venerdì 7 settembre 2018

"PRAGA '68 E LE CONTRADDIZIONI DELLA SINISTRA ITALIANA" - Franco Astengo

Da: http://www.pane-rose.it - Leggi anche: - 5-gennaio-1968-alexander-dubcek-eletto-segretario-del-partito-comunista-cecoslovacco-inizia-la-primavera-praga.
                                                                    - A CINQUANT’ANNI DA PRAGA NEL VORTICE DELLA CRISI DELLA DEMOCRAZIA LIBERALE  
                                                                    - http://www.rifondazione.it/primapagina/?p=35294



Tutto è legato, credo, alla questione del socialismo in un paese solo e arretrato, all'isolamento e alla forza economica dell'occidente capitalistico. Ciò ha determinato, come sappiamo, un irrigidimento del dibattito e una burocratizzazione antidemocratica del PCUS e dei partiti comunisti dei paesi socialisti. Ciò alla fine ha destabilizzato l'URSS e gli altri paesi socialisti. L'ideologia del capitalismo con la falsa libertà e il falso benessere hanno fatto il resto.

Azzardo anche un'ipotesi, in parte connessa a quanto sopra: il capitalismo, finché c'era l'URSS ed il rischio del comunismo, è stato costretto a fare politiche economiche molto più sociali o comunque keynesiane di quanto sarebbe stato "naturale" e questo ha portato ad una crescita economica molto elevata nel complesso dei paesi capitalistici e a miglioramenti sociali. Ciò è stato positivo, ma ha aiutato ideologicamente lo stesso capitalismo nei confronti del socialismo ed ha aiutato anche il capitalismo ad essere economicamente stabile e in crescita. 

Oggi che non c'è più il pericolo comunista il capitalismo si svolge in maniera non forzata ma naturale e questo porta a crisi, instabilità, bassa crescita e aumento della povertà e dell'insicurezza sociale. Con il quadro politico economico attuale forse il confronto con il socialismo sarebbe stato più a vantaggio di quest'ultimo. Purtroppo andrebbe ricreata oggi la fiducia nel socialismo, ma l'ideologia odierna disgregante e individualistica senza progettualità rende tale compito al momento molto difficile. 
Paolo Massucci per il collettivo                                                           

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Mi auguro sia permesso avviare questo intervento con un ricordo personale.

Ero a casa, in ferie forzate perché l’ufficio stava chiuso una settimana (chi mi ha conosciuto sa quanto non mi siano mai piaciute le ferie).
Le 5,30 del mattino: mio padre si stava preparando per il turno in fabbrica e ascoltava, come sempre, la radio.
Ad un certo punto irruppe nella stanza che dividevo con mio fratello ed esclamò (tutto il dialogo rigorosamente in dialetto, naturalmente) “I russi hanno invaso Praga”.
Mi alzai seguendolo ad ascoltare il notiziario: camminavo nervosamente su e giù per la cucina e ad un certo punto, mentre stava per uscire di casa, lo appellai perentorio. “ Papà, questa volta rompiamo con Mosca". Poco profetico e molto ottimista.

21 Agosto 1968: i carri armati del Patto di Varsavia entrano a Praga, spezzando l'esperienza della “Primavera”, il tentativo di rinnovamento portato avanti dal Partito Comunista di Dubcek.
1968: l'anno dei portenti, l'anno della contestazione globale, del “maggio parigino”, di Berkeley, Valle Giulia, Dakar, della Freie Universitaat di Berlino: quell’anno magico vive in quel momento la svolta verso il dramma.

Si chiude bruscamente un capitolo importante nella storia del '900.

giovedì 6 settembre 2018

L'Arte della Guerra. Ponti crollati e ponti bombardati - Manlio Dinucci

Da: (il manifesto, 28 agosto 2018) - PandoraTV 

 

«L’immagine è davvero apocalittica, sembra che una bomba sia caduta sopra questa importantissima arteria»: così un giornalista ha descritto il ponte Morandi appena crollato a Genova, stroncando la vita di decine di persone.
Parole che richiamano alla mente altre immagini, quelle dei circa 40 ponti serbi distrutti dai bombardamenti Nato del 1999, tra cui il ponte sulla Morava meridionale dove due missili colpirono un treno facendo strage dei passeggeri.
Per 78 giorni, decollando soprattutto dalle basi italiane fornite dal governo D’Alema, 1100 aerei effettuarono 38 mila sortite, sganciando 23 mila bombe e missili. Furono sistematicamente smantellate le strutture e infrastrutture della Serbia, provocando migliaia di vittime tra i civili.
Ai bombardamenti parteciparono 54 aerei italiani, che effettuarono 1378 sortite, attaccando gli obiettivi stabiliti dal comando statunitense. «Per numero di aerei siamo stati secondi solo agli Usa. L’Italia è un grande paese e non ci si deve stupire dell’impegno dimostrato in questa guerra», dichiarò D’Alema.
Nello stesso anno in cui partecipava alla demolizione finale dello Stato jugoslavo, il governo D’Alema demoliva la proprietà pubblica della Società Autostrade (gestore anche del ponte Morandi), cedendone una parte a un gruppo di azionisti privati e quotando il resto in Borsa.
Il ponte Morandi è crollato fondamentalmente per responsabilità di un sistema incentrato sul profitto, lo stesso alla base dei potenti interessi rappresentati dalla Nato.
L’accostamento tra le immagini del ponte Morandi crollato e dei ponti serbi bombardati, che a prima vista può apparire forzato, è invece fondato. Anzitutto, la scena straziante delle vittime sepolte dal crollo ci dovrebbe far riflettere sulla orrenda realtà della guerra, fatta apparire dai grandi media ai nostri occhi come una sorta di wargame, con il pilota che inquadra il ponte e la bomba teleguidata che lo fa saltare in aria.
In secondo luogo ci dovremmo ricordare che la Commissione europea ha presentato il 28 marzo un piano d’azione che prevede il potenziamento delle infrastrutture della Ue, ponti compresi, non però per renderle più sicure per la mobilità civile ma più idonee alla mobilità militare (v. il manifesto, 3 aprile 2018).
Il piano è stato deciso in realtà dal Pentagono e dalla Nato, che hanno richiesto alla Ue di «migliorare le infrastrutture civili così che siano adattate alle esigenze militari», in modo da poter muovere con la massima rapidità carri armati, cannoni semoventi e altri mezzi militari pesanti da un paese europeo all’altro per fronteggiare «l’aggressione russa».
Ad esempio, se un ponte non è in grado di reggere il peso di una colonna di carrarmati, dovrà essere rafforzato o ricostruito. Qualcuno dirà che in tal modo il ponte diverrà più sicuro anche per i mezzi civili. La questione non è però così semplice. Tali modifiche verranno effettuate solo sulle tratte più importanti per la mobilità militare e l’enorme spesa sarà a carico dei singoli paesi, che dovranno sottrarre risorse al miglioramento generale delle infrastrutture.
È previsto un contributo finanziario Ue per l’ammontare di 6,5 miliardi di euro, ma – ha precisato Federica Mogherini, responsabile della «politica di sicurezza» della Ue – solo per «assicurare che infrastrutture di importanza strategica siano adatte alle esigenze militari».
I tempi stringono: entro settembre il Consiglio europeo dovrà specificare (su indicazione Nato) quali sono le infrastrutture da potenziare per la mobilità militare. Ci sarà anche il ponte Morandi, ricostruito in modo che i carri armati Usa/Nato possano transitare sicuri sulla testa dei genovesi? 


mercoledì 5 settembre 2018

"News" sulla crisi... - Friedrich Engels


Da: Friedrich Engels, Lettere a Marx, (11.12.1857 – 6.1.1858) -  la Contraddizione (no.89 - 4.2002)
https://www.facebook.com/programmaminimo - https://rivistacontraddizione.wordpress.com  

In questa crisi la sovraproduzione è stata generale come non lo era stata mai prima. Il bello è questo, e avrà delle conseguenze enormi. La forma sotto la quale la sovraproduzione si nasconde è sempre, più o meno l’estensione del credito; ma questa volta, in modo particolare, sono gli imbrogli con i titoli. Il sistema di far denaro mediante titoli “futuri”, attraverso banche o investitori istituzionali che pratichino “affari di cambio”, e di coprirli prima della scadenza, o anche no, secondo come si mettono le cose, è la regola. Tutti gli investitori istituzionali lo praticano. Questo sistema è stato spinto all’estremo; dove imperversano questi imbrogli su titoli, molte agenzie, trattarie in questa linea, sono andate in malora per questo.

Si fa in questo modo: i messeri, invece di pagare cash [in contanti], trattavano titoli futuri [futures] e su di essi pagavano gli interessi: questo sistema si sviluppa nella stessa misura in cui crescono i prezzi. Insomma, ciascuno ha lavorato oltre le proprie forze, ha overtraded  [commerciato al di sopra delle proprie capacità].

Se tuttavia “overtrading” non è proprio sinonimo di sovraproduzione, però è identico nella sostanza.

Un’impresa che possieda un certo capitale, ha in esso la misura della sua capacità di produzione, di commercio e di consumo. Se questo capitale, attraverso gli imbrogli sui titoli fa un affare che presuppone un capitale stimato, a es., in una volta e mezzo, aumenta la produzione del 50%; il consumo sale anche grazie alla prosperità, ma in misura di gran lunga inferiore, diciamo del 25%. Alla fine di un qualsiasi periodo si verifica necessariamente un’accumulazione di merci superiore del 25% al bisogno bona fide, cioè a quello medio anche di un periodo di prosperità. Basterebbe questo a provocare lo scoppio della crisi, anche se il mercato monetario, l’indice del commercio, non la segnalava già in precedenza.

Si lasci dunque che venga il crash e si vedrà che, oltre a questo 25%, un altro 25% almeno dello stock di tutte le merci diventa una droga per il mercato. Questo verificarsi della sovraproduzione in seguito all’esten­sione del credito e all’eccesso di commercio lo si può studiare in tutti i suoi particolari nella crisi attuale. Non c’è nulla di nuovo nella cosa in sé, ma nella chiarezza straordinaria in cui ora essa si sviluppa.

L’enorme massa di capitale eccedente nel mercato è del resto una cosa stranissima ed è una nuova prova di quali enormi dimensioni abbia preso tutto l’insieme. Non mi stupirebbe affatto se questa eccedenza di float­ing capital  [capitale fluttuante], già prima che si siano sviluppate le altre fasi della crisi, provocasse una nuova speculazione sulle azioni. Questa eccedenza di capitale disponibile ha anche certamente contribuito per la sua parte a mantenere in efficienza la speculazione e porta le cose al punto che alcuni investitori istituzionali, superato il panico, possano reclamare un posto tra i più solidi istituti del mondo.

martedì 4 settembre 2018

Un altro appello degli intellettuali - Alessandra Ciattini

Da: https://www.lacittafutura.it - Alessandra Ciattini 
Leggi anche: https://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/siamo-diversi-da-saviano-vogliamo-essere-pragmatici/ 


Vogliamo veramente cambiare le cose o vogliamo che il PD, 

magari “rigenerato” si affermi alle prossime elezioni europee?

Ormai l’interesse suscitato dall’appello di Massimo Cacciari, pubblicato dalla Repubblica il 2 agosto scorso sembra evaporato, perché nel mondo contemporaneo dei media le notizie sono effimere e si consumano rapidamente. Eppure, benché in ritardo, credo che esso meriti alcune riflessioni, in particolare sul ruolo di quegli intellettuali sempre ospiti dei salotti televisivi, che hanno sempre dato appoggio a quel settore uscito dallo sfascio del PCI e dalla confluenza dei cascami dei partiti centristi. Settore che ha sempre sostenuto, con false promesse di benessere e di prosperità, la trasformazione-declino del nostro paese a partire dalle tanto osannate privatizzazioniNel suo appello, firmato anche da altri intellettuali [1] e diretto sostanzialmente al PD, Cacciari ha inserito temi cruciali concernenti la situazione assai critica dell’Unione Europea, il drammatico problema dei migranti, affrontato con spietatezza dal rozzo Salvini, la separazione tra “la casta” e la gente comune, l’illusione della funzione democratica della Rete, ed infine l’affermarsi di un pensiero unico alimentato dall’odio. 

Come è noto, non è certo questo il primo appello di intellettuali nella nostra storia; basti ricordare, per esempio per risalire un po’ indietro nel tempo, i due manifesti del 1925, quello degli intellettuali fascisti e quello degli antifascisti. (v. E. R. Papa, Storia di due manifesti. Il fascismo e la cultura italiana, 1958) 

Sembra che ogni tanto un gruppo di intellettuali si svegli e, dopo un periodo di rimproveri e di tirate di orecchie ai politici, si senta sollecitato a far presente a gran voce la gravità dell’attuale condizione. 

E talvolta avviene che si scagli contro le conseguenze estreme di politiche, il cui esito drammatico era già stato prefigurato da qualcuno  che era meno embedded (inserito) di loro e dotato di capacità comprensive più ampie.

lunedì 3 settembre 2018

Ciao Mario!

https://www.facebook.com/groups/277681532257388/ - http://www.cassandrarivista.it/ -

Il 1° settembre è venuto a mancare il direttore della rivista "Cassandra"(1997-2016), Mario Ronchi.

Furono, con la sua compagna di vita Carla, e per lungo tempo, tra i partecipanti più assidui agli incontri che Stefano Garroni teneva quando ancora non esisteva il collettivo. Lo ricordiamo per la sua convinta militanza tra le fila dei comunisti e per la sua capacità critica che lo caratterizzava per essere un compagno schietto, di intelligenza acutissima, assolutamente franco e aperto al confronto, anche duro, nelle discussioni che si aprivano in quelle occasioni.

E' una parte della nostra storia che se ne va...

Ci stringiamo con un affettuoso abbraccio a Carla e alla sua famiglia.

Ciao Mario! 

Togliatti fra Stalin e Cavour - Aldo Natoli

Da: http://www.sitocomunista.it - Aldo_Natoli è stato un politico e antifascista italiano.

Nel marzo del 1953, era il suo sessantesimo compleanno, Togliatti tenne un breve discorso in una saletta del palazzo di via delle Botteghe Oscure. Nella sua vita, disse, gli erano toccate "tre fortune", essere stato "allievo" di Gramsci, essere andato a scuola della classe operaia torinese, essere stato "al centro" del lavoro del Comintern, "sotto la guida diretta di Stalin". Su questo punto si fermò a lungo forse anche perché solo tre settimane prima Stalin era morto e l'evento aveva provocato commozione e turbamento nell' animo dei comunisti. Ma, certo, non solo per questo.

E' vero, infatti, che quelle "tre fortune" giocarono in misura diversa e disuguale nel corso complessivo e avventuroso della sua vita e della sua opera. E se l'aver partecipato alla lotta del proletariato torinese nel primo dopoguerra fu decisivo per una scelta di campo irreversibile, se il magistero di Stalin negli anni della maturità lo segnò in modo indelebile, lo stesso non può dirsi, fuori dalla mitologia di partito, del suo rapporto con Gramsci, del quale egli fu "allievo", e solo fino a un certo punto, agli albori dell'Ordine Nuovo e con il quale spartì un breve periodo di feconda collaborazione solo nella elaborazione delle Tesi per il terzo congresso del partito (1924-1925).

Lo storico non deve sottovalutare l'importanza di quel primo tentativo di delineare una strategia antifascista democratica e popolare, in tappe intermedie di lungo periodo. Ma è anche vero che, se Togliatti non dimenticherà quella esperienza, entro i cinque anni successivi egli si scontrerà aspramente con Gramsci, che aveva profeticamente intuito il sorgere dei primi segni della degenerazione staliniana e, poco dopo, accetterà, sia pure costretto, di abbandonare la linea politica gramsciana per schierarsi su quella catastrofica del VI congresso del Comintern e di Stalin. L'arresto e la condanna di Gramsci contribuirono a trasformare un distacco politico in una completa rottura di rapporti, che Togliatti non cercò mai di riallacciare, come forse, non sarebbe stato impossibile. Più tardi, dopo la morte di Gramsci, e ancor più nel dopoguerra, l'immagine dell'eroe occuperà ovviamente il posto d'onore nel pantheon del partito, l'"utilizzazione del suo pensiero" (l'espressione è di Paolo Spriano) sarà largamente promossa come lievito di rinnovamento culturale e Togliatti, per conto suo, gli dedicherà un saggio nel vano tentativo di inquadrarne le idee nell'ambito del marxismo-leninismo.

domenica 2 settembre 2018

“LA START UP CHE FA ENTRARE NELLE FACOLTA’ A NUMERO CHIUSO” Paolo Massucci


Ideologia senza ritegno sul Corriere della Sera, come in tutti i mass media.


L’articolo a pagina 27 del Corriere della Sera del 27/08/2018 annuncia l’uscita, il giorno seguente, della rivista Buone notizie, sempre del Corriere della Sera, in cui l’argomento principe, che occuperà pure la copertina, riguarderà una start up che “aiuta gli studenti a superare i test per l’ingresso nelle facoltà”.

Buona notizia per chi ? Non certo per chi è costretto a spendere altro denaro per poter aver maggiore probabilità di essere tra i pochi che accedono (non si tratta nemmeno semplicemente di “superare i test” –come spesso si sente dire erroneamente ed ideologicamente- di superare un livello minimo, bensì di mero numero chiuso, per cui vi accede solo un numero fissato tra i partecipanti, i primi nei risultati dei test). 

Parlano di “sfida al numero chiuso” da parte dei creatori della start up… ma in realtà essi ben si guardano dal criticare l’istituzione del numero chiuso. Anche allorché, come nel caso della facoltà di medicina, si tratta di un accesso assurdamente  limitato, al punto che presto mancheranno persino i medici (una nuova elite nei prossimi anni?). Al contrario, in questa candida “narrazione”, il giudizio sulla giustezza o meno dei test o un tentativo di valutazione delle conseguenze sociali della limitazione all’accesso nelle facoltà sono completamente assenti: il numero chiuso e il metodo dei test di accesso costituiscono variabili indipendenti, come entità metafisiche date, come l’orbita dei pianeti, pertanto indiscutibili (per lo meno per chi le subisce).

Si dice inoltre che “per superare gli esami di ammissione non basta studiare, serve strategia”: dunque avremo in futuro dei medici strateghi (ma non sappiamo se avranno anche la vocazione per lo studio della fisiopatologia umana e se saranno dediti ai pazienti oppure saranno scaltri strateghi concentrati ad ottenere il massimo successo personale – ma in tal caso medice cura te ipsum -).

Si scrive sull’articolo che i giovani fondatori ex studenti della start up (peraltro si evince così che gli imprenditori sono comuni mortali, semplici ex studenti ma “con tante idee e tanta voglia di fare”) sono “i maghi dei test che aiutano gli studenti”; … purché ovviamente questi paghino i corsi, ma su tale ovvio dettaglio prosaico meglio sorvolare perché allontana quel bel sentore di romanticismo che circonda ogni start up.

La circostanza che ci troviamo di fronte a sfruttamento (i corsi a pagamento) dell’ingiustizia (il numero chiuso), il cui risultato crea ulteriore ingiustizia (minore opportunità per chi non può frequentare detti corsi) non si deve nemmeno sospettare e bisogna piuttosto gioire della capacità e generosità di questi giovani imprenditori che “aiutano” i giovani studenti.

Dunque una squallida minestra di banali affermazioni ideologiche che tuttavia è funzionale a ostacolare qualsiasi ragionamento critico verso il modo di produzione capitalistico con le sue logiche dei rapporti sociali e la propria visione del mondo. Non disturbiamo questa poesia!

giovedì 30 agosto 2018

Che cosa vuole la Lega Spartaco - Rosa Luxemburg (1918)

Tratto da Rivoluzione e controrivoluzione in Germania pubblicato dalle edizioni Pantarei nel 2001. https://www.marxists.org - http://www.sitocomunista.it

Leggi anche: Rosa Luxemburg 
                    ROSA LUXEMBURG: RIVOLUZIONARIA, DONNA, FEMMINISTA

Vedi anche: ROSA L.- Margarethe Von Trotta
                    
                                                 Pubblicato per la prima volta su Rote Fahne, 14 dicembre 1918. 
                                                        
                                                                         I 
                                                                                                              
        Il 9 novembre gli operai e i soldati hanno rovesciato il regime che regnava in Germania. Sui campi di battaglia della Francia si è spenta la follia assassina del militarismo prussiano. La banda criminale che ha appiccato l'incendio al mondo sommergendo la Germania in un mare di sangue è finita in un vicolo cieco. Il popolo è stato vittima di un inganno che per quattro interi anni lo ha asservito al moloc della guerra, facendogli dimenticare il suo dovere civile, il senso dell'onore e dell'umanità, e che lo ha trascinato a ogni genere di scelleratezza. Ora, sull'orlo del precipizio, si è risvegliato dal quadriennale torpore.

Il 9 novembre il proletariato tedesco si è ribellato al giogo infame che lo opprimeva. Gli Hohenzollern sono stati cacciati e al loro posto sono stati eletti i consigli degli operai e dei soldati.

Ma gli Hohenzollern non erano altro che gli amministratori della borghesia imperialista e degli junker. Il dominio di classe della borghesia: ecco il vero responsabile della guerra mondiale sia in Germania che in Francia, sia in Russia che in Inghilterra, sia in Europa che in America. I veri artefici dello sterminio dei popoli di cui siamo stati testimoni sono i capitalisti di tutte le nazioni. Il capitale internazionale è l'insaziabile Ba'al nelle cui fauci sono state sacrificate milioni di vittime umane.

La guerra mondiale ha posto la società davanti all'alternativa: il mantenimento del capitalismo con nuove guerre che ben presto porteranno a un abisso di caos e anarchia o la soppressione dello sfruttamento capitalistico.

Con la fine della guerra mondiale il dominio di classe della borghesia ha perduto ogni diritto all'esistenza. Essa non è più in grado di trarre la società dal disastroso collasso economico provocato dall'orgia imperialistica.

La borghesia ha distrutto enormi quantità di mezzi di produzione, massacrato milioni di lavoratori, il nucleo migliore e più capace della classe operaia. I sopravvissuti troveranno al loro ritorno la miseria ghignante della disoccupazione. Le carestie e le malattie minacciano di svuotare il popolo di ogni energia. L'enorme fardello dei debiti di guerra provocherà una inevitabile bancarotta finanziaria dello Stato.

Non vi è difesa, né via d'uscita, né salvezza alcuna dal sanguinoso caos e dal baratro che si è spalancato, se non nel socialismo. Solo la rivoluzione mondiale del proletariato può ridare ordine a questo caos generale, può dare lavoro e pane a tutti, può porre fine al macello reciproco dei popoli, può portare pace, libertà e vera civiltà all'umanità prostrata. Basta con il sistema del lavoro salariato! Questa è la parola d'ordine del momento. Il lavoro associato deve prendere il posto del lavoro salariato e del dominio di classe. I mezzi di produzione non devono più essere monopolio di una classe, ma divenire bene comune di tutti. Non più sfruttatori e sfruttati! La produzione e la ripartizione dei prodotti devono rispondere all'interesse della comunità. Regolazione della produzione e ripartizione dei prodotti nell'interesse della comunità! Abolizione dell'attuale modo di produzione e di ripartizione, l'uno basato sullo sfruttamento e la rapina, l'altro sulla truffa!

Al posto dei padroni e dei loro schiavi salariati, liberi compagni di lavoro! Il lavoro non sia pena di nessuno, ma dovere di ciascuno! Un'esistenza degna dell'uomo sia assicurata a tutti coloro che adempiono il proprio dovere verso la società. La fame non sarà più la maledizione del lavoro, ma la punizione degli oziosi! Solo in una società basata su questi principi sarà possibile estirpare l'odio tra i popoli e la schiavitù. Solo se questa società sarà realizzata, la terra non sarà più profanata dallo sterminio di esseri umani. Solo allora potremo dire: questa guerra è l'ultima. Il socialismo è oggi l'unica ancora di salvezza dell'umanità. Sulle cadenti mura della società capitalista sfavilla, come un presagio impresso a lettere di fuoco, il monito del Manifesto comunistaSocialismo o regresso nella barbarie!

mercoledì 22 agosto 2018

Perché riflettere oggi sulla religione - Alessandra Ciattini

Da: https://www.lacittafutura.it/unigramsci - Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza. 
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2015/06/linferiorita-della-donna-tra-natura-e.html
                             https://ilcomunista23.blogspot.com/2016/03/religione-fondamentalismi-violenza.html 

 

Vi sono tante ragioni per le quali vale la pena riflettere sulla religione, inquadrandola nella più ampia categoria di ideologia. Ne saranno indicate alcune alla base dei quattro incontri del corso Breve storia della riflessione sulla religione, tenuti all’Università popolare Antonio Gramsci. Di seguito i temi della prima lezione. 



Perché anche oggi, in un’epoca che per molti è caratterizzata dall’irreligiosità e dall’ateismo (cosa del tutto inesatta), è invece importante riflettere sulla religione, nelle sue diverse manifestazioni storiche anche assai diverse dal cristianesimo? Non solo perché essa costituisce l’ideologia più diffusa tra tutte le classi sociali e la più persistente nel tempo, ma anche perché rappresenta la più perfetta incarnazione dell’ideologia. Non è quindi un caso che l’autorevole filosofo britannico Terry Eagleton l’abbia definita “la più ideologica delle ideologie”. Già questa definizione mette in risalto che la religione deve essere ricompresa nella categoria più generale di ideologia, con tutte le conseguenze teoriche e pratiche che derivano da questa inclusione. Detto in altre parole, bisogna cominciare con il riflettere sull’ideologia, un concetto complesso, di cui si sono date varie letture e di cui si è discussa soprattutto la sua relazione con la cosiddetta infrastruttura, che nella riflessione marxista si dirama in diverse direzioni.
Questa riflessione sulla religione-ideologia è indispensabile a chi, ponendosi il problema della trasformazione dell’esistente, si interroga inevitabilmente sul livello di coscienza di coloro che dovrebbero essere gli attori del cambiamento, evitando – come spesso avviene – l’idealizzazione delle concezioni proprie delle masse popolari. L’interesse di Antonio Gramsci per le diverse forme di ideologia (compreso il folclore) è d’altra parte derivato da questa preoccupazione che è squisitamente politica, e che fa di un marxista un teorico che coniuga strettamente la teoria alla prassi. 

martedì 21 agosto 2018

lunedì 20 agosto 2018

Bertolt Brecht - Rossana Rossanda

Da: il Manifesto 05/08/2006 - http://www.sitocomunista.it - Rossana_Rossanda è una giornalista, scrittrice e traduttrice italiana, dirigente del PCI negli anni cinquanta e sessanta e cofondatrice de il manifesto, giornale con cui ha collaborato fino a novembre 2012.
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2016/02/dialoghi-di-profughi-bertolt-brecht.html


Ho incontrato Brecht a Milano nel 1956 alla prova generale dell'Opera da tre soldi messa in scena da Giorgio Strehler con scandalo della borghesia milanese e dibattiti roventi al consiglio comunale. La censura era ancora in vigore e tale sarebbe rimasta fino a tutto il 1963. Il Piccolo Teatro, che aveva avuto il via della Presidenza del Consiglio, era in fibrillazione.

Brecht non veniva a sovrintendere, veniva e vedere. Grigio e composto nella giacca alla Mao, gli occhi acuti dietro alle lenti rotonde, frangetta sulla fronte sguarnita, era divertito della interpretazione di Strehler, tanto più colorita di quella sua, tutta percorsa da brividi, che avrei trovato qualche anno dopo a Berlino. Il testo, diceva, ha da essere usato come più conveniva per provocare nello spettatore quella reazione che impediva il consumo gastronomico dell'azione in scena, e ogni identificazione con il personaggio - il teatro era teatro, non doveva essere realistico, doveva estraniare.

E quella sera era straniato lui, contento che funzionasse una certa cagnara all'italiana, gli piacquero il Mackie Messer di Tino Carraro e Milly ripescata da Strehler e Grassi nel cabaret. Non sapeva gran che dell'Italia e ascoltava con qualche distanza l'estroversa loquela di Paolo Grassi. Aveva in mente di andare la mattina dopo ad Arcetri per vedere il luogo di Galileo, credeva fosse a due passi e lo dovetti disilludere. Doveva essere ricevuto dal sindaco a mezzogiorno, ma se ricordo bene non fece nessuna conferenza stampa, incontrò questo o quello, era cortese, sempre in giacca e tenendosi il berretto, voce quieta e pochi gesti - così anche dirigeva gli attori: pareva un insegnante di mezza età. Un poco diffidente e curioso. Non sembrava ammalato ma il cuore lo aveva tormentato fin dalla nascita. Sarebbe morto pochi mesi dopo, il 14 agosto, e nel 1960 sarei inciampata sulla sua tomba, due rocce davanti a un muretto nel cimitero delle Dorotee.

Lo accompagnai per due giorni, ma fra il suo riserbo e il mio tedesco, non si può dire che avessimo un vero dialogo. Ero intimidita. Fra Torino e Milano leggevamo tutto il suo teatro che Gerardo Guerrieri pubblicava per Einaudi traduzioni splendide -; alla Casa della Cultura, con la scusa che era un club privato, lo facemmo dire da Enrico Rame, fratello di Franca. Conoscevamo le poesie grazie a Fertonani ,e Fortini ci intratteneva sul Me-ti e Le storie da calendario. Eravamo alla vigilia del diluvio - rapporto segreto di Krusciov, rivoluzione ungherese, i carri sovietici a Budapest - e quando venne giù mi parve una benevolenza degli dei che Brecht fosse morto un mese prima.

domenica 19 agosto 2018

Fascismo. Misurare la parola. - Palmiro Togliatti

Da: PALMIRO TOGLIATTI, Lezioni sul fascismo - Editori Riuniti - http://www.marx21.it
Leggi anche: Il revisionismo storico*- Luciano Canfora
                      Legge elettorale, Costituzione, Democrazia*- Un discorso di Palmiro Togliatti
                      Le prospettive di una evoluzione mondiale - Trotsky (1924)


"Prima di iniziare il nostro corso voglio dire qualche parola sul termine avversari per evitare una falsa interpretazione, da parte di qualcuno di voi, di questo termine, falsa interpretazione la quale potrebbe portare a degli errori politici. 
Quando noi parliamo di avversari non abbiamo in vista le masse che sono iscritte alle organizzazioni fasciste, socialdemocratiche, cattoliche. Ma le masse che vi aderiscono non sono nostri avversari, sono delle masse di lavoratori che noi dobbiamo far tutti gli sforzi per conquistare". 


Il fascismo, la sua essenza, le sue origini, il suo sviluppo, come oggetto di studio, sembrano interessare sempre di più il mondo del lavoro e i partiti che costituiscono l’Internazionale comunista. Tuttavia non penso che a questo bisogno di conoscere corrisponda sempre una concezione esatta del fenomeno fascista esaminato sotto i suoi vari aspetti; credo che questo desiderio di sapere non sia sempre accompagnato dalla ferma intenzione di arrivare al sapere studiando attentamente il fascismo quale si manifesta concretamente in Italia e negli altri paesi. Mi pare anzi che invece ci si lasci andare a sostituire allo studio approfondito di questo fenomeno l’esposizione di generalizzazioni del tutto astratte e non corrispondenti dunque completamente alla realtà.

Pur tuttavia il difetto che consiste nel generalizzare a oltranza non è ancora la cosa peggiore, poiché non è raro che parlando del fascismo si commettano errori veramente grossolani di giudizio e d’interpretazione politica e storica. Non mi propongo qui di rilevare tutti questi errori; voglio semplicemente insistere su qualche aspetto del problema e tirarne alcune conclusioni. Mi servirò a questo fine dei risultati ottenuti mediante l’analisi e le ricerche effettuate in questo campo dal nostro stesso partito.

sabato 18 agosto 2018

L'identità politica stato - "Sulla questione ebraica" - Stefano Garroni

Da: http://www.youtube.com/user/mirkobe79 https://www.facebook.com/groups Stefano_Garroni è stato un filosofo italiano. 

"...noi siamo per la scienza, per l'ordine razionale. E lo siamo talmente che vogliamo anche capire come è usata la scienza, chi la usa, dove viene indirizzata e contestiamo questo! Non perché siamo contro la scienza ma perché la vogliamo..." (S. Garroni)

Torniamo, ancora, su una tematica di importanza fondamentale, come Stefano Garroni  ribadiva, per la comprensione delle radici teoriche "forti" e profonde del movimento comunista. Questo anche per chiarirci le idee, se possibile, su argomenti d'attualità molto stringenti  e centrali del nostro tempo. La questione europea, per esempio, con la riproposizione di una ambiguità interna alle sua fondamenta che, gli anni, i decenni ormai, passati  dal suo avvio, non hanno minimamente messo in discussione e, semmai, confermato. Cioè a dire la facciata ideale: uguaglianza di tutti i cittadini, libera circolazione, moneta unica, ecc. E la sua realtà concreta: ogni paese con le sue leggi, una moneta unica ma con diverso "valore" effettivo in ogni paese, salari differenti, sacche di povertà sempre più grandi e localizzate, ecc. Come diceva Marx – gli eventi si presentano due volte nella storia: la prima sotto forma di tragedia, la seconda sotto forma di farsa. Ora, l’Europa è insieme una tragedia e una farsa.  La farsa sta nella stantia riproposizione del mondo dei “diritti” in forma astratta e mistificata (il discorso di Marx nella “Questione Ebraica”).  Ma c’è anche la tragedia: vale a dire che – almeno, questa è la nostra impressione – il capitalismo si sta esibendo sempre di più senza veli e in forma via via più spudorata (basti pensare  a certe dichiarazioni di Padoan e del precedente semi-omonimo Padoa Schioppa, o a quelle di organizzazioni bancarie e finanziarie che lamentano l’eccessiva crescita della popolazione anziana, o ancora ai discorsi sulla “eccessiva” democraticità delle costituzioni di alcune nazioni europee, fra cui l’Italia, e così via. Insomma,  ci sembra, che il capitale ormai tenda a governare direttamente con le leggi del suo sistema di produzione e che abbia sempre meno bisogno  della mediazione politica: o meglio, la politica assume sempre di più – come suoi obiettivi – quelli delle necessità del capitale all’epoca della sua più grave crisi (ma ci sarà questa crisi? E che cos’è veramente?). Quando si parla di lavoro nei termini in cui se ne parla oggi (Renzi, Merkel ecc.) è abbastanza evidente che la sussunzione del lavoro al capitale è stata assunta una volta per tutte come una verità incontrovertibile, come una cosa “normale”: peggio ancora che ai tempi di Adam Smith. Quindi, le leggi che regolano l’estrazione di plusvalore diventano le “leggi” dell’intera società, e vengono  - esse stesse - recepite nel diritto.  Ecco la tragedia, secondo noi. (il collettivo - 2014) 


Buona lettura... 

venerdì 17 agosto 2018

Samir Amin: “La crisi” - Alessandro Visalli

Da: http://tempofertile.blogspot.com - AlessandroVisalli è architetto e dottore di ricerca in pianificazione urbanistica; si occupa di ambiente ed energie rinnovabili.


Il libro di Samir Amin, “La crisi”, del 2009, il cui sottotitolo è “Uscire dalla crisi del capitalismo o uscire dal capitalismo in crisi?” conclude per ora la lettura di alcuni testi dell’economista egiziano che ha visto prima il suo testo del 1973 “Lo sviluppo ineguale”, poi il libro del 1999 “Oltre la mondializzazione”, e quello del 2006 “Per un mondo multipolare”. Dieci anni dopo abbiamo letto l’intervento “La sovranità popolare unico antidoto all’offensiva del capitale”, nel quale la pluridecennale riflessione dell’alfiere della liberazione terzomondista e instancabile denunciatore della polarizzazione generata dallo sviluppo capitalista perviene alla determinazione, apparentemente di chiave tattica, di dover far leva sulle lotte nazionali e popolari, punto per punto, dai luoghi più deboli. Il riscatto deve, cioè, pervenire dai luoghi in cui la contraddizione tra la promessa di prosperità e la realtà di assoggettamento e alienazione è più ampia. Ciò che bisogna combattere è una tendenza intrinseca al capitalismo, al quale non è riconosciuta alcuna capacità emancipatoria o di sviluppo delle forze produttive: quella di schiacciare le periferie, creandole come tali. Creandole in quanto periferie, rispetto ai centri dominanti nei quali il capitale si concentra e dalle quali domina, accade che la logica intrinseca della macchina produttiva (di valore) tende quindi continuamente a fare della natura (e degli uomini) risorse e per questo ad estrarle, ad alienarle.
Per contrastare questa tendenza, dice Amin, non bisogna aspettare che una qualche contromeccanica automatica intervenga a salvarci: bisogna prendere il potere. Occorre, cioè, lottare per il potere. Costringerlo a fare i conti con le forze popolari, schiacciate, ma che vogliono rivendicare il proprio. 

       Dunque:
-          Rivendicare la propria capacità di essere autonomi, di non essere dipendenti e subalterni;
-          Decostruire sempre, in noi e nelle cose, le relazioni di potere e dominazione;
-          Disconnettersi dai vincoli del capitale, specificatamente dalla logica della competizione selvaggia della mondializzazione, ponendo anche la questione             della sovranità.

Essere ciò che si vuole, e volere quel che si è.

giovedì 16 agosto 2018

Il 25 luglio 1943 tra rottura e continuità - Alessandra Ciattini

Da: https://www.lacittafutura.it - ALESSANDRA CIATTINI insegna Antropologia culturale alla Sapienza.

 Chi si ricorda del 25 luglio 1943? Impreparazione, cinismo e corruzione della classe dirigente.

Mi pare che lo scorso 25 luglio, anniversario di vicende che hanno sconquassato il nostro paese, sia stato ricordato quasi esclusivamente per la “pastacciuttata” voluta da Aldo Cervi, successivamente torturato e assassinato con i suoi sei fratelli dai fascisti, offerta ai vicini per celebrare la cacciata di Mussolini a seguito dell'approvazione dell'ordine Grandi (v. La Repubblica, 25 luglio 2018, p. 9, ma anche il Fatto Quotidiano dello stesso giorno). Eppure avremo tante ragioni per rievocare quegli eventi, se come viene affermato da noti esponenti dei finti democratici – dobbiamo smettere di etichettarli come “sinistra” per non fomentare l'imbroglio della politica italiana – abbiamo un governo “sempre più nero”. Ma, come disse Gramsci, la storia è un'ottima maestra, sono gli uomini che sono dei pessimi discepoli.
Riflettere sul 25 luglio 1943 è assai utile ed opportuno non per fare un semplice esercizio di memoria storica, ma per sviluppare un tentativo di comparazione tra il nostro tragico passato e il disgustante presente, che può condurci a vicende ugualmente tragiche. In particolare, mi sembra importante mettere in risalto almeno due aspetti: l'impreparazione e la cialtroneria di coloro che si sono trovati e si trovano a decidere della nostra sorte, e le straordinarie capacità trasformistiche della classe dirigente, disposta a disfarsi anche dei più stretti complici, pur di salvare se stessa.
Sappiamo che nella notte tra il 24 e il 25 luglio 1943 si realizza la destituzione di Mussolini, cui nel 1922 Vittorio Emanuele III aveva consegnato il paese senza nessuno scrupolo, rifiutandosi di firmare lo stato d’assedio che avrebbe liquidato le squadre fasciste [1]; destituzione da mesi preparata dietro le quinte in seguito al pessimo andamento della guerra (conquista del Nord Africa da parte degli alleati, miserrima fine delle truppe italiane in Unione Sovietica dopo la straordinaria vittoria di quest'ultima a Stalingrado, bombardamenti delle città italiane, disaffezione per il regime fascista che aveva precipitato il paese in tanta devastazione e miseria).