martedì 11 dicembre 2018

La guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina - Alessandra Ciattini



Da: https://www.lacittafutura.it - Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza, 
Leggi anche: La trappola di Tucidide - Andrea Muratore



 Mentre la classe dirigente italiana si diletta in giochetti politici insulsi e pericolosi che ci prospetta il futuro?

I telegiornali della Rai del 20 novembre hanno dato come prima notizia lo sgombero delle ville abusive del cosiddetto clan dei Casamonica, gruppo di origine sinti portato spesso alla ribalta per varie attività criminali e per il famoso funerale di uno dei loro capi; notizia il cui scopo evidente è convincere i telespettatori che il “governo del cambiamento”, autore della “manovra del popolo”, sotto la vigile guida della sindaca Raggi, alzatasi all’alba, colpisce spietatamente i criminali, i corrotti, i non rispettosi dell’ordine. Non contenti di tale protagonismo, poco dopo i 5 Stelle mandano sulla scena dell’evento il presidente della commissione parlamentare antimafia Nicola Marra; successivamente si presenta Salvini che addirittura promette di guidare lui la ruspa per abbattere gli edifici, seguito da Giuseppe Conte, che si fa riprendere mentre visita le abitazioni e osserva meravigliato “Quanto sfarzo, quanto lusso”. In verità, dalle immagini che ho potuto vedere, mi sembra si tratti soprattutto di paccottiglia e oggetti kitsch, e credo che il vero lusso si trovi nelle abitazioni di quei miliardari che governano il mondo. I giornali rimarcano che tale spettacolo fa emergere solo il conflitto tra Lega e 5 stelle, desiderosi entrambi di apparire come gli strenui difensori del popolo.
Allo stesso tempo, quello stesso giorno, i telegiornali non hanno fatto menzione del vero problema destinato ad avere una serie di gravissime ripercussioni sulla nostra vita, cui si sono fatti alcuni accenni nei giorni precedenti, ma che meriterebbe di essere approfondito. Ovviamente mi sto riferendo a quanto contenuto nel titolo dell’articolo. 
Mi si perdonerà il lungo giro che ho fatto per giungere in medias res, ma mi sembrava importante rilevare che questa mancanza di interesse per eventi cruciali mostra l’inesistenza economica, politica, culturale dell’Italia nello scenario internazionale

lunedì 10 dicembre 2018

GRAMSCI E LA DIALETTICA - Stefano Garroni

Da: mirkobe79 Collettivo di Formazione Marxista "Stefano Garroni" Stefano_Garroni è stato un filosofo italiano. 

                                                                             

98 - GRAMSCI E LA DIALETTICA 28-03-2002

Le radici hegeliane di Marx. Contro Della Volpe.

PREAMBOLO: I titoli degli incontri seminariali non sono mai rigorosamente indicativi dell’argomento trattato, poiché il tono colloquiale delle lezioni di Stefano Garroni e la stessa natura degli incontri (una serie di seminari collettivamente autogestiti miranti alla formazione marxista di quadri comunisti) fanno sì che la sua esposizione, fatta a braccio e sovente improvvisata, non sia mai sistematica (come sarebbe stata in un intervento scritto), né circoscritta all’argomento richiamato dal titolo, ma sempre aperta ad allargarsi verso ulteriori tematiche, inizialmente non previste; spesso suggerite dagli interventi degli altri compagni che lo seguivano nei seminari.

NOTA: fra parentesi quadre il Redattore fa delle aggiunte per rendere più semplice la comprensione degli interventi e la stessa esposizione. 

1/10
DOMANDA[…] La critica che viene fatta a Karl Marx da Max Weber [parte dalla tesi weberiana della presunta avalutatività che deve caratterizzare le scienze, lo statuto di scientificità di ogni scienza particolare, e si può riassumere in questi termini], cioè: tu [Marx] hai preso una posizione [la critica economica, nonché morale e politica, del capitalismo], ed è giusta fintanto che tu espliciti il tuo riferimento. Cioè tu hai concettualizzato un sistema che non ha nessuna pretesa di essere lo specchio del reale. Però ecco: come si concilia questa cosa con l’idea della totalità?

Stefano Garroni: Certamente. Quello che dici è interessante perché poi è uno dei temi fondamentali. Intanto dico, en passant, [vediamo]che cosa significa idea per Hegel: dire che la filosofia è idealismo non è una proposizione idealistica, perché [significa dire] esattamente che la filosofia produce il modello, ma il modello è sia il modello e sia la cosa. Affermare che “La filosofia è idealismo” non è idealismo. Perché? Perché il presupposto è sempre l’Uomo: il pensiero sta dentro il mondo, quindi il movimento del mondo e del pensiero sono lo stesso movimento, perché [sono il risultato] dell’esperienza stessa che si svolge. D’accordo? 

domenica 9 dicembre 2018

Cosa diceva Berlinguer: discorso al "Convegno degli intellettuali" (1977)

Da: https://www.ilpost.it - Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/04/7-aprile-una-interpretazione-degli-anni.html 
                                                                      https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/11/storia-del-sessantotto-michele-brambilla.html 
                                                                                LA "MARCIA DEI 40000": uno dei momenti di caduta



Una cosa è certa... In questo paese (e non solo) nei momenti di crisi economica i sacrifici (austerità o rigore comunque li si voglia chiamare) vengono sempre prima chiesti ai lavoratori. E in genere, si può ben dire sempre, la storia ce lo insegna, a loro rimangono confinati. Oggi come allora a richiederli sono i loro rappresentanti più (o meno) importanti. Questo è il guaio della "sinistra"... 


Sono passati 31 anni da questo discorso di Berlinguer, ed oggi la società, gli stessi lavoratori sono ancora più polarizzati, tra pochi con redditi elevatissimi che costituiscono un insulto verso la massa dei lavoratori con bassi salari e una parte che addirittura non ha di che vivere pur lavorando. E poi i disoccupati: che cosa possono dire se si chiede loro austerità?


Noi ricordiamo quel tempo: se l'intenzione di Berlinguer era quella di opporsi al neo-capitalismo (peraltro già al declino in quegli anni) sarebbe arrivata tardi, come in effetti è stato. Il cosiddetto "consumismo", vale a dire la sussunzione reale al modo di produzione capitalistico della produzione di massa di beni di consumo, collegata alla piena occupazione e agli alti salari (in occidente) era già da un pezzo nella sua fase di riflusso. Iniziava la fase di recupero, da parte del capitale, del potere nelle fabbriche e nella società nel suo complesso. L'obiettivo di ridurre il salario si stava già affermando attraverso la perdita di centralità dei contratti collettivi a favore della contrattazione decentrata, che introduceva elementi di frammentazione all'interno dei diversi comparti della classe operaia con la inevitabile perdita di vitalità e capacità egemonica delle lotte. 

Ricordiamoci della "svolta dell'EUR"(https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/04/1978-la-svolta-delleur.html). Il salario stava ricadendo sotto la categoria di "variabile dipendente" in sintonia con l'affermarsi dell'ideologia interclassista del "patto dei produttori", vale a dire dell'aggancio dei salari alla produttività in accordo con i sindacati e, segnatamente, con la stessa CGIL. 

E' chiaro che il PCI  tentava ancora, in una direzione tattica e strategica che può farsi risalire alla politica togliattiana che ispirò la "svolta di Salerno", di candidarsi come l'unica forza politica in grado di guidare il paese in un momento in cui cominciava a profilarsi la crisi del trentennio d'oro del capitalismo in Europa occidentale e che, per il grande capitale imperialista e finanziario internazionale, coincideva con l'inizio di una rivincita, di pieno carattere strategico, i cui effetti, nel loro crescente svilupparsi e inverarsi, misuriamo oggi nella precarizzazione del lavoro, nelle delocalizzazioni, nella assoluta libertà di movimento dei capitali su scala globale e così via. 

La lotta interna al PCI fra le sue diverse tendenze trova espressione nella onesta retorica berlingueriana che, per quanto animata da buone intenzioni, non fu in grado di impedirne lo sviluppo fino agli esiti che tutti conosciamo. Il capitale si stava liberando (ricordiamoci il discorso di Cefis - https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/05/la-multinazionale-ecumenica-eugenio.html) dal bisogno stesso di avere partiti che gli garantissero le condizioni del proprio sviluppo. 

Un'intera fase storica in cui le classi operaie avevano giocato un ruolo importante era al tramonto. E il tentativo bernsteiniano di Berliguer e della parte autenticamente "riformista" del PCI  ne ha pagato, e fino in fondo, tutte le conseguenze. 

Ovviamente c'è nel discorso di Berlinguer anche un concetto alto: quello secondo cui, da una parte, appena accennata, lo spreco e il consumismo producono ingiustizia e devastazioni ambientali, dall'altra sono il risultato e rinnovano a loro volta una cultura del piacere a breve termine (lontano da una visione del futuro pianificato), un individualismo competitivo opposto alla solidarietà umana alla base di una cooperazione essenziale per qualsiasi costruzione di un mondo socialista.

(collettivo di formazione marxista Stefano Garroni)
                                                         

“Convegno degli intellettuali sulla politica di austerità e rigore”
  Roma, gennaio 1977.

sabato 8 dicembre 2018

La trappola di Tucidide - Andrea Muratore

Da: http://www.occhidellaguerra.it - ANDREA MURATORE collabora con “Gli Occhi della Guerra” e con il sito di Aldo Giannuli (http://www.aldogiannuli.it).
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/11/la-fedelta-ai-principi-dei-comunisti.html
                      https://www.lincmagazine.it/2018/03/22/asia-istruzione
 https://www.repubblica.it/esteri/2018/12/06/news/huawei_arrestata_in_canada_meng_wanzhou_direttrice_finanziaria_e_figlia_del_fondatore


La relazione tra Cina e Stati Uniti modella, oggigiorno, la linea di tendenza delle relazioni internazionali: le due principali potenze planetarie, infatti, sono inevitabilmente attratte l’una dall’altra, si vedono reciprocamente come partner imprescindibile e principale avversario potenziale.

Per la prima volta dopo il crollo dell’Unione Sovietica la Cina, non a caso definita “potenza revisionista” nella prima National Security Strategy firmata Donald J. Trump, si è consolidata nel rango di potenza capace di intaccare l’egemonia politica, economica e militare detenuta dagli Stati Uniti su scala globale. La rivalità sino-americana corre di pari passo all’attrazione fatale che avvolge i sistemi economici dei due Paesi e si manifesta in diversi scenari di crisi (dalla faglia indo-pakistana al Mar Cinese Meridionale), oltre che nelle reiterate schermaglie commerciali, rendendo necessaria una domanda: un conflitto militare diretto tra Pechino e Washington è da ritenersi possibile? 

La trappola di Tucidide 

A tale domanda ha provato a rispondere Graham T. Allison, professore alla John F. Kennedy School of Government di Harvard, nel suo testo fondamentale Destined for War, pubblicato nel 2017 e subito entrato nelle librerie personali di tutti gli alti decisori strategici statunitensi, primo fra tutti il National Security Advisor H. R. McMaster
Allison ha coniato l’espressione “trappola di Tucidide” per definire i rischi che possono essere causati dall’esacerbazione della rivalità tra due Paesi in forte competizione tra loro. 

Come scritto da Massimo Ciullo su Tempi: “Citando lo storico delle guerre peloponnesiache, considerato il padre del realismo classico, Allison sostiene che la sfida di una potenza emergente a una potenza egemone, pone una grave minaccia alla stabilità e alla pace. Iniziare a riconoscere i fattori di rischio diventa imprescindibile per evitare che il confronto tra i due contendenti finisca per farli cadere nella trappola di Tucidide”.

Cosa insegna Tucidide a Cina e Stati Uniti

Nella sua opera sulla Guerra del  Peloponneso, Tucidide scrive: “Ciò che rese la guerra inevitabile fu l’ascesa della potenza di Atene e la paura che questa causò a Sparta”. Dal conflitto che devastò la Grecia classica alla Guerra Fredda, Allison cita sedici esempi di rivalità simili, nella loro caratterizzazione, a quella sino-americana, dodici dei quali si sono conclusi con un diretto conflitto militare. 
Emblematico, in tal senso è il paragone con la forte contrapposizione che coinvolse Germania e Regno Unito prima della Grande Guerra: i due Paesi, tanto economicamente interdipendenti quanto atavicamente rivali, si lanciarono nella colossale corsa al riarmo navale motivata dalla volontà di Berlino di sfidare l’egemonia planetaria della flotta britannica, fatto che evoca alcuni paragoni con l’attuale situazione che vede la Cina intenta a ristrutturare il suo apparato militare partendo proprio dall’irrobustimento della flotta. 
Se il paragone con la crisi di inizio XX secolo tra le due principali potenze europee può risultare inquietante, Allison cita anche elementi di parallelismo con la contemporanea rivalità tra Londra e Washington segnata dal forte attivismo di Theodore Roosevelt, paragonato dall’autore a Xi Jinping in quanto leader fondamentale per la costituzione di una solida consapevolezza di potenza mondiale da parte del proprio Paese. Tale sfida non si risolse in un conflitto diretto tra la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, e non sarebbe impossibile ritenere che la Cina punti, in ultima istanza, a conseguire per l’Asia ciò che Roosevelt ottenne per il continente americano nel corso della sua presidenza, ovvero il riconoscimento di una primazia indiscutibile e sovrana in ambito politico-economico.

Il monito di Tucidide

Simbolo, prima ancora che legame concreto, delle caratteristiche che accomunano epoche storiche lontane tra loro, la “trappola di Tucidide” descritta in Destined for War è prima di tutto un monito ai governanti, ai leader politici, militari ed economici di Cina e Stati Uniti a considerare in un’ottica di lungo termine la relazione tra i due Paesi. “The farther backward you can look, the farther forward you can see”, ha detto Winston Churchill in un’indimenticabile sentenza che testimonia l’importanza e il valore di una solida conoscenza della storia, premessa fondamentale per la comprensione del presente. 

Le chiavi di interpretazione della rivalità sino-americana, insomma, sono tutte già a disposizione, ed è compito dei decisori politici afferrarle, ricordando, in presente come in futuro, che la guerra non è mai un’eventualità completamente ineluttabile e che essa va prevenuta e scongiurata nella maniera più decisa. La grande lezione del padre della storiografia segnalata da Allison, il monito di Tucidide alle generazioni presenti, è un invito a impegnarsi per evitare che, in futuro, qualche storico si ritrovi a scrivere delle motivazioni che resero la guerra tra Cina e Stati Uniti “inevitabile”.


giovedì 6 dicembre 2018

Le illusioni del postmodernismo (3) - Alessandra Ciattini

Da: Università Popolare Antonio Gramsci https://www.unigramsci.it https://www.facebook.com/unigramsci -
Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza, collabora con https://www.lacittafutura.it

Le illusioni del postmodernismo - a cura di Alessandra Ciattini
Gli incontri saranno dedicati a un noto pamphlet del filosofo britannico Terry Eagleton intitolato appunto “Le illusioni del postmodernismo”, in cui si mette in evidenza come i principi cui si richiama questa corrente sono diventati una sorta di senso comune, con cui amano civettare intellettuali, giornalisti di varia estrazione.
Inoltre, Eagleton sottolinea anche come sia difficile parlare di postmodernismo come di una visione sistematica e coerente, limitandosi a puntare il dito su alcuni temi agitati per mettere all’indice alcune nozioni classiche cui è giunto il pensiero classico (quali verità, obiettività, ragione etc,). E tutto ciò per rimarcare che siamo al trapasso da un’epoca all’altra, quest’ultima apportatrice di nuove libertà.

I° incontro: Caratteri della società cosiddetta postmoderna. Siamo fuori o dentro il capitalismo? Le profezie di Brezinski (1968) e di E. Cefis (1972). (
https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/11/le-illusioni-del-postmodernismo-1.html)

II° Incontro: Postmodernismo costituisce una temperie trasversale rispetto alle varie discipline, tocca l’architettura, la letteratura, la storia, le scienze sociali, la filosofia. È anche uno stile di vita. Passaggio ad una nuova forma sociale necessita di un cambiamento di paradigma. Nel 1979 J. F. Lyotard pubblica “La condizione postmoderna”, con cui si batte contro le “metanarrazioni”, il progressismo, la razionalità moderna che rispecchia l’organizzazione culturale occidentale. Contraddizione: una filosofia della storia contro altre filosofie della storia. (https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/12/le-illusioni-del-postmodernismo-2.html

III° Incontro: Con il poststrutturalismo (post sta sempre ad indicare un cambiamento epocale) si afferma il decostruzionismo (Derrida, Guattari), presente nella filosofia europea almeno dall’empirismo, ma appare ai più una scoperta. Smantellamento della metafisica occidentale. L’Essere non è comprensibile con il Logos, è una entità irraggiungibile e non rappresentabile. Misticismo. Ansia dell’assoluto:
                                                                                     

IV° Incontro: Crisi del concetto di verità e di quello di corrispondenza enunciato / fatto. Falsificazione. Criterio pragmatico della verità. Impossibilità di distinguere tra oggetto e soggetto. Ogni esistenza ha la sua verità. Varie sfumature di relativismo. Ruolo costitutivo del linguaggio e della cultura.

V° Incontro: I problemi posti dal postmodernismo hanno un senso? Come dobbiamo rispondergli? Riproponendo lo scientismo e il dogmatismo positivista? Sicuramente esprimono una grave crisi della nostra civiltà, cui dobbiamo trovare il modo di uscire, evitando passi indietro ed avventurosi passi avanti.

Bibliografia

Ciattini A., 
Il radicamento del pensiero antropologico postmoderno nella società contemporanea (http://www.marxismo-oggi.it/%E2%80%A6/197-il-radicamento-del-pensie%E2%80%A6).

Eagleton T., 
Le illusioni del postmodernismo, Editori Riuniti, Roma 1998.

mercoledì 5 dicembre 2018

La parabola di Buddha sulla casa in fiamme - Bertolt Brecht

Da: Poesie di Svendborg - Das Gleichnis des Buddha vom brennenden Haus -
Bertolt Brecht, Poesie e canzoni, a cura di Ruth Leiser e Franco Fortini, Torino, Einaudi, 1971, pp. 87-88 - http://nozionicomuni.blogspot.com

Gotama, il Buddha, insegnava

la dottrina della Ruota dei Desideri, cui siamo legati e ammoniva 
di spogliarsi di ogni passione e così
senza brame entrare nel nulla che chiamava Nirvana.
Un giorno allora i suoi discepoli gli chiesero:
«Com’è questo Nulla, Maestro? Noi tutti vorremmo
liberarci da ogni passione, come ammonisci; ma spiegaci
se questo Nulla in cui noi entreremo
è qualcosa di simile a quella unità col creato
di quando si è immersi nell’acqua, al meriggio, col corpo leggero
quasi senza pensiero, pigri nell’acqua; o quando nel sonno si cade
sapendo appena di avvolgersi nella coperta
e subito affondando; se questo Nulla dunque
è così, lieto, un buon Nulla, o se invece quel tuo
Nulla è soltanto un nulla, vuoto, freddo, senza significato».
A lungo tacque il Buddha, poi disse con indifferenza:
«Non c’è, alla vostra domanda, nessuna risposta» 

Ma a sera, quando furono partiti,
sedette ancora sotto l’albero del pane il Buddha e disse agli altri,
a coloro che nulla avevano chiesto, questa parabola:
«Non molto tempo fa vidi una casa. Bruciava. Il tetto
era lambito dalle fiamme. Mi avvicinai e m’avvidi
che c’era ancora gente, là dentro. Dalla soglia
li chiamai, ché ardeva il tetto, incitandoli
ad uscire, e presto. Ma quelli
parevano non avere fretta. Uno mi chiese,
mentre la vampa già gli strinava le sopracciglia,
che tempo facesse, se non piovesse per caso,
se non tirasse vento, se un’altra casa ci fosse,
e così via. Senza dare risposta
uscii di là. Quella gente, pensai,
deve bruciare prima di smettere con le domande. Amici, davvero,
a chi sotto i piedi la terra non gli brucia al punto che paia
meglio qualunque cosa piuttosto che rimanere, a colui
io non ho nulla da dire». Così Gotama, il Buddha.
                                                                                                   
Ma anche noi, che non più ci occupiamo dell’arte della pazienza
ma piuttosto dell’arte dell’impazienza, noi che tante proposte
di natura terrena formuliamo, gli uomini scongiurando
a scuoter da sé i propri carnefici dal viso d’uomo, pensiamo che a quanti,
di fronte ai bombardieri del capitale, già in volo, domandano,
e troppo a lungo, che ne pensiamo, come immaginiamo il futuro,
e che ne sarà dei loro salvadanai e calzoni della domenica, dopo
tanto sconvolgimento, noi
non molto abbiamo da dire. 

lunedì 3 dicembre 2018

Il tragico destino del cristianesimo - Renato Caputo 


Da: https://www.lacittafutura.it - Università Popolare Antonio Gramsci - 

https://www.unigramsci.it - https://www.facebook.com/unigramsci - 

APPROFONDIMENTI TEORICI (UNIGRAMSCI) - renatocaputo insegna storia e filosofia


Il destino tragico di un atteso liberatore storico e politico che tradisce le aspettative che aveva suscitato demandandole a una liberazione tutta interiore. 


La religione cristiana storica quale tradimento dell’ideale universalistico del Vangelo 

Nel 1796 Hegel abbozza uno scritto, cui sarà dato in seguito il titolo di la Positività della religione cristiana, in cui mostra di aver fatto propria a pieno titolo la lezione del più grande e radicale illuminista tedesco, Gotthold Ephraim Lessing, la cui opera aveva già divorato in gran segreto nel seminario teologico di Tubinga. Sulle orme di Lessing, Hegel distingue nelle tradizioni religiose e, in particolare, in quella giudaico-cristiana, gli elementi progressivi da quelli regressivi, sulla base del contributo che hanno dato alla progressiva auto-educazione del genere umano, nelle differenti epoche storiche, in tempi in cui ancora dominava la visione mitologico-religiosa del mondo, non essendosi ancora affermata a livello di massa la concezione filosofico-scientifica. In tal modo Hegel contrappone gli elementi progressivi e addirittura rivoluzionari presenti nel messaggio evangelico – che mette minuziosamente in rilievo – non solo alla più arcaica e, dunque, meno evoluta religione ebraica, ma anche rispetto alla più moderna religione cristiana, la quale ha finito con il sacrificare, scendendo a patti con lo spirito del tempo, gli aspetti più innovatori e di rottura presenti nella predicazione del Cristo. 

Gesù, infatti, ha predicato una religione dell’amore (interiore, fondata sulla fratellanza universale, intersoggettiva) di contro alla esteriore e intellettualistica religione ebraica fondata sulla potenza astratta della legge. Gesù, inoltre, ha sostituito ai dogmi positivi, ossia privi di spirito, dei farisei, l’imperativo categorico che ingiunge di amare l’altro come se stessi. Una concezione quella di Gesù, dunque, tutta volta all’azione pratica, morale, e non a fondare – come faranno subito dopo la sua morte i discepoli tradendone lo spirito rivoluzionario – la struttura istituzionale e dogmatica di una chiesa storica, culturale e positiva, che non può che riprodurre un’attitudine intollerante verso altre credenze o convinzioni. Da qui la critica di Hegel ai discepoli e, di conseguenza, alla chiesa cristiana che ha perso di vista proprio l’aspetto più progressivo e “moderno” della predicazione del Cristo, il piano morale, razionale e, dunque, universalistico del messaggio evangelico, per fondare una nuova religione positiva, che non rompe più in modo radicale con l’impostazione culturale della religione ebraica, ma si limita a una sua riforma

domenica 2 dicembre 2018

Le illusioni del postmodernismo (2) - Alessandra Ciattini


Le illusioni del postmodernismo - a cura di Alessandra Ciattini
Gli incontri saranno dedicati a un noto pamphlet del filosofo britannico Terry Eagleton intitolato appunto “Le illusioni del postmodernismo”, in cui si mette in evidenza come i principi cui si richiama questa corrente sono diventati una sorta di senso comune, con cui amano civettare intellettuali, giornalisti di varia estrazione.
Inoltre, Eagleton sottolinea anche come sia difficile parlare di postmodernismo come di una visione sistematica e coerente, limitandosi a puntare il dito su alcuni temi agitati per mettere all’indice alcune nozioni classiche cui è giunto il pensiero classico (quali verità, obiettività, ragione etc,). E tutto ciò per rimarcare che siamo al trapasso da un’epoca all’altra, quest’ultima apportatrice di nuove libertà.

I° incontro: Caratteri della società cosiddetta postmoderna. Siamo fuori o dentro il capitalismo? Le profezie di Brezinski (1968) e di E. Cefis (1972). (https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/11/le-illusioni-del-postmodernismo-1.html)

II° Incontro: Postmodernismo costituisce una temperie trasversale rispetto alle varie discipline, tocca l’architettura, la letteratura, la storia, le scienze sociali, la filosofia. È anche uno stile di vita. Passaggio ad una nuova forma sociale necessita di un cambiamento di paradigma. Nel 1979 J. F. Lyotard pubblica “La condizione postmoderna”, con cui si batte contro le “metanarrazioni”, il progressismo, la razionalità moderna che rispecchia l’organizzazione culturale occidentale. Contraddizione: una filosofia della storia contro altre filosofie della storia:
                                                     

III° Incontro: Con il poststrutturalismo (post sta sempre ad indicare un cambiamento epocale) si afferma il decostruzionismo (Derrida, Guattari), presente nella filosofia europea almeno dall’empirismo, ma appare ai più una scoperta. Smantellamento della metafisica occidentale. L’Essere non è comprensibile con il Logos, è una entità irraggiungibile e non rappresentabile. Misticismo. Ansia dell’assoluto.

IV° Incontro: Crisi del concetto di verità e di quello di corrispondenza enunciato / fatto. Falsificazione. Criterio pragmatico della verità. Impossibilità di distinguere tra oggetto e soggetto. Ogni esistenza ha la sua verità. Varie sfumature di relativismo. Ruolo costitutivo del linguaggio e della cultura.

V° Incontro: I problemi posti dal postmodernismo hanno un senso? Come dobbiamo rispondergli? Riproponendo lo scientismo e il dogmatismo positivista? Sicuramente esprimono una grave crisi della nostra civiltà, cui dobbiamo trovare il modo di uscire, evitando passi indietro ed avventurosi passi avanti.

Bibliografia

Ciattini A., Il radicamento del pensiero antropologico postmoderno nella società contemporanea (http://www.marxismo-oggi.it/%E2%80%A6/197-il-radicamento-del-pensie%E2%80%A6).

Eagleton T., Le illusioni del postmodernismo, Editori Riuniti, Roma 1998.

venerdì 30 novembre 2018

Il secondo e terzo volume del Capitale di Marx - Rosa Luxemburg (1919)

Da: https://www.marxists.org - Pubblicato nel capitolo 12 della Vita di Marx di Franz Mehring. Traduzione di Fausto Codino e Mario Alighiero Manacorda. Trascritto da Leonardo Maria Battisti, giugno 2018.
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    Il secondo e il terzo volume del Capitale subirono le stesse vicende che erano toccate al primo: Marx sperava di poterli pubblicare subito dopo che era uscito il primo, ma passarono lunghi anni, e non gli riuscì più portarli al punto da poter essere stampati.

Studi sempre nuovi e sempre più profondi, malattie penose e infine la morte gli impedirono di terminare tutta l’opera, e così Engels mise insieme i due volumi dei manoscritti incompiuti che il suo amico aveva lasciato. Erano minute, abbozzi, appunti, ora parti estese e continue, ora brevi annotazioni, quali uno studioso fa per proprio uso: un lavoro teorico immenso che si estese, con prolungate interruzioni, per il lungo periodo di tempo fra il 1861 e il 1878.

Queste circostanze ci fanno capire che nei due ultimi volumi del Capitale dobbiamo cercare non una soluzione pronta e compiuta di tutti i più importanti problemi di economia politica, ma in parte soltanto l’impostazione di questi problemi, e inoltre indicazioni sulla direzione da seguire per cercarne la soluzione. Come tutta la concezione del mondo di Marx, anche la sua opera principale non è una Bibbia, con verità inappellabili pronte e valide una volta per sempre, ma una fonte inesauribile di incitamento ad ulteriore lavoro teorico, a ulteriori ricerche e lotte per la verità.

Quelle stesse circostanze ci spiegano come mai anche esteriormente, nella forma letteraria, il secondo e terzo volume non sono così compiuti come il primo, non hanno lo stesso spirito lampeggiante e scintillante. Eppure proprio come nuda elaborazione di pensiero, incurante di ogni forma, essi offrono a molti lettori un godimento ancora più alto del primo volume. Nonostante che fino ad ora, purtroppo, non si sia tenuto conto di essi in nessuna opera di divulgazione, e quindi siano rimasti sconosciuti alla grande massa degli operai colti, per il loro contenuto questi due volumi costituiscono un’integrazione essenziale e un ulteriore sviluppo del primo volume, indispensabile per la comprensione di tutto il sistema. 

giovedì 29 novembre 2018

La fatuità della cultura - Georg Wilhelm Friedrich Hegel

Da: Hegel, Fenomenologia dello spirito, (trad. E. De Negri) 


    Il contenuto del discorso che lo spirito tiene di se stesso e intorno a se stesso è dunque l’inversione di tutti i concetti e di tutte le realtà; è il generale inganno di se medesimi e degli altri; e l’impidenza di enunciare questo inganno è appunto perciò la suprema verità. Tale discorso è la frenesia di quel musico “che ammucchiava e mescolava trenta arie, italiane e francesi, tragiche e comiche, di ogni risma; ora scendeva con nota da basso profondo sino all’inferno; ora, contraendo l’ugola, lacerava col suo falsetto le altezze dell’aria, a volta a volta furente e mansueto, imperioso e schernitore”. – Alla coscienza posata, la quale fa onestamente consistere la melodia del bene e del vero nell’eguaglianza dei toni, cioè nell’unisono, siffatto discorso appare come “un guazzabuglio di saggezza e di demenza, una miscela di capacità e istrioneria, di idee giuste e di false, di completa perversione del sentimento, di completa sfrontatezza, e insieme di piena sincerità, di piena verità. Non si potrà fare a meno di passare per tutti questi toni, di percorrere su e giù l’intera gamma dei sentimenti, dal più profondo dispregio e dalla più profonda abiezione fino alla suprema ammirazione e alla suprema commozione. In questi ultimi sentimenti si diffonderà un che di ridicolo a caratterizzare la loro natura”; i primi invece avranno nella loro sincerità perfino un                                                                                                                che di conciliante; avranno nella loro sconvolgente profondità quella nota che tutto domina e che                                                                                                                  restituisce lo spirito a se stesso.

    Se di fronte al discorso di questa confusione chiara a se stessa, noi consideriamo il discorso di quella coscienza semplice del vero e del bene, ecco che, rispetto all’aperta eloquenza, e di sé consapevole, dello spirito della cultura, tale discorso può essere soltanto un monosillabo; siffatta coscienza non può infatti dire niente a quello spirito, qualora esso non lo sappia e non lo dica da sé. Se questa coscienza va oltre al suo monosillabo essa dice allora quella stessa cosa che anche quello spirito dice; ma con ciò commette inoltre la pazzia di credere di dire qualcosa di nuovo e di diverso. Già le sue scempie e spregevoli sillabe sono questa pazzia; quello spirito infatti le dice di se stesso. Se nel suo discorso esso inverte tutto ciò che ha un tono solo, poiché questa identità con se stesso è mera astrazione, mentre nella sua effettualità è invece l’inversione in se stessa; e se per contro la coscienza retta prende sotto la sua egida il buono e il nobile, - vale a dire ciò che nella sua estrinsecazione si mantiene eguale, - nell’unico modo che qui è possibile, in modo cioè ch’esso non perda il proprio valore per quanto sia congiunto o mischiato al male (questa è infatti la sua condizione e necessità, questa è la saggezza della natura); - allora tale coscienza credendo di contraddire, altro non ha fatto che costringere il contenuto del discorso dello spirito entro una forma triviale; questa forma senza pensiero, rendendo il contrario del nobile e del buono condizione e necessità del nobile e del buono, crede di dire qualcos’altro da ciò: che il cosiddetto nobile e buono è nella sua essenza l’inverso di se medesimo, al modo stesso che, per contro, il cattivo è l’eccellente.