giovedì 12 febbraio 2015

Confessioni di un marxista eccentrico - Yanis Varoufakis

...Se la mia prognosi è corretta e la crisi europea non è soltanto un altro crollo ciclico che sarà superato presto con la ricrescita dei profitti conseguente all’inevitabile stretta sui salari, la domanda che sorge per i radicali è la seguente: dovremmo accogliere questo vasto cedimento del capitalismo europeo come un’occasione per sostituire il capitalismo con un sistema migliore? O dovremmo essere così preoccupati al riguardo da imbarcarci in una campagna per stabilizzare il capitalismo europeo? La mia risposta negli ultimi tre anni è stata inequivocabile ed è disattesa dalla lista citata più sopra dei diversi uditori che ho cercato di influenzare. La crisi dell’Europa è, a mio parere, gravida non solo di un’alternativa progressista, ma anche di forze radicalmente regressive che hanno la capacità di causare un bagno di sangue umanitario cancellando la speranza di un qualsiasi passo avanti progressiste per generazioni a venire.
Per queste idee sono stato accusato, da voci radicali benintenzionate, di essere un ‘disfattista’, un menscevico dell’ultimo giorno che instancabilmente si batte a favore di piani lo scopo dei quali è salvare l’attuale indifendibile sistema socio-economico europeo. Un sistema che rappresenta tutto ciò che contro cui un radicale dovrebbe ammonire e lottare: un’Unione Europa antidemocratica, irreversibilmente neoliberista, fortemente irrazionale, transnazionale che non ha quasi alcuna capacità di evolvere in una comunità genuinamente umanistica in cui le nazioni dell’Europa possano respirare, vivere e svilupparsi. Questa critica, lo confesso, ferisce. E ferisce perché contiene più di un nocciolo di verità.
In verità io condivido la visione di questa Unione Europea come cartello fondamentalmente antidemocratico e irrazionale che ha posto i popoli dell’Europa su un sentiero di misantropia, conflitti e recessione permanente. E mi inchino anche alla critica di aver condotto una campagna fondata sul presupposto che la Sinistra sia, e rimanga, francamente sconfitta. Dunque sì, in questo senso mi sento obbligato a riconoscere che desidererei che la mia campagna fosse di un genere diverso; che promuoverei molto più volentieri un’agenda radicale la cui raison d’etre fosse sostituire il capitalismo europeo con un sistema diverso, più razionale, piuttosto che limitarmi a promuovere la stabilizzazione del capitalismo europeo, in contrasto con la mia definizione di Buona Società.
A questo punto è forse pertinente una confessione di secondo ordine: confessare che … le confessioni tendono a essere interessate. In effetti le confessioni sono sempre sull’orlo di quanto disse una volta John von Neumann a proposito di Robert Oppenheimer, dopo aver sentito che il suo ex direttore al Progetto Manhattan era diventato un attivista antinucleare e si era confessato colpevole del suo contributo alla carneficina di Hiroshima e Nagasaki. Le caustiche parole di Von Neumann furono:
“Confessa il peccato per reclamare la gloria”.
Fortunatamente io non sono un Oppenheimer  e perciò non sarà troppo difficile confessare vari peccati come mezzo di autopromozione bensì, piuttosto, come finestra da cui osservare un capitalismo europeo devastato dalla crisi, profondamente irrazionale e ripugnante la cui implosione, nonostante i suoi molti mali, andrebbe evitata a ogni costo. E’ una confessione mediante la quale convincere i radicali che abbiamo una missione contraddittoria: arrestare la caduta libera del capitalismo europeo al fine di guadagnare il tempo che ci è necessario per formulare l’alternativa a esso.

A proposito di certe tendenze della letteratura psicoanalitica* - Stefano Garroni



*Da "Tracciati dialettici (Note di politica e cultura)" Stefano Garroni, Edizioni Kappa


mercoledì 11 febbraio 2015

La scuola di Francoforte - Antonio Gargano

Vedi anche:   http://www.sitocomunista.it/marxismo/altri/scuolafrancoforte.html



Max Horkheimer Intervista 1968:
http://www.filosofia.it/multimedia/gilles-deleuze-l-abecedario-filosofico


Il riorientamento strategico della Nato dopo la guerra fredda - Manlio Dinucci

Il colpo di stato in Ucraina
L’operazione condotta dalla Nato in Ucraina inizia quando nel 1991, dopo il Patto di Varsavia, si disgrega anche l’Unione Sovietica di cui essa faceva parte. Gli Stati Uniti e gli alleati europei si muovono subito per trarre il massimo vantaggio dalla nuova situazione geopolitica. L’Ucraina – il cui territorio di oltre 600mila km2 fa da cuscinetto tra Nato e Russia ed è attraversato dai corridoi energetici tra Russia e Ue – non entra nella Nato, come hanno fatto altri paesi dell’ex Urss ed ex Patto di Varsavia. Entra però a far parte del «Consiglio di cooperazione nord-atlantica» e, nel 1994, della «Partnership per la pace», contribuendo alle operazioni di «peacekeeping» nei Balcani.
Nel 2002 viene adottato il «Piano di azione Nato-Ucraina» e il presidente Kuchma annuncia l’intenzione di aderire alla Nato. Nel 2005, sulla scia della «rivoluzione arancione» (orchestrata e finanziata agli Usa e dalle potenze europee), il presidente Yushchenko viene invitato al summit Nato a Bruxelles. Subito dopo viene lanciato un «dialogo intensificato sull’aspirazione dell’Ucraina a divenire membro della Nato» e nel 2008 il summit di Bucarest dà luce verde al suo ingresso. Nel 2009 Kiev firma un accordo che permette il transito terrestre in Ucraina di rifornimenti per le forze Nato in Afghanistan. Ormai l’adesione alla Nato sembra certa ma, nel 2010, il neoeletto presidente Yanukovych annuncia che, pur continuando la cooperazione, l’adesione alla Nato non è nell’agenda del suo governo.
Nel frattempo però la Nato tesse una rete di legami all’interno delle forze armate ucraine. Alti ufficiali partecipano per anni a corsi del Nato Defense College a Roma e a Oberammergau (Germania), su temi riguardanti l’integrazione delle forze armate ucraine con quelle Nato. Nello stesso quadro si inserisce l’istituzione, presso l’Accademia militare ucraina, di una nuova «facoltà multinazionale» con docenti Nato. Notevolmente sviluppata anche la cooperazione tecnico-scientifica nel campo degli armamenti per facilitare, attraverso una maggiore interoperabilità, la partecipazione delle forze armate ucraine a «operazioni congiunte per la pace» a guida Nato.
Inoltre, dato che «molti ucraini mancano di informazioni sul ruolo e gli scopi dell’Alleanza e conservano nella propria mente sorpassati stereotipi della guerra fredda», la Nato istituisce a Kiev un Centro di informazione che organizza incontri e seminari e anche visite di «rappresentanti della società civile» al quartier generale di Bruxelles. E poiché non esiste solo ciò che si vede, è evidente che la Nato costruisce una rete di collegamenti negli ambienti militari e civili molto più estesa di quella che appare.
Sotto regia Usa/Nato, attraverso la Cia e altri servizi segreti vengono per anni reclutati, finanziati, addestrati e armati militanti neonazisti. Una documentazione fotografica mostra giovani militanti neonazisti ucraini di Uno-Unso addestrati nel 2006 in Estonia da istruttori Nato, che insegnano loro tecniche di combattimento urbano ed uso di esplosivi per sabotaggi e attentati. Lo stesso fece la Nato durante la guerra fredda per formare la struttura paramilitare segreta di tipo «stay-behind», col nome in codice «Gladio». Attiva anche in Italia dove, a Camp Darby e in altre basi, vennero addestrati gruppi neofascisti preparandoli ad attentati e a un eventuale colpo di stato.
È questa struttura paramilitare che entra in azione a piazza Maidan, trasformandola in campo di battaglia: mentre gruppi armati danno l’assalto ai palazzi di governo, «ignoti»  cecchini sparano con gli stessi fucili di precisione sia sui dimostranti che sui poliziotti (quasi tutti colpiti alla testa). Il 20 febbraio 2014 il segretario generale della Nato si rivolge, con tono di comando, alle forze armate ucraine, avvertendole di «restare neutrali», pena «gravi conseguenze negative per le nostre relazioni». Abbandonato dai vertici delle forze armate e da gran parte dell’apparato governativo, il presidente Viktor Yanukovych è costretto alla fuga. La direzione delle forze armate viene assunta da Andriy Parubiy, cofondatore del partito socialnazionalista ridenominato Svoboda, divenuto segretario del Comitato di difesa nazionale, e, in veste di ministro della difesa, da Igor Tenjukh, legato a Svoboda.

La Nato si sente ormai sicura di poter compiere un altro passo nella sua espansione ad Est, inglobando l’Ucraina. Lo conferma la riunione dei ministri Nato della difesa, che si svolge il 26-27 febbraio 2014 al quartier generale di Bruxelles. Primo punto all’ordine del giorno l’Ucraina, con la quale –  sottolineano i ministri nella loro dichiarazione – la Nato ha una «distintiva partnership» nel cui quadro continua ad «assisterla per la realizzazione delle riforme». Prioritaria «la cooperazione militare» (grimaldello con cui la Nato è penetrata in Ucraina). I ministri «lodano le forze armate ucraine per non essere intervenute nella crisi politica» (lasciando così mano libera ai gruppi armati) e ribadiscono che per «la sicurezza euro-atlantica» è fondamentale una «Ucraina stabile» (ossia stabilmente sotto la Nato).

martedì 10 febbraio 2015

Psicologismo e negazione. Freud e Frege* - Stefano Garroni


*Da "Tracciati dialettici (Note di politica e cultura)" Stefano Garroni, Edizioni Kappa

L'operazione compiuta da Freud è duplice; da un lato, riprende modalità di pensiero fregeane - almeno nell'ispirazione - per segnare i limiti della mente rispetto alla più vasta dimensione dello psichico; dall'altro, in particolare con la seconda parte della sua "Verneinung", punta a svolgere i motivi 'fregeani' in una rinnovata psicologistica.

Il mondo - Mirko Bertasi




Il mondo ultimamente, è così furibondo
Ma il guaio grosso è che molti si stanno abituando
Troppi se ne stanno fregando
Gli stessi che poi vanno piangendo
Quando cominciano a vivere affannando
Dicono:“Io non mi occupo di politica, sai, ho tanti problemi… sono un po’ ansiolitica”
Ma chi si occupa di te però è proprio la politica
E quindi poco conviene essere apatica
Secondo me converrebbe prendere una bella pertica
Mettersi nelle condizioni di saper fare seria critica
Ma anche un po’ di autocritica.
Certo che per far questo, bisognerebbe capire qual è la linea del movimento
Che ci porta a tanto imbarbarimento
Che ci spinge all’accaparramento
Che naturalizza lo sfruttamento
Lasciandoti poi addirittura contento!
“Sono sfruttato? Lo acconsento!
L’importante è che formalmente libero mi sento!
Vado avanti a stento?
L’importante è che la partita me l’ascolto!”
Ma guai … a renderti un po’ più colto!!
Certo, per capire meglio questo movimento che dicevamo
Ci vuole qualcosa che ancora non abbiamo
Come un’organizzazione seria alla quale in tanti aderiamo
Perché solo attraverso di essa possiamo pensare che ci rialzeremo
Perché dobbiamo capire dove siamo e dove andremo
Ma se i lavoratori stessi non comprendono i loro interessi?
E’ per questo che l’organizzazione deve lavorare costantemente con essi
Per evitare che cadano negli abissi
Per mostrar loro che non sono fessi
Per indicargli dove sono i cessi
E fargli vedere che se vogliono hanno i contro cazzi.
E sai … quanti non darebbero più retta a Bossi!!
Siamo nel mondo dell’inganno
Dove le cose si fanno sempre di qualcun altro a danno
Ma se lavoriamo bene, molti prima o poi lo capiranno
E questo sistema lo ripudieranno, lo combatteranno e lo abbatteranno
E magari uno diverso ne applicheranno
Ma intanto, cominciamo a lavorà, per quest’anno!!
Mirko Bertasi

venerdì 6 febbraio 2015

Le principali teorie economiche - Riccardo Bellofiore




La lezione fa parte del Corso di Macroeconomia, a cura di R. Mapelli, R. Romano, M. Lepratti, per la Associazione Culturale Punto Rosso. 

martedì 3 febbraio 2015

FREUD E LA MASSENPSYCHOLOGIE* (2) - Stefano Garroni

*Da "Su Freud e la morale (L'uomo e la società)" Stefano Garroni, Bulsoni editore - Parte seconda




 "...ripensare Freud all'interno della tradizione scientifica e morale classica, nella situazione presente, ha un certo senso salutarmente -inattuale-"


"La centralità del tema 'Personalità', in autori come Nietzsche e J. S. Mill (entrambi significativi per Freud), è motivato dalla critica al conformismo prodotto dalla società politica borghese ed al conseguente imperio dell'opinione pubblica (che entrambi gli autori descrivono come forza tirannica, invasiva e restia ad adeguarsi a condizioni e realtà nuove). Questa 'scoperta' del conformismo moderno - e, quindi, dei pesanti limiti della 'democrazia' borghese - è uno dei motivi, per cui il XIX secolo si volge a studiare la psicologia delle folle."


Prima parte:
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/01/freud-e-la-massenpsychologie-stefano.html

giovedì 29 gennaio 2015

LA LEGGE LA LIBERTA' LA GRAZIA - Remo Bodei, Antonio Delogu

                                           


"La reminiscenza sartriana, il "siamo condannati a essere liberi", non vuole alludere alla libertà come peso dell'esistenza. Vuole alludere invece - e direi che nello stesso Sartre, nel Sartre filosofo della libertà, c'è questo motivo - vuole dunque alludere alla morale della responsabilità e - aggiungerei - alla durezza di Hegel nei confronti del singolo. Penso specialmente all'ultima parte del quinto capitolo della Fenomenologia, in cui la Cosa stessa, come Hegel dice, cioè il corso storico e la sua razionalità, ricomprende in sé l'azione del singolo, che fatuamente ne rivendica la proprietà. La pietra lanciata dalla mano è del diavolo, dice Hegel riprendendo un antico proverbio. Agendo mi espongo ai voleri della Fortuna, cioè la mia azione si intreccia con quelle altrui e con il complesso delle circostanze, la Cosa stessa ora accennata. E tuttavia la Cosa stessa non mi è estranea, perché si appunta nell'autocoscienza, è la "mia" Cosa, ho comunque contribuito a produrla. È stato detto che in guerra non vi sono vittime innocenti, e Hegel potrebbe condividere questa espressione che allude alla universale responsabilità. Per un verso dunque la mia azione è poca cosa, perché è destinata a perdersi nel miro gurge del corso storico, per un altro verso il corso storico mi appartiene o - ma in questo caso è la stessa cosa - io appartengo al corso storico. Hegel spinge sino in fondo la sua geniale tesi. Il corso storico ha la sua logica di fronte a cui l'opera del singolo è irrilevante. Persino il famoso grand'uomo di Hegel, Alessandro magno, Giulio Cesare, non sono dei veri creatori, non somigliano per nulla agli uomini di Nietzsche o di Carlyle, perché la loro azione non va oltre il portare alla luce una situazione virtualmente presente. La repubblica romana era virtualmente cesariana quando Cesare vi dispiegò la sua azione politica. Hegel infatti parla di un "cupo tessere dello spirito", cioè di un corso delle cose che si viene svolgendo inconsciamente, sicchè l'uomo d'azione interviene a cose quasi fatte, l'uomo di pensiero, il filosofo, interviene a cose fatte e anzi quando la situazione non solo si è consolidata, ma è già in crisi, sta per mutare (l'uccello di Minerva che inizia il suo volo al crepuscolo). Potrebbe sembrare che questa dottrina possa spingere a un atteggiamento quietista: se la mia azione è poca cosa non vale la pena di impegnarsi troppo. E invece abbiamo visto che l'atteggiamento hegeliano è di assoluta responsabilità. Certo la mia azione è eminentemente rischiosa, può perdersi nel non-senso e comunque solo tardi, solo a processo compiuto saprò o altri saprà quale sarà stato il risultato e quindi il significato del mio impegno. Ma nel mio agire devo credere (qui il temine è appropriato) di realizzare il Bene (l'ineludibile motivo kantiano). È una illusione necessaria che governa la mia libertà. E Hegel mostra che sfuggire a questa libertà è impossibile perché è impossibile sfuggire alla mia essenza di uomo."

Francesco Valentini

mercoledì 28 gennaio 2015

FREUD E LA MASSENPSYCHOLOGIE* - Stefano Garroni

*Da "Su Freud e la morale (L'uomo e la società)" Stefano Garroni, Bulsoni editore - (Prima parte)
                                                                                          
(Seconda parte):
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/02/freud-e-la-massenpsychologie-2-stefano.html                                                                                                                                                                                                                               




 "...ripensare Freud all'interno della tradizione scientifica e morale classica, nella situazione presente, ha un certo senso salutarmente -inattuale- 


lunedì 26 gennaio 2015

ESPERIENZA E EDUCAZIONE - John Dewey

Introduzione

            I due saggi di John Dewey Unity of Science as a social problem e Theory of Valuation sono stati pubblicati tra il 1938 e il 1939 nella raccolta di scritti curata da Otto Neurath dal titolo International Encyclopedia of Unified Science dall’University of Chicago Press.
            I due scritti sono da leggere all’interno del contesto dell’opera, l’Enciclopedia unificata della scienza, che rappresenta l’approdo della riflessione, che si sviluppò tra le due guerre ad opera di un gruppo di studiosi scienziati e filosofi che facevano riferimento come origine all’esperienza del Circolo di Vienna.
            L’Enciclopedia può a ragione essere considerata come un tentativo di raccogliere assieme le voci più autorevoli di quel movimento filosofico che avendo per obiettivo l’unità della scienza  paradossalmente, in relazione alle differenze tra i diversi autori viene definito, ora neopositivismo, ora positivismo logico e ancora come empirismo logico.
            L’Enciclopedia è  dunque un opera complessa che contiene lavori di taglio diverso il cui denominatore può essere ritrovato nel tentativo di raggiungere un metodo scientifico comune ed applicabile non solo nell’ambito delle discipline scientifiche in senso stretto, ma al complesso dell’attività umana e nell’attribuzione al linguaggio di una funzione detrminante in questo processo..
            Il neopositivismo si affermò nel periodo tra le due guerre mondiali a partire dalle riflessioni che un gruppo di pensatori, scienziati e filosofi , il Circolo di Vienna, sviluppò e diffuse. L’iniziativa del Circolo di Vienna, di cui facevano parte studiosi come Moritz Schlick, Hans Hahn, Otto Neurath, Philipp Frank, Rudolf Carnap, Victor Kraft, Felix Kaufmann, Kurt Reidmeister, Herbert Feigl, fu affiancata da un altro autorevole gruppo di pensatori della Scuola di Berlino (Hans Reichenbach, Alexander Hezberg, Walter Dubilav, Kurt Grelling, Kurt Lewin, Wofang Koeler, Carl Gustav Hempel).
            L’avvento del nazismo e il conseguente scioglimento dei due gruppi spostò la riflessione dal continente europeo negli Stati Uniti. In realtà il neopositivismo aveva già trovato accoglienza in America soprattutto per opera di Charles Morris, ma con l’abbandono dell’Europa da parte di pensatori come Carnap, Hampel, Reichenbach, Franck e Kaufmann il neopositivismo assume i caratteri di una corrente filosofica americana.
            L’impatto con il pensiero americano ed in particolare con il pragmatismo di Mead e di Dewey,  aiutò, come afferma Brancatisano, il neopositivismo a liberarsi degli ultimi residui metafisici ed a mettere a fuoco il rapporto tra discorso teoretico ed esperienza.
            Abbiamo sottolineato come la ricchezza e la varietà dei contributi che afferirono al neopositivismo non consentano di considerarlo come una scuola unitaria di pensiero, tuttavia è possibile identificare un denominatore comune nello sforzo di questi ricercatori che possiamo sistetizzare nella avversione per le posizioni irrazionali e preconcette e nello sforzo di trovare un linguaggio comune tra diversi settori di indagine tale da consentire una concezione scientifica del mondo.
            Il contributo di Dewey consiste appunto nel proporre l’esperienza e non solo quella di laboratorio, ma l’esperienza umana nel suo complesso, come banco di prova del metodo scientifico, che deve dunque poter trovare applicazione in tutti gli ambiti dell’esperienza umana. Dunque il discorso sull’unità della scienza deve necessariamente potersi estendere alle discipline umanistiche.

giovedì 22 gennaio 2015

Corso sul "Capitale" (5) - Riccardo Bellofiore

                                                                                                                                                        Video del quinto incontro del ciclo di letture del I libro del "Capitale" di Karl Marx organizzato da Noi Restiamo Torino e tenuto da Riccardo Bellofiore (Università di Bergamo).


Precedenti:

http://ilcomunista23.blogspot.it/2014/10/corso-sul-capitale-1-riccardo-bellofiore.html

http://ilcomunista23.blogspot.it/2014/11/corso-sul-capitale-2-riccardo-bellofiore.html

http://ilcomunista23.blogspot.it/2014/12/corso-sul-capitale-3-riccardo-bellofiore.html

http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/01/corso-sul-capitale-4-riccardo-bellofiore.html

lunedì 19 gennaio 2015

LA COSIDDETTA ACCUMULAZIONE ORIGINARIA - Karl Marx, IL CAPITALE, LIBRO I, SEZIONE VII, CAPITOLO 24




Non è certo una facile lettura quella del Capitale di Marx... ma il capitolo 24° è un passaggio unico per la sua limpida chiarezza... è affascinante cogliere la tensione morale che guida tutto il discorso di ricostruzione storica. Tutti dovrebbero leggerlo...





1. L’ARCANO DELL’ACCUMULAZIONE ORIGINARIA.

Abbiamo visto come il denaro viene trasformato in capitale, come col capitale si fa il plusvalore, e come dal plusvalore si trae più capitale, Ma l’accumulazione del capitale presuppone il plusvalore, e il plusvalore presuppone la produzione capitalistica, e questa presuppone a sua volta la presenza di masse di capitale e di forza-lavoro di una considerevole entità in mano ai produttori di merci. Tutto questo movimento sembra dunque aggirarsi in un circolo vizioso dal quale riusciamo ad uscire soltanto supponendo un’accumulazione «originaria»(«previous accurnulation» in A. Smith) precedente l’accumulazione capitalistica: una accumulazione che non è il risultato, ma il punto di partenza del modo di produzione capitalistico.

venerdì 16 gennaio 2015

Su Piketty e il “suo” capitale del nuovo secolo - Francesco Schettino

"... il fenomeno a cui si assiste e di cui si discute, ormai anche a livello colloquiale in qualsiasi bar di periferia, è che, quella parte della classe proletaria, spesso animata da ambizioni piccolo-borghesi, che fino alla fine del secolo scorso riusciva a strappare, senza troppa fatica, salari in grado di garantire una vita pressoché agiata – a scapito del proletariato meno specializzato che, seppur indirettamente, era costretto a sostenerne vizi e comodità (non a caso Engels, riferendosi al caso inglese, parlava di costoro come di quelli a cui lo stato regalava le briciole estorte dal proletariato indiano) – si è improvvisamente destata dal sogno di avvicinarsi al sole del potere del capitale e, in quanto non proprietaria delle condizioni di produzione, come Icaro, ha iniziato un precipitoso ammaraggio nelle torbide acque del proletariato, classe a cui ha sempre appartenuto al di là delle artificiose apparenze."
"...i processi di concentrazione e di centralizzazione del capitale, cresciuti sensibilmente dal 1970, hanno traghettato la disuguaglianza in termini di proprietà patrimoniale (e dunque non solamente delle condizioni oggettive di produzione) a livelli superiori rispetto a quelli individuabili nella distribuzione dei redditi da lavoro, nonostante la crescita e l’affermazione dei mostruosi salari dei supermanagers in stile Marchionne. Al 2010, infatti, se il 10% dei salariati più ricchi ottiene il 25% della massa salariale corrisposta in Europa, lo stesso decile della distribuzione ottiene il 35% del totale negli Usa, valore che dovrebbe giungere al 45% nel giro di meno di un ventennio. E tutto ciò viene calcolato non comprendendo chi viene liberato dal lavoro che, percependo salario nullo, non viene incluso nelle elaborazioni numeriche. Quindi, esprimendo il tutto in termini dell’indice di Gini, si osserva come nel 2010 la disuguaglianza tra i lavoratori europei fosse sufficientemente bassa (0,26), mentre quella statunitense già raggiungeva livelli più sostenuti (0,36) puntando per il 2030 a un pesantissimo 0,46, qualora non ci sia una decisa inversione di rotta."
"Per quanto riguarda, invece la distribuzione della proprietà patrimoniale (e dei redditi che ne derivano) che, appunto, oltre alle condizioni oggettive della produzione include immobili, terra ecc., la situazione è ben diversa. Se nei paesi storicamente con un basso livello di disparità, come quelli scandinavi degli anni 70-80, il 10% dei proprietari più ricchi detiene il 50% del patrimonio complessivo, in Europa tale coefficiente sale a 60%, mentre negli Usa addirittura al 70%. I corrispondenti indici di Gini raggiungono lo 0,58 (+0,29 rispetto all’in­dice calcolato sui soli redditi da lavoro), 0,67 (+0,41) e 0,73 (+0,37). È chiaro che incrociando dunque i dati, ossia effettuando il calcolo della disuguaglianza sui redditi complessivi, ossia di lavoro e “capitale” i risultati mostrano una disparità nettamente più pronunciata rispetto a quella dei soli redditi da lavoro, mostrando così come la struttura delle condizioni di proprietà (produzione) siano fondamentali nella determinazione della disuguaglianza complessiva."
"... porre, dunque, come fa Piketty, il discorso della conflittualità su un piano della “lotta di percentile” (centile struggle) come aggiornamento della più nota “lotta di classe” (class strugle): ma ciò, a differenza di quello che sostiene l’economista francese, non determina unicamente una “perdita di fascino” della stessa ma semplicemente un errore macroscopico che non è solo di natura statistica ma assume rilevanti connotati economici e politici."
"...In sostanza ciò che viene negato nell’analisi di Piketty, così come dalla totalità degli economisti, è la natura del profitto in quanto forma monetaria del plusvalore, entità che, al pari del salario – ossia il valore complessivo della forza-lavoro – viene determinato nella fase, distinta solo logicamente, della produzione di merce."

"I cosiddetti rapporti di distribuzione corrispondono, quindi, a forme storicamente determinate, specificamente sociali, del processo di produzione e dei rapporti in cui gli uomini entrano nel processo di riproduzione della loro vita e derivano da queste forme. Il carattere storico di questi rapporti di distribuzione è il carattere storico dei rapporti di produzione, dei quali essi esprimono soltanto un aspetto. La distribuzione capitalistica è distinta dalle forme di distribuzione che derivano da altri modi di produzione, ed ogni forma di distribuzione scompare insieme con la forma di produzione determinata a cui essa corrisponde e da cui deriva”.(K. Marx, III libro del Capitale)

giovedì 15 gennaio 2015

il grande Scott - Aristide Bellacicco

Hanno un senso i miei capelli?’ disse Scott ‘Dai, rispondi. Hanno un senso, secondo te?’
Si afferrò una ciocca fra due dita e la tirò verso l’alto, come fanno i barbieri prima di tagliare. Quella settimana se li era fatti biondo scuro.
‘Allora? Parlo con te, Milli. Hanno un senso o no?’
Milli non riuscì a trattenere un sorriso.
‘Sei buffo. Oddio, se ti vedessi. Scott, non immagini quanto sei buffo.’
Era seduta sul divano a fumare una sigaretta, non resisteva più a sentirlo parlare e voleva solo andarsene a letto.
‘Ma a te non viene mai sonno?’ disse.
Scott lasciò andare i capelli. Sospirò come un uomo seriamente deluso e tirò giù un sorso.
‘Sant’iddio, Milli. Ogni volta che comincio un discorso serio mi smonti. Lo fai apposta, lo so. Sei cattiva. Sei proprio una donna cattiva.’
Era seduto accanto al biliardo, con un gomito sulla sponda. Aveva poggiato la bottiglia sul drappo verde e ogni volta che la sollevava le biglie sembravano lanciargli sguardi furtivi e disordinati.
Bevve ancora. Poi infilò il bicchiere fra le ginocchia e le strinse. Contemplò il risultato con soddisfazione, aprendo le braccia come un giocoliere che conclude un numero difficile.
‘Ecco’ disse ‘ conosci qualcuno capace di fare altrettanto?’
Nella stanza c’era molto caldo. Dalla portafinestra spalancata sulla notte immobile non entrava un filo d’aria. Milli cercò di immaginare che aspetto avessero le stelle sepolte in quel calore buio.
‘Assolutamente no’ disse ‘Tu sei unico. Anzi, sei l’unico. L’unico Scotch della mia vita. Oh, perdonami. Volevo dire Scott.’
Scott battè piano le mani, annuendo più volte ostinatamente.
‘Ottimo’ disse ‘addirittura un gioco di parole. Fantastico, Milli.’
Afferrò la bottiglia e cercò di riempire di nuovo il bicchiere tenendolo in quella strana posizione, ma si sbilanciò sulla sedia e il liquore gocciolò sul pavimento.
‘Fa niente’ disse ‘ una piccola defaillance. Capita anche ai più grandi.’
Tornò a posare la bottiglia sul biliardo e la fissò corrugando la fronte.
‘Guardala, Milli. La mia boccia preferita. L’unica con un numero di quattro cifre. L’unica che non rotola e che non finisce in una di quelle maledette buche. Ora, quello che mi manca per concludere in bellezza è una cannuccia. Amore, guarda se di là abbiamo una cannuccia di…circa mezzo metro, direi. Per andare da qui a qui.’
Si toccò alternativamente le ginocchia e labbra.
‘E’ per il colpo di scena. L’effetto conclusivo, quello che lascia tutti a bocca aperta. Hai presente? Una specie di finale da maestro.’
Milli si avvicinò. Prese il bicchiere per il bordo e lo tirò via vincendo la debole resistenza di Scott, che istintivamente allargò le gambe. Rovesciando il capo, Milli ingoiò il liquore fino all’ultima goccia.
‘Ecco fatto, Scott. Ci ho pensato io. L’importante era finirlo, no? E perdonami se ti ho guastato l’effetto, ma purtroppo non esistono cannucce di mezzo metro. Per certi numeri, ci vuole la collaborazione di un altro essere umano.’
Tornò barcollando verso il divano e vi si lasciò cadere.
‘Meglio ancora se ubriaco’ soggiunse.

mercoledì 7 gennaio 2015

Corso sul "Capitale" (4) - Riccardo Bellofiore




Video del quarto incontro del ciclo di letture del I libro del "Capitale" di Karl Marx organizzato da Noi Restiamo Torino e tenuto da Riccardo Bellofiore (Università di Bergamo).

(Per una migliore fruizione consigliamo, al minuto 17,18, di saltare e riprendere al minuto 28,18) 


Precedenti:

http://ilcomunista23.blogspot.it/2014/10/corso-sul-capitale-1-riccardo-bellofiore.html

http://ilcomunista23.blogspot.it/2014/11/corso-sul-capitale-2-riccardo-bellofiore.html

http://ilcomunista23.blogspot.it/2014/12/corso-sul-capitale-3-riccardo-bellofiore.html


venerdì 12 dicembre 2014

parlare con Agave - Aristide Bellacicco

A parte il fatto che Agave era ubriaca fradicia, non furono trovate altre cause. Qualcuno se ne uscì con la pazzia o con la “pura e semplice” cattiveria.
‘Ma signori miei’ disse il pubblico ministero davanti ai giurati ‘che cos’è la pura e semplice cattiveria? Nient’altro che una comoda e indecorosa scappatoia pseudo-filosofica.’
Si stava infatti diffondendo  l’opinione che non si potesse essere puniti solo perché si era cattivi.
‘Nessuno ha colpa di essere fatto in un certo modo’ così  si esprimevano in molti.
Ciononostante,  i buoni e gli onesti continuavano ad essere elogiati e premiati, e questo costituiva una contraddizione dalla quale era sempre più difficile liberarsi.
In ogni caso, gli uomini di legge, senza differenze fra accusatori e difensori, non ci stavano.
‘Sarebbe bello ’ dicevano  con ironia ‘che un assassino se la cavasse solo perché “è fatto così”. Che fine farebbe la responsabilità personale?’
E riguardo la pazzia, fu chiaro da subito che Agave non era pazza. Era perfettamente orientata nel tempo e nello spazio e ricordava nel dettaglio ciò che aveva fatto. Non fu necessaria alcuna pressione per indurla a confessare.
‘Ho ucciso mio figlio stanotte alle quattro e mezza ’ disse al funzionario di polizia che la interrogò la mattina dopo ‘Avevo bevuto moltissimo, è vero, ma questo lo faccio da anni tutte le sere. Non credo che il vino abbia qualcosa a che vedere con quello che è successo.’
‘E allora perché è successo?’ voleva chiederle il funzionario. Ma lasciò perdere e le fece quest’altra domanda:
‘Signora Agave, posso fare qualcosa per lei?’
‘Sissignore’ ripose Agave ‘trovi  il motivo per cui ho ucciso Quinto. Io non lo so. Ma se lei arriva a capirlo, gliene sarò grata per sempre.’
Queste furono le uniche parole agli atti. Si lasciò condurre alle carceri, si sottopose alle ispezioni di rito e quando la misero in isolamento rimase per circa un’ora seduta sulla branda e poi si addormentò.

martedì 2 dicembre 2014

Danaro, lavoro, macchine in Hegel - Remo Bodei

Vedi anche:  http://www.filosofia.it/argomenti/danaro-lavoro-macchine-in-hegel


Il modello hegeliano di sistema quale «circolo di circoli» - che non è chiusura al nuovo, ma piuttosto la sua costante assimilazione per espansione e ritorno in sé - ha il suo fondamento analogico nella natura del danaro. La circolarità del sistema è, infatti, un ininterrotto processo di «arricchimento», analogo alla «ricchezza circolante», la quale aumenta ogni volta la sua massa in proporzione alle dimensioni già raggiunte, inglobando il concreto, attraverso contraddizioni che non sembrano attualmente trovare una soluzione. 

Tale arricchimento del pensiero, mediante ‘circolazione allargata’ è anche storicamente lo schema di sviluppo economico e politico di tutta la civilisierte Welt, poiché tutti i fenomeni più diversi hanno la radice comune nello Zeitgeist che ha «dato l’ordine di avanzare» e di ingrandire le proprie forze. Ormai «la morta ricchezza esiste ora solo nei tesori dei Cosacchi, dei Tartari; nel mondo civilizzato si tratta della ricchezza circolante», che, tuttavia, si distribuisce in maniera estremamente disuguale: «Nella stessa proporzione in cui si accresce la ricchezza, si accresce pure la miseria, se non si provvede a deviarla diversamente tramite ad esempio la colonizzazione». 

Uno dei meriti maggiori della Rivoluzione francese, con l’abolizione del feudalesimo, è stato appunto per Hegel l’impulso dato alla proprietà e alla ricchezza circolanti, sia pure all’interno di laceranti contraddizioni. La dialettica del «danaro» e del «Kapital» si presenta in forma assai articolata nelle                                                   Vorlesungen über Rechtsphilosophie del periodo berlinese. 

Hegel descrive qui – in maniera quasi dickensiana –un’economia contraddistinta dall’elevatissima concentrazione della ricchezza in poche mani e dal conseguente crearsi di una immensa massa di lavoratori poveri o disoccupati, esseri umani sospinti dalla miseria più spaventosa nell’umiliazione e nell’abbrutimento, una situazione alla quale gli Stati cercano inutilmente di porre rimedio con dei «palliativi», come l’emigrazione nelle colonie. Di fonte a un simile spettacolo, Hegel giunge a dire che l’estrema povertà rende lecito, a chi la subisce, anche il furto finalizzato alla propria sopravvivenza: «tale azione è illegale, ma sarebbe ingiusto considerarla come un furto comune. Sì, l’uomo ha diritto a tale azione illegale». Il tramonto dell’epoca è quindi per lui connesso, oltre che alla «farsa» della Restaurazione, all’insolubilità di conflitti come questi, che la filosofia deve indagare con i suoi grandi occhi di civetta. 

lunedì 1 dicembre 2014

domenica 30 novembre 2014

Brevi considerazioni sul proletariato, la crisi e il riformismo oggi - Celso Beltrami

Tra il 2007 e il 2013, i disoccupati (in Italia) sono più che raddoppiati, passando da 1.529.000 a tre milioni e mezzo, il 13,8% della forza lavoro e, per i giovani tra i 15-24 anni, si arriva a toccare il 46% (primo trimestre 2014). L’area della “sofferenza e del disagio occupazionale”, che comprende disoccupati, scoraggiati, cassaintegrati e part-time involontario, tocca oltre nove milioni di persone, ma «probabilmente sono di più»; rispetto al 2012 c’è stato un aumento del 10,1% e rispetto al 2007 del 60,9%, equivalente a oltre tre milioni di individui. Il calo della massa salariale che ne deriva si riflette, ovviamente, sui consumi, diminuiti in percentuali significative, anche e non da ultimo per il settore primario, quello alimentare. Uno studio della CGIL del settembre scorso diceva che c’erano 3 milioni di famiglie (12,3% della popolazione) [che] non riescono a permettersi un pasto proteico ogni due giorni. (il manifesto, 06/09/’13)                                                                                     Un rapporto della Coldiretti rileva, per il 2013, un aumento del 10% – rispetto al 2012 – di coloro che hanno dovuto far ricorso alle mense pubbliche o ai pacchi alimentari, vale a dire 400.000 persone in più, il che porta la cifra complessiva al numero di 4.068.250 (il manifesto, 29/05/’14).                                                                                                                                                                 Ultima annotazione, giusto per sottolineare, oltre che l’infamia, l’assurdità di una formazione sociale in cui il giovanilismo esteriore imperversa nella rappresentazione ideologica del mondo. I giovani sono sempre meno presenti nel mercato del lavoro, come testimoniano immancabilmente i rapporti periodici dell’Istat, mentre è in costante aumento l’occupazione nella fascia d’età tra i 55 – 64 anni, visto che in Italia, come in tanti altri paesi, è stata innalzata la soglia dell’età pensionabile. E’ evidente che un lavoratore anziano non avrà mai l’energia fisica e “morale” di uno giovane, con le ovvie ricadute sulla famigerata produttività, il che conferma, una volta ancora, che, oggi, l’estorsione del plusvalore è perseguita più attraverso l’aumento della torchiatura della forza-lavoro, prevalentemente sotto la forma del plusvalore assoluto, che dell’investimento e della razionalizzazione dei processi produttivi (prevalentemente plusvalore relativo), che comunque non vengono mai meno in assoluto. L’allungamento della “pena del lavoro” riduce la quota di salario differito (la pensione), anche perché accelera il logoramento delle persone e, forse, la loro “dipartita” da questo mondo o dalla “vita attiva”, a costo di subire riduzioni notevoli dell’assegno pensionistico. Anche questo aspetto rientra nell’abbassamento tendenziale del salario al di sotto del valore della forza-lavoro che caratterizza la fase odierna del capitale.

"tra il 1998 […] e il 2004 […] non sono stati meno di trenta milioni i lavoratori che contro la loro volontà hanno perso il lavoro a tempo pieno e il reddito conseguente. Altri milioni sono stati spinti al prepensionamento o hanno subito forme mascherate di licenziamento […]: probabilmente in media il 7-8 per cento dei lavoratori a tempo pieno ha perso il lavoro ogni anno. Con ciò dando quasi sempre l'addio alla propria appartenenza ai ranghi della middle class. Non è stata una catastrofe repentina e di massa, come era successo con la Grande depressione degli anni Trenta. Uno shock che allora sollecitò risposte collettive e altrettanto di massa"( Bruno Cartosio, La grande frattura. Concentrazione della ricchezza e disuguaglianze negli Stati Uniti, Ombre corte, 2013, pag. 58.)

venerdì 21 novembre 2014

TTIP: la storia si ripete - Alberto Bagnai

E allora chiediamoci perché? Perché i nostri governanti ci stanno consegnando a questo progetto che ha benefici irrisori, costi potenzialmente elevati, ed è contraddittorio con la retorica dell'integrazione europea.
 E la risposta è semplice: perché l'Unione Economica e Monetaria, che ci viene venduta come il momento più alto di realizzazione della nostra identità europea, di un nostro comune progetto europeo, in realtà è il momento più infimo del nostro asservimento all'ideologia e agli interessi statunitensi. Ne ho parlato tante volte, non ci ritorno, ma quello che va capito è il senso complessivo dell'operazione, che secondo me è questo: gli Usa hanno bisogno di un mercato di sbocco perché, da potenza declinante, stanno perdendo potere di signoraggio sui mercati internazionali. Gli sviluppi delle relazioni bilaterali fra i BRICS, e in particolare la dedollarizzazione degli scambi fra Cina e Russia, se dovessero generalizzarsi, significherebbero per gli Stati Uniti la fine del periodo dello "stampa (dollari) e compra (ovunque nel mondo)". Il "privilegio esorbitante", come lo chiamava Valery Giscard d'Estaing, verrebbe meno in un mondo nel quale il dollaro non fosse l'unico e solo strumento di regolazione delle transazioni sui mercati internazionali. A questo punto gli Stati Uniti non potrebbero permettersi più di essere in deficit strutturale netto verso l'estero. Puoi essere "acquirente di ultima istanza" se stampi a casa tua la moneta nella quale acquisti. Quando le cose non vanno più esattamente così, ti conviene avere una posizione equilibrata negli scambi con l'estero, altrimenti le cose si mettono male. Il +1% di esportazioni nette che il TTIP potrebbe arrecare agli Stati Uniti andrebbe proprio nel senso di ridurre il loro deficit (a costo di un aumento del nostro). L'Europa diventerebbe la periferia, in una nuova edizione del romanzo di centro e periferia, da voi tanto amato, dove gli Usa, chiedendoci l'Ani, ci inonderebbero della loro liquidità (con la quale il resto del mondo progressivamente avrebbe iniziato a nettarsi le terga), allo scopo di farci acquistare i loro simpatici bistecconi transgenici.
 Sappiamo tutti quali siano gli incentivi che le élite periferiche traggono dal vendere i propri subalterni alle élite del centro, quindi di cosa ci stupiamo? Direi di nulla: BAU! Non è un cane: vuol dire business as usual.
 E naturalmente qui sento i ragli dei piddini renziani (ormai tocca distinguere): "eh, ma l'euro ci aiuterebbe a difenderci!".

No!
 Noooo!
  Nooooooooooooo!

lunedì 17 novembre 2014

A quali condizioni può sopravvivere l'Euro? - Vladimiro Giachè

...l’argomento solitamente più usato dai sostenitori dello status quo monetario non è economico, ma politico: la fine dell’euro, si dice, sarebbe una catastrofe politica dalle implicazioni imprevedibili, in quanto segnerebbe una battuta d’arresto del processo d’integrazione europeo. Al riguardo sarebbe fin troppo facile osservare che, se questo argomento fosse preso veramente sul serio da chi lo propugna, esso implicherebbe la messa in campo di ogni sforzo e compromesso possibile da parte di tutti al fine di evitare l’accentuarsi di quella divergenza tra le economie che rappresenta il vero solco (non più soltanto economico) che si sta scavando in Europa e che – come ho provato ad argomentare – costituisce un pericolo mortale per la stessa sopravvivenza della moneta unica. Implicherebbe insomma uno sforzo comune (di creditori e debitori) per il riaggiustamento all’interno dell’Eurozona. Ma non vediamo nulla di questo, e vediamo invece il sempre più chiaro prevalere di dinamiche legate ai rapporti di forza. Il punto più importante è però un altro: è proprio questa configurazione dell’Unione Economica e Monetaria, imperniata su un’area valutaria ben lontana dall’essere ottimale (e che quindi accentua e non riduce le distanze tra i paesi che ne fanno parte), ciò che sta distruggendo la solidarietà intraeuropea e pone a rischio la possibilità stessa di una civile convivenza: innescando un blame game distruttivo e inconcludente sulle cause della crisi, accompagnato da un vero e proprio trionfo di politiche beggar thy neighbor. Chi voglia davvero l’integrazione europea non può pensare che essa si possa conseguire proseguendo su questa strada, di fatto limitandosi a mettere un cappello politico-istituzionale (estremamente pericoloso stanti gli attuali rapporti di forze all’interno dell’unione) a un’unione monetaria così mal congegnata e implementata come l’attuale. L’attuale costituzione economica dell’Europa non deve essere “completata”, deve essere cambiata radicalmente. O abbandonata.

lunedì 10 novembre 2014

La caduta del Muro di Berlino. Intervista a Vladimiro Giacché





http://www.marx21.it/storia-teoria-e-scienza/storia/24734-la-caduta-del-muro-di-berlino-intervista-a-vladimiro-giacche--mizar-09-11-2014.html

morti - Aristide Bellacicco




I  reduci dal Vietnam (non tutti, però) si svegliavano la notte con  la sensazione precisa di essere diventati qualcun altro. Capitava soprattutto ai più giovani.  Si mettevano a  urlare e cercavano uno specchio per guardarsi, ma ecco, anche così non si capacitavano di essere ancora se stessi.
I genitori o le mogli si alzavano,  gli stavano attorno per rincuorarli.
 “Sono i nervi” dicevano “solo i nervi, tesoro, ora finisce”, e in effetti quella sofferenza  terribile si calmava presto,  come se non fosse che un brutto sogno, ma poi,  durante un’altra notte,  ricompariva nello stesso modo e con la stessa forza.
I medici non ci capivano molto, gli psichiatri sparavano diagnosi fantasiose, e forse il solo che aveva le idee chiare in proposito era  l’anziano barman di Whish, il quale sosteneva che l’omicidio è  una malattia grave che colpisce prima la vittima e poi l’uccisore. 
“Quei ragazzi” diceva “ hanno ammazzato un sacco di gente, laggiù. E’ per questo che ora stanno male.”
La maggior parte di quelli che andavano a bere da Whish sentivano fastidio per l’opinione del barman. La giudicavano sciocca e offensiva. Alcuni  reduci, di quelli che  non avevano disturbi né angosce, una sera gli misero quasi le mani addosso.
“Come ti permetti, stronzo” gli urlarono sul viso “quelli erano lì a difendere il paese, che cazzo c’entra l’omicidio,  ringrazia che sei vecchio.”

venerdì 7 novembre 2014

Corso sul "Capitale" (2) - Riccardo Bellofiore

                                         
 Video del secondo incontro del ciclo di letture del I libro del "Capitale" di Karl Marx organizzato da Noi Restiamo Torino e tenuto da Riccardo Bellofiore (Università di Bergamo).

Primo incontro:
    http://ilcomunista23.blogspot.it/2014/10/corso-sul-capitale-1-riccardo-bellofiore.html

Intervista a György Lukács - Rossana Rossanda (1965)

Che cosa è il reale? Domanda inesorabile d’un vecchio moscovita

il manifesto, 28 luglio 1991


Ho incontrato György Lukács a Budapest nel 1965. In quegli anni il Partito comunista ungherese era ancora sotto lo choc del ’56 e si presentava come molto più aperto di altri partiti dell’Europa dell’Est. Potei incontrare Lukács senza grandi difficoltà, ma forse perché ero un membro «autorevole» di un partito fratello. Viveva da solo in un appartamentino a un piano elevato davanti all’hotel Gellert, perché la moglie era morta da poco ed egli si apprestava a pubblicare la sua opera completa e una fondamentale «ontologia».

La conversazione ha preso spunto nelle recenti posizioni critiche ed estetiche di Ernst Fischer.