La teoria Marxista poggia la sua forza sulla scienza... che ne valida la verità, e la rende disponibile al confronto con qualunque altra teoria che ponga se stessa alla prova del rigoroso riscontro scientifico... il collettivo di formazione Marxista Stefano Garroni propone una serie di incontri teorici partendo da punti di vista alternativi e apparentemente lontani che mostrano, invece, punti fortissimi di convergenza...
domenica 29 maggio 2016
sabato 28 maggio 2016
MODERNITÀ IN CHIAROSCURO. SPLENDORI E MISERIE DEI DIRITTI UMANI* - Alessandra Ciattini
In un'interessante
lezione Federico Martino ha ricostruito la storia dei diritti umani, mostrando
la stretta relazione che essi intrattengono con l'individualismo occidentale e
con il costituirsi della borghesia. Tale legame di classe ostacola però la loro
efficace applicazione.
Il passato 6 maggio Federico Martino, storico
del diritto e professore emerito dell'Università di Messina, ha tenuto
un'interessante lezione sui diritti umani, il cui titolo coincide
con quello del presente articolo. La lezione è stata tenuta nell'ambito del
corso di Antropologia culturale, disciplina il cui oggetto precipuo è
rappresentato dallo studio delle differenze tra le forme di vita sociale che si
sono succedute nella storia e che coesistono nella società contemporanea, sia
pure ormai inserite in un unico sistema politico-economico profondamente
conflittuale. In ambito antropologico l'indagine sulle differenze è sempre
accompagnata dalla riflessione sulla possibilità di individuare un denominatore
comune che possa fungere da elemento di raccordo tra le diversità che, in
seguito ai processi migratori degli ultimi decenni, costellano la nostra vita
quotidiana.
Federico Martino ha esordito indicando quali erano i
presupposti metodologici a cui si richiamava per illustrare sia pure rapidamente
la storia di tali principi fondativi della nostra forma di organizzazione
sociale, rimarcando al contempo le criticità che sono strettamente connesse
alla loro applicazione, assai spesso ispirata alla volontà di ingerenza ed
espansione.
Tali presupposti metodologici sono stati individuati in
questi tre assunti: 1) la storia è sempre storia contemporanea, nel senso che
lo studioso parte dai problemi dell'oggi per riflettere sul passato, pur
rifuggendo da una prospettiva riduzionistica che leggerebbe quest'ultimo come
mera anticipazione dell'attuale; 2) le idee scaturiscono dalle relazioni
sociali tra gli uomini, le quali si fondando sui rapporti di produzione, e al
tempo stesso le prime interagiscono dialetticamente con tale dimensione; 3) ogni
forma di comprensione storica studia i fenomeni nella loro specificità e
particolarità, ma si pone anche l'obiettivo di inquadrarli in categorie di
carattere più generale; in questo senso lo studioso non si limita ad osservare
il singolo albero strappandolo dalla foresta, ossia dal quadro generale nel
quale esso si colloca.
Fatte queste premesse Martino ha letto un passo assai
significativo della Dichiarazione di indipendenza dalla Gran Bretagna delle 13
colonie statunitensi scritta da Thomas Jefferson nel 1776, e che rappresenta un
buon condensato del nucleo fondamentale dei diritti umani così come ancora oggi
in larga parte sono intesi. Così scrive Jefferson: “Noi riteniamo che le
seguenti verità siano di per se stesse evidenti; che tutti gli uomini siano stati
creati uguali, che essi sono stati dotati dal loro creatore di alcuni diritti
inalienabili, che fra questi sono la Vita, la Libertà, e la ricerca della
Felicità; che allo scopo di garantire questi diritti sono creati fra gli uomini
i Governi; che ogni qual volta una qualsiasi forma di Governo tende a negare
tali fini, è Diritto del Popolo modificarlo o distruggerlo, e creare un nuovo
Governo, che si fondi su quei principi e che abbia i propri poteri ordinati in
quella guisa che gli sembri più idoneo al raggiungimento della sua sicurezza e
felicità” [1] (Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d'America).
venerdì 27 maggio 2016
Dialoghi di profughi XIII.* - Bertolt Brecht
*Da: https://www.facebook.com/notes/maurizio-bosco/dialoghi-di-profughi-xiii-bertolt-brecht/10151315869518348?pnref=story

LA LAPPONIA, OVVERO AUTODOMINIO E CORAGGIO. – PARASSITI.
Ziffel e Kalle perlustrarono il paese: Kalle mettendo il naso ora qui, ora lì, come piazzista di articoli da ufficio; Ziffel alla ricerca di impiego come chimico incontrando sempre dei rifiuti. Ogni tanto si ritrovavano nella capitale, al ristorante della stazione: un locale cui ambedue si erano affezionati proprio per il suo squallore. Lì si scambiavano le loro impressioni, davanti a un bicchiere di birra che non era birra e ad una tazza di caffè che non era caffè.

LA LAPPONIA, OVVERO AUTODOMINIO E CORAGGIO. – PARASSITI.
Ziffel e Kalle perlustrarono il paese: Kalle mettendo il naso ora qui, ora lì, come piazzista di articoli da ufficio; Ziffel alla ricerca di impiego come chimico incontrando sempre dei rifiuti. Ogni tanto si ritrovavano nella capitale, al ristorante della stazione: un locale cui ambedue si erano affezionati proprio per il suo squallore. Lì si scambiavano le loro impressioni, davanti a un bicchiere di birra che non era birra e ad una tazza di caffè che non era caffè.
ZIFFEL Cesare descrisse la
Gallia, paese che conosceva perché vi aveva sconfitto i Galli. Ziffel, descrivi
G., il paese che conosci perché vi sei stato sconfitto! Non riesco a trovare
lavoro, qui.
KALLE Questo è un bellissimo
preambolo, come me l’aspetto da lei. E non occorre che aggiunga altro, si
tranquillizzi pure, so già che non ha visto niente.
ZIFFEL Ho visto abbastanza
per sapere che in questo paese fioriscono notevoli virtù. Per esempio il
dominio di se stessi. E’ un vero paradiso per gli Stoici, lei certo avrà
sentito parlare di questi antichi filosofi e della stoica indifferenza con cui
pare sopportassero ogni sorta di avversità. Si dice: chi vuole dominare gli
altri deve imparare a dominare se stesso. Ma in realtà si dovrebbe dire: chi
vuol dominare gli altri, deve insegnar loro a dominare se stessi. Insomma la
gente qui è dominata da proprietari terrieri e da industriali, ma anche da se
stessa, ciò che vien chiamato democrazia. Il primo comandamento del dominio di
se stessi dice: tieni la bocca chiusa. In un regime democratico ci si aggiunge
la libertà di parola, controbilanciata dal divieto di abusarne, cioè di
parlare. E’ chiaro?
KALLE No.
giovedì 26 maggio 2016
Sulla coscienza di classe nell'attuale fase del capitalismo* - VITTORIO RIESER

Partiamo, estremizzandoli, da due possibili (e “classici”,
perché si sono periodicamente riproposti) “poli di risposta”:
- l’offuscamento
della coscienza di classe è dovuto al fatto che le organizzazioni del movimento
operaio hanno abbandonato una prospettiva di classe (è la classica ipotesi del
complotto-tradimento);
- l’offuscamento della coscienza di classe è la conseguenza
inevitabile dei mutamenti strutturali (e non solo strutturali) del capitalismo:
che fan sì (a seconda delle interpretazioni) che “la classe non c’è più” o “si
è integrata nel sistema” o “si è atomizzata” (e via sproloquiando). (...)
La gamma di alternative oggi “percepibili” da un lavoratore
è drasticamente limitata, anche rispetto a un passato non molto lontano:
soprattutto, da questa gamma sono assenti ipotesi alternative complessive
sull’economia e la società. In primo luogo, oggi le organizzazioni del
movimento operaio (ci riferiamo sempre all’occidente capitalistico, e in primo
luogo all’Italia) non propongono più alternative del genere. (Non ci riferiamo,
ovviamente, ad alternative “rivoluzionarie classiche”, ma ai “nuovi modelli di
sviluppo” o di democrazia proposti ad es. dai sindacati o dal PCI in Italia
negli anni 60-70). Su questo si innesta l’efficacia (parziale) dei grandi mezzi
di comunicazione di massa: parziale perché questi non riescono a far passare
un’adesione e un consenso al modello di società da essi divulgato, ma riescono
a farlo passare per l’unico possibile, in sostanza come “male inevitabile” (la
crisi erode ulteriormente gli elementi di consenso, ma rafforza l’idea di
inevitabilità).
Complessa è l’evoluzione dei sindacati. La CISL è la prima a
“fare i conti” con la sconfitta dell’89, con una netta svolta a destra. La CGIL
evita di fare esplicitamente un bilancio critico, e mantiene elementi di debole
continuità con la fase precedente. Di fatto, i sindacati non possono assumere
organicamente uno schema liberista che è in contraddizione con la loro stessa
natura e funzione: approdano quindi a un’impostazione “concertativa”, che è la
riproposta di un modello di relazioni industriali a suo tempo chiamato
“neo-corporativo”, maturato nell’ultima fase del fordismo. Ma, se allora era un
mix di concessioni e di contropartite, ora – nella situazione mutata – si ripresenta
in una versione “debole”, in cui le concessioni e i vincoli superano nettamente
le contropartite e i margini di iniziativa contrattuale autonoma. La CISL
innesta su questo una sua ideologia della “partecipazione”, mentre la CGIL
rilancia tardivamente un modello di “co-determinazione” (dove l’analisi “di
classe” non scompare) quando non ci sono più le condizioni per realizzarlo, per
cui rimane sulla carta. La conseguenza pratica di tutto questo è che i
sindacati “gestiscono il riflusso”, in un’impostazione puramente difensiva
anche quando le condizioni oggettive riaprirebbero possibilità di
controffensiva.
Alla fine degli anni 50-inizio anni 60, chi avesse fatto
un’inchiesta sulla coscienza di classe si sarebbe trovato di fronte a
“brandelli di coscienza” non dissimili da quelli riscontrati nell’inchiesta di
Brescia: una lucida valutazione negativa della propria condizione e delle sue
cause, accompagnate da una sfiducia nelle possibilità di cambiamento generale,
e – quindi – da ricerca di soluzioni individuali, talvolta “opportunistiche”.
E’ questo il materiale su cui hanno “lavorato” le organizzazioni che, negli
anni successivi, hanno costruito una grande stagione di lotta e coscienza di
classe. Ma vi erano due profondi elementi di differenza con la situazione
attuale:
- esistevano organizzazioni o parti di esse (mi riferisco in
particolare alla CGIL) che perseguivano lucidamente un disegno di
“ricostruzione di classe” nella prospettiva di un cambiamento sociale;
- le condizioni dello sviluppo capitalistico (pensiamo ad
es. agli anni del “miracolo economico”) favorivano lo sviluppo delle lotte
operaie.
Tutto ciò ha permesso di innescare un “circolo virtuoso” tra
comportamenti delle organizzazioni (via via estesi a organizzazioni prima più
“arretrate”), esperienze di lotta, sviluppo di coscienza, che ha portato al
grande decennio tra la fine degli anni 60 e la fine degli anni 70.
Leggi tutto: http://www.sinistrainrete.info/analisi-di-classe/1004-vittorio-rieser-sulla-coscienza-di-classe-nellattuale-fase-del-capitalismo.html
Leggi anche: http://ilcomunista23.blogspot.it/2014/05/riflessioni-senili-ruota-libera-su.html
mercoledì 25 maggio 2016
“Manifesto per la libertà del pensiero economico contro la dittatura della teoria dominante e per una nuova etica”. Una adesione critica.* - Riccardo Bellofiore
Leggi il Manifesto: http://www.syloslabini.info/online/wp-content/uploads/2010/01/MANIFESTO4.pdf
Aderisco al Manifesto per la libertà del pensiero economico,
perché segna una importante messa in discussione del modo con cui viene
condotta la ricerca economica oggi. Credo però giusto aggiungere alla firma
alcuni commenti e anche alcune critiche, visto che non pochi sono i punti di
dissenso con il Manifesto.
1. Non credo che gli
ultimi 30 anni abbiano visto la rinascita di un "fondamentalismo
liberista". Questa è stata l'apparenza ideologica. Abbiamo vissuto una
fase niente affatto caratterizzata dal laisser faire. Il pensiero dominante si
è piuttosto teoricamente diviso tra ripresa dell'approccio in ultima istanza
walrasiano, sempre meno rilevante, e imperfezionismo dei dissenzienti dal
mainstream neoclassico puro e duro. Corrispettivamente si è avuta la spaccatura
tra neoliberismo (liberista sul mercato del lavoro, ma non sul mercato dei beni
e dei servizi; tutto meno che ostile davvero ai disavanzi di bilancio;
favorevole ai monopoli, come testimoniano le figure stesse di Berlusconi o di
Bush; etc.) e socialliberismo (che
oppone mercato a capitale, che vuole "liberalizzare per
riregolamentare"; che favorisce il bilancio dello stato in
pareggio, e però vagheggia una
qualche redistribuzione del reddito;
che concentra la critica
alla finanza nella domanda di una mera regolamentazione).
Il socialliberismo, si badi, è cosa ben diversa dal liberalsocialismo (la
tradizione di Ernesto Rossi, Paolo Sylos Labini, o di Norberto Bobbio), ben più
radicale nella sua critica al capitalismo. Neoliberismo e socialliberismo sono
approcci irriducibili l'uno all'altro. La critica al pensiero dominante non può
stare sotto il cappello della opposizione a un presunto pensiero unico. La
critica in economia deve essere aggiornata, ma deve dunque essere molto più
radicale, andando all'origine della debolezza, non solo dei filoni (tra loro
conflittuali) del mainstream, ma anche delle varie eterodossie. E' un fatto che
a uscire con le ossa rotte è stato più il socialliberismo che il neoliberismo,
che ha saputo cambiare pelle; e che l'eterodossia ha saputo opporre poco più
che diverse forme del "ritorno a".
martedì 24 maggio 2016
Leggere la crisi: stagnazione secolare o caduta tendenziale del saggio di profitto?* - Vladimiro Giacché**
*In: Società natura
storia, Studi in onore di Lorenzo Calabi, a cura di Andrea Civello , Pisa,
Ed.ETS 2015, pp.269-284 **Da: www.academia.edu
In una ricerca pubblicata dalla società di consulenza
McKinsey si legge: "nel 1980, il valore complessivo degli assets finanziari a livello mondiale era
grosso modo equivalente al pil mondiale; a fine 2007, il grado di intensità
finanziaria a livello mondiale (world
financial depth), ossia la proporzione di questi assets rispetto al pil, era del 356 per cento". Questi dati,
già di per sé, sono sufficienti a dare l'idea delle proporzioni assunte negli
ultimi decenni dal credito e dalla finanza.
Si tratta di un processo decisivo per i paesi a capitalismo
maturo dagli anni Ottanta in poi. La cosiddetta "finanziarizzazione"
ha avuto una triplice, importantissima funzione:
1) mitigare le conseguenze della riduzione dei redditi dei
lavoratori;
2) allontanare nel tempo lo scoppio della crisi da sovrapproduzione
nell'industria;
3) fornire al capitale in crisi di valorizzazione nel
settore industriale alternative d'investimento a elevata redditività. In questo
modo essa ha rallentato - e per alcuni versi invertito - la tendenza alla
caduta del saggio del profitto.
Consideriamo più da vicino le tre funzioni menzionate.
1) Credito alle
famiglie.
La caratteristica più
notevole dell'era della disuguaglianza e del libero mercato che è iniziata
negli anni Ottanta è rappresentata dal fatto che si siano avute così poche reazioni
alla stagnazione dei guadagni della gente comune in una così larga parte
dell'economia del mondo sviluppato.
Così John Plender commentava anni fa sul "Financial
Times" i dati sul calo dei redditi da lavoro negli ultimi decenni. Ma
subito spiegava l'arcano: il motivo dell'assenza di reazioni va ricercato nel
fatto che il tenore di vita delle persone
con redditi medio-bassi ha cominciato ad essere in parte sganciato
dall'andamento del reddito da lavoro. La politica monetaria espansiva della
Federal Reserve ha alimentato il
credito al consumo e la bolla azionaria e immobiliare, creando un effetto
ricchezza e consentendo anche a famiglie a basso reddito di contrarre debiti
relativamente a buon mercato. Fenomeni simili si sono prodotti in molti altri
Paesi a capitalismo maturo. La quadratura del cerchio, il sogno di ogni
capitalista: un lavoratore che vede diminuire il proprio salario e però consuma
come e più di prima. Un solo problema: l'insostenibilità di questo modello nel
lungo periodo.
2)Credito alle
imprese.
Ma il credito non dava respiro soltanto alle famiglie
americane. Lo dava anche, e in misura non minore, alle imprese di tutto il
mondo. Soprattutto a quelle di settori maturi. Pensiamo a quello
automobilistico, nel quale già a inizio degli anni 2000 la sovrapproduzione
ammontava alla cifra già esorbitante di 20 milioni di automobili all'anno.
Prima dello scoppio della crisi, le case automobilistiche hanno fatto un
massiccio utilizzo del credito al consumo (con finanziamenti a tasso zero per
l'acquisto di automobili e simili)3. Hanno inoltre potuto riscadenzare i propri
debiti, grazie alla possibilità di usufruire di prestiti a condizioni di tasso
eccezionalmente favorevoli. In terzo luogo, hanno emesso azioni a costi
decrescenti, grazie all'afflusso crescente di denaro sui mercati finanziari
proveniente dai fondi pensione e dai fondi istituzionali: in tal modo "la
stessa capital asset inflation tipica
del capitalismo dei fondi è stata per lungo tempo un elemento stabilizzante
della posizione debitoria delle imprese non finanziarie". Infine hanno
fatto profitti da operazioni finanziarie. Ed è questa la strada maestra per la
redditività imboccata negli anni precedenti la crisi da molte imprese
manifatturiere.
3) La speculazione
come mezzo per la valorizzazione del capitale.
La possibilità di effettuare attività speculative per
ottenere livelli di profitto altrimenti impossibili: questa terza grande
funzione del credito e della finanza in questi anni. Intendiamoci, nulla di
nuovo sotto il sole, se non forse nelle dimensioni del fenomeno: si tratta di
un fenomeno descritto, poco prima della crisi del 1929, anche dal marxista
Henryk Grossmann, il quale considerava la speculazione di borsa come una sorta
di "esportazione di capitale all'interno", del tutto parallela alla
esportazione dei capitali all'estero, e con al fondo lo stesso motivo: la
crisi di valorizzazione del capitale nei settori originari di attività. Nel
Regno Unito tra il 1987 e il 2008 l'acquisto di assets finanziari da parte di imprese non finanziarie è stato del
20% più elevato rispetto all'acquisto di attivi fissi (macchinari ecc.).
In effetti , se si esamina l'andamento dei profitti in gran
parte dei paesi capitalistici avanzati si osserva che a partire dalla fine
degli anni Novanta quelli da attività finanziarie cominciano a crescere
vertiginosamente, perdendo ogni rapporto tanto con l'andamento del Pil quanto
con i profitti totali, proporzione salita al 40% nel 2007, e ancora di più
quello del Regno Unito, dove tale proporzione nel 2008 aveva raggiunto addirittura
l'80%.
In base alla ricostruzione che si è proposta, la stessa
ampiezza e gravità della crisi scoppiata nel 2007 non è affatto sorprendente.
Essa rappresenta infatti il precipitato di oltre
un trentennio in cui il saggio di profitto è stato alimentato dalla
finanziarizzazione su larga scala, ossia da un ruolo sempre più preponderante
del capitale produttivo di interesse.
Se si interpreta, con Riccardo Bellofiore, la caduta del
saggio di profitto come una "meta-teoria delle crisi", una sorta di
cornice concettuale comprensiva entro la quale vanno ricostruite le forze e i
fattori volta per volta scatenanti delle singole crisi, è facile vedere come la
crisi del 2007 sia stata innescata proprio da quel capitale produttivo
d'interesse la cui crescente importanza aveva rappresentato nei decenni
precedenti il principale fattore di controtendenza alla caduta del saggio di
profitto. Il detonatore della crisi è stato infatti rappresentato dallo scoppio
della bolla finanziaria che si era creata grazie all'accumulo di debito
privato.
Leggi tutto:
LA TEORIA MARXIANA DEL VALORE. LE CONFUTAZIONI* - Ascanio Bernardeschi
Leggi anche: http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/05/concorrenza-saggio-del-profitto-e-i.html
http://www.lacittafutura.it/economia/la-teoria-marxiana-del-valore-parte-iii-capitale-e-plusvalore.html
http://www.lacittafutura.it/economia/la-teoria-marxiana-del-valore-merce-denaro-lavoro.html
http://www.lacittafutura.it/economia/la-teoria-marxiana-del-valore-parte-iii-capitale-e-plusvalore.html
http://www.lacittafutura.it/economia/la-teoria-marxiana-del-valore-merce-denaro-lavoro.html
La difficoltà o l'impossibilità di misurare gli oggetti non
implica che essi non esistano o che non siano regolati da determinate leggi.
Nella meccanica quantistica, per esempio, secondo il principio di
indeterminazione di Heisenberg, è impossibile misurare con precisione, nello
stesso istante, sia la posizione che la velocità di una particella. Però la
teoria di Marx è stata criticata per via della difficoltà di misurare il lavoro
sociale necessario a produrre una merce oppure di stabilire a quanto tempo di
lavoro semplice corrisponde un'ora di un lavoro complesso, maggiormente
specializzato. È agevole rispondere che per Marx è il mercato a stabilire il tempo
lavoro necessario a produrre una merce. Se la misura immanente del valore è il
tempo di lavoro, quella “fenomenica esterna” è il denaro, quale rappresentante
di ricchezza astratta e quindi di un certo tempo di lavoro. È il mercato che
verifica se e in che misura il lavoro prestato è lavoro socialmente necessario.
Così pure, Marx non si è mai sognato di cercare di risolvere il “puzzle” [1]
della riduzione del lavoro complesso a lavoro semplice, limitandosi casomai a
indicare come ciò sia possibile in via teorica. Anche nei suoi esempi numerici,
ha quasi sempre utilizzato il denaro come misura del valore. La sua teoria non
serve a determinare in vitro il valore delle merci, ma a
scoprire le leggi di movimento del modo di produzione capitalistico e metterne
a nudo le contraddizioni. Essa deve essere valutata sulla base della sua
capacità o meno di raggiungere questo obiettivo e naturalmente sulla base della
sua coerenza interna.
Le critiche più diffuse all'impianto teorico marxiano, si
riferiscono invece a una presunta contraddizione fra il primo e il terzo libro
del Capitale, fra i valori e i prezzi di produzione. I secondi sarebbero
derivati in maniera erronea, o non sarebbero affatto derivabili, dai primi.
Appena due anni dopo la pubblicazione da parte di Engels del
terzo libro del Capitale, un economista austriaco, Eugen von Böhm-Bawerk,
denunciò tale contraddizione [2]. A lui parve che. nell'avanzamento
dell'analisi di Marx, con l'introduzione dei prezzi di produzione, fosse
superata, la teoria esposta nel primo libro. Il povero Eugen non sapeva che la
stesura dei manoscritti pubblicati da Engels come terzo libro era anteriore
alla redazione per la stampa del primo libro, scritto quindi quando Marx
conosceva già gli sviluppi della sua analisi sulla concorrenza, sul saggio di
profitto e sulla trasformazione. Se insistette a parlare di valore,
evidentemente non considerava questa idea superata.
lunedì 23 maggio 2016
Marxismo e antagonismo di classe nello sviluppo capitalistico (Italia 1958-1973).* - Felice Renda
*Da: Università
Gramsci
Marxismo e antagonismo di classe nello sviluppo capitalistico (Italia 1958-1973). Della Volpe, Colletti, i Quaderni Rossi e l'operaismo. Prima parte:
Seconda parte: https://www.youtube.com/watch?v=mqhIykDZJGs
domenica 22 maggio 2016
LA DIALETTICA, malgré eux - Stefano Garroni
Non è irragionevole pensare che lo scarto sempre più marcato
- fra obiettività degli eventi caratterizzanti il nostro tempo e i parametri
ideologici di cui la “sinistra” oggi si serve - a breve debba determinare una
sorta di “scatto” della coscienza e, dunque, il recupero di una prospettiva non
delirante ma critica, non ideologica ma teorica.
Certo si potrebbe obiettare (e non per scherzo) che l’irrealismo di questa ipotesi è misurato proprio dal quanto della sua ragionevolezza. Senonché, un nero pessimismo è, esso stesso, parte non secondaria di quell’ideologia di quella “sinistra” di cui, forse - qua e là - può già avvertirsi la crisi. Lasciamo dunque cadere tale estremo pessimismo. Se decidiamo al suo posto di assumere un atteggiamento che non valorizzi solo la negatività, ma anche la possibilità di un “superamento”, può risultare non bizzarro proporre di nuovo all’attenzione dei compagni un tema, ostico, antipatico ma importante, come quello della “filosofia marxista”.
Certo si potrebbe obiettare (e non per scherzo) che l’irrealismo di questa ipotesi è misurato proprio dal quanto della sua ragionevolezza. Senonché, un nero pessimismo è, esso stesso, parte non secondaria di quell’ideologia di quella “sinistra” di cui, forse - qua e là - può già avvertirsi la crisi. Lasciamo dunque cadere tale estremo pessimismo. Se decidiamo al suo posto di assumere un atteggiamento che non valorizzi solo la negatività, ma anche la possibilità di un “superamento”, può risultare non bizzarro proporre di nuovo all’attenzione dei compagni un tema, ostico, antipatico ma importante, come quello della “filosofia marxista”.
La connessione è evidente: la critica all’ideologia (anche della “sinistra”) non è mai condotta direttamente dalle esperienze - se non altro perché funzione propria dell’ideologia è rendere le esperienze, quali che siano, compatibili con “lo stato di cose esistente”.
É dunque necessario uno strumento di mediazione che faccia della coscienza la “critica dell’esistente” e non il suo “prolungamento celeste”, la sua “legittimazione”.
Comunque la si voglia definire, è certo che la filosofia marxista rivendica per sé esattamente questa funzione di mediazione, di passaggio dall’“ideologia” alla “critica”.
Di qui - posto il pacato ottimismo che iniziava questa mia nota - l’opportunità, forse, di riproporre tale filosofia come argomento di riflessione.
Dialoghi di profughi XII.* - Bertolt Brecht
Cos'è "Dialoghi di Profughi":
http://www.controappuntoblog.org/2013/10/18/quando-si-parla-di-umorismo-io-penso-sempre-al-filosofo-hegel-fluchtlingsgesprache-dialoghi-di-profughi-brecht-bertolt/
ZIFFEL I nazisti dicono:
L’utile collettivo viene prima dell’utile individuale. Questo è comunismo, e io
lo dico alla mamma.
KALLE Ecco che parla di
nuovo in malafede solo perché vuol farmi vedere che va contro corrente. Quella
frase significa soltanto che lo Stato viene prima dei sudditi, e lo Stato sono
i nazisti e basta. Lo Stato rappresenta la collettività in quanto impone tasse
a tutti, comanda di qua e di là, impedisce i rapporti reciproci e spinge alla
guerra.
ZIFFEL La sua è una
esagerazione che mi piace. Senza esagerazione si potrebbe dire che quella frase
stabilisce in effetti un’antitesi insuperabile tra l’utile del singolo e
l’utile della collettività. E’ appunto questo che provoca il suo disprezzo.
Anch’io direi che in un paese dove l’egoismo vien diffamato per principio, c’è
qualcosa di marcio.
KALLE In una democrazia
come la conosciamo noi…
ZIFFEL Non occorre che
aggiunga come la conosciamo noi.
KALLE Dunque in una
democrazia si dice generalmente che si deve creare un equilibrio tra l’egoismo
di quelli che hanno qualche cosa e quello di coloro che non hanno nulla. Questa
è una palese assurdità. Rimproverare a un capitalista l’egoismo significa
rimproverargli di essere un capitalista. I frutti ce li ha solo lui, perché è
lui che sfrutta. Infatti gli operai non possono sfruttare il capitalista. La
frase: L’utile collettivo viene prima dell’utile individuale dovrebbe suonare:
Quando si tratta di sfruttamento, non è permesso che uno solo sfrutti un altro
o tutti, ma tutti devono… e ora mi dica, per favore: sfruttare che cosa?
sabato 21 maggio 2016
Roberto Fineschi: Marx “economista”* -
*Da: https://noirestiamo.org/ http://www.retedeicomunisti.org/ http://marxdialecticalstudies.blogspot.it/

Primo incontro: http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/04/roberto-fineschi-marx-la-mega-2-il.html
Secondo incontro: http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/04/presente-passato-futuro-per-una-teoria.html
Terzo incontro. Marx "economista". I Parte: Merce-Denaro o Valore-Lavoro?

Primo incontro: http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/04/roberto-fineschi-marx-la-mega-2-il.html
Secondo incontro: http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/04/presente-passato-futuro-per-una-teoria.html
Terzo incontro. Marx "economista". I Parte: Merce-Denaro o Valore-Lavoro?
Quarto incontro. Marx "economista". II Parte: La trasformazione del valore in prezzi: https://www.youtube.com/watch?v=4QSeawJ68Qo
Quinto incontro: In cerca di un soggetto storico: forme e figure - Roberto Fineschi
giovedì 19 maggio 2016
mercoledì 18 maggio 2016
EUROPA E "MEZZOGIORNI"* - Joseph Halevi
Vedi anche: http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/03/capire-un-sistema-monetario-gold.html
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Premessa: penso che per il 90% l’esito e l’iter stesso della vicenda greca siano stati del tutto indipendenti dalla posizione del governo allora in carica. Tuttavia considero Yanis Varoufakis responsabile della catastrofe negoziale. È stato lui ad impostare l’intera strategia dei negoziati con l’Eurogruppo. Questa consisteva nel trasferire dentro il negoziato le illusorie promesse elettorali di Syriza basate sulla ricontrattazione del debito e la fine dell’austerità e sul mantenimento della Grecia nell’eurosistema. Due promesse incompatibili dati i rapporti di forza al 100% contro la Grecia.
Quindi non c’è mai stata disobbedienza dei Trattati da parte della Grecia.
Secondo me sia a livello mondiale che europeo non si può reagire per niente.
Sul piano mondiale non si può fare nulla se non si mandano allo sfascio certe
istituzioni. Nel lontano passato la Banca Mondiale ed il Fondo Monetario
venivano additati come gli strumenti di assoggettamento dei paesi del Terzo
Mondo. Ma da vent’anni c’è l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC-WTO)
che è mille volte peggio e riguarda tutti i paesi. L’OMC è un organismo
giuridico globale, costruito come strumento legale e ministeriale per le grandi
società contro gli Stati. Perché contro gli Stati? Per attaccare le
legislazioni statali che garantiscono quei diritti sociali che le grandi
società considerano contrarie ai loro interessi. Il processo è continuo e non
ne parla nessuno salvo poi scandalizzarsi per i Trattati Transatlantico e
Transpacifico che non sarebbero stati possibili senza le normative OMC. La
forza dell’OMC sta nel fatto che gli Stati, che l’hanno creata appunto, sono
favorevoli all’esistenza di un organismo globale che li attacchi sui punti
deboli dal punto di vista dei gruppi monopolistici. Il movimento
altermondialista è nato proprio nel quadro della critica all’OMC+FMI.
Concettualmente poco consistente, è scomparso quando i meccanismi soggiacenti
alla formazione dell’OMC si sono messi veramente a macinare paesi e
popolazioni, e quando Lula disse “basta giocare, ora che sono Presidente devo
fare la persona rispettabile agli occhi del capitale” chiudendo, tra l'altro,
la kermesseannuale di Porto Alegre.
Per ciò che riguarda l’Europa dell’UE penso che sia un caso perso; a basket case in inglese. Proporre cambiamenti con queste istituzioni sia UE che nazionali è come se Mazzini si fosse messo a costruire il movimento della Giovane Europa accettando il Congresso di Vienna e la Santa Alleanza. Oggi i Congressi di Vienna sono i Trattati da Maastricht in poi e la Santa Alleanza è una fragile combinazione tedesco-olandese-austriaca con la Francia a braccetto suo malgrado (perché la partita le sta andando molto male). L’ultimo ed efficacissimo strumento della Santa Alleanza è l’Eurogruppo, che neanche esiste sul piano legale pur avendo il potere di prendere delle decisioni letali per i paesi dell’eurozona, come è successo riguardo la Grecia. Quindi bisogna che il nuovo regime post-napoleonico versione Mitterrand, visto che è stato lui a creare questa macchina infernale e NON la Germania, entri in crisi di disfacimento.
È tuttavia inutile porsi il disfacimento come obiettivo politico in quanto crea l’effetto opposto. Sono anche totalmente scettico riguardo la possibilità di una politica di opposizione di sinistra dato che la sinistra non esiste più in Italia e non si ricostituirà almeno per ancora parecchi anni.
Per ciò che riguarda l’Europa dell’UE penso che sia un caso perso; a basket case in inglese. Proporre cambiamenti con queste istituzioni sia UE che nazionali è come se Mazzini si fosse messo a costruire il movimento della Giovane Europa accettando il Congresso di Vienna e la Santa Alleanza. Oggi i Congressi di Vienna sono i Trattati da Maastricht in poi e la Santa Alleanza è una fragile combinazione tedesco-olandese-austriaca con la Francia a braccetto suo malgrado (perché la partita le sta andando molto male). L’ultimo ed efficacissimo strumento della Santa Alleanza è l’Eurogruppo, che neanche esiste sul piano legale pur avendo il potere di prendere delle decisioni letali per i paesi dell’eurozona, come è successo riguardo la Grecia. Quindi bisogna che il nuovo regime post-napoleonico versione Mitterrand, visto che è stato lui a creare questa macchina infernale e NON la Germania, entri in crisi di disfacimento.
È tuttavia inutile porsi il disfacimento come obiettivo politico in quanto crea l’effetto opposto. Sono anche totalmente scettico riguardo la possibilità di una politica di opposizione di sinistra dato che la sinistra non esiste più in Italia e non si ricostituirà almeno per ancora parecchi anni.
martedì 17 maggio 2016
Il Nuovo Realismo - Maurizio Ferraris
Vedi Anche: https://www.youtube.com/watch?v=HZ8B0Azl8ho
Leggi anche: http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/05/il-lungo-viaggio-di-hilary-putnam.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/04/neoliberismo-e-postmodernismo-alleati.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/04/la-filosofia-francese-contemporanea.html
lunedì 16 maggio 2016
Il relativismo - Carlo Sini
Seconda parte: https://www.youtube.com/watch?v=BlqPMLSoNmQ
Terza Parte: https://www.youtube.com/watch?v=YkTrwexDSQM
Quarta parte: https://www.youtube.com/watch?v=5asgANcnqcg
Quinta parte: https://www.youtube.com/watch?v=gSKkavO-ULo
Sesta parte: https://www.youtube.com/watch?v=IVw7Xq_JwgY
Settima parte: https://www.youtube.com/watch?v=yAts8ChZ2Ew
domenica 15 maggio 2016
Rosa Luxemburg e la Quarta Internazionale - Lev Trotsky*
Scritto il 24 giugno
1934.
Pubblicato nel New International dell'agosto 1935.
Pubblicato nel New International dell'agosto 1935.
In Francia e altrove sono stati compiuti ultimamente
parecchi sforzi per costruire un cosiddetto luxemburghismo da usare come un
trinceramento, da parte dei centristi di sinistra, contro il
bolscevismo-leninismo. Questo fatto può assumere un particolare significato.
Potrà forse essere necessario dedicare nel prossimo futuro un articolo
esaustivo su cosa sia il vero luxemburghismo. Qui mi occuperò solo dei punti
essenziali della questione.
Abbiamo più di una volta preso le difese di Rosa Luxemburg
contro l'impudente e stupida falsificazione fattane da Stalin e dalla sua
burocrazia. E continueremo a farlo. In ciò non siamo spinti da nessuna
considerazione di tipo sentimentalistico, ma dalle esigenze della critica
dialettico-materialista. La nostra difesa di Rosa Luxemburg non è, però,
incondizionata. I punti deboli degli insegnamenti di Rosa Luxemburg sono tanto
teorici quanto pratici. I membri del S.A.P. [1] e altri simili elementi (vedi, per esempio,
il dilettantistico intellettualismo degli esponenti della cosiddetta
"cultura proletaria": il francese Spartacus, il periodico
degli studenti socialisti belgi e, spesso, anche l'Action Socialiste belga,
ecc.) utilizzano unicamente i lati errati che sono senza dubbio decisivi in
Rosa; loro generalizzano ed esagerano queste mancanze all'estremo e
costruiscono su esse un sistema profondamente assurdo. Il paradosso consiste in
ciò, che alla fine svoltano verso lo stalinismo - senza esserne consci e
neppure accorgendosene - arrivando a compiere una caricatura dei lati negativi
del luxemburghismo, non dicendo niente sul tradizionale centrismo o sul
centrismo di sinistra della schiera socialdemocratica.
Non si va avanti di un passo nel dire che Rosa Luxemburg
contrapponeva spassionatamente la spontaneità delle masse alla "vittoriosa
e coronata" politica conservatrice della socialdemocrazia tedesca,
specialmente dopo la rivoluzione del 1905. Questa contrapposizione aveva
carattere completamente rivoluzionario e progressista. Molto tempo prima di
Lenin, Rosa Luxemburg ha compreso il carattere ritardante dell'ormai ossificato
partito e dell'apparato sindacale ed ha cominciato a combattere contro di essi.
Poiché ella confidava nell'inevitabile accentuarsi dei conflitti di classe, ha
sempre previsto la certezza di un'apparizione indipendente delle masse contro
il volere e contro la linea dei burocrati. In questa sua visione storica
generale, Rosa si è mostrata corretta. La Rivoluzione del 1918 fu infatti
"spontanea", cioè, fu compiuta dalle masse contro tutti i
provvedimenti e tutte le precauzioni della burocrazia di partito. Ma, d'altro
canto, la conseguente storia tedesca ha ampiamente mostrato come la spontaneità
da sola è lontana dalla possibilità di ottenere vittorie durature; il regime di
Hitler fornisce un pesante argomento contro la panacea della spontaneità.
lunedì 9 maggio 2016
Narcisismo e feticismo della merce* - Anselm Jappe
*Pubblicato su Revue Rue Descartes, n°85-86, 2015.
Qualche osservazione a partire da Cartesio, Kant e Marx
Feticismo della merce e narcisismo: è intorno a questi due
concetti, ed alle loro conseguenze, che si articola questo testo. Il suo
retroterra teorico è dato dalla critica del valore, del lavoro astratto, del
denaro e del feticismo della merce, così come è stata sviluppata soprattutto da
Robert Kurz e dalle riviste Krisis ed Exit!, in Germania, e da Moishe Postone,
negli Stati Uniti, dopo la fine degli anni 1980.
Feticismo della merce, è un concetto introdotto da Karl Marx
nel primo capitolo del Capitale. Lo si è spesso voluto intendere come una forma
di falsa coscienza, o di una semplice mistificazione. Tuttavia, un'analisi più
approfondita [*1] dimostra che si tratta di una forma di esistenza sociale
totale che si situa a monte di ogni separazione fra riproduzione materiale e
fattori mentali: essa determina le forme stesse del pensiero e dell'agire. Il
feticismo della merce condivide questi tratti con altre forme di feticismo,
come la coscienza religiosa. Potrebbe così essere caratterizzato come una forma
a priori.
Il concetto di forma a priori evoca evidentemente la
filosofia di Immanuel Kant. Tuttavia, lo schema formale che precede ogni
esperienza concreta e che a sua volta la modella, che è qui in questione, non è
affatto ontologico, come lo è in Kant, ma storico e soggetto ad evoluzione. Le
forme a priori nelle quali si devono rappresentare necessariamente tutti i
contenuto della coscienza sono, per Kant, il tempo, lo spazio e la causalità.
Egli concepisce tali forme come innate in ogni essere umano, senza che la
società o la storia giochino alcun ruolo. Basterebbe riprendere tale questione,
privando però le categorie a priori del loro carattere atemporale ed
antropologico, per poter arrivare a delle conclusioni vicine alla critica del
feticismo della merce. Il fatto che la percezione del tempo, dello spazio e
della causalità variano notevolmente nelle differenti culture del mondo è stato
sottolineato anche da alcuni kantiani [*2].
Però, non si tratta soltanto della conoscenza, ma anche
dell'azione. Il feticismo della merce di cui parla Marx, e l'inconscio di cui
parla Sigmund Freud, sono le due principali forme che dopo Kant sono state
proposte per dar conto di un livello di coscienza in cui gli attori non hanno
affatto una percezione chiara, ma che in ultima analisi li determina. Ma mentre
la teoria freudiana dell'inconscio è stata ampiamente accettata, il contributo
dato da Marx per comprendere la forma generale della coscienza è rimasto la
parte più misconosciuta della sua opera [*3]. Con la formula del
"feticismo della merce" e del "soggetto automatico", Marx
ha gettato le basi per una concezione di un inconscio a carattere storico e soggetto
al cambiamento, mentre l'inconscio di Freud è essenzialmente il ricettacolo di
costanti antropologiche, e perfino biologiche. In Freud, è sempre questione di
rapporto fra un inconscio tout court ed una cultura tout court, e per lui
questo rapporto non è mai cambiato dall'epoca della "orda primitiva".
Nella sua teoria, non c'è posto per la forma feticista, la cui evoluzione
costituisce proprio la mediazione fra la natura biologica, in quanto fattore
pressoché invariabile, e gli avvenimenti della vita storica.
Dialoghi di profughi XI.* - Bertolt Brecht
LA DANIMARCA, OVVERO
DELL’UMORISMO. – SULLA DIALETTICA HEGELIANA.
Il discorso cadde anche sulla Danimarca, dove sia Ziffel
che Kalle erano stati per un po’di tempo, poiché si trovava sulla loro strada.
ZIFFEL
Laggiù hanno un senso dell’umorismo addirittura proverbiale.
KALLE Ma non hanno ascensori, e lo
dico per esperienza. I danesi sono gente cordiale e pacifica, e ci accolsero
con grande ospitalità. Si ruppero la testa a pensare come potevano fare per
rendersi utili, ma poi ci si dovette arrivare da noi. L’idea fu quella di
trarre profitto dal fatto che nella case della capitale non ci sono ascensori,
ed ecco che qui intervenimmo noi, poiché tutti quanti dicevano che non era mica
dignitoso che noi si dovesse accettare l’elemosina invece di essere pagati per
un lavoro. Quando scoprimmo che i secchi della spazzatura se li dovevano portar
giù per le scale dall’ultimo piano, ci mettemmo a farlo noi: così era più
dignitoso.
ZIFFEL Sono tanto spiritosi. Si
divertono ancora oggi a parlare di un certo loro ministro delle finanze,
l’unico dal quale abbiano ricevuto qualcosa in cambio del loro denaro, e più
precisamente una barzelletta. Un bel giorno si presenta da lui una commissione
per controllare la casa, lui si alza con gran dignità e, battendo il pugno
sulla scrivania, dice: «Signori, se loro insistono per il controllo, io non
sono più il ministro delle finanze». Al che quelli se ne vanno e tornano dopo
sei mesi, e allora vien fuori che il ministro aveva detto la pura verità. Lui
l’han messo in prigione, ma venerano la sua memoria.
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