Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/08/il-ruolo-della-germania-nella-crisi.html
seconda parte: https://www.youtube.com/watch?v=l0FhNlxM7Vw
terza parte: https://www.youtube.com/watch?v=r9ijzh9qkeI
La teoria Marxista poggia la sua forza sulla scienza... che ne valida la verità, e la rende disponibile al confronto con qualunque altra teoria che ponga se stessa alla prova del rigoroso riscontro scientifico... il collettivo di formazione Marxista Stefano Garroni propone una serie di incontri teorici partendo da punti di vista alternativi e apparentemente lontani che mostrano, invece, punti fortissimi di convergenza...
domenica 22 gennaio 2017
sabato 21 gennaio 2017
L'imperialismo. Fase suprema del capitalismo*- Vladimir Lenin (1916)
[...] Una delle particolarità dell'imperialismo, collegata
all'accennata cerchia di fenomeni, è la diminuzione dell'emigrazione dai paesi
imperialisti e l'aumento dell'immigrazione in essi di individui provenienti da
paesi più arretrati, con salari inferiori. Secondo Hobson l'emigrazione inglese
è scesa da 242 mila persone nel 1884 a sole 169 mila nel 1900. L'emigrazione
della Germania raggiunse il punto culminante nel decennio 1881-1890, con
1.453.000, e nei due decenni successivi scese a 544 e 341 mila. Invece crebbe
il numero dei lavoratori accorsi in Germania dall'Austria, dall'Italia, dalla
Russia, ecc. Secondo il censimento del 1907 vivevano allora in Germania
1.342.294 stranieri, di cui 440.800 lavoratori industriali e 257.329 lavoratori
della terra [*10]. In Francia i lavoratori delle miniere sono
"in gran parte" stranieri: polacchi, italiani, spagnuoli [*11]. Negli Stati Uniti gli immigrati dall'Europa
orientale e meridionale coprono i posti peggio pagati, mentre i lavoratori
americani danno la maggior percentuale di candidati ai posti di sorveglianza e
ai posti meglio pagati [*12]. L'imperialismo tende a costituire tra i
lavoratori categorie privilegiate e a staccarle dalla grande massa dei
proletari.
Occorre rilevare come in Inghilterra la tendenza
dell'imperialismo a scindere la classe lavoratrice, a rafforzare in essa
l'opportunismo, e quindi a determinare per qualche tempo il ristagno del
movimento operaio, si sia manifestata assai prima della fine del XIX e degli
inizi del XX secolo. Ivi, infatti, le due importanti caratteristiche
dell'imperialismo, cioè un grande possesso coloniale e una posizione di
monopolio nel mercato mondiale, apparvero fin dalla metà del secolo XIX. Marx
ed Engels seguirono per decenni, sistematicamente, la connessione
dell'opportunismo in seno al movimento operaio con le peculiarità imperialiste
del capitalismo inglese. Per esempio Engels scriveva a Marx il 7 ottobre 1858:
"... l'effettivo, progressivo imborghesimento del
proletariato inglese, di modo che questa nazione, che è la più borghese di
tutte, sembra voglia portare le cose al punto da avere un'aristocrazia borghese
e un proletariato accanto alla borghesia. In una nazione che
sfrutta il mondo intero, ciò è in certo qual modo spiegabile".
Circa un quarto di secolo più tardi, in una lettera dell'11
agosto 1881 egli parla delle "peggiori Trade-unions inglesi che si
lasciano guidare da uomini che sono venduti alla borghesia o per lo meno pagati
da essa".
In una lettera a Kautsky del 12 settembre 1882, Engels
scriveva:
"Ella mi domanda che cosa pensino gli operai della
politica coloniale. Ebbene: precisamente lo stesso che della politica in
generale. In realtà non esiste qui alcun partito operaio, ma solo radicali,
conservatori e radicali-liberali, e gli operai si godono tranquillamente
insieme con essi il monopolio commerciale e coloniale dell'Inghilterra sul
mondo" [*13].
Lo stesso dice Engels anche nella prefazione alla seconda
edizione (1892) della Situazione della classe operaia in Inghilterra.
Qui sono svelati chiaramente cause ed effetti. Cause: 1)
sfruttamento del mondo intero per opera di un determinato paese; 2) sua
posizione di monopolio sul mercato mondiale; 3) suo monopolio coloniale.
Effetti: 1) imborghesimento di una parte del proletariato inglese; 2) una parte
del proletariato si fa guidare da capi che sono comprati o almeno ,pagati dalla
borghesia. L'imperialismo dell'inizio del XX secolo ha ultimato la spartizione
del mondo tra un piccolo pugno di Stati, ciascuno dei quali sfrutta attualmente
(nel senso di spremerne soprapprofitti) una parte del " mondo" quasi
altrettanto vasta che quella dell'Inghilterra nel 1858; ciascuno di essi ha sul
mercato mondiale una posizione di monopolio grazie ai trust, ai cartelli, al
capitale finanziario e ai rapporti da creditore a debitore; ciascuno possiede,
fino ad un certo punto, un monopolio coloniale (vedemmo che dei 75 milioni di
chilometri quadrati di tutte le colonie del mondo, ben 65
milioni, cioè l'86 % sono nelle mani delle sei grandi potenze; 61 milioni, cioè
l'81 % appartengono a tre sole potenze).
La situazione odierna è contraddistinta dall'esistenza di
condizioni economiche e politiche tali da accentuare necessariamente
l'inconciliabilità dell'opportunismo con gli interessi generali ed essenziali
del movimento operaio. L'imperialismo, che era virtualmente nel capitalismo,
s'è sviluppato in sistema dominante i monopoli capitalistici hanno preso il
primo posto nell'economia e nella politica; la spartizione del mondo è
ultimata, e d'altro lato in luogo dell'indiviso monopolio dell'Inghilterra
osserviamo la lotta di un piccolo numero di potenze imperialistiche per la
partecipazione al monopolio, lotta che caratterizza tutto l'inizio del XX
secolo. In nessun paese l'opportunismo può più restare completamente vittorioso
nel movimento operaio per una lunga serie di decenni, come fu il caso per
l'Inghilterra nella seconda metà del secolo XIX; ma invece in una serie di
paesi l'opportunismo è diventato maturo, stramaturo e fradicio, perché esso,
sotto l'aspetto di socialsciovinismo, si è fuso interamente con la politica
borghese [*14].
giovedì 19 gennaio 2017
Differenza tra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro*- Karl Marx
*Scritto nell'autunno del 1843 e pubblicato nell'unico numero degli "Annali franco-tedeschi" nel febbraio del 1844. https://www.marxists.org/
AL SUO CARO PATERNO
AMICO
IL CONSIGLIERE SEGRETO DI
GOVERNO SIGNOR LUDWIG VON WESTFALEN DI TREVIRI
QUESTE RIGHE SEGNO DI FILIALE AFFETTO L'AUTORE DEDICA
QUESTE RIGHE SEGNO DI FILIALE AFFETTO L'AUTORE DEDICA
Perdonerà, mio caro paterno Amico, se premetto il Suo nome a me così caro
ad un opuscolo senza importanza. Son troppo impaziente per attendere un'altra
occasione di darLe una piccola prova del mio affetto.
Possano quanti dubitano dell'Idea avere come me la ventura di ammirare un
vecchio giovanilmente vigoroso, che ogni progresso dei tempi saluta con
l'entusiasmo e insieme la saggezza della verità, e che con quell'idealismo
profondamente convinto e solarmente luminoso, che solo conosce la parola vera,
evocatrice degli spiriti tutti del mondo, non mai si ritrasse tremante davanti
alle ombre proiettate dagli spiriti retrogradi, davanti al cielo dei suoi tempi
sovente oscurato da fosche nubi, ma con divina energia e con sguardo virilmente
sicuro sempre, attraverso tutti i mascheramenti, guardò all’empireo, che arde
nel cuore del mondo. Ella, mio paterno Amico, fu sempre per me un vivente argumentum
ad oculos che l’idealismo non è un’immaginazione, ma è una verità. Non ho bisogno di far voti per la Sua salute fisica: lo Spirito è il grande magico
medico, cui Ella si è affidata.
PREFAZIONE
La forma di questo lavoro sarebbe da un lato più rigorosamente
scientifica, dall'altro, in vari punti, meno pedante di quanto non sia se la
sua destinazione originaria non fosse stata quella di una dissertazione di
laurea. A darlo tuttavia alle stampe in questa forma sono indotto da motivi
estrinseci. Inoltre credo di aver risolto in esso un problema della storia della
filosofia greca rimasto finora insoluto.
Gli esperti sanno che per l'argomento di questa trattazione non v'è alcun
lavoro preparatorio in qualche modo utilizzabile. Le chiacchiere che hanno
fatte Cicerone e Plutarco sono state ripetute fino ad oggi. Gassendi, che
liberò Epicuro dall'interdetto col quale lo avevano colpito i Padri della
Chiesa e tutto il Medioevo, l'età dell'irrazionalità in atto, non è che un
momento interessante. Egli si studia di trovare un accomodamento della sua
coscienza cattolica con la sua cultura pagana e di Epicuro con la Chiesa:
fatica, invero, vana. È come se si volesse gettare sul corpo serenamente
florido della greca Laide una cristiana tonaca monacale. Dalla filosofia di
Epicuro Gassendi impara piuttosto che saperci erudire intorno alla medesima.
Si consideri questa trattazione solo come premessa di uno scritto più
ampio, nel quale esporrò specificatamente il ciclo delle filosofie epicurea,
stoica e scettica nei loro nessi con tutta la speculazione greca. I difetti del
presente lavoro in fatto di forma e cose del genere saranno colà eliminati.
Hegel ha certo fissato, nel complesso, con esattezza le linee generali
dei menzionati sistemi; ma da una parte, data la mirabile vastità e arditezza
del piano della sua storia della filosofia, dalla quale soltanto la storia
della filosofia stessa può datarsi, era impossibile entrare nei particolari,
dall’altra al gigantesco pensatore la sua veduta intorno a ciò che egli
chiamava speculativo per eccellenza impediva di riconoscere l'alta importanza
che questi sistemi hanno per la storia della filosofia greca e per lo spirito
greco in generale. Tali sistemi sono la chiave della vera storia della
filosofia greca. Sul loro legame con la vita greca si trova un cenno più
approfondito nello scritto del mio amico Köppen Federico il Grande e i
suoi avversati.
mercoledì 18 gennaio 2017
La scomparsa del marxismo nella didattica e nella ricerca scientifica in economia politica in Italia*- Guglielmo Forges Davanzati**
**(Università del Salento)
La lotta di classe “dall’alto” si è tradotta in una rilevante compressione della quota dei salari sul Pil , un formidabile attacco ai diritti dei lavoratori, e, per quanto qui rileva, una riorganizzazione dei sistemi formativi pienamente funzionale alle nuove forme di regolazione capitalistica. E ha dato luogo anche a una ridefinizione della divisione internazionale del lavoro, che ovviamente ha riguardato anche l’Italia.
domenica 15 gennaio 2017
Marx rivisitato: capitale, lavoro e sfruttamento*- Riccardo Bellofiore
*Da: http://www.dialetticaefilosofia.it/ (pubblicato in Il terzo libro del Capitale di Marx, a cura di Marco L. Guidi, “Trimestre”, XXIX, n.
1-2, 1996, pp. 29-86)
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/01/lacqua-pesante-e-il-bambino-leggero.html
https://ilcomunista23.blogspot.it/2013/09/riproposte-dialettiche-le-astrazioni-in.html

Il metodo del Capitale
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/01/lacqua-pesante-e-il-bambino-leggero.html
https://ilcomunista23.blogspot.it/2013/09/riproposte-dialettiche-le-astrazioni-in.html

Il metodo del Capitale
Il dibattito sul metodo del Capitale è stato sempre molto
sostenuto. Quale concezione della verità ha Marx nella sua opera più matura?
Quale rapporto esiste tra questa teoria della verità e la costruzione dei tre
volumi? Si può certo dire che è un problema legato – come afferma, del resto,
lo stesso Marx nel “Poscritto” alla seconda edizione del I libro – alla
questione di che cosa sia una realtà dialettica, di come una realtà dialettica
possa essere espressa e raccontata in un libro, come appunto quello del
Capitale. Ma in questo modo, forse, il problema si sposta soltanto, dal terreno
epistemologico a quello, se possibile ancora più spinoso, del ruolo e della
portata della dialettica in Marx.
Quello che è certo è che la teoria della verità operante nel
Capitale non ha molto a che vedere con la teoria della conoscenza propria del
cosiddetto materialismo storico, come Marx stesso l’ha sintetizzata ad esempio
nell’“Introduzione” del ’59 a Per la critica dell’economia politica. Il
rapporto di prassi e teoria concepito come primato della struttura sulla
sovrastruttura rimanda agli aspetti più meccanicistici del pensiero di Marx.
D’altra parte, in questo approccio la teoria della conoscenza viene situata
nella sovrastruttura, ed è perciò intesa come conseguente a una data struttura
economica. Questo punto di vista finisce allora con il rivelarsi
intrinsecamente contraddittorio, perché limita la validità della legge posta:
dovendo affermare, implicitamente ma chiaramente, la legge stessa non valida
per la propria teorizzazione.
Il tipo di epistemologia presente nei tre libri del Capitale
fa invece riferimento a una diversa teoria del conoscere, che definiremo del
“presupposto-posto”. Marx l’ha esposta, anche se in modo non completo e
implicito, nell’“Introduzione” del ’57 ai Grundrisse. In questa concezione, il
rapporto teoria-prassi è analizzato all’interno di una teoria della scienza
che: (i) si vuole valida per le sole scienze sociali, e non è perciò
estendibile alle scienze naturali, contro l’interpretazione di Marx data dal
materialismo dialettico; (ii) nell’ambito delle stesse scienze sociali è
definibile, e acquista pregnanza, solo a partire da una determinata soglia
dello sviluppo storico. Le radici di questa visione metodologica sono da
rinvenire in Hegel, nell’Hegel della Scienza della logica di Norimberga.
giovedì 12 gennaio 2017
mercoledì 11 gennaio 2017
Ripensare l’oppressione femminile*- Johanna Brenner, Maria Ramas
*Da: Période https://traduzionimarxiste.wordpress.com/
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/11/genere-e-famiglia-in-marx-una-rassegna.html
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Le divisioni sessuali non sono dunque del tutto integrate
alla divisione del lavoro capitalistica o ai rapporti di produzione, come
prodotti dall’equilibrio delle forze in un dato momento storico. La situazione
storica è essenzialmente definita dallo sviluppo delle forze produttive,
dall’organizzazione della classe operaia, l’organizzazione delle donne fra di
loro e lo stato dell’economia. Qualsiasi trasformazione nella condizione delle
donne della classe operaia, richiede una più ampia responsabilità collettiva
verso le persone dipendenti – sopratutto i bambini. Poiché il sistema attuale
va a beneficio degli uomini, quantomeno nel breve termine, il cambiamento
dipende dalla capacità da parte del movimento femminista di orientare la lotta
di classe operaia in tal senso. Ci sembra dunque che Marx ed Engels abbiano
correttamente identificato la tendenza del capitalismo all’equiparazione dei
sessi. Beninteso, l’uguaglianza dei sessi nel contesto del capitalismo non
equivale alla liberazione delle donne, la quale necessiterebbe di un
superamento del capitalismo. Piuttosto, lo intendiamo come un sistema dinamico,
che trasforma la vita quotidiana e crea le condizioni per nuove forme di lotta
e di coscienza. L’esito della vicenda storica del capitalismo, e della nostra,
sarà determinato da una lotta politica che dovrà comprendere queste tendenze
contraddittorie.
L’oppressione
femminile potrebbe non essere il risultato del «patriarcato», e
nemmeno degli interessi fondamentali del capitalismo. È questa il
presupposto da cui partono la Brenner e la Ramas, al pari dell’obiettivo della
loro potente critica, Michèle Barrett. Secondo quest’ultima, l’oppressione
femminile è il prodotto di un’ideologia borghese, la quale plasma la
soggettività delle classi popolari e favorisce la divisione salariale tra
uomini e donne. Per le autrici del testo che segue, una simile spiegazione non
regge. Ma è necessario compiere una deviazione al fine di spiegare
l’oppressione femminile: comprendere come la riproduzione biologica ed il
lavoro industriale hanno degradato i rapporti di forza tra uomini e donne a
beneficio dei primi. La sfida teorica rappresentata dal tema dell’oppressione
femminile richiede una risposta dialettica, una risposta che sia agli antipodi
rispetto al funzionalismo. Un tale approccio consente di identificare lo
Stato-provvidenza e la lotta per la socializzazione della cura delle persone a
carico come il nodo del problema e, pertanto, della battaglia femminista.
Leggi tutto: https://traduzionimarxiste.wordpress.com/2017/01/05/ripensare-loppressione-femminile/#more-22179
lunedì 9 gennaio 2017
Cuba protagonista del processo di decolonizzazione in Africa*- Alessandra Ciattini
*Da: https://www.lacittafutura.it/
Il dissolvimento dell’Unione Sovietica e dei paesi
socialisti dell’est europeo ha prodotto nel movimento comunista la dispersione
dei suoi appartenenti in gruppuscoli di scarsa rilevanza politica; al contempo,
ha generato un profondo senso di sconfitta e di impotenza, probabilmente non
esaminato fino in fondo, e che purtroppo non ha suscitato un’intensa
riflessione sui caratteri del “socialismo realizzato”, che era stata avviata
con l’affermarsi dello stalinismo.

Questi sentimenti comprensibili, accompagnati da un senso di
smarrimento, e dalla martellante propaganda ideologica mirante a farci credere
che viviamo nel migliore dei mondi possibili e che la “democrazia realizzata” –
come la definisce Luciano Canfora [1] – costituisce il regime politico più
rispettoso dei diritti umani, ci ha fatto dimenticare una serie di vittorie
straordinarie. Ho in mente il fondamentale contributo di Cuba alla
decolonizzazione dell’Africa; processo che negli ultimi decenni – con il mutare
del sistema delle relazioni internazionali – non solo ha subito una battuta
d’arresto, ma addirittura un’involuzione, giacché siamo ormai nel pieno di una
fase neocoloniale e di ritorno alla colonizzazione diretta.
Come scrive lo storico Piero Gleijeses, in una lettera indirizzata a Barack
Obama con l’obiettivo di difendere i cinque cubani fino a qualche
tempo fa ingiustamente incarcerati negli Stati Uniti, la vittoria cubana in Angola e Namibia ebbe
ampie ripercussioni e – citando Nelson Mandela - aggiunge che
smontò il mito dell’invincibilità dell’oppressore bianco. A suo parere tale
vittoria produsse l’umiliazione degli Stati Uniti, evento che questi ultimi non
possono perdonare a Fidel Castro, e per questo si sono rivalsi sui
cinque cubani agenti dell’antiterrorismo, che di fatto sono stati solo dei
<<prigionieri politici>>. Naturalmente si potrebbe aggiungere a
queste parole che la stessa esistenza di Cuba, dopo cinquant’anni di bloqueo,
costituisce un’umiliazione perenne per la superpotenza, difficile da mandare
giù.
sabato 7 gennaio 2017
L’ACQUA PESANTE E IL BAMBINO LEGGERO*- Gianfranco Pala
*Convegno RdC, Roma
2006 [in Il bambino e l’acqua sporca] http://www.webalice.it/gianfrancopala40/pubblicazioni.htm
l’ignoranza teorica di marxismo e la non meditata azione
politica
È né più né meno che un inganno sobillare il popolo
senza offrirgli nessun fondamento solido e meditato per
la sua azione.
Risvegliare speranze fantastiche (non di altro si era
parlato),
lungi dal favorire la salvezza di coloro che soffrono,
porterebbe inevitabilmente alla loro rovina:
rivolgersi ai lavoratori senza possedere idee
rigorosamente scientifiche e teorie ben concrete
significa giocare in modo vuoto e incosciente con la
propaganda,
creando una situazione in cui da un lato un apostolo
predica,
dall’altro un gregge di somari lo sta a sentire a bocca
aperta:
apostoli assurdi e assurdi discepoli.
In un paese civilizzato non si può realizzare nulla
senza teorie ben solide e concrete;
e finora, infatti, nulla è stato realizzato
se non fracasso ed esplosioni improvvise e dannose,
se non iniziative che condurranno alla completa rovina
la causa per la quale ci battiamo.
L’ignoranza non ha mai giovato a nessuno!
[Karl Marx, Colloqui (cur. H.M. Enzensberger – Annenkov
su Weitling)]
1. Un paradosso che si erge di fronte a tutti noi può
servire bene come metafora iniziale. Oggi, date le drammatiche condizioni del
pianeta, forse è meglio provare a salvare l’“acqua”, pulendola, e non il
“bambino”, perché solo in questa maniera, forse, anche lui potrà sopravvivere,
altrimenti nulla potrà procedere. L’acqua potabile, che per noi è
“pesante” come l’essere, è l’analisi del modo di produzione capitalistico che
Marx ha sviluppato, oggettivamente e “cinicamente”, direbbe Lenin; il bambino –
il sedicente marxismo, fuor di metafora – è stato reso così “leggero” che ha
continuato a sguazzare sempre più nell’acqua non solo sporca ma anche molto
inquinata. È cresciuto, sì, ma è cresciuto in un ambiente sempre più lontano e
distaccato da quella pulizia, da quella “potabilità”, che pesa come un macigno,
ora ignorata e sempre più rigettata.
La metafora nella sua interezza non ha, ovviamente, un senso
preciso e corretto per la fisica nucleare; ma vale la pena svilupparla
(menzionando per competenza alcune definizioni di esperti, così da concluderla
rapidamente). Occorre l’acqua pesante per far sì che essa impedisca che la
reazione a catena diventi incontrollabile. Costringendo gli elementi in spazi
sempre più ristretti, ognuno di essi tende a muoversi in maniera unica e
coerente, diventando un unico grande “organo”; si crea così una direzione, non
più caotica e con versi opposti che si annullano dialetticamente. Seguendo per
grandi linee ciò che dicono gli esperti, è indispensabile destabilizzare la
materia inquinante presente nell’acqua grezza, separando dall’acqua i solidi
pesanti che tenderanno a depositarsi, rendendo così necessario un drenaggio
periodico dell’acqua reflua per mantenere pulita la “base”. Il marxismo,
che ha la parte di unico “grande organo” in questo tropo, ha bisogno per la sua
base, per mantenere pulita la sua acqua, che siano periodicamente fatti
precipitare i corpi inquinanti.
venerdì 6 gennaio 2017
Marc Bloch oltre la nouvelle histoire: prospettive teoriche da riscoprire*- Adriana Garroni
*Da: http://figuredellimmaginario.altervista.org/
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/04/la-filosofia-francese-contemporanea.html
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/04/la-filosofia-francese-contemporanea.html
Con questo articolo si
ripercorrere una tappa fondamentale della storia della storiografia moderna: la
reazione contro il positivismo del tardo XIX sec. fino all’elaborazione di
nuovi metodi e nuovi oggetti della ricerca storica novecentesca. Si propone
un’analisi del dibattito storiografico francese novecentesco, dalla storia totale di Marc Bloch
e Lucien Febvre alle riflessioni di Le Goff e altri storici sulla antropologia storica e
sulla, tanto celebrata quanto criticata, dilatazione dell’ambito della ricerca
storica. Si sostiene la necessità di riscoprire quegli strumenti intellettuali
di analisi e di sintesi, ravvisabili certamente nell’opera di Bloch, coi quali
elaborare non solo nuove sintesi della conoscenza storica, ma anche una
interpretazione complessiva delle nostre società, che è condizione necessaria
per il loro miglioramento.
Gli ultimi decenni del XIX sec. furono caratterizzati da una
vera e propria “rivolta contro il positivismo”;1 come ha scritto lo studioso
italiano Angelo D’Orsi, dall’«avvento di una nuova epistéme, ossia l’insieme delle concezioni e dei modi di
considerare e organizzare i processi della conoscenza»,2 ponendo così le basi
per il salto qualitativo della storiografia novecentesca.
La nuova storia si
proponeva di accogliere i migliori risultati della storiografia positivista e
le innovazioni metodologiche e interpretative apportate dalle altre scienze
sociali. Influenzati dal marxismo, gli storici statunitensi furono i primi a
parlare di new history3 e a dare
nuova enfasi ai fattori socio-economici nella spiegazione storica. Cominciarono
a occuparsi di intellectual history e
respinsero le divisioni disciplinari per concentrarsi sui legami che le diverse
attività umane intrattengono con la storia delle società. E così, nel corso del
Novecento si affermò in Europa e negli Stati Uniti l’attenzione verso la storia
della cultura in senso generale, delle idee e delle abitudini mentali degli
uomini in una data epoca e in un dato ambiente. Si trattò di una trasformazione
complessiva della scienza storica, dei suoi oggetti e del suo metodo, che avrà
esiti diversi nei diversi ambienti intellettuali. A questo proposito D'Orsi ha
osservato che:
Una dilatazione dell’ambito disciplinare appare insomma
l’asse su cui si indirizza prevalentemente la storiografia della prima metà del
Novecento, a partire da suggestioni ottocentesche. Il cinquantennio seguente
non farà che sviluppare questa tendenza, portandola talora all’estremo, sino,
in qualche caso, a far perdere a taluna disciplina storiografica il proprio
baricentro.4
giovedì 5 gennaio 2017
A che serve la storia?*- Luciano Canfora (27 febbraio 1998)
Canfora:
Mi chiamo Luciano Canfora, insegno Filologia greca e
latina e mi occupo di storia. Come mai questo mestiere? Credo che le
cause siano sempre molto soggettive, comunque ne immagino una. Quando facevo il
liceo, eravamo alla metà degli anni Cinquanta, cioè in un'epoca di grandi
contrapposizioni ideologiche, politiche, e questo spingeva a studiare la storia
per capire il presente in un modo abbastanza cogente e anche, direi,
drammatico. Ma, nel prosieguo di tempo, mi sono reso conto che questo studio,
senza una buona attrezzatura, non si può condurre e allora il lavoro che faccio
è un lavoro che si potrebbe definire un lavoro preparatorio allo studio della
storia appunto, allo studio dei testi. Si discute molto se questo sia un
mestiere produttivo, quello di studiare la storia. Molti dubitano che sia
utile. Io credo che per cominciare una discussione sulla storia, possiamo
vedere la scheda che racconta in breve di che la storia per lo più tratta.
Sosteneva Cicerone che chiunque non fosse a conoscenza
del proprio passato non avesse alcun futuro davanti a sé. L'affermazione,
almeno in teoria, - nella pratica le cose stanno un po' diversamente e la storia
la si insegna e la si studia poco - raccoglie il consenso dei più, ma non di
tutti. Un filosofo, sicuramente un po' estremo, ma non per questo meno
importante, come Friedrich Nietzsche, sosteneva infatti che la storia fosse una
disciplina deprecabile e fuorviante, l'espressione massima di quel pensiero
razionale, che impedisce di seguire gli istinti più profondi e vitali della
natura umana. Maestra di vita per alcuni, come Tucidide, Erodoto e Marx, o
esercizio inutile e addirittura dannoso per altri, vedi Seneca o Voltaire,
comunque sia la storia occupa un ruolo decisivo nell'agire umano, dalla cultura
alla politica. Quest'ultima, in particolare, è costantemente soggetta alle
interferenze dell'interpretazione storica, fino a ingenerare l'annosa polemica sull'uso
politico della storia. Qui il rischio della mistificazione è sempre in agguato.
Sicuramente però lo studio della storia può aiutare a interpretare
correttamente il presente. Non a caso alla storia, e al rigore analitico che
essa richiede, i regimi totalitari di questo secolo, hanno contrapposto il
mito, cercando, in presunte età dell'oro - la mitologia germanica per il
nazismo, l'Impero Romano per il fascismo nostrano -, le proprie radici. Chissà
se nei primi vent'anni del secolo ci si fosse applicati un po' di più allo
studio della fine di imperi centrali e un po' meno a mitizzare i Nibelunghi,
forse la barbarie nazista avrebbe trovato terreno meno fertile.
mercoledì 4 gennaio 2017
Perché no al reddito di cittadinanza*- Aldo Giannuli
*Da: http://www.aldogiannuli.it/
A quanto pare, dopo il M5s, Sel, il Pci (già Partito dei
comunisti italiani) ora anche Berlusconi si pronuncia a favore del reddito di
cittadinanza. Tanta convergenza appare un po’ sospetta, vi pare?
Magari varrebbe la pena di chiedersi se tutti intendano la stessa cosa. Tutti
fanno riferimento “all’Europa” ma in Europa esistono sistemi abbastanza diversi
e l’indicazione chiarisce poco. Qui non vogliamo passare in rassegna le diverse
soluzioni adottate, ci limiteremo solo ad alcune osservazioni generali.
Leggi anche: http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-falsa-contrapposizione-tra-reddito-minimo-e-lavoro/
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/12/salario-minimo-garantito-reddito-di.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/12/salario-minimo-garantito-reddito-di.html
I giovani non devono chiedere reddito ma lavoro.
Partiamo da una premessa: se si sta pensando ad
un modello una tantum per venire incontro alle situazioni di sofferenza sociale
esistenti, ad esempio un assegno di 5-600 euro per 18 mesi, anche allo scopo di
riattivare il mercato interno e permettere a molte aziende di ripartire ed
assumere, non avremmo nulla da eccepire, salvo fare i conti per capire dove
prendiamo i soldi (ovviamente distraendoli da altre destinazioni attuali). Sin
qui tutto bene, ma questo non è il reddito di cittadinanza, reddito garantito o
comunque lo si voglia chiamare. Con questa espressione si intende un sussidio
stabilmente concesso a chi non raggiunga un certo livello ritenuto necessario
alla sopravvivenza. In alcuni casi il contributo è concesso per un certo
periodo di tempo (in genere uno o due anni), in altri non prevede particolari
limiti di tempo, ma il beneficiario deve accettare le offerte di lavoro che gli
vengono fatte (magari con la facoltà di rifiutare le prime due offerte). In
alcune situazione il reddito non è compatibile con altre forme di reddito,
lavoro incluso, in altre l’assegno statale è una integrazione del salario da un
lavoro precario o comunque sottopagato. Come si vede le forme sono diverse, e
quindi ma qui facciamo un discorso in generale su uno schema base che prevede
un reddito costante per un tempo prolungato.
Il primo problema che si pone è se l’assegno sia
compatibile o no con un altro reddito da lavoro ovviamente basso. Naturalmente
l’assegno statale si immagina sia piuttosto contenuto, diciamo 5 o 600 euro al
mese con i quali nessuno può vivere, per cui, proibire che contemporaneamente
si possa svolgere altro lavoro significa solo incrementare il lavoro nero e
spingere il lavoratore ad accettare lavori senza versamenti di sorta.
Immaginiamo invece che si conceda di affiancare un lavoro all’assegno statale.
Il risultato sarebbe solo quello di spingere i datori di lavoro a tenere bassi
i salari e l’assegno avrebbe solo una funzione adattativa del lavoratore alle
condizioni di sotto salario. Peggio ancora se il reddito statale fosse a tempo:
nessun datore di lavoro accetterebbe di assumere il lavoratore
integrandone il salario essendo molto più facile licenziarlo e trovare un
altro dipendente che goda di un periodo di reddito garantito.
martedì 3 gennaio 2017
Che cos’è l’economia*- Vladimiro Giacché**
*Da: "Materialismo
Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane ”
**(Centro Europa Ricerche)
Leggi anche: http://www.emilianobrancaccio.it/2017/01/03/brancaccio-nellunione-europea-arrestare-i-capitali-non-i-migranti/
...alcune caratteristiche di fondo dell’economia
neoclassica. Essa per un verso si trova in continuità con l’economia classica
di Adam Smith e David Ricardo, sotto un duplice profilo: nel pensare che
l’egoismo degli attori economici, unito alla concorrenza, dia luogo a un
risultato positivo per la società, e nel ritenere che i mercati si
riequilibrino da soli.
D’altra parte però, rispetto agli economisti precedenti
(e in particolare Smith, Ricardo e Marx), l’economia neoclassica si differenzia
sotto almeno tre aspetti importanti: in primo luogo, sposta l’attenzione dalla
produzione al consumo e allo scambio; in secondo luogo, sposta l’attenzione
dall’offerta alla domanda (e più precisamente la domanda di un soggetto che è
l’individuo egoista e razionale); in terzo luogo, accoglie come un dato di
fatto la struttura sociale in essere.
Cosa manca all’economia neoclassica? Volendo sintetizzare,
potremmo rispondere: la consapevolezza della storicità dei fenomeni economici,
della complessità dell’interazione tra soggetto e società e del ruolo
dell’ideologia nella costruzione stessa della teoria economica.
la prova della storicità dell’oggetto dell’economia si
ricava dal mutamento stesso di significato del concetto di “economia” nel corso
del tempo: quella che per noi è oggi l’economia per antonomasia (la produzione
e lo scambio finalizzati al profitto), era definita «crematistica»
(letteralmente: arte di arricchirsi) da Aristotele, che la giudicava contro
natura; Aristotele chiamava invece «economia» (letteralmente: amministrazione
della casa) e giudicava «secondo natura» esclusivamente quell’attività economica
in cui produzione e scambio sono finalizzati al consumo.
Nella società che l’economista studia il comportamento umano
interviene nel processo e ne altera i risultati.
lunedì 2 gennaio 2017
La guerra di tutti contro tutti - Gian Paolo Calchi Novati
Morto
lo storico Calchi Novati studioso di Africa e Terzo Mondo
http://www.corriere.it/cultura/17_gennaio_02/calchi-novati-morto-pavia-africa-terzo-mondo-colonialismo-ispi-ipalmo-074e6eea-d0cf-11e6-bd06-82890b12aab1.shtml
Leggi anche: http://www.sinistrainrete.info/estero/2524.html#.UQEXVy7zhQc.facebook
http://www.corriere.it/cultura/17_gennaio_02/calchi-novati-morto-pavia-africa-terzo-mondo-colonialismo-ispi-ipalmo-074e6eea-d0cf-11e6-bd06-82890b12aab1.shtml
Leggi anche: http://www.sinistrainrete.info/estero/2524.html#.UQEXVy7zhQc.facebook
domenica 1 gennaio 2017
Perchè è fallito il comunismo?*- Domenico Losurdo (9/11/1999)
Sono Domenico Losurdo e insegno Storia
della filosofia all'Università di Urbino. Oggi discutiamo della fine
del comunismo e possiamo iniziare con una scheda introduttiva che potrà
stimolare il dibattito.
Lo storico inglese Eric J. Hobsbawm attribuisce
all'esaurimento dell'esperienza del comunismo sovietico una paradossale
conferma delle tesi di Karl Marx. "Le forme produttive - diceva infatti
Marx - si trasformano in catene della produzione stessa". Secondo questa
teoria, quando un sistema produttivo invecchia, intrappola l'economia e
determina così la crisi del mondo sociale, che era espressione di quel modello
economico. La crisi dell'economia sovietica ha prodotto la fine del mondo
comunista. "Il tentativo comunista produsse - scrive Hobsbawm - risultati
notevoli, ma a costi umani elevatissimi e intollerabili e al prezzo di
edificare ciò che alla fine si è rivelato una economia senza sbocchi e un
sistema politico sul quale non si può esprimere alcun giudizio positivo. La
tragedia della Rivoluzione d'Ottobre sta nel fatto che essa poteva solo
produrre quel tipo di socialismo: spietato, brutale, autoritario. "Nel
fallimento del comunismo non si può dimenticare però - dice ancora Hobsbawm -
che la Rivoluzione d'Ottobre produsse il più formidabile movimento
rivoluzionario organizzato della storia moderna". La sua espansione
mondiale non ha paragoni e, per trovare nel passato un elemento simile, bisogna
risalire alle conquiste realizzate dall'Islam nel primo secolo della sua
storia. Appena trenta o quarant'anni dopo l'arrivo di Lenin alla stazione
Finlandia di Pietrogrado, un terzo dell'umanità si trovò a vivere sotto regimi
partiti direttamente dai dieci giorni che sconvolsero il mondo. Che cosa è
stato allora il comunismo per il Novecento? L'eredità di un movimento che ha
coinvolto milioni di persone ad ogni latitudine del pianeta può consistere
soltanto nel passato di un'illusione?
STUDENTESSA:
Come simbolo della trasmissione noi
abbiamo scelto la falce e il martello perché maggiormente rappresentano e
descrivono il comunismo e quello che era il suo ideale di una società senza
classi, senza proprietà privata, nelle mani del proletariato. Questi sono tutti
principi teorici perché quando il comunismo ha preso il potere ha conosciuto
strumenti come la dittatura, le armi, la strage. Secondo Lei, non si è
contraddetto nel tempo? Oppure non è stata proprio questa forma di
degenerazione a portarne la caduta?
LOSURDO:
venerdì 30 dicembre 2016
CONTROSTORIA DEL SECOLO BREVE, nazismo, fascismo e seconda guerra mondiale - Renato Caputo
12 LEZIONE. LA SECONDA GUERRA MONDIALE
L’invasione della Polonia e della Francia; l’intervento dell’Italia; la guerra d’Inghilterra; la guerra della Germania e dei suoi alleati contro l’U.R.S.S.; l’intervento in guerra degli U.S.A; la svolta del 1942-1943; la caduta del fascismo in Italia; la resistenza; la vittoria degli alleati:
11 LEZIONE. L’AVVENTO IN GERMANIA DEL NAZIONALSOCIALISMO E IL FASCISMO FINO ALLA SECONDA GUERRA MONDIALE
L’eliminazione delle opposizioni e la conquista del potere; il regime totalitario nazionalsocialista; La guerra di Etiopia; la guerra civile spagnola: https://www.youtube.com/watch?v=u3ph6vNo8hE&feature=share
L’invasione della Polonia e della Francia; l’intervento dell’Italia; la guerra d’Inghilterra; la guerra della Germania e dei suoi alleati contro l’U.R.S.S.; l’intervento in guerra degli U.S.A; la svolta del 1942-1943; la caduta del fascismo in Italia; la resistenza; la vittoria degli alleati:
11 LEZIONE. L’AVVENTO IN GERMANIA DEL NAZIONALSOCIALISMO E IL FASCISMO FINO ALLA SECONDA GUERRA MONDIALE
L’eliminazione delle opposizioni e la conquista del potere; il regime totalitario nazionalsocialista; La guerra di Etiopia; la guerra civile spagnola: https://www.youtube.com/watch?v=u3ph6vNo8hE&feature=share
Lezioni precedenti: (1/2) https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/10/controstoria-del-secolo-breve-dalla.html
giovedì 29 dicembre 2016
ECONOMIA MALATA, TEORIA CONVALESCENTE*- Marco Palazzotto intervista Giorgio Gattei
Vedi anche: https://www.youtube.com/watch?v=w1h5Xc4JcMM

Abbiamo assistito al fallimento del movimento per Tsipras
in Europa e il governo greco oggi non fa che perpetrare una politica di
austerità in continuità con i precedenti governi (in teoria) più a
destra. Podemos sembra non riuscire a superare l’impronta
populista dell’anti-casta in salsa grillina. Idem in Italia in cui il M5S si
accinge, probabilmente, ad accrescere il proprio potere, soprattutto se il
governo Renzi non riuscirà a superare il voto referendario. Alcuni segnali
positivi arrivano dall’Inghilterra, che almeno vede ricompattare una sinistra
attorno a Corbyn. Che percorsi occorre intraprendere in Italia e in Europa,
secondo te, per costruire un movimento di massa che faccia da contraltare alle
politiche di austerità e che tenti di superare il potere dei grandi comitati
d’affari europei rappresentati dalle istituzioni UE e dal blocco
franco-tedesco?
Sullo stato attuale di ciò che avrebbe dovuto essere una “sinistra eterna” e di cui ha parlato da qualche parte François Furet (ma che adesso proprio ‘eterna’ non può dirsi), al momento la vedo andare alla deriva per la perdita del doppio ancoraggio alla marxiana critica dell’economia politica e alla pratica della lotta di classe che è stata sostituita da una accozzaglia di “scontri di civiltà”, guerre di religione, conflitti geopolitici e quant’altro. Va però detto che questo fallimento della “sinistra” non è proprio tutto colpa sua, perché come si poteva mantenere “marxista” e “classista” dopo lo squagliamento vergognoso (perché senza nemmeno un gemito) dell’URSS e dopo la dimostrazione logica dell’erroneità di quella “trasformazione dei valori in prezzi di produzione” che avrebbe dovuto confermare che il profitto non è altro che sfruttamento del lavoro altrui? A ciò si è poi aggiunto un tale rimescolamento delle classi sociali che ha trasformato il “capitalismo padronale” di un tempo, quando di contro avevamo le altre persone, nell’attuale “capitalismo patrimoniale” in cui di fronte abbiamo le altre cose. E mi spiego.
Una volta le posizioni di classe erano nette: da una parte c’erano i proletari, sia di città che di campagna, con il loro salario, e dall’altra i “padroni delle ferriere” con i profitti, i proprietari di terre e di case con le rendite, i possessori di risparmi in banca o in borsa con gli interessi e i dividendi. Insomma, c’eravamo noi e c’erano loro. Ma oggi? Complice la grande “rivoluzione salariale” degli anni ’60-’70, il lavoratore medio ha visto crescere il proprio reddito fino al punto di potersi permettere l’acquisto della propria casa e (caso mai) anche una seconda abitazione, mentre col denaro risparmiato s’è comprato azioni e obbligazioni sia pubbliche che private, e perfino il suo accantonamento pensionistico è affidato a fondi d’investimento il cui rendimento è fatto dipendere dall’andamento volubile di borsa. Per questo nella sua denuncia dei redditi possono arrivare a confluire, oltre al salario, anche rendite, interessi, dividendi e addirittura profitti se nel tempo libero esercita, lui o la sua famiglia, una qualche attività in proprio. Ed è per questo che il suo livello di benessere economico viene ad essere il risultato non soltanto dalla remunerazione che gli paga il suo datore di lavoro, ma pure dalla redditività del patrimonio mobiliare e immobiliare che ha costituito nel tempo, alla stessa maniera (fatta salva la dimensione quantitativa) dei “riccastri” di una volta.
Sullo stato attuale di ciò che avrebbe dovuto essere una “sinistra eterna” e di cui ha parlato da qualche parte François Furet (ma che adesso proprio ‘eterna’ non può dirsi), al momento la vedo andare alla deriva per la perdita del doppio ancoraggio alla marxiana critica dell’economia politica e alla pratica della lotta di classe che è stata sostituita da una accozzaglia di “scontri di civiltà”, guerre di religione, conflitti geopolitici e quant’altro. Va però detto che questo fallimento della “sinistra” non è proprio tutto colpa sua, perché come si poteva mantenere “marxista” e “classista” dopo lo squagliamento vergognoso (perché senza nemmeno un gemito) dell’URSS e dopo la dimostrazione logica dell’erroneità di quella “trasformazione dei valori in prezzi di produzione” che avrebbe dovuto confermare che il profitto non è altro che sfruttamento del lavoro altrui? A ciò si è poi aggiunto un tale rimescolamento delle classi sociali che ha trasformato il “capitalismo padronale” di un tempo, quando di contro avevamo le altre persone, nell’attuale “capitalismo patrimoniale” in cui di fronte abbiamo le altre cose. E mi spiego.
Una volta le posizioni di classe erano nette: da una parte c’erano i proletari, sia di città che di campagna, con il loro salario, e dall’altra i “padroni delle ferriere” con i profitti, i proprietari di terre e di case con le rendite, i possessori di risparmi in banca o in borsa con gli interessi e i dividendi. Insomma, c’eravamo noi e c’erano loro. Ma oggi? Complice la grande “rivoluzione salariale” degli anni ’60-’70, il lavoratore medio ha visto crescere il proprio reddito fino al punto di potersi permettere l’acquisto della propria casa e (caso mai) anche una seconda abitazione, mentre col denaro risparmiato s’è comprato azioni e obbligazioni sia pubbliche che private, e perfino il suo accantonamento pensionistico è affidato a fondi d’investimento il cui rendimento è fatto dipendere dall’andamento volubile di borsa. Per questo nella sua denuncia dei redditi possono arrivare a confluire, oltre al salario, anche rendite, interessi, dividendi e addirittura profitti se nel tempo libero esercita, lui o la sua famiglia, una qualche attività in proprio. Ed è per questo che il suo livello di benessere economico viene ad essere il risultato non soltanto dalla remunerazione che gli paga il suo datore di lavoro, ma pure dalla redditività del patrimonio mobiliare e immobiliare che ha costituito nel tempo, alla stessa maniera (fatta salva la dimensione quantitativa) dei “riccastri” di una volta.
mercoledì 28 dicembre 2016
martedì 27 dicembre 2016
Sergio Cesaratto: "Sei Lezioni di economia"- Fassina, Gawronski, Moavero, La Malfa.
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