La teoria Marxista poggia la sua forza sulla scienza... che ne valida la verità, e la rende disponibile al confronto con qualunque altra teoria che ponga se stessa alla prova del rigoroso riscontro scientifico... il collettivo di formazione Marxista Stefano Garroni propone una serie di incontri teorici partendo da punti di vista alternativi e apparentemente lontani che mostrano, invece, punti fortissimi di convergenza...
domenica 10 gennaio 2016
Keynes* (ma chi era costui?) - Marco Veronese Passarella
*DA: http://www.marcopassarella.it/it/
Seconda parte, dibattito: https://www.youtube.com/watch?v=oo-C8yG_2xQ
Leggi anche: http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=9698
Spinoza - Remo Bodei
"Temo l'odio dei teologi, perché sostengo in quest'opera che Dio coincide con la natura, e attribuisco a Dio cose che nella tradizione filosofica sono state sempre considerate effetti o creature, mentre io, ritengo che queste cose appartengano alla stessa natura di Dio." (Spinoza, Opere. Breve trattato su Dio, l'uomo e il suo bene)
Vedi anche: Carlo Sini
sabato 9 gennaio 2016
PROBLEMI DIALETTICI - Stefano Garroni
Cosa si intende con matematizzazione dell'esperienza?
Linguaggio e livelli di esperienza. Correlazioni tra livelli linguistici: linguaggio formalizzato e linguaggio degli eventi empirici.
Il duplice significato del termine epistemologia.
Sulla storia della scienza.
Classificazione aristotelica e di Leibniz.
La scoperta dell'autonomia del linguaggio: cosa ha comportato? L'uomo e il rapporto con le macchine.
Ideologia e volgarizzazione.
Stati Uniti come modello di sviluppo.
Medici cubani e URSS.
venerdì 8 gennaio 2016
Neoliberismo (critica dell’imperialismo)* - Gianfranco Pala
*Da: http://www.gianfrancopala.tk/
(http://www.contraddizione.it/quiproquo.htm)
L’OMBRA DI MARX - estratti da “piccolo dizionario marxista” contro l’uso ideologico delle parole
L’OMBRA DI MARX - estratti da “piccolo dizionario marxista” contro l’uso ideologico delle parole
“Moralmente e filosoficamente condivido praticamente tutto del libro del prof. Hayek, La via della schiavitù; e non si tratta di un semplice consenso ma di una condivisione profondamente motivata” (John Maynard
Keynes)
Risulta di immediata evidenza che “neoliberismo” è
una metafora per imperialismo. Se solo di questo si trattasse,
basterebbe intendere l’un termine per l’altro, compiacendosi che anche sulle
“pagine web” di Internet appaiano scritti relativi a incontri “per
l’umanità e contro il neoliberismo”. Ma così non è.
La questione è un po’ più complicata.
Dall’ideologia riversata nel cattivo senso comune, infatti, si espunge il significato
dell’imperialismo e dello stesso modo di produzione capitalistico, sì
che è al neoliberismo che sono imputati eventi quali: crescita senza
occupazione, devastazione sociale e ambientale dovuta al macchinismo,
squilibrio “nord-sud” nelle cosiddette globalizzazione e finanziarizzazione,
fino all’“unicità” del mercato e del pensiero, e via omologando nella
grigia piattezza di un dispotismo barbarico. Come se – e qui sta il
tranello – si possa presumere che sia data l’evenienza di un’altra
organizzazione sociale (di cui accuratamente si taccia la forma capitalistica,
ormai ritenuta obsoleta e ineffabile) non neoliberista, meno barbarica
e dunque accettabile per l’umanità medesima: a es., una società basata
su una “regolazione” dei rapporti di produzione e di distribuzione di tipo
genericamente keynesian-proudhoniano.
giovedì 7 gennaio 2016
Il processo di modernizzazione e il suo rapporto con la guerra - Aldo Giannuli
Affrontando lo studio del cd processo di “modernizzazione” possiamo distinguere alcune fasi intensive cui sono succeduti periodi di stabilizzazione, durante i quali i paesi limitrofi a quelli “moderni” si sono avviati per la stessa strada, mentre le fasi intensive investono, normalmente, i paesi di maggior rilievo. Possiamo, quindi, identificare tre fasi intensive principali:
a- quella della “Modernizzazione classica o liberal-capitalistica” (dal XVI agli inizi del XIX secolo) che ha riguardato essenzialmente Olanda, Inghilterra, America del Nord e Francia;
b- quella della “Modernizzazione autoritaria” che va dal 1860 circa, al 1939, che investe Italia, Giappone, Germania e Russia;
c -quella attuale, della “Modernizzazione neoliberista” che va dagli anni ottanta del secolo scorso ad oggi e che colpisce gran parte dei paesi asiatici (Cina, India, Indonesia) e dell’America Latina (Brasile, Messico, Argentina).
mercoledì 6 gennaio 2016
Dal primo dopoguerra al Secondo conflitto mondiale (passando per la grande crisi del ’29)* - Mauro Rota** e Francesco Schettino***
*Da: https://rivistacontraddizione.wordpress.com/
**Sapienza, Università di Roma. mauro.rota@uniroma1.it
Introduzione - il
mondo dopo la prima guerra mondiale
**Sapienza, Università di Roma. mauro.rota@uniroma1.it
Il primo conflitto mondiale ha rappresentato per il modo di
produzione del capitale uno degli eventi più di rilievo dal momento della sua
nascita. La grande crisi originatasi nel Regno Unito a partire dal 1870 – e
proseguita per almeno due decenni – aveva mostrato con chiarezza che, a
differenza di quanto molti studiosi avessero teorizzato, il capitalismo fosse
tutt’altro che un sistema perfetto e proiettato verso una produzione infinita
(Lenin, 1916) ma che, al contrario, potesse incappare in problematiche persino
contraddittorie e potenzialmente irrisolvibili a meno di un intervento poderoso
dello Stato all’interno del libero mercato (Gallagher e Robinson, 1953).
Dunque, il primo conflitto mondiale estrinsecò i suoi drammatici eventi
all’interno di un contesto europeo dominato da una sensibile ostilità tra le
nazioni che storicamente avevano governato il processo di sviluppo del capitale
e quelle di nuova formazione (Germania in
primis) e soprattutto in una condizione assai critica dal punto di vista
dell’accumulazione; tale situazione era particolarmente compromessa per quel
che riguarda il capitale britannico che, proprio da qualche decennio, aveva
rafforzato sensibilmente il proprio processo di espansione, attraverso
esportazione di capitale (investimenti diretti esteri o speculativi) nei
territori controllati attraverso il Commonwealth e nei dominions più in generale, conosciuto anche con il nome di imperialismo
(Hobson, 1903, Brignoli, 2010, Rota e Schettino, 2011).
Il primo conflitto mondiale fu il frutto di una lotta necessaria
al ristabilimento egemonico, in termini di dominio commerciale e politico,
dell’Europa e del mondo, in senso più ampio. Da questo punto di vista, il ruolo
degli Usa fu di fondamentale rilievo. Proprio in questo periodo si inizia a
concretare quell’ideale passaggio di consegne – avvenuto con gradualità, come
sarà spiegato più avanti – dal Regno Unito agli Usa nel ruolo di paese guida e
locomotiva dell’intero sistema economico. Ma, come è logico, a fronte di una
cordata di vittoriosi, corrispondono altrettanti perdenti e tra questi c’era la
Germania che da quel momento in poi si trovava ad affrontare – anche a causa
degli ingenti debiti scaturenti proprio dall’esito del conflitto – una
situazione particolarmente drammatica per quel che concerne sia lo status economico, che per il morale del
popolo tedesco deliberatamente umiliato dalle risoluzioni dei trattati
conclusivi del primo conflitto mondiale.
martedì 5 gennaio 2016
Moneta, finanza e crisi. Marx nel circuito monetario* - Marco Veronese Passarella
*Da: http://www.marcopassarella.it/it/omaggio-ad-augusto-graziani/
“valorizzazione del capitale, per i capitalisti come classe, può
derivare unicamente da scambi che i capitalisti effettuino al di fuori della
propria classe, e quindi nell’unico scambio esterno possibile, che consiste
nell'acquisto di forza-lavoro. Soltanto nella misura in cui i capitalisti
utilizzano lavoro e si appropriano di una parte del prodotto ottenuto, essi
possono realizzare un sovrappiù e convertirlo in profitto” (A. Graziani)
Circuito monetario,
mercati finanziari e valore: una messa in ordine logica**
Il principale punto di contatto dell’opera di Marx con la
TCM (Teoria Circuito Monetario) è la concezione del sistema economico quale economia monetaria di
produzione, ossia quale sequenza temporale di rapporti monetari concatenati di
scambio e di produzione intercorrenti tra classi sociali portatrici di
interessi contrapposti. In estrema sintesi, tale successione viene aperta dalla
decisione delle banche (la classe dei capitalisti monetari) di accordare
un’apertura di credito a favore delle imprese (la classe dei capitalisti
industriali), per le quali tale flusso di liquidità (il capitale monetario)
costituisce, al contempo, il potere d’acquisto necessario ad acquistare la
forza-lavoro (nonché, ad un minor livello di astrazione teorica, gli altri
fattori produttivi) da impiegare nel processo produttivo e un elemento non
riproducibile internamente.
Tale sequenza (o circuito) si chiude soltanto allorché le
imprese, una volta realizzato in forma monetaria il valore sociale della
produzione, estinguono il debito verso le banche, suddividendo il sovrappiù
sociale (corrispondente al plusvalore) tra profitti d’impresa e interessi
bancari.(7) È questa, si badi, non la rappresentazione di una particolare
configurazione storica o geografica del capitalismo. Non si tratta, cioè, della
manifattura inglese di inizio Ottocento, ovvero del sistema di fabbrica
italiano del secondo dopoguerra. Si tratta, invece, dell’esplicitazione dei
nessi monetari necessari intercorrenti tra gruppi sociali contrapposti
all’interno dello spazio capitalistico.
domenica 3 gennaio 2016
sabato 2 gennaio 2016
Karl Marx (una compiuta critica dell’economia politica)* - Emiliano Brancaccio
*Da: http://www.emilianobrancaccio.it/wp-content/uploads/2013/02/Appunti-di-Economia-politica-quinta-versione-Novembre-2014.pdf
Proprio sulla concezione del profitto come “residuo”, e più in generale sugli elementi di conflitto sociale riconosciuti dagli economisti classici, farà leva Karl Marx per criticare la loro concezione positiva del capitalismo. Con la pubblicazione del Capitale nel 1867 Marx si propone esplicitamente il compito di elaborare una compiuta critica dell’economia politica che era stata elaborata dagli economisti classici. In questo senso sferra un attacco poderoso al teorema della mano invisibile (A. Smith). Egli infatti descrive un sistema tutt’altro che armonico ed eterno. Per Marx il capitalismo è in realtà afflitto da perenne instabilità e da crisi ricorrenti. La teoria delle crisi di Marx è molto complessa e tuttora oggetto di varie interpretazioni.
Proprio sulla concezione del profitto come “residuo”, e più in generale sugli elementi di conflitto sociale riconosciuti dagli economisti classici, farà leva Karl Marx per criticare la loro concezione positiva del capitalismo. Con la pubblicazione del Capitale nel 1867 Marx si propone esplicitamente il compito di elaborare una compiuta critica dell’economia politica che era stata elaborata dagli economisti classici. In questo senso sferra un attacco poderoso al teorema della mano invisibile (A. Smith). Egli infatti descrive un sistema tutt’altro che armonico ed eterno. Per Marx il capitalismo è in realtà afflitto da perenne instabilità e da crisi ricorrenti. La teoria delle crisi di Marx è molto complessa e tuttora oggetto di varie interpretazioni.
Qui possiamo affermare che nella visione di Marx si intersecano
due spiegazioni della crisi: da un lato la tendenza alla caduta del saggio di
profitto, dall’altro la contraddizione tra sviluppo delle forze produttive e
consumi ristretti delle masse lavoratrici.
Sulla tesi della caduta tendenziale
del saggio di profitto, in questa sede possiamo limitarci ad affermare che per
Marx sussisterebbero forze che tendono nel tempo a ridurre il saggio di
profitto medio del sistema economico. La tesi di partenza di Marx è che i
capitalisti estraggono il profitto dal lavoro vivo degli operai, cioè dal
lavoro di coloro i quali sono direttamente impiegati nella produzione e non dal
lavoro già erogato, incorporato nei mezzi di produzione già prodotti. Egli poi
nota che le continue innovazioni tecniche spingono i capitalisti ad accrescere
l’impiego di mezzi di produzione rispetto ai lavoratori direttamente impiegati
nel processo produttivo. Ma se il rapporto tra lavoratori e mezzi di produzione
si riduce, e se si accetta l’idea di Marx secondo cui il profitto deriva dal
lavoro vivo degli operai direttamente impiegati nella produzione, allora si
deve giungere alla conclusione che si ridurrà anche il saggio di profitto, cioè
il profitto totale in rapporto al capitale impiegato per l’acquisto dei mezzi
di produzione e per il pagamento dei lavoratori. Una progressiva caduta del
saggio di profitto determina tuttavia una crisi generale del modo di produzione
capitalistico. Per Marx, infatti, il saggio di profitto rappresenta non solo la
remunerazione del capitalista ma anche il motore dell’accumulazione. Una sua
precipitazione verso lo zero frenerà l’azione del capitalista, quindi renderà a
un certo punto impossibile la riproduzione del sistema capitalistico e aprirà
la via ad un’epoca di rivoluzione sociale.
Tra le cause che secondo Marx determinano
crisi ripetute vi è però anche il fatto che la spietata concorrenza tra le
imprese conduce a una continua serie di rivoluzioni tecniche e organizzative
che aumentano al massimo la produttività di ogni singolo lavoratore e al tempo
stesso riducono il suo salario. Ciò tuttavia implica un divario crescente tra
la capacità produttiva dei lavoratori e la capacità di spesa degli stessi
lavoratori. Sotto date condizioni questo divario può determinare un problema di
sbocchi per le merci prodotte. La conseguenza è che il processo di
accumulazione dei capitali si blocca e le imprese sono indotte a licenziare i
lavoratori. Ma ciò allarga ulteriormente il divario tra capacità produttiva e
capacità di spesa, per cui il sistema rischia di avvitarsi su sé stesso fino al
tracollo.
Al riguardo Marx scrive: «…La causa ultima di tutte le crisi rimane
sempre la povertà ed il consumo ristretto delle masse, di fronte alla tendenza
della produzione capitalistica a sviluppare le forze produttive…» (Capitale,
vol. III).
Le due tesi descritte si affiancano poi a un’altra tendenza
registrata da Marx, quella verso la scomparsa dei capitali più piccoli o la
loro acquisizione da parte dei capitali più grandi, la cui proprietà e il cui
controllo tenderebbero a concentrarsi in sempre meno mani: nel linguaggio
marxiano, si parla di tendenza verso la “centralizzazione” dei capitali a
livello internazionale. La letteratura marxista ha derivato da questa tendenza
varie implicazioni, tra cui due contraddizioni: una concorrenza capitalistica
che spinge sempre più verso la monopolizzazione dei mercati da parte dei pochi,
grandi capitali vincenti, e una radicalizzazione del conflitto di classe tra
una cerchia ristretta di proprietari e una massa crescente di diseredati. Alla
luce delle tendenze descritte Marx contesta dunque l’idea classica di un
capitalismo “naturale” e quindi “eterno”, sostenendo invece la tesi della sua
instabilità, della sua contraddittorietà e quindi anche della sua storicità,
vale a dire della sua finitezza.
venerdì 1 gennaio 2016
SUL FETICISMO (e non solo) - Stefano Garroni
Il feticismo nel paragrafo IV del primo capitolo del
capitale libro primo prima sezione e il XXIV capitolo del capitale, terzo
libro, V sezione.
Cosa diventa il linguaggio nel pensiero contemporaneo?
Corrispondenza tra parola e realtà che viene persa.
La fine dell800 e il nostro periodo: crisi politica, morale,
caduta dello slancio rivoluzionario e conseguente emergenza dello spiritismo,
astrologia , ecc.
caduta dello slancio rivoluzionario e conseguente emergenza dello spiritismo,
astrologia , ecc.
Carattere mistico della merce: da dove viene? Valore di
scambio delle merci.
scambio delle merci.
Il valore della merce è dato dal lavoro contenuto in senso
eterno?
eterno?
Dialettica e suo legame con il non isolamento dei livelli.
Profitti e guerre. Perché Lenin insiste sul fatto che il
socialismo si fa coinvolgendo nella gestione tutti i lavoratori?
socialismo si fa coinvolgendo nella gestione tutti i lavoratori?
Perché è inseparabile dalla natura del capitalismo il fatto
che il lavoro globale e la socialità dell'uomo si realizzi attraverso una
mediazione? Cosa comporta che in una società capitalistica non si può avere una
gestione sociale dell'economia?
che il lavoro globale e la socialità dell'uomo si realizzi attraverso una
mediazione? Cosa comporta che in una società capitalistica non si può avere una
gestione sociale dell'economia?
Socialismo e processo storico. LUrss era capitalista o no?
Hegel e lo spirito del tempo. Stati Uniti e sussidio di
disoccupazione. La rivoluzione internazionale come epoca storica. 1989 e ordine
del mondo.
disoccupazione. La rivoluzione internazionale come epoca storica. 1989 e ordine
del mondo.
giovedì 31 dicembre 2015
Gli anni vissuti pericolosamente - Riccardo BELLOFIORE (2011)
La cosiddetta “età d’oro” del capitalismo - il termine non mi
piace tanto, in verità – i trenta anni tra il 1945 e il 1975, spesso viene
qualificata come un’epoca di compromesso tra le classi. Ma quando mai! Era
un’epoca di dominio forte da parte del capitale, un comando sul lavoro, dentro
cui, con il conflitto e con l’antagonismo, si sono, nel corso della seconda
metà degli anni Sessanta soprattutto e primi anni Settanta, strappate una serie
di conquiste. Il fatto che tanto i governi conservatori quanto quelli più di
centro-sinistra abbiano perseguito politiche di bassa disoccupazione lo si deve
alla storia tragica dell’Europa nel Novecento; e poi alla competizione di un
sistema, che non ha mai avuto la mia simpatia, che era il sistema sovietico, e
che però imponeva all’Occidente di stare al passo. In quel trentennio, prima
ancora che i keynesiani in senso stretti divenissero consiglieri espliciti dei
governi (avverrà soprattutto con Kennedy e Johnson), esiste una piena
occupazione e una contrattazione collettiva, un lavoro decente secondo la
definizione dell’ILO, e salari progressivamente crescenti in termini reali.
La fase del neo-liberismo monetarista è la fase che risponde
alla crisi di questo capitalismo “keynesiano”, che è anche una caduta da
sinistra, una caduta dovuta anche ad un conflitto sociale, ad un conflitto del
lavoro in cui i lavoratori non accettano di farsi usare come strumento di
produzione, come cose, magari risarciti con la piena occupazione e un “equo”
salario (lo aveva di nuovo intuito Kalecki). Quella piena occupazione viene
criticata duramente anche se non soprattutto da sinistra. Vigeva solo in una
parte del mondo e solo per un genere, quello maschile, dentro una
mercificazione generale a cui si deve ricondurre anche la distruzione accelerata
degli equilibri ecologici. L’epoca della reazione capitalistica, è l’epoca di
una nuova disoccupazione di massa, che è legata però non soltanto al problema
della carenza della domanda effettiva, ma alla ristrutturazione della
produzione da parte del capitale, alla ridefinizione dei rapporti di forza sul
mercato del lavoro.
mercoledì 30 dicembre 2015
I mass-media, Gramsci e la costruzione dell’uomo eterodiretto - Paolo Ercolani
Mai come oggi, nelle nostre società occidentali così
apparentemente libere, è doveroso stare in guardia e ricordare l’insegnamento
di Platone, il quale era ben consapevole che è proprio dalla democrazia che può
nascere, attraverso un processo di degenerazione, la tirannide. Evidentemente
non c’è e non può esserci esercizio effettivo della libertà quando i mezzi di
comunicazione di massa, nel senso specifico che «massificano» l’individuo, o
che «portano all’ammasso» non solo l’intelletto, ma anche la sensibilità
dell’uomo, esprimono tutta la loro potenza non solo di informazione, ma anche
di «formazione»: l’uomo perde in questo modo la propria autonomia, finendo con
l’essere ridotto alla stregua di un «minorenne» eterodiretto, incapace di
servirsi autonomamente della propria ragione e del proprio sapere, comunque
subordinato ai meccanismi di una tecnica che, seppure figlia dell’uomo stesso,
progredisce in maniera più veloce rispetto alle capacità umane di assorbirla.
Ecco perché i rischi sono quelli di un nuovo totalitarismo, ancora più
insidioso e totalizzante in quanto proveniente dai sottili meccanismi di
funzionamento di una società in superficie democratica, che non perde occasione
per ribadire la centralità dell’uomo e dei suoi bisogni, ma che in realtà
finisce col ridurlo a mezzo e strumento per interessi economici e di potere.
Una forma di totalitarismo che, in aggiunta, si rivela ancora più completa in
quanto unisce i due aspetti che finora erano stati attribuiti ai regimi
liberticidi moderni: la capacità massificante e omologante unita a quella
atomizzante ed estraniante.
L’universo dei nuovi media, pensiamo in particolare a
Internet, massifica l’uomo in quanto ne omologa i gusti e le facoltà di
percezione e pensiero, nel momento stesso in cui lo atomizza poiché,
fornendogli l’illusione di poter entrare in comunicazione col mondo intero e
con un numero illimitato di persone (e di informazioni), lo tiene in realtà
chiuso tra le quattro pareti di casa propria, sempre più disabituato a
coltivare rapporti diretti e ad incontrarsi con altri individui per dibattere,
ragionare ed eventualmente organizzarsi. Siffatto individuo, esposto alle
forze omologanti e isolanti esercitate dai nuovi mezzi di comunicazione,
finisce col venire «eterodiretto» fin dal suo rapporto più ordinario con i più
elementari meccanismi di funzionamento dei mass media: nella vita reale l’uomo
è libero di seguire in maniera indipendente i propri processi di associazione,
mentre, per esempio nell’interazione col computer, con i rimandi ai vari link
gli viene di fatto richiesto di seguire delle «associazioni pre-programmate»,
in altre parole di seguire «la traiettoria mentale del programmatore». Ecco
allora che, a distanza ormai di quasi un secolo, si pone su un piano ulteriore
(mutatis mutandis) la discriminante già vista, quella fra il «credere,
obbedire, combattere» della propaganda fascista e quanto proprio Gramsci
scriveva come epigrafe all’OrdineNuovo: «Istruitevi, perché avremo bisogno di
tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il
nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra
forza!».
Leggi tutto:
"Dialettica riproposta" di Stefano Garroni - A. Ciattini, A. Bellacicco, A. Sobrero, B. Steri, P. Vinci, O. Di Mauro, R. Caputo, L. Climati.
Presentazione del libro di Stefano Garroni "Dialettica riproposta" tenutasi il 20 novembre 2015 presso l'Università degli Studi di Roma "La Sapienza" (parte prima).
Parte seconda:
https://www.youtube.com/watch?v=JwrKfmnnBaY
Parte terza:
https://www.youtube.com/watch?v=GpeB3rKlwKc
martedì 29 dicembre 2015
Salario minimo garantito (reddito di cittadinanza)* - Gianfranco Pala
*Da: http://www.gianfrancopala.tk/ (http://www.contraddizione.it/quiproquo.htm)
L’OMBRA DI MARX - estratti da “piccolo dizionario marxista” contro l’uso ideologico delle parole
L’OMBRA DI MARX - estratti da “piccolo dizionario marxista” contro l’uso ideologico delle parole
groucho, moro, chico, harpo, zeppo
“Se
ci vien fatto di dimostrare che la carità legale, applicata secondo questo
principio, può essere utilmente introdotta nelle società moderne, noi avremo
tolto al comunismo i suoi più formidabili argomenti, e segnata la via a
migliorare le sorti delle classi più numerose, senza mettere a repentaglio
l’esistenza stessa dell’ordine sociale”
(Camillo Benso conte di Cavour)
Salario minimo garantito (reddito di cittadinanza)
Il carattere “sociale” e “minimo” del salario non deve
assolutamente essere frainteso. Vi sono difatti molti, oggigiorno, che
sull’onda delle mode riproduttive e fuori mercato, intendono con codesto tipo
di dizioni forme spurie di salario o reddito garantito dallo stato o da
altre istituzioni pubbliche, mediante prestazioni più o meno accessorie
fornite a lavoratori e disoccupati, donne e giovani, cittadini e utenti. Una
tal commistione di categorie, e meglio anzi sarebbe dire una tale lista di
attributi tra loro incongruenti, conduce a un pasticcio di rapporti di
forza, di lotta e di diritti, di assistenzialismo e di elemosina (quel
tipo di confusione concettuale “inetta e barbarica” sulla quale Hegel
ironizzava chiamandola “un ferro di legno”).
L’essere sociale e minimo del salario è invece
unicamente conseguenza dell’essere merce della forza-lavoro
entro il rapporto di capitale posto da questo modo della produzione
sociale. Non vi è spazio né teorico né storico, perciò, per confondere il
carattere sociale del salario con sole sue parti o con differenti forme assistenziali
cui le istituzioni borghesi saltuariamente provvedono per concessioni
parziali, né il suo livello minimo con analoghe forme assistenziali o contrattuali
che dànno veste legale all’ipocrita solidarietà della filantropia borghese.
lunedì 28 dicembre 2015
Retoriche della crisi e stato d'eccezione permanente* - Alessandro Colombo**
*Da: http://www.aldogiannuli.it/
http://www.laboratoriolapsus.it/debito-migrazioni-terrorismo-retoriche-della-crisi/
**Alessandro Colombo, docente di relazioni internazionali dell’Università degli Studi di Milano e autore del volume “Tempi decisivi” (Feltrinelli 2014)
http://www.laboratoriolapsus.it/debito-migrazioni-terrorismo-retoriche-della-crisi/
**Alessandro Colombo, docente di relazioni internazionali dell’Università degli Studi di Milano e autore del volume “Tempi decisivi” (Feltrinelli 2014)
mercoledì 23 dicembre 2015
TTIP E TPPA: ACCERCHIARE LA CINA* - Maurizio Brignoli
Uno scenario importante dello scontro interimperialistico in atto si sta in questo momento giocando nella realizzazione di alcuni grandi trattati sovranazionali in cui la strategia statunitense punta a realizzare l’accerchiamento della Cina, la subordinazione dell’Ue e l’isolamento della Russia, con tutta una serie di conseguenze nel processo di ulteriore subordinazione della classe lavoratrice in tutto il mondo.
L’obiettivo statunitense nella formazione del Ttip e del Ttp è quello di realizzare una concentrazione imperialistica capace di imporre le sue norme a livello mondiale e di accerchiare il principale concorrente cinese.
Accordi di libero scambio, barriere non tariffarie e Isds
Lo scontro interimperialistico fra i principali attori (Usa,
Ue, Cina, Russia) si va sempre più delineando attraverso un processo di
potenziale “concentrazione imperialistica” attorno ad alcune aree
imperialistiche sovranazionali. Scontro a livello transnazionale con un grande
processo di ricollocazione della divisione internazionale del lavoro. Le trattative
relative al Transatlantic trade and investment partnership (Ttip) e
al Trans-Pacific partnership agreement (Tppa) sono espressione
rilevante di questo scontro. Per comprenderne la reale portata e gli obiettivi
questi accordi vanno collocati all’interno della strategia statunitense di
scontro con la Cina.
Il Ttip ha come obiettivo di realizzare l’unione di due
delle economie più ricche al mondo e delle rispettive aree valutarie, quella
del dollaro e quella, maggiormente in difficoltà, legata all’euro. Le
consultazioni Usa-Ue sono iniziate più di due anni fa, ma lo scontro
interimperialistico all’interno dello stesso Ttip è forte, nonostante gli Usa
abbiano cercato di sfruttare il momento di debolezza dell’Ue per la
realizzazione di un progetto che torna soprattutto a loro vantaggio. Le
trattative sono segrete e condotte dai funzionari della Commissione europea e
da quelli del Ministero del commercio statunitense con le lobby delle grandi
multinazionali.
Gli obiettivi finali del Ttip (e dello speculare Tppa) sono
riassumibili fondamentalmente in tre punti principali:
lunedì 21 dicembre 2015
IL CAPITALE - Stefano Garroni
Confronto tra il testo francese e quello tedesco di Marx.
Perché Marx accusa di cinismo l'economia politica?
L'ambiguità della merce. Valore d'uso e la valutazione del bisogno che scompare.
Il valore di scambio. Lo scambio mercantile e la società capitalistica.
Il processo produttivo che diventa strumento di arricchimento.
Rapporto tra religione e capitalismo.
La trasformazione del sapere: l'idiota specializzato.
sabato 19 dicembre 2015
RIFLESSIONI ANTROPOLOGICHE SULLA VIOLENZA E SULLA GUERRA* - Alessandra Ciattini
La storia umana è un mattatoio
In una celebre pagina Hegel sviluppa una serie di
considerazioni assai amare e tristi sulla vicenda storica umana, anche se poi –
come è noto - riesce a trovare in essa un processo progressivo ed
emancipatorio. Egli sottolinea l'universale transitorietà, che travolge Stati e
individui, per opera della natura e della volontà umana; osserva che quadri
terribili scaturiscono dalla riflessione sulla storia che possono suscitare in
noi un profondo e inconsolabile cordoglio; conclude che, stante tale analisi
complessiva e sconsolata, la storia umana può definirsi un mattatoio “in cui
sono state condotte al sacrificio la fortuna dei popoli, la sapienza degli
Stati, la virtù degli individui” [1]. Questa pagina di Hegel richiama alla
mente un celebre sonetto del Belli, Er caffettiere filosofo,
scritto nel 1833 (siamo, dunque, nella stessa fase storica anche se in un
contesto differente), nel quale il poeta compara tristemente gli uomini ai
chicchi del caffè che vengono inesorabilmente macinati e che, pertanto, sono
tutti destinati trasformarsi in polvere, finendo annientati nella gola della
morte, nonostante essi si spostino ed entrino in conflitto tra loro [2]. Il
caffettiere si trasforma in filosofo perché, prendendo spunto dalla sua
semplice e quotidiana attività, la cui descrizione sembra addirittura evocare
l'aroma del caffè macinato, trova in essa una splendida metafora concreta con
la quale rappresentare la disperante vicenda umana.
FILOSOFIA - Georg Wilhelm Friedrich Hegel
Come c'è stato un periodo dei geni poetici, così attualmente
sembra esserci un periodo dei geni
filosofici. Impastando un po' di carbonio, ossigeno, azoto e idrogeno,
mettendolo in una carta su cui altri hanno scritto "polarità" ecc., e
sparandolo in aria con la coda di legno della vanità che è un razzo, costoro
ritengono di edificare l'empireo.
Secondo la mania moderna, specialmente della pedagogia, non
si deve tanto esser istruiti nel contenuto
della filosofia, quanto imparare a
filosofare senza contenuto. Ciò vuol dire, pressappoco: si deve viaggiare,
viaggiare sempre, senza imparare a conoscere le città, i fiumi, i paesi, gli
uomini ecc. [...]
Quando si impara a conoscere il contenuto della filosofia,
non si impara soltanto il filosofare, ma anche già si filosofa effettivamente.
Anche il fine dello stesso imparare a viaggiare
dovrebbe essere soltanto quello di imparare a conoscere quelle città
ecc., il contenuto [...]. La
filosofia comprende i più alti pensieri
razionali intorno agli oggetti essenziali, comprende l'universale e il vero dei
medesimi; è di grande importanza conoscere questo contenuto, e accogliere nella propria testa questi
pensieri [...]. Il procedere della conoscenza di una filosofia ricca di
contenuto non è altro che l'imparare. La
filosofia deve venire insegnata e imparata come ogni altra scienza.
L'infelice prurito di educare a pensare
da sé e alla produzione autonoma ha
messo in ombra questa verità: come se, quando io imparo ciò che è sostanza,
causa o qualunque altra cosa, non pensassi
io stesso, come se non producessi io
stesso , queste determinazioni del mio pensiero. Se ci si ferma unicamente alla
forma astratta del contenuto filosofico, si ha una (cosiddetta) filosofia intellettualistica.
venerdì 18 dicembre 2015
TRACCIATI DIALETTICI - NOTE DI POLITICA E CULTURA - Stefano Garroni
Raccolgo qui scritti
diversi sia per argomento che per estensione: ciò che li lega - se non sbaglio
- è la continuità di un tipo e di un taglio di ricerca.
Se le cose stanno
effettivamente come dico, ne deriva che anche gli scritti di argomento senza
dubbio politico vanno letti come espressione - e conseguenza - di quel tipo e
taglio di ricerca. In questo senso, il capitolo introduttivo - al di là della
sua evidenza immediata - svolge questa sua funzione anche per le pagine,
ripeto, esplicitamente politiche.
Ciò che vorrei non sfuggisse, insomma, è il tentativo di
fondo (qui solo abbozzato): attraverso l'analisi di fenomeni centrali della
nostra cultura attuale, ritrovare le fila di un ragionamento dialettico e
marxista.
Rispetto a questo
obiettivo, le cose che qui presento valgono come primo deposito di un lavoro
più ampio, che sto conducendo.
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