1. La Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico di Karl Marx (scritta tra il 1842 e il 1843, ma pubblicata postuma nel 1927) si sviluppa intorno a un’argomentazione dominante, mutuata da Ludwig Feuerbach, il quale nel 1839, in uno scritto intitolato Per la critica della filosofia hegeliana, aveva insistito sul difetto della dialettica di Hegel, consistente nel ribaltamento dei rapporti tra soggetto e predicato. In altri termini, secondo Feuerbach, Hegel spiegherebbe l’esistente, cioè la vita concreta degli uomini, attraverso categorie astratte e universali, attribuendo a queste ultime la dimensione della soggettività, e considerando le circostanze materiali come predicati, per giunta accidentali. Tale rapporto, secondo Feuerbach, dev’essere ribaltato, per indicare nell’essere vivente concreto la vera soggettività, della quale è possibile predicare la capacità di pensiero e l’universale qualità astratta.
Marx non recepisce meccanicamente l’intuizione feuerbachiana, ma la assimila in modo critico e articolato. Il libro su Hegel è sostanzialmente frutto di quest’opera di appropriazione concettuale. Leggendo il testo con attenzione, ma anche con una certa fatica, si nota qualche elemento acerbo nell’argomentazione di Marx, si ha quasi la sensazione di avere di fronte un libro filosoficamente debole, nella sua capacità effettiva di rovesciare o confutare le tesi hegeliane. Ciononostante si tratta di un libro importante, soprattutto per i numerosi spunti di critica della modernità che propone.