giovedì 17 luglio 2014

Aspetti della "società civile" hegeliana - Francesco Valentini

DOMANDA:

Lei afferma che l'<<alienazione>> della società civile descritta da Hegel - nella Filosofia del diritto ma anche nel VI capitolo della Fenomenologia - è solo apparentemente vinta dalla corporazione e dallo Stato; ossia, il passaggio dalla logica economico-civile della società moderna a quella dello Stato politico, non risolve appieno l'estraneazione che pure Hegel aveva indicato come il carattere specifico del mondo smithiano della ricchezza, dell'utile e dell'economia politica. D'altra parte, Lei dice, Hegel si mostra consapevole non solo di questa 'mancanza' interna al passaggio (non del tutto tesaurizzatore), ma ne mostra anche il connaturato aspetto negativo, e cioè a dire, la formazione della plebe in sede civile rimane un problema aperto e un fattore di irrazionalità nella costruzione politica hegeliana, ovverosia nello Stato moderno descritto da Hegel. Alla luce di quanto si è detto, sembrerebbe che la soluzione qui avanzata da Hegel sia piuttosto una constatazione disincantata del persistere, nell'eticità civile e politica, di una contraddizione irrisolta: il 'nervo scoperto' (scoperto appunto da Hegel) della società civile, e cioè la produzione di una massa d'uomini esclusa sostanzialmente dalla possibilità economico-politica di riprodursi, è ciò che, in ultima istanza, contraddistingue la modernità di questa società e di questo Stato.

Ma è questa, o ci siamo sbagliati, la lettura che Lei dà di questo passaggio hegeliano ?
RISPOSTA:

mercoledì 16 luglio 2014

Il mito della riunificazione tedesca - Vladimiro Giacché -

"Motivo per cui questo modello (tedesco) secondo me ha dei problemi è che questa è la classica politica mercantilista, l’idea che io pago relativamente poco i miei salariati – e la Germania paga relativamente poco i suoi salariati, anche se questo può sembrare impossibile in un paese come il nostro dove la gente è pagata ancora di meno. Il calcolo va fatto tenendo conto dell’aumento di produttività. Dal 1999 al 2013 è aumentata la produttività del lavoro del 14%, ma non è stato trasferito nulla ai salari, i salari sono diminuiti in questo periodo di tempo del -1% all’incirca. In Francia la produttività è cresciuta del 12% e i guadagni sono stati maggiormente trasferiti ai salari. Per questo motivo la Francia ha una bilancia commerciale in perdita rispetto alla Germania."

http://www.sinistrainrete.info/estero/3920-vladimiro-giacche-il-mito-della-riunificazione-tedesca.html

http://www.opinione-pubblica.com/2015/06/15/dallannessione-della-ddr-alleuropa-del-rigore-in-nome-del-dogma-mercantilista/

lunedì 14 luglio 2014

Israele/Palestina. Alle radici del conflitto - Joseph Halevi

L’occupazione della Cisgiordania, della striscia di Gaza e di Gerusalemme orientale nel 1967, mentre concretizzava gli obiettivi espansionistici verso tutta la Palestina storica tenuti in serbo da Ben Gurion durante il suo regno, faceva ribollire il pentolone, mai spento, ove cuoceva tutto l’armamentario ideologico sul mantenimento della superiorità numerica degli ebrei e quindi di un sempre possibile transfer. Fu proprio uno dei maggiori artefici delle espulsioni del 1947-‘48 e teorizzatore nel 1940 del trasferimento totale della popolazione palestinese fuori dalla sua terra a porre schiettamente il problema. In un articolo pubblicato sul giornale laburista “Davar” il 29 settembre del 1967 il vicepresidente del Fondo nazionale ebraico Joseph Weitz scrisse: “Nella Guerra dei sei giorni accadde un solo grande miracolo: una tremenda vittoria territoriale ma la maggioranza della popolazione di territori liberati [sic] è rimasta ‘fissa’ al suo posto, cosa che può causare la distruzione del nostro stato”. Quindi: “È di imperativa importanza che la pace venga stabilita sulla base di uno stato ebraico indipendente con una limitata minoranza non ebraica anche se ciò richiedesse cedere territori ottenuti e liberati una volta effettuate le modificazioni concernenti i confini esistenti e di quelli afferenti a tutta Gerusalemme. Ciò con lo scopo di rafforzare la sicurezza di Israele e la sua fisionomia e non, in alcun modo, con lo scopo di formare, in una maniera o nell’altra, uno stato palestinese”.
“La sinistra politica di ‘ingegneria demografica’ costituisce un’ulteriore manifestazione del razzismo israeliano. Per mantenere il ‘carattere ebraico’ o la ‘purezza’ dello stato d’Israele, i palestinesi sono stati presentati e trattati come se fossero una ‘minaccia demografica’. I ‘rimedi’ proposti includono il controllo forzato delle nascite e la ’gestione della popolazione’, il trasferimento di intere comunità fino agli schemi razzisti e punitivi di ‘separazione’ unilaterale attualmente discussi” (Hanan Ashrawi  - Discorso alla Conferenza di Durban)
È questo, forse, il più straordinario tra i destini di esilio: il fatto di essere stati esiliati da esiliati, di rivivere nel presente lo stesso processo di sradicamento per mano di chi l'esilio lo ha già subito. (Edward W. Said)

lunedì 7 luglio 2014

Sulla stagnazione del marxismo - Stefano Garroni


Qualche decennio fa, mi fu chiesto di scrivere sulla stagnazione del marxismo: il mio scritto fu pubblicato; penso si possa dire anche che fu letto e commentato da qualcuno. Tuttavia, riconsiderandolo oggi, ci si rende conto che in quella mia riflessione (che condivido ancora) mancava un punto essenziale.

Dal marxismo – dunque, da un pensiero eminentemente dialettico -, di fatto, è scaturita una tradizione radicalmente antidialettica: mentre Marx costruisce il suo pensiero in una fitta ed insistente messa a confronto critica con altre correnti di pensiero; mentre a leggerlo con attenzione non può sfuggire quanto egli debba a quegli altri con cui polemizza e come esattamente questa aderenza ai suoi obiettivi polemici si traduca in grande capacità analitica ed in duttilità, plasticità di un pensiero, che mai produce dogmatismi e secchi riduzionismi –ebbene, nonostante tutto ciò è proprio in nome di Marx, che la tradizione comunista ufficiale si è variamente impegnata a definire le due liste (proprie di ogni religione, si badi!) degli ortodossi e degli eterodossi, dei fedeli continuatori e dei perfidi deviazionisti, insomma, dei santi e degli eretici.

La crisi del campo socialista europeo, in realtà (lo si dica o non lo si dica), è anche la crisi di questo stravolgimento scolatico-dogmatico di un pensiero che, per parte sua, si iscrive, invece, e porta avanti una prospettiva dialettica di ragionamento.

Una conseguenza della sostituzione del marxismo con la sua smorfia dogmatico-positivistica è che si è perso il senso di quanto il pensiero di Marx e l’orientamento dialettico abbiano penetrato, influenzato, formato scuole di pensiero e tentativi di rinnovamento storico-sociale, diversi l’un dall’altro, ma salutarmene diversi –dacché è da questo tipo di diversità, che la riflessione scientifica, morale, filosofica, politica, effettivamente, progrediscono.

Si pensi, per citare un solo esempio, al ruolo giocato dal marxismo nel farsi di quella grande, grandissima cosa, che fu la cultura mitteleuropea dei primi decenni del Novecento (per fare un solo esempio, come sarebbe possibile L’uomo senza qualità di Robert Musil, senza il marxismo?); ma anche a quel nucleo di scienziati, che costruirono il Wienerkreis e dette luogo a modi di concepire e di fare scienza, che segnano ancora la nostra realtà quotidiana.

Ebbene, tra quel nucleo di scienziati e filosofi vi furono persone dichiaratamente socialiste e che collaborarono ai primi numeri dell’Enciclopedia sovietica –ma che da essa poi furono allontanati, mano a mano che si evidenziavano le tragiche conseguenze della cosiddetta teoria del socialismo in un paese solo. Ed è così che il neopositivismo divenne perfino la bandiera della cultura anti-comunista, anti-operaia, favorendo un distacco, anche politicamente dannosissimo, tra marxismo (irrigidito) e scienza moderna.

Sappiamo bene come un risvolto della ‘teoria’ del socialismo in un paese solo fu la trasformazione dei grandi partiti comunisti occidentali in formazioni, più o meno duttilmente, socialdemocratiche con risvolti, però, di dogmatismo staliniano.

Naturalmente a tutto questo non poteva non accompagnarsi la messa a tacere, di fatto, del Lenin che si interrogava sui pericoli di restaurazione capitalistica in Unione Sovietica; ed al suo posto, invece, la costruzione di una mitica immagine dell’Urss come dolce paese dei soviet, del socialismo realizzato, e non per quello che era –un paese, cioè, che cercava in tutti i modi di difendersi, in quanto paese non capitalistico, anche a costo di compromessi con l’imperialismo, durissimi da accettare e che si rovesciavano in danno per il movimento rivoluzionario internazionale (come in particolare mondo arabo e Latino-America ci apprendono)..

E’ così che si giunse, anche in Italia, ad una separazione tra cultura d’avanguardia –nel senso di moderna, innovatrice e non di bohéme- e forza comunista organizzata. Ed una conseguenza fu che quando la nuova organizzazione capitalistica mise in discussione professioni e ruoli codificati, da una parte si ebbe una spontanea ribellione studentesca e di gioventù operaia e, dall’altro, l’incupirsi in un senso sempre più socialdemocratico del Pci.

La protesta, dunque, non potette dotarsi di una direzione teorico-politica adeguata e fiorirono incredibili personaggi, oscillanti tra lotta armata e codismo socialista.

E’ così che si ebbe una seconda stagione dello stravolgimento del marxismo: in realtà, infatti, la cultura della nuova sinistra andò sempre più caratterizzandosi per l’accettazione di temi, che sono –da lunga tradizione (addirittura Hegel li criticava)- i motivi salienti della disgregata coscienza della borghesia, ormai incapace di far perfino la lode di sé.

E paradossalmente, da parte ‘comunista’ (a dir così) si riscoprirono le dogmatiche staliniste o un cultura cinese, di cui non abbiamo gli strumenti effettivi per giudicare. Insomma, è così che rinacquero miti, dogmi, scomuniche, ma non certo quello che è il succo dell’analisi dialettica e che Lenin aveva saputo così profondamente far operare sul piano politico.

Che fare ora?

La domanda è troppo grossa perché un singolo compagno possa rispondere. Certo, una cosa mi sento di dirla: ma siamo sicuri di conoscere Marx? Siamo sicuri di aver capito il senso della sua critica dell’economia politica e della prospettiva dialettica, entro cui egli operò?

Abbiamo capito che la chiusura del marxismo, in quanto ideologia dei paesi socialisti e dei partiti comunisti e non, invece, in quanto fuoco dialettico continuo, che non ha barriere e che tutto aggredisce, con tutto si confronta – che questa chiusura, dicevo, va fatta saltare per riprendere, con Marx, quella strada che porta oltre Marx? Siamo sicuri di aver capito tutto ciò?                                   https://drive.google.com/folderview?id=0B-1egZyIWQXDMmFwZ1FDS05lX0U&usp=sharing

domenica 6 luglio 2014

Sullo stato, idee a confronto - F. Engels, R. Hilferding


“La Comune dovette riconoscere sin dal principio che la classe operaia, una volta giunta al potere, non può continuare a governare la vecchia macchina dello Stato, che la classe operaia, per non perdere di nuovo il potere appena conquistato, da una parte deve eliminare tutta la vecchia macchina repressiva già sfruttata contro di essa, e dall’altra deve assicurarsi contro i propri deputati e impiegati, dichiarandoli senza nessuna eccezione e in ogni momento revocabili. [...]
Questa distruzi one del potere dello Stato esistente e la sostituzione ad esso di un nuovo potere, veramente democratico, è esaurientemente descritta nel terzo capitolo della Guerra civile. Era però necessario ritornar qui brevemente sopra alcuni tratti di essa, perché precisamente in Germania la superstizione dello Stato si è trasportata dalla filosofia nella coscienza generale della borghesia e perfino di molti operai. Secondo la concezione filosofica, lo Stato è la “realizzazione dell’Idea”, ovvero il regno di Dio in terra tradotto in linguaggio filosofico, il campo nel quale la verità e la giustizia eterna si realizza o si deve realizzare. Di qui una superstiziosa idolatria dello Stato e di tutto ciò che ha relazione con lo Stato, idolatria che si fa strada tanto più facilmente in quanto si è assuefatti fin da bambini a immaginare che gli affari e gli interessi comuni a tutta la società non possano venir curati altrimenti che come sono stati curati fino ad ora, cioè per mezzo dello Stato e dei suoi bene istallati funzionari. E si crede d’aver già fatto un passo estremamente audace, quando ci si è liberati alla fede nella monarchia ereditaria e si giura nella repubblica democratica. In realtà però lo Stato non è che una macchina per l’oppressione di una classe da parte di un’altra, e ciò nella repubblica democratica non meno che nella monarchia; e nel migliore dei casi un male che viene lasciato in eredità al proletariato riuscito vittorioso nella lotta per il predominio di classe e i cui lati peggiori non potrà fare a meno, subito, di eliminare nella misura del possibile, come fece la Comune, finché una nuova generazione, cresciuta in condizioni sociali nuove, libere, non sia in grado di scrollarsi dalle spalle tutto il vecchiume dello Stato.

Il filisteo socialdemocratico recentemente si è sentito preso da un salutare terrore sentendo l’espressione: dittatura del proletariato. Ebbene, signori, volete sapere come è questa dittatura? Guardate la Comune di Parigi. Questa era la dittatura del proletariato.“
 (Engels - introduzione de “La guerra civile in Francia”) 





 

venerdì 4 luglio 2014

Collettivo di formazione marxista "Stefano Garroni"



- Filosofia - Storia - Politica - Economia - http://it.wikipedia.org/wiki/Stefano_Garroni

Come collettivo di formazione marxista "Stefano Garroni" stiamo pubblicando degli articoli audio/video di filosofia in Marx, Engels, Lenin, Trotsky, Stalin, Wittgenstein, Feuerbach, Proudhon, Aristotele, Platone, e tanto altro ancora.

Su facebook pubblichiamo articoli di Garroni e del collettivo:

come anche su questi siti/blog:

Per partecipare ai collettivi o per avere le trascrizioni testuali di alcuni audio, o informazioni di ogni genere o anche segnalazioni per eventuali errori è possibile contattarci scrivendo a mirkob979@hotmail.it

E' disponibile anche una lista degli incontri in formato word, con relativa descrizione degli argomenti trattati, personaggi citati e domande a cui si da una risposta. Con lo strumento "trova" di word sarà possibile individuare comodamente l'argomento che vi interessa e il relativo file in cui se ne parla.

Sempre a nome del collettivo abbiamo pubblicato:

 "Riproposte dialettiche. Merce denaro partito"

 "Ricerche marxiste"

 "Ripensare Marx"

 Sono acquistabili su internet (contattateci per sapere il sito), oppure possiamo inviarli tramite posta.

Per qualsiasi informazione, siamo a vostra completa disposizione.

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"La tv non va guardata per credere a ciò che ci dicono, ma per capire cosa vorrebbero farci credere"

"Ogni sistema sociale adotta delle sue forme che racchiude entro certi limiti: così come in URSS non era possibile parlare di privatizzazione dei mezzi di produzione, alla stessa maniera in USA non è possibile parlare di statalizzazione"

"E' chiaro che se io uso l'espressione "memoria storica", quello che suggerisco è che la storia appartiene al passato, è qualcosa di cui si deve aver memoria. Il che è una falsificazione perché la storia è costitutiva del presente, quindi se io relego la storia nel passato, quello che sto facendo è impedire una comprensione del presente, perché è nel PRESENTE che vive la storia."

"La filosofia è il momento più alto di presa di coscienza da parte dell'uomo dei modi, delle forme, delle regole, della grammatica dell'esperienza storica. Quindi è il processo di COSTRUZIONE della razionalità umana come presa di coscienza delle procedure fondamentali delle regole dello svolgimento della storia. Per svolgimento della storia ovviamente intendo svolgimento del rapporto tra l'uomo, la società e la natura. "

"Ma la stragrande maggioranza della gente ovviamente è ignorante. Come si fa una cultura? Come capisce che cosa significa organizzare e dirigere, se non attraverso una esperienza organizzativa? Cioè il partito è un elemento fondamentale per un elevamento della coscienza di massa. Non può esserci una democrazia SENZA l'organizzazione dei partiti. Una democrazia che distrugge i partiti vuol dire uno Stato che prende persone ignoranti, abbandonate nel loro individualismo e poste di fronte ai grandi problemi. La politica come momento di organizzazione, di discussione, di acquisizione di esperienza; ha una funzione di mediazione tra teoria e ideologia, e quindi non c'è dubbio che più si avrà un precipitare nella miseria ideologica, e meno sarà ricca l'organizzazione politica."

"Quando quegli aristotelici discutevano della dimostrabilità o meno dell'esistenza di Dio, attenti che non stanno discutendo di Dio, ma stanno discutendo del modo di concepire la scienza, stanno discutendo di che cosa significa DIMOSTRARE ".

"Non posso parlare di diritto se non facendo astrazione dalle differenze, ma esiste un caso determinato la proprietà degli strumenti di produzione, del capitale in cui prescindere dalle differenze significa imbrogliare, significa far finta che proprietario di se stesso e proprietario di capitale siano entrambi proprietari e quindi creare una apparente uguaglianza che in realtà si rovescia nel privilegio del capitalista. E allora ecco che questo pensiero giuridico formale diventa un puntello, una legittimazione del privilegio capitalistico".

"Non è possibile, come in anni passati si cercò di fare, separare l'essere marxista in quanto persona che si serve di certi strumenti di analisi sociale dall'essere ateo, perché il succo fondamentale del marxismo è questo: non c'è un altro mondo e la partita della giustizia si gioca qua, e siamo chiamati tutti insieme a giocarla qua. Cioè l'ateismo fa parte organica del marxismo".

"Immaginiamo due oratori: un oratore che sappia parlare con il cuore in mano e riscaldare la gente, e un oratore come era Togliatti per es., molto freddo, analitico. È questo secondo che va scelto. Perché è quello analitico che non fa appello ai sentimenti ma fa appello alla capacità critica."

La negazione della proprietà capitalistica*

*Da:   http://www.international-communist-party.org


...tre distinzioni terminologiche: beni strumentali e di consumo – proprietà e impiego dei primi e dei secondi – proprietà privata, individuale, sociale.

La prima distinzione è oramai corrente anche nella economia comune. I prodotti dell’attività umana o servono al diretto consumo, come un cibo o un indumento; ovvero sono adoperati in altre operazioni lavorative, come una zappa, una macchina. Non sempre la distinzione è facile, e vi sono casi misti; comunque tutti capiscono quando distinguiamo i prodotti tra beni di consumo e beni strumentali.

La proprietà sul bene di consumo al momento del suo impiego, sarebbe bene non chiamarla col termine di proprietà, sia pure seguito dagli aggettivi: personale, individuale. Essa consiste nel rapporto per cui chi sta per sfamarsi tiene in mano il cibo e nessuno vieta che lo porti alla bocca. Anche nelle scienze legali tale rapporto non si definisce bene come proprietà, ma come possesso. Il possesso può essere di fatto e materiale, ovvero anche di diritto e legale, ma implica sempre il "tenere nel pugno", la fisica disposizione della cosa. La proprietà è il rapporto per cui si dispone di una cosa, senza che si debba tenerla nelle mani, per effetto titolare di un pezzo di carta e di una norma sociale.

La proprietà sta al possesso come in fisica l’actio in distans di Newton sta all’azione di contatto, alla diretta pressione. Siccome anche nel termine possesso entra un valore giuridico, potremmo provare, per questo concetto pratico del poter mangiare il pezzo di pane o calzare le scarpe, ad usare il termine "disponibilità" (dato che il termine "disposizione" dà 1’idea di schieramento, ordinamento, che appartiene ad altro campo).

Riserveremo il termine proprietà ai beni strumentali: utensili, macchine, opifici, casa, terra, etc.
Chiamando proprietà anche la disponibilità, ad esempio, del proprio abito o della propria matita, Il Manifesto del Partito Comunista dice che i comunisti vogliono abolire la proprietà borghese, non la proprietà personale.
Terza distinzione: privato, individuale, sociale. 

Diritto, potere privato su di una cosa, su di un bene, consumabile o strumentale (e, prima, anche sulle persone e le attività di altri uomini) significa diritto non esteso a tutti, ma riservato ad alcuni soltanto. Prevale nel termine privato, anche letteralmente, il valore negativo; non la facoltà di godere della cosa, bensì quella di privare gli altri – colla tutela della legge – del godimento di essa. Regime di proprietà privata è quello in cui sono proprietari alcuni, e moltissimi altri non lo sono. Nella lingua del tempo di Dante gli "uman privati" sono le latrine, luogo ove è norma che regni un solo occupante, buon simbolo delle olezzanti ideologie del borghese.

Proprietà individuale non ha lo stesso senso di privata. La persona, l’individuo, sono pensati dai... benpensanti come persona borghese, individuo borghese (Manifesto). Ma avremmo un regime di proprietà individuale solo quando ogni individuo potesse raggiungere la proprietà su qualche cosa, il che in tempo borghese di fatto non è, malgrado le ipocrisie legali, né per gli strumenti, né per i beni di consumo.

Proprietà sociale, socialismo, è il sistema in cui non vi è più rapporto fisso tra il bene di cui si tratta, e una determinata persona o individuo. In questo caso sarebbe bene non dire più proprietà, poiché 1’aggettivo proprio si riferisce ad un soggetto singolo e non alla universalità. Comunque, si parla ogni giorno di proprietà nazionale e statale, e noi marxisti parliamo, per farci intendere, di proprietà sociale, collettiva, comune.

Seguiamo ora le tre fasi sociali e storiche presentate in sintesi da Marx a coronamento del primo tomo de Il Capitale.
Lasciamo da parte le precedenti epoche di schiavismo e di pieno feudalesimo terriero, in cui, sul rapporto di proprietà tra uomo e cosa, prevale il rapporto personale, tra uomo e uomo.

Prima fase. Società della piccola produzione, artigiana per i manufatti, contadina per l’agricoltura. Ogni lavoratore, della bottega e della terra, in che rapporto è con i beni strumentali di cui si serve? Il contadino è padrone del suo fondicciuolo, l’artigiano dei suoi semplici attrezzi. Dunque disponibilità proprietà del lavoratore sui suoi strumenti di produzione. Ogni lavoratore in che rapporto è coi suoi prodotti, del campo o della bottega? Ne dispone liberamente, se sono beni di consumo li adopera come vuole. Allora diremo con esattezza: proprietà individuale sui beni strumentali, disponibilità personale dei prodotti.

Seconda fase. Capitalismo. Entrambe queste forme vengono negate. Il lavoratore non ha più in proprietà terra, bottega o arnesi. Gli strumenti di produzione sono divenuti proprietà privata di pochi industriali, dei borghesi. Il lavoratore non ha più alcun diritto sui prodotti, siano essi anche beni di consumo, che sono a loro volta divenuti proprietà del padrone della terra o della fabbrica.

Terza fase. Negazione della negazione. "Gli espropriatori vengono espropriati" non nel senso che si espropriano i capitalisti delle officine e delle terre per ripristinare una generale proprietà individuale dei beni strumentali. Questo non è socialismo, è la formula "tutti proprietari" dei piccoli borghesi, oggi dei piccisti. I beni strumentali diventano proprietà sociale, poiché vanno "conservate le acquisizioni dell’era capitalistica" che hanno fatto della produzione un fatto"sociale". Cessano di essere proprietà privata. Ma per i beni di consumo? Questi sono messi dalla società a disposizione generale di tutti i consumatori, ossia di qualunque individuo.

Nella prima fase dunque ogni individuo era un proprietario di piccole quantità di strumenti produttivi, e ogni individuo aveva una disponibilità di prodotti e beni di consumo. Nella terza fase ad ogni individuo è vietata la proprietà privata sui beni strumentali, che sono di natura sociale, ma gli è assicurata la possibilità – che il capitalismo gli aveva tolta – di avere sempre una disponibilità su beni di consumo. Questo significa che, con la proprietà sociale delle macchine, delle fabbriche ecc., è rinata – ma quanto diversa! – la "proprietà individuale" di ogni lavoratore su una quota di prodotti consumabili che esisteva nella società artigiano-contadina, precapitalistica, rapporto non più privato,rapporto sociale.

[Se sussistesse il minimo dubbio sulla nostra interpretazione delle parole di Marx sul "ristabilirsi della proprietà individuale", ed anche sullo stretto rigore della continuità nella terminologia marxista, basterà a disperderlo la citazione da un testo di altra data e di altro tema, Le guerre civili in Francia«... Non appena gli operai prendono decisamente la cosa nelle loro mani, ecco levarsi tutta la fraseologia apologetica dei portavoce della società presente con i suoi due poli del capitale e della schiavitù salariale, come se la società capitalistica fosse ancora nel suo stato più puro di verginale innocenza, con i suoi antagonismi non ancora sviluppati, con i suoi inganni non ancora sgonfiati, con la sua meretrice realtà non ancora messa a nudo. La Comune, essi esclamano, vuole abolire la proprietà, base di ogni civiltà! Sissignori, la Comune voleva abolire quella proprietà di classe che fa del lavoro di molti la ricchezza di pochi. Essa voleva 1’espropriazione degli espropriatori. Voleva fare della proprietà individuale una realtà, convertendo i mezzi di produzione, la terra e il capitale, che ora sono essenzialmente mezzi di asservimento e sfruttamento del lavoro, in semplici strumenti di lavoro libero e associato. Ma questo è il comunismo, l’“impossibile” comunismo!»].

Le due negazioni in senso inverso non ci hanno ricondotto al punto di partenza della economia, della produzione sparpagliata, molecolare, ma molto più oltre e più in alto, alla gestione comunistica di tutti i beni, in cui, alla, fine, i termini diproprietà, di bene, di quota personale non avranno più alcuna ragione di impiego. 

Leggi tutto:      http://www.international-communist-party.org/Italiano/Conoscen/50Metodo.htm 

mercoledì 2 luglio 2014

giovedì 26 giugno 2014

Tra Cartesio e Hume (7) - Stefano Garroni

  Pubblichiamo il testo di Stefano Garroni "Tra Cartesio e Hume" ormai fuori edizione e introvabile in libreria. In questo post  la settima parte. Di seguito le restanti

mercoledì 25 giugno 2014

Tra Cartesio e Hume (6) - Stefano Garroni

 Pubblichiamo il testo di Stefano Garroni "Tra Cartesio e Hume" ormai fuori edizione e introvabile in libreria. In questo post  la sesta parte. Di seguito le restanti parti.

martedì 24 giugno 2014

LA QUESTIONE EBRAICA - Stefano Garroni


    Il collettivo di formazione marxista "Stefano Garroni" sta pubblicando, in varie forme, gran parte dell'opera di Stefano. Un lavoro, il suo, che l'ha visto impegnato per tutto il corso della vita nella convinzione che compito politico dello studioso, dell'intellettuale, del compagno fosse quello di portare alla luce e farne coscienza di classe l'enorme portato storico-politico-culturale del movimento comunista. Il suo lavoro si è sviluppato su più livelli: dal seminario accademico alla discussione di sezione di partito;  dalla riunione di collettivo agli incontri internazionali; dallo scambio d'idee col singolo alla scuola sindacale o di partito...  In tutti i casi la grandezza e qualità del suo lavoro non è mai stata messa in discussione e il riconoscimento è stato unanime. Ma, come lui stesso affermava e ribadiva, la sua crescita politico-culturale era dovuta non solo allo studio del filosofo ricercatore ma si, anche e soprattutto, al confronto-scontro-chiarimento, con lo studente alle prime armi, col  compagno di base, col semplice lavoratore. Per questo, alle pubblicazioni  di livello teorico-accademico che riportiamo nel blog intervalliamo i resoconti trascritti da registrazioni di riunioni del collettivo, di ordine più politico-divulgativo, sapendo che in diversa forma, dello stesso argomento si tratta. Questo incontro, ad esempio, si tenne il 28/05/1998 ad una riunione del collettivo sul tema "La questione ebraica" di K. Marx e ci sembra importante sottolineare come bene si intrecci con lo scritto "Tra Cartesio e Hume" che stiamo pubblicando per parti.                                                                                                                                                                                                        E' possibile ascoltare direttamente la registrazione dell'incontro (prima parte e seguenti)      qui...                                                                                                                          https://www.youtube.com/watch?v=hNtPloQioc8                                                                                                        
 Incontri con
STEFANO GARRONI 
La questione ebraica
Collettivo di formazione Marxista 28/05/1998
 
Dunque…l’argomento questa sera è l’articolo che Marx scrisse alla fine del 1843 ma che pubblicò all’inizio del ’44, nella rivista ‘Annali franco-tedeschi’ e intitolato ‘La questione ebraica’. Ora… bisogna ricordare qual è  lo scopo dei nostri incontri: a noi interessa riuscire a comprendere come il motivo dell’organizzazione politica, e quindi del Partito, nasca per Marx, come anche per Lenin, all’interno di un modo di concepire la Storia. E che quindi il problema dell’organizzazione politica non è un mero fatto tecnico, né un mero fatto politico, ma è qualcosa che si inscrive all’interno di una visione più generale della Storia e della stessa funzione quindi della Rivoluzione comunista.

lunedì 23 giugno 2014

Tra Cartesio e Hume (5) - Stefano Garroni

Pubblichiamo il testo di Stefano Garroni "Tra Cartesio e Hume" ormai fuori edizione e introvabile in libreria. In questo post  la quinta parte. Di seguito le restanti parti.
 

domenica 22 giugno 2014

Tra Cartesio e Hume (4) - Stefano Garroni

Pubblichiamo il testo di Stefano Garroni "Tra Cartesio e Hume" ormai fuori edizione e introvabile in libreria. In questo post  la quarta parte. Di seguito le restanti parti.

La scienza del conflitto. Secondo il Pentagono...

Il conflitto sociale è materia che può e deve essere analizzata in maniera scientifica, tenendo conto dei precedenti storici come delle tecnologie esistenti, della “qualità” del nemico come di quella degli “amici”. Altrimenti ci si inoltra in un terreno sconosciuto, irto ovviamente di rischi imprevedibili, dotati soltanto delle proprie buone intenzioni e di una dose di incoscienza sopra la soglia.
Un'inchiesta eccellente apparsa sul giornale inglese The Guardian nei giorni scorsi aiuta a rimettere con i piedi per terra sia l'idea che la pratica reale del conflitto sociale. Come fa? Semplice: guarda a quel che il Pentagono sta facendo da alcuni anni a questa parte per “implementare” la sua già immensa conoscenza.                                                                                                                                                      http://contropiano.org/articoli/item/24685                                                                                                                                              http://177ermanno.blogspot.it/2014/05/dalle-vecchie-guerre-alla-guerra.html

lunedì 16 giugno 2014

La sostanza della verità - Anselm Jappe



Diversamente da quello che è successo negli anni '60 dello scorso secolo, si discute solamente del modo migliore di gestire il capitalismo, mai della sua abolizione, ed il ritorno al keynesismo e  alla piena occupazione, condito con un po' di commercio equo e solidale, qualche tassa ambientale ed una maggior partecipazione del Sud del pianeta, costituisce l'ipotesi più audace.                                     [...]La merce è quindi relativista per natura, mette tutto sullo stesso piano, ogni merce può sostituire qualsivoglia altra merce nello scambio di valore, una bomba equivale ad un sacco di frumento. Per la merce non c'è niente di sacro da rispettare, nessuna trascendenza, ed è questa la ragione per cui la critica reazionaria ne accompagna spesso gli inizi.                                                       [...]il pensiero postmoderno si presenta come una continuazione dell'Illuminismo e del suo rifiuto della metafisica in nome del nominalismo. Ma come è già accaduto per l'Illuminismo originario, anche tutto il pensiero postmoderno - che si ritiene del tutto disilluso e "laico" - abbandona solo la metafisica classica a beneficio di una "metafisica reale", cioè a dire la metafisica del lavoro e del capitale, che domina questo mondo sublunare.                                                                                           [...]Marx riassume questa situazione nel termine di "feticismo della merce", il quale indica altresì il carattere surrettiziamente religioso della società moderna. Il feticismo della merce non è una mistificazione, ma una realtà nella quale l'essere umano viene governato dagli idoli che egli stesso ha creato. Così, una forma di verità metafisica, perfino religiosa, costituisce, ancora e sempre, il tessuto della società.                                                                                                        [...]Se all'inizio degli anni 1970, ad ogni dollaro "sostanziale" - che rappresenta lavoro realmente effettuato - corrispondeva più o meno un dollaro fittizio, nel senso di un credito estratto dal dollaro sostanziale, oggi, secondo varie stime, ad ogni dollaro sostanziale corrispondono cinque, perfino dieci, dollari fittizi. Ci troviamo di fronte ad una vera e propria "desustanzializzazione" del denaro, diventato una finzione sociale.                                                           [...]E che dà alla verità un nuovo statuto: in un sistema simbolico, la verità è un ideale, ha un carattere trascendente; nel sistema di negazione della nevrosi liberale, la verità è sempre relativa, circostanziale, parziale, rivedibile, addirittura opportunista; e qualsiasi fermo posizionamento  a favore di una verità che si impone su di noi, viene considerato come totalitario. Di qui, la mentalità postmoderna, imbevuta di un'incertezza fondamentale che permette ogni cinismo - fino al punto che si potrebbe pensare che è proprio questo l'obiettivo". Effettivamente, l'indebolimento del Super-io, di Edipo e dell'ordine simbolico tradizionale, che dovevano essere tutti vettori di emancipazione, alla fine hanno avuto conseguenze abbastanza inattese per il progetto di emancipazione.                                                                                                                                             http://www.sinistrainrete.info/teoria/3818-anselm-jappe-la-sostanza-della-verita.html

domenica 15 giugno 2014

Tutti festeggiano Cusco - Aristide Bellacicco

 


       Oggi Cusco compie settant’anni.                    Due giorni fa  suo figlio Alex è uscito dalla comunità ed è tornato ad stare a casa. Si è presentato all’improvviso  alle sette di mattina. ‘ E’ un periodo di prova ‘ ha detto ‘Una settimana o due. Vediamo come va.‘ Potevi avvisarmi ‘ ha detto Cusco, che si era appena svegliato ‘non me l’aspettavo. Però sono contento.’ Alex gli ha spiegato che ci aveva pensato fino all’ultimo e che si era deciso soltanto  la sera prima. ‘ Anch’io sono contento ’ ha detto.

lunedì 9 giugno 2014

Materialismo “contra” spiritualismo. - Roberto Finelli



 Il sentire è il piano intermedio tra corporeità e psichicità. Ed è dunque qui che Freud colloca, topologicamente e dinamicamente, l’Altro. L’Es è l’altro dell’Io, in quanto è alterità in sé stesso, rappresentanza - e non rappresentazione - del corpo nella mente e come tale funzione simbolica che assegna il senso e la verità non al conoscere ma al sentire. Perché attraverso il sentire è il corpo che si fa a se stesso simbolo, traducendosi nel sentire della mente. E’ qui che a mio avviso va collocato il fondamento di una concezione materialistica dell’uomo e della sua natura simbolica. Non nella semplice capacità di produrre e di usare simboli linguistici, ma nella sua capacità di essere simbolo a se stesso in quanto mente che assume il corpo ad oggetto primo e permanente, privilegiato e intrascendibile, del proprio pensare, in quanto mente cioè la cui funzione primaria è quella di riconoscere e di rappresentarsi un corpo che di per sé non può mai essere completamente ridotto a rappresentazione. [...] Freud riafferma nel Compendio che, affinché il mondo interno riesca a giungere alla coscienza, è necessario che le scene emozionali si connettano a rappresentazioni verbali, le quali costituiscono appunto il medium percettivo con cui il mondo inconscio giunge a farsi conscio.  [...]                                                                                                                                                                                                                                                                                                               Kojève si concentra, com’è noto, sulle sole pagine (Fenomenologia dello Spirito) della famosa lotta per il riconoscimento che Hegel illustra nella sezione sull’autocoscienza a proposito della dialettica di signore e servo. E quelle pagine per l’interprete russo valgono come l’inizio: l’inizio della storia umana e la sua fuoriuscita dalla natura. Un passaggio, che vede da un lato il mondo naturale come caratterizzato solo dal “bisogno”, ossia dalla necessità di riproduzione fisica e materiale degli individui viventi che lo compongono, e dall’altro il mondo umano, della storia e della cultura, fondato invece sul “desiderio”, ossia sulla volontà di essere riconosciuto, ciascuno nella propria incomparabile ed irriducibile soggettività, da tutti gli altri. Da un lato il mondo dei corpi e della vita biologica legata alla nascita e alla morte, nel costante timore del non soddisfacimento del bisogno e del venir meno della vita, dall’altro il mondo degli esseri umani, capaci di superare la naturalità biologica, la paura della morte, e di gareggiare in lotta con gli altri simili, per imporre il riconoscimento del proprio sé. Salvo non esser capaci di rifiutare la naturalità e di accedere alla dimensione del riconoscimento tutti quegli esseri umani   che, schiavi del corpo e della paura della morte, non lottano fino in fondo, fino alla morte, con l’altro per l’affermazione di sé: ma cedendo appunto di fronte all’altro, lo riconoscono come padrone, facendosene servi. Di qui l’asimmetria delle classi e la genesi, appunto. della storia umana come storia, secondo l’impianto marxiano, di classi e di lotta di classi.  [...]                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                  Per Lacan , data la riduzione del corpo a non-essere e data perciò l’impossibilità di ancorare il senso al sentire del corpo, il luogo del senso sta nel «non senso». Sta nel non senso di tutte le parole e i discorsi che pretendono di dare identità al soggetto, per via immaginaria, attraverso il susseguirsi di identificazioni speculari e simbiotici con l’altro/i. Perché solo la riduzione a non senso dell’identità immaginaria del moi, può aprire il vero senso del je, della vera soggettività, consistente nella capacità di non fermarsi in nessuna delle forme identitarie ma di attraversare, senza complicità di permanenza, tutte le opportunità del divenire. Il senso infatti sta nel venire meno dell’«immaginario» e nella possibilità dell’accesso al «simbolico», quale coincidenza del soggetto con la sua condizione alternante di «più» e di «meno», di più di identità e di meno di identità, di essere e di non-essere. E d’intendere con ciò che la verità del soggetto umano sta nel non cessare mai d’identificarsi e, poi, nel superare l’identificazione: in un perenne domandarsi «chi sono?», che non può e non deve mai trovare una forma definitiva e rassicurante.                                                                                                                                                                                                     http://www.consecutio.org/2014/05/materialismo-contra-spiritualismo-sigmund-freud-e-jacques-lacan/