lunedì 10 dicembre 2018

GRAMSCI E LA DIALETTICA - Stefano Garroni

Da: mirkobe79 Collettivo di Formazione Marxista "Stefano Garroni" Stefano_Garroni è stato un filosofo italiano. 

                                                                             

98 - GRAMSCI E LA DIALETTICA 28-03-2002

Le radici hegeliane di Marx. Contro Della Volpe.

PREAMBOLO: I titoli degli incontri seminariali non sono mai rigorosamente indicativi dell’argomento trattato, poiché il tono colloquiale delle lezioni di Stefano Garroni e la stessa natura degli incontri (una serie di seminari collettivamente autogestiti miranti alla formazione marxista di quadri comunisti) fanno sì che la sua esposizione, fatta a braccio e sovente improvvisata, non sia mai sistematica (come sarebbe stata in un intervento scritto), né circoscritta all’argomento richiamato dal titolo, ma sempre aperta ad allargarsi verso ulteriori tematiche, inizialmente non previste; spesso suggerite dagli interventi degli altri compagni che lo seguivano nei seminari.

NOTA: fra parentesi quadre il Redattore fa delle aggiunte per rendere più semplice la comprensione degli interventi e la stessa esposizione. 

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DOMANDA[…] La critica che viene fatta a Karl Marx da Max Weber [parte dalla tesi weberiana della presunta avalutatività che deve caratterizzare le scienze, lo statuto di scientificità di ogni scienza particolare, e si può riassumere in questi termini], cioè: tu [Marx] hai preso una posizione [la critica economica, nonché morale e politica, del capitalismo], ed è giusta fintanto che tu espliciti il tuo riferimento. Cioè tu hai concettualizzato un sistema che non ha nessuna pretesa di essere lo specchio del reale. Però ecco: come si concilia questa cosa con l’idea della totalità?

Stefano Garroni: Certamente. Quello che dici è interessante perché poi è uno dei temi fondamentali. Intanto dico, en passant, [vediamo]che cosa significa idea per Hegel: dire che la filosofia è idealismo non è una proposizione idealistica, perché [significa dire] esattamente che la filosofia produce il modello, ma il modello è sia il modello e sia la cosa. Affermare che “La filosofia è idealismo” non è idealismo. Perché? Perché il presupposto è sempre l’Uomo: il pensiero sta dentro il mondo, quindi il movimento del mondo e del pensiero sono lo stesso movimento, perché [sono il risultato] dell’esperienza stessa che si svolge. D’accordo? 
L’obiezione di Weber è chiarissimamente l’obiezione di chi non mantiene la distinzione tra scienza particolare e scienza [pura, avalutativa e scevra da postulati di base], perché se tu recuperi questa distinzione l’obiezione non ha senso. E’ importante qui cogliere, come dire, il peso negativo di un elemento del pensiero comune, [inteso come senso comune]. Cioè, il pensiero comune è basato su questo equivoco di fondo: “Io credo alla materialità del mondo in quanto il mondo è oggetto di esperienza. Questo è duro, lo sento”. Questo [invece] è idealismo puro perché faccio delle mie sensazioni il criterio del reale. Questo è esattamente idealismo. Se io mi libero dall’idealismo, cioè dal senso comune, che cosa scopro? Scopro che non esiste una scienza [pura] che guarda le cose ed elabora [a-valutativamente], su questa sua esperienza, delle cose. La scienza ha sempre bisogno di una teoria di riferimento che le consenta di stabilire: “Questa è una cosa”. Allora l’obiezione di Weber traballa perché lui scopre che c’è un presupposto in Marx, ma è così in ogni scienza. Non è possibile una scienza se non appunto sulla base del primato dell’elemento teorico che è quello che consente di distinguere una cosa da una non cosa, ciò che è pertinente da ciò che non è pertinente, il vero dal falso.

INTERVENTO: Anche storico.

Stefano Garroni: Certo.
Ora, questa grossa importanza dell’elemento teorico è esattamente ciò che viene smentito continuamente nella pratica dai comunisti. Diciamolo insomma, no? E questa è barbarie perché vuol dire che tu tagli le radici con tutto lo sviluppo della cultura moderna, da alcuni secoli, sulla base di una rozzezza che è quella del populismo, della cialtronaggine [e oggi della cultura postmoderna]. Insomma, si trovano molti luoghi comuni dove c’è scritto: “[…]abbiamo capito che [nella scienza] esiste una dimensione ideologica”. Ma come ! Ѐ sempre la stessa logica [che sorregge la Scienza e la Filosofia]. E’ la natura antiempiristica del ragionamento dialettico, questo va fortemente sottolineato. Però voi capite che quando si parte da questo, comincia a traballare una faccenda: qual è la distinzione tra scienza e filosofia? E perché è chiaro che se io ho presente, non so, il chimico che fa certe operazioni, la distinzione con il filosofo la trovo, ma a quest’altro livello dove sta la distinzione? Evidentemente non c’è. Esiste un livello teorico dove non c’è questa distinzione tra scienza e filosofia, ovvero c’è la scienza. Cioè, il fatto che tu fai della ragione lo strumento fondamentale della conoscenza. A quel livello dire filosofo o scienziato è la stessa cosa. Ovviamente quando tu fai il fisico o l’architetto, è chiaro che la distinzione con il filosofo c’è.
Però voi allora capite che la lettura delle cose di Marx diventa complicata anche perché lui non fa mai lo scienziato particolare, anche quando sembra. Infatti tu puoi sempre scoprire certi lati delle cose che con la scienza particolare non c’entrano. Per esempio, voi sapete che Marx insiste molto sulla differenza tra lavoro vivo e lavoro morto. Il lavoro morto è il lavoro incorporato nella macchina, nello strumento, e la società capitalistica è basata sul fatto che il lavoro morto domina il lavoro vivo: beh, non ci vuole molto a capire che la cosa è giocata sul primato del morto sul vivo. E questo, scusate, non è scienza nel senso delle scienze particolari. Qui c’è una posizione etica, filosofica, di fondo, che dice: viva la vita, no alla morte. Marx, nei Manoscritti giovanili, esprime il principio morale fondamentale suo: una vita che produca vita. Questo è positivo, questo va appoggiato, questo va favorito. Appunto questo è il senso del primato del vitale di contro al morto. Ovviamente, ripeto, e questo non è un fatto da scienza particolare, anzi lo scienziato particolare direbbe “va beh… che diavolo!” Però tu in realtà vai a fare scienza, a ricercare la ragione delle cose, perché? Ma perché vuoi affermare il primato della ragione cioè proprio del vivo. Allora si comprende perché anche l’atteggiamento di chi dice “no all’irrazionalismo” è un atteggiamento morale, oltre che scientifico, ed esprime quest’istanza del primato del vivente cioè del produttivo, del creatore. Voi sapete per esempio che qui noi possiamo appellarci al grande contributo di Freud, perché, appunto, nel senso comune si pensa che la mia immaginazione è libera quando non è gravata da schemi intellettuali. Freud ci mostra che l’immaginazione non gravata da schemi intellettuali, è la diretta espressione dell’inconscio.

INTERVENTO: Ѐ un lato bestiale della vita.

Stefano Garroni: Ed è sempre quello. Dove l’immaginazione diventa creativa? Quando sale al livello della mente. L’immaginazione creativa è la matematica, la fisica teorica: questa è l’immaginazione creativa. L’immaginazione al di sotto della ragione è di una noia mortale: due o tre situazioni che si alternano: sempre quello. E allora vuol dire che quando si legge la pagina di Marx bisogna stare attenti. Marx sta parlando di quello di cui sta parlando, sicuramente. Si può spiegare quello che c’è scritto ma c’è anche un altro senso. E questo è dato anche da un episodio molto curioso e interessante: anni fa fu pubblicato un libro di un inglese, di cui la versione italiana è intitolata La biblioteca di Marx.

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Stefano Garroni: L’autore, [Siegbert S. Prawer], studia la formazione del pensiero di Marx attraverso i testi letterari. Attraverso Cervantes, Shakespeare. Vede che queste sono ovviamente letture che appartengono all’Ottocento, all’Ottocento europeo che rilegge appunto Cervantes, Shakespeare, Dante. Ѐ qua che Marx si forma. Quando lui va a scrivere di economia si porta appresso Shakespeare, si porta appresso Dante, cioè non fa una lettura da scienziato particolare, che è un idiota socializzato, no! lui ci va con tutto un patrimonio culturale enorme che prima di tutto è letterario. Intendiamoci: letterario dico Dante, Cervantes, Balzac, allora voi capite meglio che vuol dire esperienza. Ѐ questo il luogo dove io la trovo l’esperienza: la trovo documentata. C’è anche la barbarie moderna: quando si pretende di tradurre Shakespeare in termini di esperienza nostra [frase incomprensibile sembra che dica “col culo di fuori”], o vestito da nazista. Cambia no? Questo è un immiserimento. Si tratta invece di capire la ricchezza dell’esperienza che viene documentata là, espressa là. Ecco questo è lo sfondo su cui cresce il ragionamento. Ma il ragionamento vuole essere il modo per mettere in evidenza la maniera in cui si svolge la dinamica dell’esperienza, questa è la dialettica. Ѐ chiaro?

INTERVENTO: Io stavo pensando al punto da cui sei partito, ovvero dalla distinzione tra il modello e il calco, schematizzando. Però praticamente, mi sembra che ci sia sempre un continuo richiamare, continui salti dialettici nel senso che per disegnare il calco poi si debba, comunque sia, affidarsi al modello.

Stefano Garroni: E per disegnare il modello bisogna poi affidarsi al calco.

INTERVENTO: E quindi è un gioco continuamente di …

Stefano Garroni: Esatto! Questo è esattamente il senso di “Il reale è razionale”, cioè il fatto che la ragione, essendo la linea di movimento dell’esperienza, non è mai in una situazione di frattura rispetto al fatto. Ѐ interessante il fatto che Marx nei Manoscritti Giovanili, quelli di Parigi nel ’44, dedica alcune pagine alla critica del metodo dell’economia politica e usa due termini. Uno per indicare il metodo dell’economia politica e l’altro per la contrapposizione corretta. Per l’economia politica usa il termine fassen, il verbo fassen, e la forma di conoscenza dell’economia politica è fassen, ausffassung. Cioè proprio questo “cogliere l’evidenza empirica”. La conoscenza dal punto di vista alternativo all’economia politica è data dal begreifen e begriff vuol dire concetto, quindi è un’attività che produce il concetto. Il concetto è appunto come lo diceva lui: questa saldatura tra l’empirico e la sua forma dinamica, che significa che io per mettere in evidenza la forma dinamica dell’empirico ne lascio cadere certi aspetti che non servono. Qui si tratta di cogliere la linea di movimento della cosa e quindi il fassen, mentre il begreifen assume dentro di sé il fassen. Non è semplicemente una contrapposizione. [E’ un superamento dialettico].
[Faccio un esempio]. Quando viene sostituito l’organo di senso naturale, [ad esempio l’occhio], con l’organo di senso artificiale, [ad esempio il telescopio], che succede? Succede che l’oggettività si dà come il risultato di un processo di costruzione basato fondamentalmente sulla matematica e sull’applicazione della matematica. E allora succede che dire “questo è oggettivo” non significa dire “questo risulta immediatamente ai sensi” ma questo è il risultato di un’elaborazione teorica, pratico-teorica, laddove il pratico è lo strumento tecnico, la tecnologia, quindi la traduzione pratica del sapere. Dentro questa linea si colloca il marxismo e qui viene difeso chiaramente il tema dell’arrovesciamento [della dialettica hegeliana], cioè il fatto che in un linguaggio realistico e storicistico, Marx dice quello che la filosofia tradizionale diceva in termini di spirito. Non trovi “spirito” in Marx, trovi invece “struttura”, “sovrastruttura”, insomma queste cose qua. 

INTERVENTO: Credo che ci siano diversi riferimenti che dobbiamo approfondire. Non ultimo la filosofia della prassi. Ci sono una serie di riferimenti, dei termini che tu usi però, nel caso mio, dovrebbero essere contestualizzati un po' meglio.

Stefano Garroni: Sì, prendiamola da questa parte qua: filosofia della prassi, nel senso che nelle tesi su Feuerbach, che sono del ‘42-’43, Marx parla di praxis che non è un termine tedesco. In tedesco praktik è pratica. Qui praxis è proprio un termine tecnico che lui introduce per indicare un agire che è all’interno di una prospettiva teorica. Ѐ estremamente importante perché, se non si tiene presente questo, il discorso di Marx sembra essere un discorso estremamente volgare, cioè sembra un ingenuo praticone che dice: “basta con le chiacchiere andiamo ai fatti”. Qui il problema è un altro: lui parla di praxis, cioè appunto di una pratica che è all’interno di un orizzonte teorico determinato. Quando Gramsci parla di filosofia della prassi si riferisce a questo tipo di problematica.

DOMANDA: Non è che Gramsci usa questo termine per la censura?

Stefano Garroni: No. Queste sono fregnacce perché lui …

INTERVENTO: Si ma io ho letto così …

Stefano Garroni: Sì lo so. Anche ‘marxismo’ però nel testo si trova: va beh, i fascisti saranno cretini, però la filosofia della praxis e Marx, dio cane insomma …

INTERVENTO: Per quanto ignoranti c’arrivavano pure loro.

Stefano Garroni: No tu devi vedere un’altra cosa. Gramsci, scrive in un’epoca in cui ha un grandissimo ruolo la filosofia pragmatica negli Stati Uniti, in Francia, in Inghilterra, ed è una cosa importante anche in Italia. Quindi dire ‘filosofia della prassi’ ha un senso, intanto richiama questo e poi Gramsci è estremamente vicino al pensiero di Giovanni Gentile e quindi alla cosiddetta filosofia dell’atto, dell’agire, dell’azione, di nuovo la prassi. La sottolineatura che lui fa da giovane, contro il marxismo della seconda internazionale, prende spunto dal fatto che Lenin aveva sottolineato questo fatto del momento dell’intervento della soggettività che irrompe [nel] l’oggettività delle leggi storiche e introduce la volontà. Quindi questo motivo della prassi, dell’agire - secondo una prospettiva però, non del mero agire -, è un tema centrale della nostra [tradizione marxista].

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Stefano Garroni: Ma a noi quello che c’interessa, in sostanza, è riuscire a enucleare appunto alcuni temi che possano essere oggetto di approfondimento vario, che costituiscano un filo rosso dell’approfondimento. Quindi quell’elemento di continuità che noi possiamo andare a vedere in Gramsci, che possiamo andare a vedere in Hegel o da un’altra parte: questo è il filo rosso. E fondamentalmente mi pare che la questione sia proprio in questa citazione della concezione soggettivistica, il che è paradossale: l’ambiente nostro è l’ambiente di chi sottolinea con molta forza “noi siamo materialisti”. Qui Gramsci dice: la condizione soggettivistica è ciò a cui il marxismo si rifà. Il che sembra esattamente l’opposto: insomma, quello che voglio dire è che mi pare documentabile che c’è una grande enfasi su Gramsci, ma veramente Gramsci non viene letto poi, perché se venisse letto allora si romperebbero una serie di schemi a proposito del marxismo.

INTERVENTO: Il buon senso pure…

Stefano Garroni: Tipo il senso comune. Dall’altro teniamo anche presente quest’altro elemento che è un elemento importantissimo. Buon senso, senso comune - e il problema del rapporto tra filosofia-buon senso, filosofia-senso comune -, sono termini di una problematica tipica, centralissima nel pensiero anglosassone, e centralissima anche nel dibattito contemporaneo. Ed è chiaro che se si mette in questione il senso comune e il buon senso, in sostanza quello che si sta dicendo è che con la filosofia si sta su una dimensione il cui rapporto con il linguaggio comune non è pacifico, va capito.
Ora io non ho portato, ovviamente, i testi ma insomma è dimostrabile, ad esempio, questo fatto curioso: noi dobbiamo purtroppo abituarci che stiamo dentro una tradizione culturale che ha di fatto falsificato un sacco di cose, ad esempio si potrebbero portare cose di Hegel in cui avviene questo: che Hegel critica con forza la filosofia dell’intelletto, la filosofia della riflessione, e difende la coscienza comune. Qui in Gramsci noi vediamo che c’è questa prospettiva di indicare all’interno del senso comune una dimensione, che appartiene al senso comune, che è il buon senso, che può mediare con la filosofia. Quindi in Gramsci c’è questo motivo, di andare a cercare nella coscienza comune qualche cosa che porta verso la filosofia. In Hegel c’è questa forte tendenza a criticare un tipo di filosofia, la filosofia dell’intelletto, della riflessione, Kant e Fichte per intenderci, ma non la coscienza comune. La filosofia, in senso proprio, deve aiutare a capire la coscienza comune. Quindi, appunto, questo movimento è importante: la filosofia come quel momento di coscienza che mette in luce che cosa la coscienza comune dice, anche non sapendolo, e contemporaneamente è polemica contro un tipo di filosofia che, invece, o rompe i conti o falsifica la coscienza comune.

INTERVENTO: La banalizza diciamo.

Stefano Garroni: La falsifica, la falsifica. Ѐ chiaro che questo è anche, se noi lo trasformiamo sul piano politico, la questione del rapporto tra partito, cioè organizzazione dell’avanguardia e masse. La massa è il senso comune, la filosofia è lo spirito critico, il partito è l’avanguardia ecc…
Ora dobbiamo capire che come si determina il rapporto tra filosofia e coscienza comune è estremamente importante perché è anche un fatto di democrazia. Ad esempio, buona parte della filosofia anglosassone ha un atteggiamento di grande passività verso la coscienza comune. La filosofia ha il semplice scopo di far vedere che cosa dice la coscienza comune e non di criticarla. Io citavo ad esempio George Edward Moore, filosofo inglese di Cambridge che scrive una confutazione dell’idealismo che è questa. Voi immaginate la scena, non so se studenti o anche i docenti che fanno il ruolo dello studente, e lui che fa lezione. Confutazione dell’idealismo: “Eccola”. Cioè si spiega all’esperienza comune come constatare l’esistenza di quest’oggetto, quindi è l’esistenza di un mondo che non dipende da me ma che sta là. Questo è un immediato appello al senso comune, contro l’elucubrazione filosofica: eccola la realtà. O come diceva poco prima Russell: “ad un certo tempo rompemmo con l’idealismo e decidemmo che l’erba è verde, la luna sta nel cielo…” ecc. … Cioè [nella filosofia anglosassone c’è] questo richiamo forte al senso comune contro una speculazione che non porta da nessuna parte. Ecco, questa ricaduta nel senso comune non è presente in Gramsci. In Gramsci c’è invece la ricerca di un modo per mediare filosofia e coscienza comune trovando un terzo elemento che si distacca dalla coscienza comune e che apre verso la sistematizzazione filosofica. Perché, appunto, la filosofia ha la funzione di criticare l’esistente, ma raccogliendolo e non negandolo. Ѐ il rapporto avanguardia-massa. Da Gramsci si vede come si passa tranquillamente dal piano della filosofia a quello del popolo. Il tema dell’intellettuale organico è il tema di una cultura, cioè di una coscienza critica che si media con l’esperienza comune, ma che quindi la critica, la fa evolvere, ma che contemporaneamente apprende la reale esperienza comune, e se volete è il tema della realizzazione della filosofia. Ecco, a me sembra che sia molto importante sottolineare come sia centrale nella tradizione anglosassone il problema del rapporto tra filosofia e senso comune per due motivi. Primo: e questo è un esercizio che noi possiamo fare, no? Nella Sacra Famiglia, opera giovanile in realtà di Marx ma che Marx fa uscire come fatta da [anche da Engels], nella Sacra Famiglia Marx fa uno schema storico del materialismo, descrive una storia del materialismo. È interessante che nella tradizione “ortodossa” del marxismo, l’interpretazione di questo schema è una falsificazione dello schema, e non per caso: s’interpreta, si presenta questo schema come se fosse una sottolineatura forte del materialismo francese del Settecento. Se leggiamo la pagina di Marx, vediamo che in realtà lui considera la madre del materialismo l’Inghilterra. La differenza è di grande importanza perché il materialismo francese è un materialismo meccanicistico, quello inglese no, ed è sempre percorso da filoni scettici, da Locke, Hume, da questa gente qua. Ѐ quindi un materialismo che è sempre estremamente critico.

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Garroni: È Francis Bacon legato ad Aristotele ma anche alla critica scettica contro gli idola, per esempio. Allora è qualcosa di estremamente…

DOMANDA: Come mai scusa approdano ad Aristotele?

Stefano Garroni: Adesso ci arrivo. La cosa interessante è che in Inghilterra si va formando un orientamento antimeccanicistico, quindi proprio l’opposto del materialismo francese. E Marx dice: è l’Inghilterra la terra madre del materialismo. Lo dice proprio. La tradizione falsifica le cose, ti presenta invece la centralità del materialismo francese. E ad esempio nell’edizione tascabile di Feltrinelli, non uscivano – negli anni buoni insomma, quando ancora il partito contava –, non so, cosette di Bacon o di Locke, ma L’homme machine di La Mettrie, che è proprio un testo meccanicistico netto che vuol mostrare come la dimensione corporea dell’uomo è appunto quella di una macchina. Invece Marx si ricollega a un materialismo antimeccanicistico che è quello che Hegel sottolinea come fenomeno positivo nelle Lezioni di storia della filosofia. Ora questa enfatizzazione del materialismo francese è un modo per staccare Marx da Hegel, per non far vedere un rapporto. Il rapporto lo si vede molto bene paragonando quello che Marx dice di Francis Bacon con il capitolo dedicato a Francis Bacon nelle Lezioni di Storia della filosofia di Hegel. [Questo ostracismo contro Hegel da parte della tradizione imposta dallo stalinismo, ma che nasce già anche prima di Stalin, ad esempio con Bucharin] si nota anche da quest’altro esempio: Luckacs ebbe grandi difficoltà a pubblicare il suo libro su Il giovane Hegel. Facendo il confronto con le Lezioni di storia della filosofia di Hegel si può tornare a sottolineare la centralità del rapporto Marx-Hegel, che Lukacs aveva già compreso nel 1920-1930. Ma questa centralità è la centralità del rapporto [del marxismo] con la grande cultura occidentale.
Se io, Stalin, sostengo che è possibile fare il socialismo nella Russia isolata, io devo rompere il rapporto con l’Occidente: [devo proclamare che] noi siamo autonomi. E allora, per esempio, debbo dire: le opere di Marx non debbono essere di un numero di volumi superiore alle opere di Lenin. Per cui certe cose di Marx non si pubblicano perché sennò diventano dieci volumi di più. [Perciò la pubblicazione di tutte le opere di Marx non fu fatta]. Perché? Perché come Martì oggi a Cuba, ieri Lenin nell’URSS stalinista doveva essere il punto di riferimento. Il messaggio [politico sottostante] era questo: “Noi possiamo farcela da soli”. Se invece sottolineiamo che il marxismo deriva da quella tradizione là, allora da quella tradizione, da quella scienza, da quella cultura, riscopriamo che cosa? Il carattere internazionale della dimensione [politico-culturale] del socialismo. No, allora non si poteva fare. Ora è molto interessante che Gramsci questo lo dice.

INTERVENTO: E ma Lenin sottolineava sempre che non si può capire Marx senza Hegel … !

Stefano Garroni: Certo, certamente. Però sai che l’ultima opera scritta da Lenin non so quanti russi l’hanno letta. Lui dice a Trotzski: “Per favore attacca Stalin, esibiscigli questo foglio mio per mostrargli che sto con te, attaccalo”. Non lo so quanti russi l’hanno letta.

INTERVENTO: Qualcuno dice che è falso.

Stefano Garroni: Certo questo è interessante. Questo è molto bello. Tutti gli stalinisti hanno sempre detto di essere i fedeli continuatori di Lenin. Quando Lenin attacca Stalin allora dicono: “Lì Lenin è impazzito”. E no un momento. Abbi pazienza, no?
[…]Ѐ una rete di problemi da approfondire. Si può tornare a leggere quello schema di storia del materialismo che Marx ha fatto e confrontarlo con le interpretazioni che ne sono state date e si vede che cosa ne viene fuori. Ma si può fare anche un’altra cosa. Ad un certo punto, poniamo, in Italia c’è una discussione tra Elio Vittorini e Togliatti sul tema proprio cultura-partito. Stiamo nel secondo dopoguerra, il partito ha una grande importanza, Vittorini appartiene ad un ambiente cattolico vicino ai comunisti come Fortini. Non vicino, ma con la tessera, va bene? E pone problemi: l’autonomia della cultura. Togliatti, da uomo politico, dice: “non rompere le scatole. Decido io che cosa voglio”. Il dibattito non è, attenti, non è una cosa stupida, perché bisogna stare attenti alle tante richieste di autonomia della cultura; è una cosa indecente e in certe condizioni diventa controrivoluzionaria. Perché la Russia non ce la fa?

INTERVENTO: Beh, bisogna sempre vedere le condizioni.

Stefano Garroni: E allora però per esempio, qui abbiamo un momento storico molto determinato che può essere ricostruito, perché i documenti ci sono. Ci sono le cose di Vittorini, la risposta di Togliatti, possiamo rileggere, rimettere in discussione, tornare ad interrogarci sul problema. C’è ad esempio uno scritto di Sartre molto importante: Le mani sporche. Ѐ un’opera teatrale in cui lui pone tra l’altro questo problema, sotto l’aspetto del rapporto morale-politica: la politica implica lo sporcarsi le mani? È chiaro che c’è un po’ di moralismo. Tu devi sempre sapere che il nemico è il capitalista […] Ma quest’istanza moralistica: “Quello sta più a destra di me quindi è il prossimo”, no! il nemico tuo è il padrone. Come si batte qui ed ora il padrone? E allora paradossalmente Togliatti può avere ragione contro Vittorini.
Questo lo dico solamente per chiarire, appunto, che se noi vogliamo, possiamo andare ad individuare una rete di questioni, per esempio già ora ne abbiamo individuate due. Noi possiamo avere due articoli, facciamo conto che ne so Walter legge quella cosa di Vittorini, la risposta di Togliatti, oggi non la conosce più nessuno, quindi, anche se lui semplicemente rende conto, fa una sorta di riassunto di questo dibattito, è una grande scoperta nell’ambiente culturale attuale e per noi è un primo momento di approfondimento della cosa. Se, che ne so, Andrea fa una ricostruzione di questo schema del materialismo che fa Marx confrontandolo con le Lezioni di storia della filosofia di Hegel, bene: anche queste sono cose che sono completamente scomparse, e invece noi torniamo a far vedere che non solo esistono, ma rispostiamo l’attenzione sulla faccenda, sulla tradizione anglosassone che è né più né meno la tradizione di filosofia contemporanea più legata all’esperienza della scienza. È quello con cui dobbiamo fare i conti contro un ambiente di sinistra che si riempie la bocca di Nietzsche, di Heidegger. No, andiamo a quella filosofia che è direttamente legata alla riflessione sulla scienza moderna perché è questo che conta. E questa è la filosofia di lingua inglese.

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Stefano Garroni: E il tema del senso comune, del rapporto senso comune-filosofia è qui centrale, allora, mostrare che Marx aveva capito che il materialismo che c’interessa è quello della tradizione inglese, non quello meccanicistico, è molto importante. Tra l’altro voi sapete che il postmoderno, appunto, polemizza contro lo scientismo perché è meccanicistico.
Ma ecco una difficoltà. Per esempio, vedete questo è interessante credo: in Gramsci c’è un’oscillazione che va sottolineata sia per la cultura che per l’intellettuale: la cultura è uno strumento di consolidamento del potere o la cultura mi permette di conoscere come stanno le cose? La faccenda non è banale. Immediatamente uno potrebbe prendere una posizione netta. No, la cultura, la verità, lo strumentalismo. Calma, qui bisogna stare con i piedi per terra e capire bene come vanno le cose, capire, per esempio, che la cultura ha anche una funzione fondamentale di stabilizzazione del potere. Ѐ del tutto vero che una società si regge se esistono valori condivisi, e allora bisogna capire che l’intellettuale e la cultura hanno anche la funzione, esattamente, di stabilizzare una società diffondendo valori. Che vuol dire che la cultura è strumento di conoscenza del vero? Questo è un altro grosso problema. Però è interessante che, per esempio, in Brasile hanno trovato grande difficoltà a tradurre l’espressione valore-verità. Questo è curioso perché è un’espressione assolutamente tecnica. Cioè qualunque manuale di logica usa il termine valore-verità. I valori-verità sono, nella tradizione, due: vero-falso. Poi possono essere tre: vero, falso, probabile, e puoi costruire una logica con n valori addirittura. Quindi non capire questo termine, non sapere come tradurlo, vuol dire che tu sei tagliato fuori da tutta una riflessione logica che è una cosa direttamente collegata con la scienza moderna, vista come un problema filosofico. A Cuba avevano problemi a tradurre realizzazione della filosofia. Allora voglio dire: anche questo è un altro tema importante. Non è dubbio che la cultura, per così dire, occidentale è la cultura più avanzata. Oggi, forse, lo è solo tecnicamente non anche moralmente, però è certo che per un certo periodo lo è stata sia moralmente, politicamente che tecnicamente. Forse oggi lo è solo tecnicamente, però attenti: questo primato vuol dire un primato politico. Perché il brasiliano che non sa tradurre valore-verità è il brasiliano che ha l’investimento estero sotto casa sua e tecnici di alto livello che sono stranieri. Ѐ chiaro?
Allora qui viene fuori un’altra questione: chi studia filosofia studia, contestualmente, matematica e geometria. Tutta la riflessione filosofica moderna e contemporanea, ti insiste sulla centralità della matematica e della geometria come procedura scientifica. Allora che vuol dire una filosofia che si disinteressa di questo? Per un certo periodo si è trattato dell’Italia arretrata, spiritualista, dominata immediatamente dalla chiesa cattolica, del paese agricolo più che industriale. Ma poi con il miracolo economico tutto questo [viene a mutare], e allora che vuol dire?
Ma vuol dire che ti viene sottratto il controllo teorico della realtà, che il padrone si fa i suoi tecnici, che tu lavoratore fai il lavoratore senza cervello, e allora, per esempio, scopri un problema che i toscani, a loro modo, hanno capito, e cioè che se tu vuoi porre il problema della libertà devi realmente porre il problema: che tipo di cultura circola? Se il lavoratore non ha la capacità di controllare anche le variabili logiche del processo di lavoro, non è libero. Ѐ un appendice della macchina. E allora quando si fa la riforma, per esempio, della scuola o dell’università, non è vero che noi possiamo restare indifferenti. Noi abbiamo dei punti su cui batterci, però sappiamo che questi punti possono essere [parola incomprensibile, probabilmente ‘asserviti al potere’]. E i punti sono questi, per esempio, dal legame profondo: riflessione critica, azione pratica. Azione pratica, oggi, non vuol dire il lavoro manuale, per carità. Vuol dire il lavoro del fisico, del chimico, dell’ingegnere, queste cose. Ma capire questo vuol dire anche una formazione logica, matematica, filosofica; allora, per esempio, far capire agli studenti: se tu ti batti per questo sei libero. Noi abbiamo trovato difficoltà, a Firenze, sulla faccenda del tema della libertà. La situazione merdosa attuale. Campionato: vince la Roma lo scudetto. Si è vista una massa enorme che voleva partecipare, che organizzava cose, e questo, dicevo, è un modo distorto di esprimere un desiderio di libertà. Un compagno diceva: «no questa è partecipazione non libertà». Dimostrando che lui aveva incorporato perfettamente lo schema capitalistico borghese per cui la libertà è la mia indipendenza dalla società, perché io ho la proprietà e tu non mi devi rompere le scatole. Il compagno non sapeva che per noi la libertà è proprio la partecipazione, perché non è legata alla proprietà privata, ma alla gestione comune. Il compagno non lo sa, ma non lo sa perché? Perché l’ideologia del postmoderno è questa.

INTERVENTO: Scusa, in base a questo criterio, per i comunisti la parola libertà non è una parolaccia in termini assoluti.

Stefano Garroni: No. E no. E no. E no. […]
Allora vedete, anche qua, anche qua, secondo me, viene fuori un altro terreno. E vedete che siamo sempre, come dire, seguendo un filone di ragionamento che ha sempre due versanti. Uno logico teorico e l’altro storico.

INTERVENTO: T’ho fatto questa domanda perché domani sera, a ottocento metri di qua, c’è un seminario dove si afferma perentoriamente: la libertà è dei borghesi e il proletariato vuole garanzia.

Stefano Garroni: Questo è assurdo perché poi il proletariato, scusa, vuole il potere quindi si dà garanzie. Ma che discorso è?
Ma Se noi torniamo al punto di partenza certo, il postmoderno, la nuova sinistra debole che ha incorporato l’ideologia dell’avversario, ma attenti che quando i comunisti hanno avallato questa continuità, meccanicismo settecentesco-marxismo, hanno avallato qualche cosa che riduceva la portata del marxismo dentro la tradizione borghese. E quindi attenti che al postmoderno il movimento operaio non ha saputo rispondere, anche perché era male armato teoricamente da una tradizione precedente, cioè quella dei paesi arretrati che dovevano svilupparsi. Non erano in condizioni di produrre la democrazia socialista, molto semplice.

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Stefano Garroni: Una democrazia socialista non la fai con popolazioni arretrate che hanno il problema di mangiare: “Io ho fame. Finalmente voglio mangiare. Ho fatto lo schiavo per tutta la vita: non voglio lavorare”. Tu gli devi proporre un lavoro intellettuale nella sicurezza del mangiare e come fai? Tu sei arretrato e circondato da nemici col fucile: devi produrre i cannoni, e allora però bisogna anche capire molto bene che quella faccenda, che non si fa il socialismo in un solo paese, non è una balla. Un compagno sempre toscano un po’ scemo diceva: «beh ma quando hai il potere che fai lo lasci?». Ma che stupidaggine è? Ovvio che non lo lasci. Però devi capire che quando a Cuba fai certe cose tu devi far capire ai lavoratori: questo che faccio non è socialismo. Perché se io ti dico che questo è socialismo, succede come nei Paesi dell’est che, a un certo momento, la gente diceva: «Allora me ne vado, se questo è il socialismo non lo voglio».

INTERVENTO: Certo è chiaro. Se questo è il socialismo è meglio il capitalismo.

Stefano Garroni: Ѐ chiaro.

INTERVENTO: Il fatto è che quando sperimentano il capitalismo però ci ripensano un’altra volta.

Stefano Garroni: Ci ripensano un’altra volta? Io non mi ricordo di aver letto che in Russia è stato restaurato il socialismo, nemmeno in Bulgaria. Ricordo però che con quello che è successo i lavoratori di tutto il mondo stanno peggio. Quindi si, può darsi che tra duecento anni ci ripensano, però intanto il guaio è un guaio tuo. Non solo, ma anche la portata, appunto, teorica del marxismo, è stata inguaiata. Allora il danno è talmente grande che attenti che il vecchio Lenin diceva: “La verità è rivoluzionaria”ed è una frase che appare di una retorica fottuta, e invece non è così. Cioè, tu a un lavoratore gli devi dire le cose vere. Allora, per esempio, gli devi dire: «Io faccio il compromesso con la chiesa perché sennò qui gli americani mi mangiano in testa». E ci mangiano in testa, ma non devi dire che la chiesa è un fatto progressivo. Non devi scambiare, far passare la tattica per strategia.

INTERVENTO: No perché prima hai citato le Mani sporche di Sartre che è un testo che m’ha lasciato molto dubbioso, perché lui dal punto di vista morale dice: «quello fa le cose sapendo che fa del male».. Però le devi fare e quindi mi è sembrato che c’è un rovesciamento della coscienza, perché se tu reputi che una cosa è male, non la devi fare.

Stefano Garroni: Gramsci sottolinea come uno degli aspetti della politica dei giacobini fu questa: comprendere che un modo di difendersi dall’aggressione estera, era spazzare via le classi sociali che potevano rappresentare un’alleanza interna delle forze che dall’estero attaccavano. Allora, i giacobini dicono: «per difenderci da questa aggressione estera noi dobbiamo far fuori le classi sociali francesi che possono essere alleate dell’aggressore esterno». E Gramsci dice: «hanno fatto bene». E questo a proposito di Stalin: tutto ciò che all’interno possa tener compatto di fronte al nemico.

INTERVENTO: Però ha decapitato tanti quadri militari che poi…

Stefano Garroni: E, allora, vedi che le questioni sono complesse. Sartre dice che le questioni sono complesse e credo che sia vero.

INTERVENTO: Sono tragiche.

Stefano Garroni: Sono tragiche, estremamente tragiche e complesse. Non è facile dire ciò che è bene, è ciò che è male. Bisogna fare le analisi, però bisogna parlarne di queste cose.

INTERVENTO: In definitiva Stalin ha fatto sempre la sua vita politica. La solita guerra l’ha portata: la Russia è grande, entrate, poi non ce la faceva più.

Stefano Garroni: Sei sicuro?

INTERVENTO: Ahò e si è arrivati quasi al palazzo d’estate.

Stefano Garroni: Questo è un altro problema. Tu hai detto: «Stalin ha fatto … ». Quindi hai attribuito un disegno a Stalin. Io ti chiedo: «Sei sicuro che questo fosse il suo disegno?». Tu dici: « i tedeschi sono arrivati» ma che c’entra? Io t’ho chiesto: « sei sicuro che quello era il disegno di Stalin?».

INTERVENTO: Beh Probabilmente no però i fatti sono stati così.

INTERVENTO: Se lui avesse fucilato qualche generale nemico forse…

Stefano Garroni: Comunque consentitemi di insistere su un altro lato. Eh però vogliamo discutere intanto e poi dopo lo riprendo o no?

INTERVENTO: Come tracce siano condivisibili, come tracce che vengono dalla pagina quindi possiamo evidenziare che sono … e andare avanti

Stefano Garroni: Ecco, allora, io vorrei sottolineare un lato che mi pare non detto bene qua, e che trovo molto complicato. E il Galvano della Volpe, negli anni Sessanta, è, diciamo, uno dei principali filosofi marxisti in Italia, tradotto anche in altri paesi, in spagnolo, inglese, in francese. E Galvano della Volpe, centralmente, sviluppa la critica a Hegel per separare Marx da Hegel. Galvano della Volpe è una figura un po’ equivoca perché lui era nazista fino al giorno prima della caduta del fascismo poi, quando i partigiani entrano a Roma diventa comunista. Cambia il titolo al libro, lui stava scrivendo un libro: Logica del carro armato. Vincono i partigiani, il libro diventa La logica come scienza positiva, e diventa un grande filosofo quando, in seguito al ’56, [alla repressione militare] dell’Ungheria ecc … un sacco d’intellettuali abbandonano il partito in Italia e alla fine viene tirato fuori Della Volpe. Intendiamoci: questo non vuol dire che fosse un frescone, però è un tipo che si forma alla scuola di Giovanni Gentile, quindi è un filosofo ufficiale del fascismo. Critica Hegel. Il discorso io cerco di riassumerlo, mi scuserete per la maniera: perché Hegel riesce a costruire un sistema? Perché Hegel riesce a superare le contraddizioni con l’applicazione dialettica? Perché in realtà lui tratta non già delle cose, ma dei concetti.

7/10
Stefano Garroni: Quindi, per esempio, non tratta degli Stati ma dello Stato. E qual è il passaggio dalle cose al concetto? Il passaggio lo realizzi in questa maniera: abbandonando ciò che rende diverso, per esempio, uno Stato da un altro, e individuando solo l’elemento comune. A quel punto l’elemento comune è l’elemento logico che facilmente si media con un altro elemento logico, per cui hai una composizione logica. Però il prezzo che paghi è che la realtà, nella sua empiricità, nella sua materialità, è andata, è stata negata. Invece questo principio della materialità e quindi della differenza, della molteplicità, è affermato da Kant, e quindi, fondamentalmente, dobbiamo rovesciare la tradizione e comprendere che il problema di fondo è quello del rapporto Marx-Kant non Marx-Hegel. Ci sono oscillazioni nei testi bizzarri di Della Volpe in cui lui polemizza contro Hegel ma in realtà ridice Hegel. Ci sono dei testi divertenti in cui lui vuol sostenere, per esempio, in un primo momento, che c’è una rottura radicale tra la concezione dei soviet e tutta la tradizione democratica e scrive delle cose. Poi, qualche anno dopo, invece vuole mostrare la continuità tra la linea rousseuniana e quella leninista dei soviet, e scrive esattamente le stesse cose con le stesse citazioni però cambia i giudizi. Però questi sono aspetti più folkloristici, ma è un personaggio con cui bisogna fare i conti.

INTERVENTO: Ci sono stati dei critici di Della Volpe?

Stefano Garroni: Certo. Francesco Valentini, per esempio. Valentini era un tipo curioso perché un tipo estremamente calmo, pacato, ma che nella calma e pacatezza diceva cose terribili che ti riducono.

8/10
Stefano Garroni: […]Ѐ un pensatore con una sua solidità e che raccoglie una tradizione. Insisto su un punto: Quindi Hegel parlerebbe di concetti e quindi potrebbe mediare logicamente perché abbandona le differenze empiriche, specifiche, storiche, tra le cose e isola l’elemento comune, e allora la mediazione riesce. In quest’operazione cosa succede? Se io esamino i vari Stati, abbandono ciò che differenzia i vari Stati e tengo solo l’elemento logico comune, allora ecco che io prescindo, trascendo - uso il termine di Della Volpe - trascendo l’empirico, arrivo al logico ma poi questo logico, lo Stato in generale in quale forma esiste? Ma esiste nella forma empirica che io ho trasceso e allora che succede? Succede che io ho trasceso l’empirico per andare allo Stato ma poi questo Stato lo reincarno nell’empirico. Per cui, proprio quello che io ho trasceso diventa poi la realtà dello Stato. Con un’operazione paradossale. Ѐ chiaro il discorso o no?
Adesso a me interessa vedere se son riuscito a comunicare il processo di pensiero, perché per esempio, se noi parlassimo in termini di religione, di religione cattolica, pensate a questo problema che ha angustiato la storia del cristianesimo: l’ostia e il vino sono corpo e sangue realmente o no? La discussione è di grande importanza, non è una balla. Ѐ una cosa enormemente importante perché se quell’ostia e quel vino sono realmente sangue e corpo, che succede? Succede che un pezzo di farina e un po’ di vino riescono ad essere la presenza di dio proprio in quanto, prima ho trasceso, ho trascurato completamente le qualità naturali di quelle cose: prescindo completamente dal fatto che quella farina è farina e dico: “rappresenta dio”. Però se lo rappresenta, allora dio è appunto rappresentato dalla farina. Quindi più ho, come dire, mostrato indifferenza alla qualità materiale della cosa, e più la cosa diventa rivelatrice di dio. E allora, paradossalmente, questo trascendimento dell’empiricità e riempimento dell’empiricità di un contenuto spirituale significa poi che il contenuto spirituale esiste tranne che in quella empiricità, della farina. Ѐ chiaro? Volgarmente uno potrebbe dire: «se la verginità è espressione dell’onore, allora l’onore significa che tu non rompi una certa membrana>> Tutto là?. Ѐ chiaro questo fatto? Ci siamo o non ci siamo? Perché questo è un passaggio decisivo.
Per esempio, pensa a quando si diceva o quando si dice - per esempio in Inghilterra lo si dice ancora- : «Il re rappresenta l’unità della nazione». Nel caso nostro è la regina. Questo imbecille che fa parte di una famiglia di corrotti ecc. … questi rappresentano l’unità della nazione? Evidentemente quando io dico: «la famiglia reale rappresenta l’unità della nazione» io sto prescindendo dal fatto che si tratti di Elizabeth, di Giorgio e di Piripicchio. Valgono come simbolo ma se valgono come simbolo paradossalmente questo contenuto spirituale, l’unità della nazione, esiste dentro questo simbolo, esiste realmente in questo simbolo, quindi è Elisabetta, Giorgio, questi assassini incestuosi sono l’unità della nazione. Allora come è possibile questo paradosso che il contenuto materiale sia rivelato da questi assassini? Ma perché io prima ho trasceso, ho messo tra parentesi le qualità empiriche di questa famiglia determinata e l’ho elevata a rappresentante [logico-simbolico] del divino. A questo punto ho abbassato il divino ad essere rappresentato da questa merda. D’accordo?
[…]Ecco Della Volpe dice questo: Hegel riesce a mediare, a costruire il sistema proprio perché trascende l’empirico ma ne fa il rappresentante dello spirito, allora il risultato qual è? Che lo spirito s’incarna in questa pericolosità di empirico. E allora lo Stato, l’idea di Stato viene rappresentata dal monarca, cioè da questo individuo qua: Vittorio Emanuele III è lo Stato. Va bene? Ѐ chiaro che se vale questo meccanismo, è chiaro che è saltata la mediazione: l’empirico è immediatamente trasceso e immediatamente incorporato nel divino, non c’è mediazione. Quindi la mediazione hegeliana è saltata, dunque il ritorno a Kant. Ѐ saltata l’idea di mediazione della dialettica e, quindi, si ritorna a Kant. Quindi si ritorna a che cosa? Alla situazione del pensiero anglosassone. E cioè, c’è un mondo empirico di fronte a me e c’è una mente che lo organizza attraverso delle [categorie concettuali], degli strumenti che s’inventa, delle regole che stabilisce, delle convenzioni. I fatti non hanno logica interna: se avessero una logica interna, allora la logica verrebbe espressa dai fatti. Se Vittorio Emanuele avesse dentro di sé la dignità del re, allora la dignità del re verrebbe espressa da questa merda di Vittorio Emanuele. Allora bisogna riconoscere, no, che il mondo della logica è uno e il mondo dei fatti è un altro. Il mondo della logica è esterno a quello dei fatti e va verso i fatti, organizzandoli, essendo però un mondo diverso.
Vedete che se io insisto con la faccenda delle riviste è per puntare su un processo di crescita dell’autonomia di ognuno, [della coscienza critica]. Quando uno è costretto a ragionare di più o ad approfondire, allora poi le cose gli risultano meno difficili perché l’ha approfondite scrivendole.
Una cosa paradossale è che, veramente, l’ambiente comunista è terribile perché è il contrario di quello che dovrebbe essere. Quando si dice “il marxismo è scienza”, se voi fate caso, quello che si dice è che il politico marxista che cosa farebbe? Elaborerebbe delle ipotesi che poi va a confrontare con la pratica. Che è quello che fa chiunque, no? Io voglio comprare il formaggio, lì costa di meno ma là lo pago dieci euro … l’ipotesi la verifico. C’è bisogno di Marx per fare questo? Ma, ovviamente, se io sto in una dimensione in cui c’è un mondo dei fatti là e un mondo d’ipotesi tirate fuori.

9/10
Stefano Garroni: Come lo congiungo? Ho fatto l’ipotesi: piove. Apro la finestra e vedo che piove, è vero! Galvano della Volpe dice: «Marx è il Galileo morale». Ѐ il Galileo delle scienze morali. Hume, l’empirista Hume, cercava il Newton delle scienze morali. Allora che succede? Succede che l’origine di tutto questo è [il filosofo fascista Giovanni] Gentile che è, - i Della Volpiani prendevano Gentile come lo Hegel di Palermo, l’edizione palermitana di Hegel. E invece no. - Gentile è un fichtiano e allora lui parte già da questa scissione ecc…C’è un mondo del fatto, del Non-Io, e il mondo del Non-Io è il mondo dell’oggetto.

INTERVENTO: Ma il Non-Io riguarda anche il mondo delle idee?

Stefano Garroni: No. Ѐ l’opposto del mondo delle idee, contro cui le idee s’impegnano alla trasformazione. Ma mai fino in fondo. C’è sempre un tratto irrazionalistico nel pensiero di Fichte. Se su questo un po’ ci siamo capiti, dovremmo passare alla seconda parte. Quella dello smontaggio di questa tesi che non è cosa facile.
Teniamo presente che questa critica del trascendimento dell’empirico in un suo recupero, (cioè la critica che Della Volpe fa ad Hegel) è una critica che costantemente fa Hegel alla filosofia di Kant-Fichte. Qui bisogna notare che Hegel è profondamente legato a Kant ma è contro un’interpretazione di Kant che è quella fichtiana, e ogni volta che lui critica Kant, aggiunge sempre il nome di Fichte. Questo è importante perché è vero che Hegel non potrebbe nascere senza Kant, ma è contro una certa interpretazione. E badate l’analogia: Marx non potrebbe nascere senza Hegel, ma è contro un’interpretazione di Hegel: quella neo-hegeliana. Cioè la cosa si ricostituisce. Così come Hegel dice: «Io voglio continuare il metodo, non il sistema, di Kant». Intanto la critica che Della Volpe fa ad Hegel, proprio sul piano logico-formale, è la critica che Hegel fa alla filosofia della riflessione, dove viene relegato Fichte [Qui dall’audio non si capisce che dica Fichte, deve essere una deduzione di chi ha trascritto: tu sei certo che il discorso abbia un senso logico mettendo fiche?]. E qui vediamo se io riesco a spiegarmi. Il cattolico sembra la persona più infame ma poi, in realtà, è meno stupido di altri. Per esempio del protestante. Il cattolico dice: «Vabbè qui c’è il vangelo, qui c’è il prete che spiega il vangelo». E che devo fare io? Allora c’è il prete che mi spiega il vangelo. Quindi io so quello che devo fare. Arriva il protestante e dice: «No! Ѐ la tua coscienza, è il tuo rapporto diretto con la Bibbia, senza il prete, che ti mette in contatto con la parola di dio” L’interpretazione è come quella di un altro. Ѐ più nobile il protestante. C’è questo appello alla soggettività, cretino perché lui ci crede in dio, quell’altro no. Ha affondato il potere del prete. Ora il protestante dice: “No! Io interpreto”. Ma che è successo? Il prete interpreta per il fedele la parola di dio. Quindi c’è dio che si è espresso, ma la parola di dio è un che di esterno al fedele, il fedele non ce la fa da solo, arriva il prete dice: «Interpreto». Però anche per il prete è una cosa esterna, tanto è vero che il prete per eccellenza, il papa, è misteriosamente abitato da dio in certi momenti, invasato da Dio [quando proclama verità dogmatiche ex cathedra.]

INTERVENTO: Ed è il pontefice.

Stefano Garroni: Ѐ il pontefice. Però appunto tutto quanto è giocato su un sistema di mediazione tra la coscienza dell’uomo e una verità che è esterna, che viene appunto da un altro mondo. Il protestante che fa? Prende questa verità esterna e te la mette dentro. Tu interpreti. Ma la verità resta esterna perché è la verità di dio, è la parola di dio, [non la parola del credente protestante]. Quindi lui ti prende qualche cosa che è esterno, te la mette interna però restando esterna. Mi spiego?
Perché Marx pigliava in giro tutti e due e diceva che la forma più raffinata di schiavitù è il protestantesimo? Perché il protestante il padrone non ce l’ha solo di fronte, ma se lo mette proprio dentro.

INTERVENTO: Lo interiorizza.

Stefano Garroni: Lo interiorizza. Cosa contrappone Marx a questo? Di scoprire la logica interna ai fatti. Cioè di scoprire la razionalità della storia, del mondo dell’uomo. Allora Marx è contro questa legge esterna, che sta all’esterno e che viene negata dal prete, questa legge esterna che io [protestante] interiorizzo, per cui mi faccio io stesso, per mia scelta, schiavo del padrone.
Vediamo qual è la logica dei fatti, della storia, apriamoci al mondo e comprendiamo il mondo nella sua razionalità: e questo è Hegel. E la critica che Hegel fa alla filosofia speculativa, è esattamente questa: il fatto di addossare alla realtà una razionalità [esterna, proveniente da un mondo esterno, mentre invece si deve] ricavare dalle cose stesse la loro razionalità [interna]. Il cittadino tedesco ha interiorizzato la legge dello Stato e obbedisce senza il poliziotto, l’italiano ha bisogno del poliziotto sennò se ne frega, però, Marx dice: «Vabbè chi se ne frega. Noi superiamo lo Stato». Superiamo cioè l’autorità esterna trovando nel mondo stesso la sua legge. E come lo si trova? Attraverso l’analisi dello sviluppo del mondo, perché il mondo è un che di dinamico, per cui la legge del mondo sarà una legge dinamica, e se è una legge dinamica, è una legge che passa attraverso la contraddizione: non sarà la continua riproposizione dell’identico, cioè la legge dell’identità, ma sarà un passaggio attraverso contraddizioni, d’accordo? Ѐ chiaro che questa è una prospettiva completamente diversa da quella di Della Volpe, in cui si è ricongiunto il mondo, in quanto però è successo questo: che la legge del mondo passa attraverso la contraddizione: non respinge da sé la contraddizione, non è la legge dell’identità, cioè della pura ragione che non ha il nemico insomma, [che non incontra opposizioni] e che scorre tranquilla nei propri binari, no: è di una ragione che sta nel mondo e che quindi è continuamente contrastata, e, addirittura, la ragione è questa serie di contrasti. Quindi la contraddizione è interna alla ragione stessa, che è una prospettiva completamente diversa da quella di Della Volpe. Ѐ questo il soggettivismo di cui parla Gramsci: il fatto che, appunto, la ragione non è esterna al mondo, lo spirito non è esterno alla materia.

10/10
Stefano Garroni: l’Io non è esterno all’oggetto e quindi il materialista che dice: «Qui c’è l’Io e qui c’è il mondo, e l’Io riproduce il mondo» in realtà ha spaccato il mondo. E, quindi, si trova di fronte al mistero di dover spiegare come mai prima l’ha spaccato e poi [Io e mondo] si ricongiungono.
E dice Gramsci: «I sovietici hanno dovuto operare in un ambiente arretrato, profondamente intriso di religiosità, e il materialismo è religioso». Perché il mondo ha una sua razionalità esterna alla coscienza, appunto. Noi troviamo nell’empirismo il culto del dato: il dato, l’empirico, la sensazione, la passione, è bello se ”mi diverto”. Il culto del sentimento, della passione.“Mi diverto”, cioè sono “chez moi”, “mi sento in armonia con me”: questo è il criterio dell’empiria. Il criterio [dialettico] è un altro: è la razionalità del mondo, cioè la razionalità che passa attraverso le vicende del mondo, le sue contraddizioni ecc. Però questo è un piano in cui tu non puoi separare soggetto-oggetto. E Allora il piano non è né dell’idealismo né del materialismo, ma di quella bizzarria che è il cosiddetto materialismo dialettico, che non significa nulla perché è una contraddizione evidentemente in termini, ma è una terza posizione.

INTERVENTO: Materialismo dialettico…

Stefano Garroni: Materialismo pluralistico però. Perché è basato sulla contraddizione. Ci capiamo o no?

INTERVENTO: Ci dovremmo ritornare.

Stefano Garroni: Però è chiaro che quello che m’interessa, fondamentalmente, è chiaro che il senso di questo tipo di chiacchierata è questo: io ho [finora detto]: «Studiamo questo» e abbiamo cercato di organizzarci. Invece adesso cerchiamo di fare un’altra cosa: dentro questa problematica abbiamo potuto individuare vari titoli, varie cose da approfondire. Ecco, il passo successivo è: cerchiamo di isolare temi determinati da approfondire. Può benissimo approfondire uno, un problema, uno un altro, nel gruppo confluisce il lavoro di ognuno e poi lo facciamo confluire sulla rivista.
Io proponevo quel testo sull’umorismo: se qualcuno volesse farlo potrebbe leggere tre testi. Cioè L’umorismo di Pirandello, L’umorismo di Freud e L’umorismo di Bergson e fare una relazione.


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