sotto attacco più che mai da parte di un potere radicato. La tua percezione è questa?

lunedì 1 febbraio 2016

Dialoghi di profughi* - Bertolt Brecht

*Da:           https://www.facebook.com/notes/10151238640803348/?pnref=story
Cos'è "Dialoghi di profughi":     http://www.controappuntoblog.org/2013/10/18/quando-si-parla-di-umorismo-io-penso-sempre-al-filosofo-hegel-fluchtlingsgesprache-dialoghi-di-profughi-brecht-bertolt/

DOVE SI PARLA DI PASSAPORTI. – DELLA PARITA’ TRA BIRRA E SIGARI. – DELL’AMORE PER L’ORDINE.

Mentre la furia della guerra, che pure aveva già mezzo dissanguata l’Europa, era ancora giovane e bella e stava giusto pensando come fare un salto anche in America, al ristorante della stazione di Helsinki due uomini sedevano a un tavolo e, guardandosi prudentemente attorno di quando in quando, parlavano di politica. Uno era alto e grosso e aveva mani bianche e lisce, l’altro era di statura bassa, tarchiato, con mani da operaio metallurgico. Quello alto teneva sollevato il suo bicchiere di birra e lo guardava contro luce.

QUELLO ALTO       La birra non è birra, ma in compenso i sigari non sono sigari; il passaporto quello no, deve essere per forza un passaporto, perché ti lascino entrare in questo paese.

QUELLO BASSO   Il passaporto è la parte più nobile di un uomo. E difatti non è mica così semplice da fare come un uomo. Un essere umano lo si può fare dappertutto, nel modo più irresponsabile e senza una ragione valida; ma un passaporto, mai. In compenso il passaporto, quando è buono viene riconosciuto; invece un uomo può essere buono quanto vuole, non viene riconosciuto lo stesso.

QUELLO ALTO       Si può dire che l’uomo è soltanto il meccanico portatore di un passaporto. Glielo si mette in tasca, così come si mette un pacchetto di azioni nella cassaforte, la quale in sé e per sé non ha nessun valore, ma solo contiene oggetti di valore.

QUELLO BASSO     Eppure si potrebbe sostenere che l’uomo, in un certo senso, è necessario al passaporto. La cosa principale è il passaporto, giù il cappello davanti a lui, ma senza il relativo individuo esso non sarebbe possibile, o almeno non completo. E’ come il chirurgo: gli ci vuole il malato, per poter fare un’operazione; quindi non è autonomo è una cosa soltanto a metà, con tutta la sua scienza. In uno Stato moderno è lo stesso: la cosa principale è il Führer o Duce, ma gli ci vuole anche la gente da guidare. Loro sono grandi, ma qualcuno deve pur pagare per la loro grandezza; se no, non va.

L’economista in tuta da lavoro: Federico Caffè e il capitalismo in crisi - Riccardo Bellofiore

Da:   http://elearning.unibg.it/economia/bellofiore/2016/caffe.pdf
Leggi anche:   http://gondrano.blogspot.it/2014/11/federico-caffe-e-lintelligente_16.html  con, in appendice, l'intervista concessa da F. Caffè a "Sinistra 77"
                               https://3.bp.blogspot.com/-9k-f6y9zoL4/WDsMcEM9MwI/AAAAAAAAVRo/oc-BrlZil8k1yfCEezNs-oTsbYHv4LE1QCLcB/s1600/amo.png




  Federico Caffè: riformista solitario e sempre combattivo, ma forse anche uomo per cui i dolori privati e l’infelicità pubblica avevano superato la soglia della sopportabilità. Non è facile parlarne in modo misurato. Come recita il titolo di un libro di qualche decennio fa, sopprimere la distanza uccide. Forte la tentazione di sovrapporre le proprie preferenze e i propri giudizi su una figura che ha sempre brillato per equilibrio dottrinale nella passione conoscitiva, per volontà determinata nella battaglia riformista, per approfondimento concettuale nella costante tensione all’intervento. Un economista che non ha mai voluto farsi profeta, e che ha però saputo essere un maestro.




...Il “rivoluzionario” Keynes, sostiene Caffè, lo si capisce appieno solo se del marginalismo che lo precede e che lo segue non si dà una rappresentazione stereotipata e caricaturale: se, insomma, se ne valorizzano le precisazioni e qualificazioni, come per esempio gli sforzi incessanti di introdurre imperfezioni e indeterminazioni. È del tutto coerente che il nostro autore, sul terreno della didattica dell’economia, si dichiari favorevole a quei tentativi che, più che manuali in senso proprio, provano sin dai primi anni dell’università, non a proporre soluzioni o a solidificare certezze, ma a suggerire al lettore e allo studente «ciò che andrebbe preso in considerazione quando egli cerchi di formarsi una opinione personale sui problemi che gli vengono presentati dall’epoca cui appartiene» [Economia senza profeti: Contributi di bibliografia economica, 1977 (d’ora in poi ESP), 55]. Dando sempre conto della pluralità delle teorie, del loro sfondo storico, delle loro premesse ideologiche. Il nostro autore dedica attenzione costante alle interpretazioni del Grande Crollo degli anni Trenta, e mette in guardia dal rischio di una ricaduta in vecchi errori. Non ne trae però spunto per una applicazione immediata delle lezioni di quella vicenda storica al presente: è semmai interessato a individuare le differenze e le novità. La più recente tendenza sistematica alla inflazione, e il suo accoppiarsi al rallentamento della crescita del reddito e all’impennarsi della disoccupazione, non hanno per Caffè un legame sostanziale né con la eccessiva creazione di mezzi monetari né lo stato di pieno impiego. Al contrario, l’inflazione continua ad avere una funzione di stimolo della crescita, e ciò cui si deve porre attenzione sono le implicazioni distributive. Il nostro autore condivide, peraltro, la tesi di una difficile conciliazione dei tre obiettivi dell’aumento del salario reale, della difesa del potere d’acquisto, del pieno impiego – problema che era ben noto a Keynes, e a cui si può porre rimedio solo per il tramite di una politica dei redditi (nell’onorato, anche se problematico significato di una epoca andata: quella di una crescita parallela di salario e produttività). Quel che è chiaro è che Caffè non si lascia in alcun modo sedurre dalle proposte di partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa, o alla sua proprietà: l’autentico potere dei lavoratori sta «nella forza della organizzazione sindacale e nella pressione che quest’ultima è in grado di esercitare in sede di negoziazione contrattuale (intesa in senso non meramente salariale)» (ESP, 86).

domenica 31 gennaio 2016

Pur di non parlare di capitalismo: animismo, ecologismo, monismo - Alessandra Ciattini

*Da:      http://www.lacittafutura.it/




 Come sottolinea anche Engels, ci sono vari modi di protestare contro l'assetto sociale, alcuni dei quali sono del tutto inefficaci e inconcludenti, anche se hanno una straordinaria presa su quei settori intellettuali che guardano in maniera critica alla società contemporanea e alle sue dinamiche. Il successo di tali forme di protesta, incarnate in certe tendenze delle scienze sociali, è assicurato dalla stessa ideologia mass-mediatica dominante, che le diffonde, mostrando così ipocritamente la sua disponibilità ad accettare la critica. 




I profeti del mondo alternativo

C'è una pagina di Friedrich Engels, dedicata ai primi sviluppi del cristianesimo, che mi sembra interessante citare perché descrive assai bene lo stato di smarrimento, di confusione, di presunzione del tutto irrealistica, in cui si sono trovano molti intellettuali appartenenti a settori culturali che contestano in varie forme, ma sempre in modo superficiale, l'attuale assetto sociale, senza avere neppure l'accortezza di chiamarlo con il nome che gli si confà: società capitalistica avanzata.

Tale pagina sta nello scritto Per la storia del cristianesimo, in cui Engels scrive: “E dato che, in tutti i paesi, elementi di ogni genere si accostano al partito dei lavoratori, elementi che non hanno niente da aspettarsi dal mondo ufficiale o vi si sono screditati – avversari della vaccinazione, seguaci del movimento di temperanza, vegetariani, antivivisezionisti, empirici, predicatori di libere comunità senza più seguaci, autori di nuove teorie sull'origine del mondo, inventori inutili e falliti, persone rassegnate a ingiustizie vere o presunte, che sono indicate dalla burocrazia come “inutili brontoloni”, pazzi onesti e disonesti ciarlatani – così andò per i primi cristiani” (in Marx ed Engels, Sulla religione, Roma 1969: 252). 

Sistemi di pianificazione a confronto (un'agile dispensa) - Nadia Garbellini*



"Senza un piano generale, senza un sistema direttivo generale e senza calcolo attento e contabilità, 
non ci può essere nessuna organizzazione. 
 Ma nell'ordine sociale comunista, c'è un tale piano."  
(Bukharin e Preobrazhensky) 



 La programmazione economica riveste una rilevanza fondamentale per le economie del blocco socialista. Tuttavia, la maniera in cui questa veniva concepita, disegnata e implementata nei diversi paesi variava in modo anche rilevante. Lo scopo di questo incontro `e quello di fornire una panoramica del modo in cui la pianificazione aveva effettivamente luogo, ponendo l’accento su similitudini e differenze in termini sia teorici che concreti.

 Dal punto di vista teorico, la contrapposizione tra pianificazione ed economie di mercato riflette quella tra paradigma Classico e Neoclassico. Più precisamente, per paradigma Classico intendiamo la teoria economica sviluppata a partire dalla fase fondativa della disciplina, che raggiunge il suo culmine con Marx e che viene poi elaborata successivamente da una serie di economisti della scuola russo-tedesca prima (teorie del flusso circolare) e da Sraffa e Leontief (tra i pi`u importanti) poi. Dal punto di vista pratico, il socialismo si diffonde nel contesto dell’imperialismo occidentale, prendendo piede in paesi allora arretrati e la cui principale preoccupazione era quella di recuperare il ritardo accumulato nel confronto dei paesi imperialisti. In sostanza, parliamo di paesi in cui ancora vigeva un sistema di produzione pre-capitalistico, e dove quindi ancora non si sperimentavano le contraddizioni interne al capitalismo stesso descritte e analizzate da Marx. Le istituzioni economiche dei paesi socialisti, quindi, avevano lo scopo principale di eliminare questo ritardo, puntando ad uno sviluppo economico il pi`u rapido possibile che permettesse loro di resistere alla colonizzazione occidentale. Questa preoccupazione era particolarmente sentita in Unione Sovietica, ed emergeva spesso dai discorsi pubblici dello stesso Stalin. Nell’analizzare le modalità con cui la pianificazione veniva concepita ed implementata nei diversi paesi socialisti, quindi, dobbiamo tenere a mente il fatto che parliamo di economie dove il capitalismo non si era ancora instaurato. Inoltre, tali pratiche mostrano una grande eterogeneità non solo tra paese e paese, ma anche nel corso del tempo all’interno dello stesso paese. 


*Nadia Garbellini è economista, ricercatrice presso l'Università di Bergamo. Tra i suoi interessi di ricerca: Situazione europea attuale e prospettive del commercio internazionale. Teoria delle reti e applicazioni Input-Output. Analisi e contabilità nazionale. Produttività e cambiamento tecnico.

sabato 30 gennaio 2016

SCONFITTA O AUTODISTRUZIONE? - Michele Nobile



"...Oltre trent’anni fa Nicos Poulantzas aveva già individuato la tendenza alla totale integrazione dei partiti nello Stato e alla formazione di una sorta di partito unico; negli anni ‘90 questa tesi è stata confermata dalle ricerche che hanno portato al concetto di cartel party, detto così proprio per la tendenza a escludere, appunto formando un cartello col partito competitore, l’ingresso di nuovi attori nel sistema politico. Nella discussione si è però chiarito che i caratteri più rilevanti di questo nuovo tipo di partito sono la convergenza programmatica tra «destra» e «sinistra», l’assoluto prevalere delle funzioni di governo su quelle di rappresentanza e la piena integrazione nello Stato, con la connessa dipendenza economica dal finanziamento pubblico. Tutti elementi che rientrano nel quadro delle trasformazioni involutive della statualità nei paesi a capitalismo avanzato (qualcosa quindi che comprende ma va oltre le politiche  cosiddette neoliberistiche o, come preferisco dire,neomercantilistiche ) e che permettono di definire il passaggio da un regime liberaldemocratico a uno postdemocratico.

In diversi paesi il passaggio alla postdemocrazia è stato accompagnato dall’emergere di competitori che sfidavano i partiti tradizionalmente dominanti, collocandosi di fatto alla loro destra, però spesso dichiarandosi «né di destra né di sinistra»: la Lega lombarda (poi Lega nord), il Front national in Francia, il Partito della libertà (Fpö) di Jörg Haider in Austria, la Lista di Pim Fortuyn in Olanda, per fare alcuni esempi importanti in Europa occidentale. Il «né di destra né di sinistra» che, attenzione!, è motto che fu già dei Verdi (che con la «sinistra» di governo hanno frequentemente e diffusamente collaborato), è indicativo della convergenza delle politiche dei partiti tradizionali, appunto sia di «destra» che di «sinistra», della loro statalizzazione. L’appello al popolo e il particolare registro linguistico frequente nella retorica di questi competitori, basso o anche volgare, si comprende con l’intenzione di far leva sulla diffusa e crescente alienazione dei cittadini dalla politica istituzionale, dalle sue pratiche come dal suo stile. Questi partiti sono sovente indicati come populisti o neopopulisti: da qui la volgare identificazione tra populismo e destra ricorrente nella polemica politica (ma non nella letteratura scientifica).

Se si riesce a escludere il risentimento di parte e i pregiudizi liberali e partitistici, e se si adotta un metodo diverso da quello della costruzione di un tipo ideale, detto «populismo», assemblando elementi disparati e poi dividendolo in sottocategorie nel tentativo di mantenere l’unità di fenomeni qualitativamente diversi, la posizione del M5S risulterà molto diversa da quella dei partiti citati sopra.

Mondializzazione, finanziarizzazione, nuova composizione di classe. Che uso fare del lascito marxiano per rilanciare una prospettiva comunista? Intervista a Roberto Fineschi* - Ascanio Bernardeschi

*Da:     http://www.lacittafutura.it/dibattito/la-cassetta-degli-attrezzi-di-marx-intervista-a-roberto-fineschi-parte-ii.html
Vedi anche;   http://marxdialecticalstudies.jimdo.com/videos-1/roberto-fineschi/





Abbiamo spiegato cos'è la  MEGA2 e perché è importante (http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/01/la-marx-engels-gesamtausgabe-mega2.html). 
Vogliamo ora ragionare con Fineschi sull'attualità di Marx e sull'approfondimento teorico necessario per rilanciare una prospettiva comunista. 





Marx inizia il Capitale con l'analisi della merce come “cellula elementare” del modo di produzione capitalistico e, pian piano, da questo elevato livello di astrazione, introducendo ulteriori variabili, svolge la sua teoria in maniera sempre meno astratta. In diversi tuoi lavori parli diffusamente di 4 livelli di astrazione. Che poi si riferiscono solo al contenuto dei tre libri del Capitale noti, mentre il piano originario dell'opera, che Marx non ha avuto il tempo di sviluppare, era più vasto (comprendeva per esempio lo Stato e il Mercato mondiale). Immagino che per giungere a illustrare tali aspetti, e quindi per avvicinarsi ulteriormente alla complessità della realtà, fosse necessario scendere a livelli ancora meno astratti, e avvicinarsi così anche a una teoria meglio spendibile nella lotta politica. Condividi questa opinione e in che misura, secondo te, il marxismo è stato all'altezza di questo compito?

La domanda è molto complessa. Si può partire dai problemi storici della ricezione del Capitale. Soprattutto nella prospettiva politica, un punto chiave era la teoria dello sfruttamento. Dimostrando che nella teoria del capitale ci sono problemi strutturali insuperabili si distruggeva anche la teoria dello sfruttamento.

venerdì 29 gennaio 2016

Che cosa si può apprendere da un lupo solitario in catene?*- Amira Hass

*Da:   Haaretz, 26 gennaio 2016 (https://groups.google.com/forum/#!forum/deportatimaipiu



 Le interviste dei militari israeliani ai palestinesi che hanno compiuto attacchi sono state condotte all’interno di un rapporto di forza ineguale, che è contro l’etica e di dubbio valore. 



 Le guardie carcerarie hanno ricevuto ordine di condurre una ricerca applicata, scientificamente mirata, sui loro prigionieri. Questo è stato uno degli interessanti reportage di stampa della scorsa settimana. L’abbiamo letto per la prima volta nell’articolo di Amos Harel su Haaretz il 15 gennaio: “Alti ufficiali dell’esercito hanno incontrato terroristi palestinesi in carcere per capire le loro motivazioni.”, dopodiché altri giornalisti ne hanno scritto.


Comandanti dell’esercito israeliano ed ufficiali dell' intelligence ed anche dirigenti dell’ufficio del Coordinatore delle Attività del Governo nei Territori occupati, hanno incontrato in carcere dei palestinesi che avevano condotto attacchi solitari ed erano sopravvissuti ( secondo il portavoce dell’esercito in Cisgiordania, 88 di questi individui sono stati uccisi e 40 arrestati nel corso dell’attuale ondata di violenza. L’ufficio del portavoce della polizia ha detto di non disporre di dati analoghi riguardo all’esito degli attacchi condotti in Israele e Gerusalemme est).

Le relazioni mostrano una sorprendente disponibilità da parte degli intervistatori  a rinunciare alle precedenti supposizioni. (Per esempio, hanno rilevato che né la religione né la propaganda sui social network hanno motivato i ragazzi, benché le trasmissioni di Hamas e della Jihad islamica abbiano certamente avuto un’influenza su di loro.)

Una trasmissione della radio dell’esercito ha riportato, tra le altre, queste conclusioni: i ragazzi avvertono un profondo senso di alienazione rispetto alle figure che rappresentano l'autorità. Il presidente palestinese Mahmoud Abbas non veniva citato nelle conversazioni. Non sono affiliati ad alcuna organizzazione,  ma condividono un sentimento di unità nazionale. Sono distanti dai loro genitori, ed hanno storie di violenza all’interno della famiglia. Provengono da famiglie regolari e non sono giovani emarginati. La loro ideologia è minimale, fatta di slogan e superficiale. La maggioranza di loro non sa nemmeno che cosa sia Israele. Il loro unico contatto con gli israeliani è con i soldati ai checkpoint.