...l’argomento solitamente più usato dai sostenitori dello
status quo monetario non è economico, ma politico: la fine dell’euro, si dice,
sarebbe una catastrofe politica dalle implicazioni imprevedibili, in quanto
segnerebbe una battuta d’arresto del processo d’integrazione europeo. Al
riguardo sarebbe fin troppo facile osservare che, se questo argomento fosse
preso veramente sul serio da chi lo propugna, esso implicherebbe la messa in
campo di ogni sforzo e compromesso possibile da parte di tutti al fine di evitare
l’accentuarsi di quella divergenza tra le economie che rappresenta il vero
solco (non più soltanto economico) che si sta scavando in Europa e che – come
ho provato ad argomentare – costituisce un pericolo mortale per la stessa
sopravvivenza della moneta unica. Implicherebbe insomma uno sforzo comune (di
creditori e debitori) per il riaggiustamento all’interno dell’Eurozona. Ma non
vediamo nulla di questo, e vediamo invece il sempre più chiaro prevalere di
dinamiche legate ai rapporti di forza. Il punto più importante è però un altro:
è proprio questa configurazione dell’Unione Economica e Monetaria, imperniata
su un’area valutaria ben lontana dall’essere ottimale (e che quindi accentua e
non riduce le distanze tra i paesi che ne fanno parte), ciò che sta
distruggendo la solidarietà intraeuropea e pone a rischio la possibilità stessa
di una civile convivenza: innescando un blame game distruttivo e inconcludente
sulle cause della crisi, accompagnato da un vero e proprio trionfo di politiche
beggar thy neighbor. Chi voglia davvero l’integrazione europea non può pensare
che essa si possa conseguire proseguendo su questa strada, di fatto limitandosi
a mettere un cappello politico-istituzionale (estremamente pericoloso stanti
gli attuali rapporti di forze all’interno dell’unione) a un’unione monetaria
così mal congegnata e implementata come l’attuale. L’attuale costituzione
economica dell’Europa non deve essere “completata”, deve essere cambiata
radicalmente. O abbandonata.
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