La teoria Marxista poggia la sua forza sulla scienza... che ne valida la verità, e la rende disponibile al confronto con qualunque altra teoria che ponga se stessa alla prova del rigoroso riscontro scientifico... il collettivo di formazione Marxista Stefano Garroni propone una serie di incontri teorici partendo da punti di vista alternativi e apparentemente lontani che mostrano, invece, punti fortissimi di convergenza...
giovedì 12 gennaio 2017
mercoledì 11 gennaio 2017
Ripensare l’oppressione femminile*- Johanna Brenner, Maria Ramas
*Da: Période https://traduzionimarxiste.wordpress.com/
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/11/genere-e-famiglia-in-marx-una-rassegna.html
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Abbiamo difeso l’idea secondo la quale i rapporti di classe
nella produzione capitalistica, coniugati ai fattori biologici della
riproduzione, hanno innescato un potente processo che ha condotto al sistema
familiare-domestico, assicurando così la subordinazione costante delle donne e
la loro vulnerabilità eccessiva allo sfruttamento capitalista. Evidenziando
come l’oppressione femminile in regime capitalistico derivi dal confronto tra
imperativi dell’accumulazione capitalista, da una parte, e le strutture della
riproduzione umana, dall’altra, la nostra analisi si è concentrata
sull’organizzazione di un movimento per le donne della classe operaia. Perché
se lo sviluppo del capitalismo nel XIX secolo ha posto le basi per un
rovesciamento del sistema familiare-domestico aprendo la via verso altri
sistemi, l’implementazione di questi ultimi richiede una lotta politica. I
rapporti di classe capitalisti, motivati dalla ricerca del profitto,
continueranno ad esercitare pressioni per privatizzare la riproduzione ed imporre
alle famiglie della classe operaia il peso delle persone a carico. Questa
tendenza, e l’incapacità, fino ad oggi, della classe operaia a porvi freno,
sono sufficienti a spiegare la persistenza della divisione sessuale del lavoro
e l’ineguaglianza dei sessi.
Le divisioni sessuali non sono dunque del tutto integrate
alla divisione del lavoro capitalistica o ai rapporti di produzione, come
prodotti dall’equilibrio delle forze in un dato momento storico. La situazione
storica è essenzialmente definita dallo sviluppo delle forze produttive,
dall’organizzazione della classe operaia, l’organizzazione delle donne fra di
loro e lo stato dell’economia. Qualsiasi trasformazione nella condizione delle
donne della classe operaia, richiede una più ampia responsabilità collettiva
verso le persone dipendenti – sopratutto i bambini. Poiché il sistema attuale
va a beneficio degli uomini, quantomeno nel breve termine, il cambiamento
dipende dalla capacità da parte del movimento femminista di orientare la lotta
di classe operaia in tal senso. Ci sembra dunque che Marx ed Engels abbiano
correttamente identificato la tendenza del capitalismo all’equiparazione dei
sessi. Beninteso, l’uguaglianza dei sessi nel contesto del capitalismo non
equivale alla liberazione delle donne, la quale necessiterebbe di un
superamento del capitalismo. Piuttosto, lo intendiamo come un sistema dinamico,
che trasforma la vita quotidiana e crea le condizioni per nuove forme di lotta
e di coscienza. L’esito della vicenda storica del capitalismo, e della nostra,
sarà determinato da una lotta politica che dovrà comprendere queste tendenze
contraddittorie.
L’oppressione
femminile potrebbe non essere il risultato del «patriarcato», e
nemmeno degli interessi fondamentali del capitalismo. È questa il
presupposto da cui partono la Brenner e la Ramas, al pari dell’obiettivo della
loro potente critica, Michèle Barrett. Secondo quest’ultima, l’oppressione
femminile è il prodotto di un’ideologia borghese, la quale plasma la
soggettività delle classi popolari e favorisce la divisione salariale tra
uomini e donne. Per le autrici del testo che segue, una simile spiegazione non
regge. Ma è necessario compiere una deviazione al fine di spiegare
l’oppressione femminile: comprendere come la riproduzione biologica ed il
lavoro industriale hanno degradato i rapporti di forza tra uomini e donne a
beneficio dei primi. La sfida teorica rappresentata dal tema dell’oppressione
femminile richiede una risposta dialettica, una risposta che sia agli antipodi
rispetto al funzionalismo. Un tale approccio consente di identificare lo
Stato-provvidenza e la lotta per la socializzazione della cura delle persone a
carico come il nodo del problema e, pertanto, della battaglia femminista.
Leggi tutto: https://traduzionimarxiste.wordpress.com/2017/01/05/ripensare-loppressione-femminile/#more-22179
lunedì 9 gennaio 2017
Cuba protagonista del processo di decolonizzazione in Africa*- Alessandra Ciattini
*Da: https://www.lacittafutura.it/
Il dissolvimento dell’Unione Sovietica e dei paesi
socialisti dell’est europeo ha prodotto nel movimento comunista la dispersione
dei suoi appartenenti in gruppuscoli di scarsa rilevanza politica; al contempo,
ha generato un profondo senso di sconfitta e di impotenza, probabilmente non
esaminato fino in fondo, e che purtroppo non ha suscitato un’intensa
riflessione sui caratteri del “socialismo realizzato”, che era stata avviata
con l’affermarsi dello stalinismo.
Il dissolvimento dell’Unione Sovietica e dei paesi
socialisti dell’est europeo ha prodotto nel movimento comunista la dispersione
dei suoi appartenenti in gruppuscoli di scarsa rilevanza politica; al contempo,
ha generato un profondo senso di sconfitta e di impotenza, probabilmente non
esaminato fino in fondo, e che purtroppo non ha suscitato un’intensa
riflessione sui caratteri del “socialismo realizzato”, che era stata avviata
con l’affermarsi dello stalinismo.
Questi sentimenti comprensibili, accompagnati da un senso di
smarrimento, e dalla martellante propaganda ideologica mirante a farci credere
che viviamo nel migliore dei mondi possibili e che la “democrazia realizzata” –
come la definisce Luciano Canfora [1] – costituisce il regime politico più
rispettoso dei diritti umani, ci ha fatto dimenticare una serie di vittorie
straordinarie. Ho in mente il fondamentale contributo di Cuba alla
decolonizzazione dell’Africa; processo che negli ultimi decenni – con il mutare
del sistema delle relazioni internazionali – non solo ha subito una battuta
d’arresto, ma addirittura un’involuzione, giacché siamo ormai nel pieno di una
fase neocoloniale e di ritorno alla colonizzazione diretta.
Come scrive lo storico Piero Gleijeses, in una lettera indirizzata a Barack
Obama con l’obiettivo di difendere i cinque cubani fino a qualche
tempo fa ingiustamente incarcerati negli Stati Uniti, la vittoria cubana in Angola e Namibia ebbe
ampie ripercussioni e – citando Nelson Mandela - aggiunge che
smontò il mito dell’invincibilità dell’oppressore bianco. A suo parere tale
vittoria produsse l’umiliazione degli Stati Uniti, evento che questi ultimi non
possono perdonare a Fidel Castro, e per questo si sono rivalsi sui
cinque cubani agenti dell’antiterrorismo, che di fatto sono stati solo dei
<<prigionieri politici>>. Naturalmente si potrebbe aggiungere a
queste parole che la stessa esistenza di Cuba, dopo cinquant’anni di bloqueo,
costituisce un’umiliazione perenne per la superpotenza, difficile da mandare
giù.
sabato 7 gennaio 2017
L’ACQUA PESANTE E IL BAMBINO LEGGERO*- Gianfranco Pala
*Convegno RdC, Roma
2006 [in Il bambino e l’acqua sporca] http://www.webalice.it/gianfrancopala40/pubblicazioni.htm
l’ignoranza teorica di marxismo e la non meditata azione
politica
È né più né meno che un inganno sobillare il popolo
senza offrirgli nessun fondamento solido e meditato per
la sua azione.
Risvegliare speranze fantastiche (non di altro si era
parlato),
lungi dal favorire la salvezza di coloro che soffrono,
porterebbe inevitabilmente alla loro rovina:
rivolgersi ai lavoratori senza possedere idee
rigorosamente scientifiche e teorie ben concrete
significa giocare in modo vuoto e incosciente con la
propaganda,
creando una situazione in cui da un lato un apostolo
predica,
dall’altro un gregge di somari lo sta a sentire a bocca
aperta:
apostoli assurdi e assurdi discepoli.
In un paese civilizzato non si può realizzare nulla
senza teorie ben solide e concrete;
e finora, infatti, nulla è stato realizzato
se non fracasso ed esplosioni improvvise e dannose,
se non iniziative che condurranno alla completa rovina
la causa per la quale ci battiamo.
L’ignoranza non ha mai giovato a nessuno!
[Karl Marx, Colloqui (cur. H.M. Enzensberger – Annenkov
su Weitling)]
1. Un paradosso che si erge di fronte a tutti noi può
servire bene come metafora iniziale. Oggi, date le drammatiche condizioni del
pianeta, forse è meglio provare a salvare l’“acqua”, pulendola, e non il
“bambino”, perché solo in questa maniera, forse, anche lui potrà sopravvivere,
altrimenti nulla potrà procedere. L’acqua potabile, che per noi è
“pesante” come l’essere, è l’analisi del modo di produzione capitalistico che
Marx ha sviluppato, oggettivamente e “cinicamente”, direbbe Lenin; il bambino –
il sedicente marxismo, fuor di metafora – è stato reso così “leggero” che ha
continuato a sguazzare sempre più nell’acqua non solo sporca ma anche molto
inquinata. È cresciuto, sì, ma è cresciuto in un ambiente sempre più lontano e
distaccato da quella pulizia, da quella “potabilità”, che pesa come un macigno,
ora ignorata e sempre più rigettata.
La metafora nella sua interezza non ha, ovviamente, un senso
preciso e corretto per la fisica nucleare; ma vale la pena svilupparla
(menzionando per competenza alcune definizioni di esperti, così da concluderla
rapidamente). Occorre l’acqua pesante per far sì che essa impedisca che la
reazione a catena diventi incontrollabile. Costringendo gli elementi in spazi
sempre più ristretti, ognuno di essi tende a muoversi in maniera unica e
coerente, diventando un unico grande “organo”; si crea così una direzione, non
più caotica e con versi opposti che si annullano dialetticamente. Seguendo per
grandi linee ciò che dicono gli esperti, è indispensabile destabilizzare la
materia inquinante presente nell’acqua grezza, separando dall’acqua i solidi
pesanti che tenderanno a depositarsi, rendendo così necessario un drenaggio
periodico dell’acqua reflua per mantenere pulita la “base”. Il marxismo,
che ha la parte di unico “grande organo” in questo tropo, ha bisogno per la sua
base, per mantenere pulita la sua acqua, che siano periodicamente fatti
precipitare i corpi inquinanti.
venerdì 6 gennaio 2017
Marc Bloch oltre la nouvelle histoire: prospettive teoriche da riscoprire*- Adriana Garroni
*Da: http://figuredellimmaginario.altervista.org/
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/04/la-filosofia-francese-contemporanea.html
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/04/la-filosofia-francese-contemporanea.html
Con questo articolo si
ripercorrere una tappa fondamentale della storia della storiografia moderna: la
reazione contro il positivismo del tardo XIX sec. fino all’elaborazione di
nuovi metodi e nuovi oggetti della ricerca storica novecentesca. Si propone
un’analisi del dibattito storiografico francese novecentesco, dalla storia totale di Marc Bloch
e Lucien Febvre alle riflessioni di Le Goff e altri storici sulla antropologia storica e
sulla, tanto celebrata quanto criticata, dilatazione dell’ambito della ricerca
storica. Si sostiene la necessità di riscoprire quegli strumenti intellettuali
di analisi e di sintesi, ravvisabili certamente nell’opera di Bloch, coi quali
elaborare non solo nuove sintesi della conoscenza storica, ma anche una
interpretazione complessiva delle nostre società, che è condizione necessaria
per il loro miglioramento.
Gli ultimi decenni del XIX sec. furono caratterizzati da una
vera e propria “rivolta contro il positivismo”;1 come ha scritto lo studioso
italiano Angelo D’Orsi, dall’«avvento di una nuova epistéme, ossia l’insieme delle concezioni e dei modi di
considerare e organizzare i processi della conoscenza»,2 ponendo così le basi
per il salto qualitativo della storiografia novecentesca.
La nuova storia si
proponeva di accogliere i migliori risultati della storiografia positivista e
le innovazioni metodologiche e interpretative apportate dalle altre scienze
sociali. Influenzati dal marxismo, gli storici statunitensi furono i primi a
parlare di new history3 e a dare
nuova enfasi ai fattori socio-economici nella spiegazione storica. Cominciarono
a occuparsi di intellectual history e
respinsero le divisioni disciplinari per concentrarsi sui legami che le diverse
attività umane intrattengono con la storia delle società. E così, nel corso del
Novecento si affermò in Europa e negli Stati Uniti l’attenzione verso la storia
della cultura in senso generale, delle idee e delle abitudini mentali degli
uomini in una data epoca e in un dato ambiente. Si trattò di una trasformazione
complessiva della scienza storica, dei suoi oggetti e del suo metodo, che avrà
esiti diversi nei diversi ambienti intellettuali. A questo proposito D'Orsi ha
osservato che:
Una dilatazione dell’ambito disciplinare appare insomma
l’asse su cui si indirizza prevalentemente la storiografia della prima metà del
Novecento, a partire da suggestioni ottocentesche. Il cinquantennio seguente
non farà che sviluppare questa tendenza, portandola talora all’estremo, sino,
in qualche caso, a far perdere a taluna disciplina storiografica il proprio
baricentro.4
giovedì 5 gennaio 2017
A che serve la storia?*- Luciano Canfora (27 febbraio 1998)
Canfora:
Mi chiamo Luciano Canfora, insegno Filologia greca e
latina e mi occupo di storia. Come mai questo mestiere? Credo che le
cause siano sempre molto soggettive, comunque ne immagino una. Quando facevo il
liceo, eravamo alla metà degli anni Cinquanta, cioè in un'epoca di grandi
contrapposizioni ideologiche, politiche, e questo spingeva a studiare la storia
per capire il presente in un modo abbastanza cogente e anche, direi,
drammatico. Ma, nel prosieguo di tempo, mi sono reso conto che questo studio,
senza una buona attrezzatura, non si può condurre e allora il lavoro che faccio
è un lavoro che si potrebbe definire un lavoro preparatorio allo studio della
storia appunto, allo studio dei testi. Si discute molto se questo sia un
mestiere produttivo, quello di studiare la storia. Molti dubitano che sia
utile. Io credo che per cominciare una discussione sulla storia, possiamo
vedere la scheda che racconta in breve di che la storia per lo più tratta.
Sosteneva Cicerone che chiunque non fosse a conoscenza
del proprio passato non avesse alcun futuro davanti a sé. L'affermazione,
almeno in teoria, - nella pratica le cose stanno un po' diversamente e la storia
la si insegna e la si studia poco - raccoglie il consenso dei più, ma non di
tutti. Un filosofo, sicuramente un po' estremo, ma non per questo meno
importante, come Friedrich Nietzsche, sosteneva infatti che la storia fosse una
disciplina deprecabile e fuorviante, l'espressione massima di quel pensiero
razionale, che impedisce di seguire gli istinti più profondi e vitali della
natura umana. Maestra di vita per alcuni, come Tucidide, Erodoto e Marx, o
esercizio inutile e addirittura dannoso per altri, vedi Seneca o Voltaire,
comunque sia la storia occupa un ruolo decisivo nell'agire umano, dalla cultura
alla politica. Quest'ultima, in particolare, è costantemente soggetta alle
interferenze dell'interpretazione storica, fino a ingenerare l'annosa polemica sull'uso
politico della storia. Qui il rischio della mistificazione è sempre in agguato.
Sicuramente però lo studio della storia può aiutare a interpretare
correttamente il presente. Non a caso alla storia, e al rigore analitico che
essa richiede, i regimi totalitari di questo secolo, hanno contrapposto il
mito, cercando, in presunte età dell'oro - la mitologia germanica per il
nazismo, l'Impero Romano per il fascismo nostrano -, le proprie radici. Chissà
se nei primi vent'anni del secolo ci si fosse applicati un po' di più allo
studio della fine di imperi centrali e un po' meno a mitizzare i Nibelunghi,
forse la barbarie nazista avrebbe trovato terreno meno fertile.
mercoledì 4 gennaio 2017
Perché no al reddito di cittadinanza*- Aldo Giannuli
*Da: http://www.aldogiannuli.it/
A quanto pare, dopo il M5s, Sel, il Pci (già Partito dei
comunisti italiani) ora anche Berlusconi si pronuncia a favore del reddito di
cittadinanza. Tanta convergenza appare un po’ sospetta, vi pare?
Magari varrebbe la pena di chiedersi se tutti intendano la stessa cosa. Tutti
fanno riferimento “all’Europa” ma in Europa esistono sistemi abbastanza diversi
e l’indicazione chiarisce poco. Qui non vogliamo passare in rassegna le diverse
soluzioni adottate, ci limiteremo solo ad alcune osservazioni generali.
Leggi anche: http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-falsa-contrapposizione-tra-reddito-minimo-e-lavoro/
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/12/salario-minimo-garantito-reddito-di.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/12/salario-minimo-garantito-reddito-di.html
I giovani non devono chiedere reddito ma lavoro.
Partiamo da una premessa: se si sta pensando ad
un modello una tantum per venire incontro alle situazioni di sofferenza sociale
esistenti, ad esempio un assegno di 5-600 euro per 18 mesi, anche allo scopo di
riattivare il mercato interno e permettere a molte aziende di ripartire ed
assumere, non avremmo nulla da eccepire, salvo fare i conti per capire dove
prendiamo i soldi (ovviamente distraendoli da altre destinazioni attuali). Sin
qui tutto bene, ma questo non è il reddito di cittadinanza, reddito garantito o
comunque lo si voglia chiamare. Con questa espressione si intende un sussidio
stabilmente concesso a chi non raggiunga un certo livello ritenuto necessario
alla sopravvivenza. In alcuni casi il contributo è concesso per un certo
periodo di tempo (in genere uno o due anni), in altri non prevede particolari
limiti di tempo, ma il beneficiario deve accettare le offerte di lavoro che gli
vengono fatte (magari con la facoltà di rifiutare le prime due offerte). In
alcune situazione il reddito non è compatibile con altre forme di reddito,
lavoro incluso, in altre l’assegno statale è una integrazione del salario da un
lavoro precario o comunque sottopagato. Come si vede le forme sono diverse, e
quindi ma qui facciamo un discorso in generale su uno schema base che prevede
un reddito costante per un tempo prolungato.
Il primo problema che si pone è se l’assegno sia
compatibile o no con un altro reddito da lavoro ovviamente basso. Naturalmente
l’assegno statale si immagina sia piuttosto contenuto, diciamo 5 o 600 euro al
mese con i quali nessuno può vivere, per cui, proibire che contemporaneamente
si possa svolgere altro lavoro significa solo incrementare il lavoro nero e
spingere il lavoratore ad accettare lavori senza versamenti di sorta.
Immaginiamo invece che si conceda di affiancare un lavoro all’assegno statale.
Il risultato sarebbe solo quello di spingere i datori di lavoro a tenere bassi
i salari e l’assegno avrebbe solo una funzione adattativa del lavoratore alle
condizioni di sotto salario. Peggio ancora se il reddito statale fosse a tempo:
nessun datore di lavoro accetterebbe di assumere il lavoratore
integrandone il salario essendo molto più facile licenziarlo e trovare un
altro dipendente che goda di un periodo di reddito garantito.
martedì 3 gennaio 2017
Che cos’è l’economia*- Vladimiro Giacché**
*Da: "Materialismo
Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane ”
**(Centro Europa Ricerche)
Leggi anche: http://www.emilianobrancaccio.it/2017/01/03/brancaccio-nellunione-europea-arrestare-i-capitali-non-i-migranti/
...alcune caratteristiche di fondo dell’economia
neoclassica. Essa per un verso si trova in continuità con l’economia classica
di Adam Smith e David Ricardo, sotto un duplice profilo: nel pensare che
l’egoismo degli attori economici, unito alla concorrenza, dia luogo a un
risultato positivo per la società, e nel ritenere che i mercati si
riequilibrino da soli.
D’altra parte però, rispetto agli economisti precedenti
(e in particolare Smith, Ricardo e Marx), l’economia neoclassica si differenzia
sotto almeno tre aspetti importanti: in primo luogo, sposta l’attenzione dalla
produzione al consumo e allo scambio; in secondo luogo, sposta l’attenzione
dall’offerta alla domanda (e più precisamente la domanda di un soggetto che è
l’individuo egoista e razionale); in terzo luogo, accoglie come un dato di
fatto la struttura sociale in essere.
Cosa manca all’economia neoclassica? Volendo sintetizzare,
potremmo rispondere: la consapevolezza della storicità dei fenomeni economici,
della complessità dell’interazione tra soggetto e società e del ruolo
dell’ideologia nella costruzione stessa della teoria economica.
la prova della storicità dell’oggetto dell’economia si
ricava dal mutamento stesso di significato del concetto di “economia” nel corso
del tempo: quella che per noi è oggi l’economia per antonomasia (la produzione
e lo scambio finalizzati al profitto), era definita «crematistica»
(letteralmente: arte di arricchirsi) da Aristotele, che la giudicava contro
natura; Aristotele chiamava invece «economia» (letteralmente: amministrazione
della casa) e giudicava «secondo natura» esclusivamente quell’attività economica
in cui produzione e scambio sono finalizzati al consumo.
Nella società che l’economista studia il comportamento umano
interviene nel processo e ne altera i risultati.
lunedì 2 gennaio 2017
La guerra di tutti contro tutti - Gian Paolo Calchi Novati
Morto
lo storico Calchi Novati studioso di Africa e Terzo Mondo
http://www.corriere.it/cultura/17_gennaio_02/calchi-novati-morto-pavia-africa-terzo-mondo-colonialismo-ispi-ipalmo-074e6eea-d0cf-11e6-bd06-82890b12aab1.shtml
Leggi anche: http://www.sinistrainrete.info/estero/2524.html#.UQEXVy7zhQc.facebook
http://www.corriere.it/cultura/17_gennaio_02/calchi-novati-morto-pavia-africa-terzo-mondo-colonialismo-ispi-ipalmo-074e6eea-d0cf-11e6-bd06-82890b12aab1.shtml
Leggi anche: http://www.sinistrainrete.info/estero/2524.html#.UQEXVy7zhQc.facebook
domenica 1 gennaio 2017
Perchè è fallito il comunismo?*- Domenico Losurdo (9/11/1999)
Sono Domenico Losurdo e insegno Storia
della filosofia all'Università di Urbino. Oggi discutiamo della fine
del comunismo e possiamo iniziare con una scheda introduttiva che potrà
stimolare il dibattito.
Lo storico inglese Eric J. Hobsbawm attribuisce
all'esaurimento dell'esperienza del comunismo sovietico una paradossale
conferma delle tesi di Karl Marx. "Le forme produttive - diceva infatti
Marx - si trasformano in catene della produzione stessa". Secondo questa
teoria, quando un sistema produttivo invecchia, intrappola l'economia e
determina così la crisi del mondo sociale, che era espressione di quel modello
economico. La crisi dell'economia sovietica ha prodotto la fine del mondo
comunista. "Il tentativo comunista produsse - scrive Hobsbawm - risultati
notevoli, ma a costi umani elevatissimi e intollerabili e al prezzo di
edificare ciò che alla fine si è rivelato una economia senza sbocchi e un
sistema politico sul quale non si può esprimere alcun giudizio positivo. La
tragedia della Rivoluzione d'Ottobre sta nel fatto che essa poteva solo
produrre quel tipo di socialismo: spietato, brutale, autoritario. "Nel
fallimento del comunismo non si può dimenticare però - dice ancora Hobsbawm -
che la Rivoluzione d'Ottobre produsse il più formidabile movimento
rivoluzionario organizzato della storia moderna". La sua espansione
mondiale non ha paragoni e, per trovare nel passato un elemento simile, bisogna
risalire alle conquiste realizzate dall'Islam nel primo secolo della sua
storia. Appena trenta o quarant'anni dopo l'arrivo di Lenin alla stazione
Finlandia di Pietrogrado, un terzo dell'umanità si trovò a vivere sotto regimi
partiti direttamente dai dieci giorni che sconvolsero il mondo. Che cosa è
stato allora il comunismo per il Novecento? L'eredità di un movimento che ha
coinvolto milioni di persone ad ogni latitudine del pianeta può consistere
soltanto nel passato di un'illusione?
STUDENTESSA:
Come simbolo della trasmissione noi
abbiamo scelto la falce e il martello perché maggiormente rappresentano e
descrivono il comunismo e quello che era il suo ideale di una società senza
classi, senza proprietà privata, nelle mani del proletariato. Questi sono tutti
principi teorici perché quando il comunismo ha preso il potere ha conosciuto
strumenti come la dittatura, le armi, la strage. Secondo Lei, non si è
contraddetto nel tempo? Oppure non è stata proprio questa forma di
degenerazione a portarne la caduta?
LOSURDO:
venerdì 30 dicembre 2016
CONTROSTORIA DEL SECOLO BREVE, nazismo, fascismo e seconda guerra mondiale - Renato Caputo
12 LEZIONE. LA SECONDA GUERRA MONDIALE
L’invasione della Polonia e della Francia; l’intervento dell’Italia; la guerra d’Inghilterra; la guerra della Germania e dei suoi alleati contro l’U.R.S.S.; l’intervento in guerra degli U.S.A; la svolta del 1942-1943; la caduta del fascismo in Italia; la resistenza; la vittoria degli alleati:
11 LEZIONE. L’AVVENTO IN GERMANIA DEL NAZIONALSOCIALISMO E IL FASCISMO FINO ALLA SECONDA GUERRA MONDIALE
L’eliminazione delle opposizioni e la conquista del potere; il regime totalitario nazionalsocialista; La guerra di Etiopia; la guerra civile spagnola: https://www.youtube.com/watch?v=u3ph6vNo8hE&feature=share
L’invasione della Polonia e della Francia; l’intervento dell’Italia; la guerra d’Inghilterra; la guerra della Germania e dei suoi alleati contro l’U.R.S.S.; l’intervento in guerra degli U.S.A; la svolta del 1942-1943; la caduta del fascismo in Italia; la resistenza; la vittoria degli alleati:
11 LEZIONE. L’AVVENTO IN GERMANIA DEL NAZIONALSOCIALISMO E IL FASCISMO FINO ALLA SECONDA GUERRA MONDIALE
L’eliminazione delle opposizioni e la conquista del potere; il regime totalitario nazionalsocialista; La guerra di Etiopia; la guerra civile spagnola: https://www.youtube.com/watch?v=u3ph6vNo8hE&feature=share
Lezioni precedenti: (1/2) https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/10/controstoria-del-secolo-breve-dalla.html
giovedì 29 dicembre 2016
ECONOMIA MALATA, TEORIA CONVALESCENTE*- Marco Palazzotto intervista Giorgio Gattei
Vedi anche: https://www.youtube.com/watch?v=w1h5Xc4JcMM

Abbiamo assistito al fallimento del movimento per Tsipras
in Europa e il governo greco oggi non fa che perpetrare una politica di
austerità in continuità con i precedenti governi (in teoria) più a
destra. Podemos sembra non riuscire a superare l’impronta
populista dell’anti-casta in salsa grillina. Idem in Italia in cui il M5S si
accinge, probabilmente, ad accrescere il proprio potere, soprattutto se il
governo Renzi non riuscirà a superare il voto referendario. Alcuni segnali
positivi arrivano dall’Inghilterra, che almeno vede ricompattare una sinistra
attorno a Corbyn. Che percorsi occorre intraprendere in Italia e in Europa,
secondo te, per costruire un movimento di massa che faccia da contraltare alle
politiche di austerità e che tenti di superare il potere dei grandi comitati
d’affari europei rappresentati dalle istituzioni UE e dal blocco
franco-tedesco?
Sullo stato attuale di ciò che avrebbe dovuto essere una “sinistra eterna” e di cui ha parlato da qualche parte François Furet (ma che adesso proprio ‘eterna’ non può dirsi), al momento la vedo andare alla deriva per la perdita del doppio ancoraggio alla marxiana critica dell’economia politica e alla pratica della lotta di classe che è stata sostituita da una accozzaglia di “scontri di civiltà”, guerre di religione, conflitti geopolitici e quant’altro. Va però detto che questo fallimento della “sinistra” non è proprio tutto colpa sua, perché come si poteva mantenere “marxista” e “classista” dopo lo squagliamento vergognoso (perché senza nemmeno un gemito) dell’URSS e dopo la dimostrazione logica dell’erroneità di quella “trasformazione dei valori in prezzi di produzione” che avrebbe dovuto confermare che il profitto non è altro che sfruttamento del lavoro altrui? A ciò si è poi aggiunto un tale rimescolamento delle classi sociali che ha trasformato il “capitalismo padronale” di un tempo, quando di contro avevamo le altre persone, nell’attuale “capitalismo patrimoniale” in cui di fronte abbiamo le altre cose. E mi spiego.
Una volta le posizioni di classe erano nette: da una parte c’erano i proletari, sia di città che di campagna, con il loro salario, e dall’altra i “padroni delle ferriere” con i profitti, i proprietari di terre e di case con le rendite, i possessori di risparmi in banca o in borsa con gli interessi e i dividendi. Insomma, c’eravamo noi e c’erano loro. Ma oggi? Complice la grande “rivoluzione salariale” degli anni ’60-’70, il lavoratore medio ha visto crescere il proprio reddito fino al punto di potersi permettere l’acquisto della propria casa e (caso mai) anche una seconda abitazione, mentre col denaro risparmiato s’è comprato azioni e obbligazioni sia pubbliche che private, e perfino il suo accantonamento pensionistico è affidato a fondi d’investimento il cui rendimento è fatto dipendere dall’andamento volubile di borsa. Per questo nella sua denuncia dei redditi possono arrivare a confluire, oltre al salario, anche rendite, interessi, dividendi e addirittura profitti se nel tempo libero esercita, lui o la sua famiglia, una qualche attività in proprio. Ed è per questo che il suo livello di benessere economico viene ad essere il risultato non soltanto dalla remunerazione che gli paga il suo datore di lavoro, ma pure dalla redditività del patrimonio mobiliare e immobiliare che ha costituito nel tempo, alla stessa maniera (fatta salva la dimensione quantitativa) dei “riccastri” di una volta.
Sullo stato attuale di ciò che avrebbe dovuto essere una “sinistra eterna” e di cui ha parlato da qualche parte François Furet (ma che adesso proprio ‘eterna’ non può dirsi), al momento la vedo andare alla deriva per la perdita del doppio ancoraggio alla marxiana critica dell’economia politica e alla pratica della lotta di classe che è stata sostituita da una accozzaglia di “scontri di civiltà”, guerre di religione, conflitti geopolitici e quant’altro. Va però detto che questo fallimento della “sinistra” non è proprio tutto colpa sua, perché come si poteva mantenere “marxista” e “classista” dopo lo squagliamento vergognoso (perché senza nemmeno un gemito) dell’URSS e dopo la dimostrazione logica dell’erroneità di quella “trasformazione dei valori in prezzi di produzione” che avrebbe dovuto confermare che il profitto non è altro che sfruttamento del lavoro altrui? A ciò si è poi aggiunto un tale rimescolamento delle classi sociali che ha trasformato il “capitalismo padronale” di un tempo, quando di contro avevamo le altre persone, nell’attuale “capitalismo patrimoniale” in cui di fronte abbiamo le altre cose. E mi spiego.
Una volta le posizioni di classe erano nette: da una parte c’erano i proletari, sia di città che di campagna, con il loro salario, e dall’altra i “padroni delle ferriere” con i profitti, i proprietari di terre e di case con le rendite, i possessori di risparmi in banca o in borsa con gli interessi e i dividendi. Insomma, c’eravamo noi e c’erano loro. Ma oggi? Complice la grande “rivoluzione salariale” degli anni ’60-’70, il lavoratore medio ha visto crescere il proprio reddito fino al punto di potersi permettere l’acquisto della propria casa e (caso mai) anche una seconda abitazione, mentre col denaro risparmiato s’è comprato azioni e obbligazioni sia pubbliche che private, e perfino il suo accantonamento pensionistico è affidato a fondi d’investimento il cui rendimento è fatto dipendere dall’andamento volubile di borsa. Per questo nella sua denuncia dei redditi possono arrivare a confluire, oltre al salario, anche rendite, interessi, dividendi e addirittura profitti se nel tempo libero esercita, lui o la sua famiglia, una qualche attività in proprio. Ed è per questo che il suo livello di benessere economico viene ad essere il risultato non soltanto dalla remunerazione che gli paga il suo datore di lavoro, ma pure dalla redditività del patrimonio mobiliare e immobiliare che ha costituito nel tempo, alla stessa maniera (fatta salva la dimensione quantitativa) dei “riccastri” di una volta.
mercoledì 28 dicembre 2016
martedì 27 dicembre 2016
Sergio Cesaratto: "Sei Lezioni di economia"- Fassina, Gawronski, Moavero, La Malfa.
lunedì 26 dicembre 2016
Per una rinascita del materialismo storico negli studi di filosofia, storia e scienze umane*- Stefano G. Azzarà**
Da diversi decenni, gli studi di orientamento
storico-materialistico in ambito filosofico – ma considerazioni non molto
diverse potrebbero essere fatte per l’ambito storico e più in generale per le
scienze umane nel loro complesso – versano nelle università italiane in una
situazione di grave difficoltà. Non ricostruisco qui nei dettagli il rilevante
significato culturale che per una lunga stagione questa corrente ha avuto nel
nostro paese. La linea di pensiero che da Labriola conduce a Gramsci e al
gramscismo ha ripensato dalle fondamenta le categorie del marxismo,
riconducendole al loro rapporto genetico con la dialettica hegeliana e dunque
sia con l’esperienza della filosofia classica tedesca in senso stretto, sia con
tutto il dibattito politico-culturale che dalla Rivoluzione francese ha
attraversato il XIX secolo. Questa impostazione, che più volte si è misurata
con le autonome prese di posizione di Croce e Gentile e che dunque ha saputo dialogare
con i punti più alti della tradizione filosofica italiana, ha saputo proporre
poi su queste basi una riflessione originale. Una riflessione che dopo la
sconfitta del fascismo e la fine della Seconda guerra mondiale, e da quel
momento almeno fino agli anni Settanta del Novecento, non solo ha contribuito a
modernizzare il dibattito culturale di un paese che risultava ancora per larghi
tratti arretrato rispetto alle esperienze europee più avanzate ma ha anche
posto le basi intellettuali per una sua rinascita civile e politica.
Ritengo sbagliata, largamente immaginaria e persino
strumentale la tesi assai diffusa che parla di un interminabile inverno del
pensiero all’insegna dell’egemonia culturale marxista in Italia, sia quando
questa tesi assume il tono nostalgico del rimpianto di una nobiltà perduta, sia
– come per lo più in verità accade – quando si presenta come il sospiro di
sollievo caricaturale di chi ritiene di essersi liberato una volta per tutte da
una dittatura ideologica soffocante e persino totalitaria. Tuttavia, è vero
che, proprio prendendo sul serio la riflessione gramsciana sulla posizione
decisiva della produzione culturale nel funzionamento della società, sul ruolo
degli intellettuali e sull’importanza della dimensione del consenso nella
politica, il marxismo italiano aveva saputo esercitare su molteplici piani
un’influenza assai profonda, in grado di confrontarsi ad armi pari con altre e
diverse tradizioni – dal liberalismo all’azionismo, dall’esistenzialismo al
personalismo cattolico – che rendevano un tempo quanto mai ricco e pluralistico
il panorama filosofico nazionale. E da qui aveva saputo proiettarsi
all’avanguardia del dibattito internazionale, facendo conoscere e apprezzare in
tutti i paesi l’afflato umanistico, storicistico e universalistico – e dunque
profondamente democratico – della sua ispirazione.
Oggi la situazione appare molto diversa per questa
impostazione e un patrimonio culturale di grande rilievo è andato in frantumi e
sembra essersi del tutto disperso. Lasciato libero il campo dalle vecchie
generazioni di studiosi, il materialismo storico non ha pressoché più
cittadinanza nel mondo accademico in quanto tradizione di studi con una sua
legittimità e autonomia. E se ancora persiste un certo rispetto “archeologico”
nei suoi confronti quando si guarda alle acquisizioni del passato, la sua
stessa dignità scientifica non viene più riconosciuta e viene semmai contestata
quando si tratta invece di affrontare le grandi questioni del presente.
mercoledì 21 dicembre 2016
Epoca, fasi storiche, Capitalismi. ("Forme" e "figure" nella teoria della Storia di Marx)*- Roberto Fineschi
lunedì 19 dicembre 2016
CONTROSTORIA DEL SECOLO BREVE, Il fascismo, La crisi del 1929. - Renato Caputo
10 LEZIONE: LA GRANDE CRISI ECONOMICA DEL 1929 E LE SUE CONSEGUENZE: La crisi del 1929; tentativi di uscire dalla crisi: protezionismo e autarchia; gli Usa dal dopoguerra al New Deal; la Francia dal dopoguerra al Fronte popolare:
9 LEZIONE. IL FASCISMO: la sconfitta del movimento operaio e la controffensiva fascista; l’avvento del fascismo; le istituzioni dello stato fascista in Italia; il Concordato con la Chiesa: https://www.youtube.com/watch?v=TQfcE7LlFQE&feature=share
9 LEZIONE. IL FASCISMO: la sconfitta del movimento operaio e la controffensiva fascista; l’avvento del fascismo; le istituzioni dello stato fascista in Italia; il Concordato con la Chiesa: https://www.youtube.com/watch?v=TQfcE7LlFQE&feature=share
Lezioni precedenti: (1/2) https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/10/controstoria-del-secolo-breve-dalla.html
martedì 13 dicembre 2016
Populismo*- Elena Maria Fabrizio
Tra i sintomi che affliggono le democrazie occidentali, la
manipolazione dell’opinione pubblica e la manipolazione del voto sono i più
noti. E non c’è consultazione politica e referendaria, con o senza quorum, che
non confermi questo trend. Così, puntualmente, nell’ultima consultazione la
tutela della Costituzione e il conseguente rigetto di una riforma
irresponsabile che non ci avrebbe protetto da maggioranze retrograde, populiste
e autoritarie, viene surclassato da altri dati, dotati di scarsa oggettività e
più semplicistici. Non solo i cittadini avrebbero innanzi tutto votato per dire
Sì o No al Presidente del Consiglio Renzi e al suo governo, ma con questa
scelta, più che esprimersi sulla sua politica e le sue leggi, si sarebbero di
fatto espressi sull’alternativa Renzi o il populismo, che è ovviamente sempre
quello degli altri, Salvini e Grillo in primis. Sembra quasi superfluo
evidenziare che la carente analiticità di questa lettura eleva il populismo a
giudizio di secondo grado cui scadono nell’analisi del voto, ma già prima nei
modi e nei toni della campagna referendaria, quegli stessi sostenitori che
hanno eretto il Pd a partito antipopulista per eccellenza; il quale non cede
alla tentazione di dividere ancora una volta l’elettorato nel popolo che interpreta
correttamente i propri valori (cambiamento, bellezza, sogno, futuro) dal popolo
che al contrario ne sarebbe incapace.
La comunicazione sistematicamente
distorta dell’ideologia dominante
domenica 11 dicembre 2016
Fidel e la religione*- Alessandra Ciattini
In un articolo dedicato al marxismo cubano, Aurelio
Alonso Tejada sottolinea giustamente le capacità tattiche e
strategiche di Fidel Castro in quanto dirigente politico [1], ma occorre
aggiungere che il pragmatismo del capo storico della Rivoluzione cubana non
costituisce un’opzione che fa strame dei principi, ma anzi ad essi si richiama
per individuare la tattica più adeguata per metterli in pratica.
A mio parere tali capacità risaltano in particolare
nell’atteggiamento politico che Fidel ha tenuto nei confronti
della religione, che a Cuba si presenta in un ventaglio complesso di
manifestazioni, e nei confronti delle correnti progressiste sorte sia in seno alla
Chiesa Cattolica che alle Chiese protestanti in America Latina.
Ricorderò, in primo luogo, i rapporti che stabilì, durante
un suo viaggio in Cile, con il Movimento dei cristiani per il
socialismo, quando si riunì con un gruppo di sacerdoti (dicembre 1971) e
formulò i due principi a cui si sarebbe dovuta ispirare la collaborazione tra i
marxisti e i cristiani. Essi sono: 1) i cristiani costituiscono <<alleati
strategici>> dei marxisti per portare avanti il processo di liberazione
dell’America Latina; 2) il cristiano può accettare tranquillamente la
metodologia analitica marxista, senza mettere in discussione la propria fede
religiosa.
Successivamente, l’anno seguente, Fidel invitò a Cuba dodici
sacerdoti cileni, i quali parteciparono ad attività di lavoro volontario. Alla
conclusione di questa significativa esperienza questi sacerdoti pubblicarono
sul Granmaun’importante dichiarazione che evidenziava una
convergenza di intenti tra i cristiani rivoluzionari e i marxisti. In tale
dichiarazione si evidenziavano queste 3 considerazioni: 1) l’origine dei mali
dell’America Latina sta nello sfruttamento capitalistico; 2) il socialismo
costituisce una necessità storica; 3) i cristiani debbono considerarsi
obbligati moralmente a lottare insieme ai marxisti contro la violenza
istituzionalizzata generata nel subcontinente dal capitalismo [2].
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