martedì 24 giugno 2014

LA QUESTIONE EBRAICA - Stefano Garroni


    Il collettivo di formazione marxista "Stefano Garroni" sta pubblicando, in varie forme, gran parte dell'opera di Stefano. Un lavoro, il suo, che l'ha visto impegnato per tutto il corso della vita nella convinzione che compito politico dello studioso, dell'intellettuale, del compagno fosse quello di portare alla luce e farne coscienza di classe l'enorme portato storico-politico-culturale del movimento comunista. Il suo lavoro si è sviluppato su più livelli: dal seminario accademico alla discussione di sezione di partito;  dalla riunione di collettivo agli incontri internazionali; dallo scambio d'idee col singolo alla scuola sindacale o di partito...  In tutti i casi la grandezza e qualità del suo lavoro non è mai stata messa in discussione e il riconoscimento è stato unanime. Ma, come lui stesso affermava e ribadiva, la sua crescita politico-culturale era dovuta non solo allo studio del filosofo ricercatore ma si, anche e soprattutto, al confronto-scontro-chiarimento, con lo studente alle prime armi, col  compagno di base, col semplice lavoratore. Per questo, alle pubblicazioni  di livello teorico-accademico che riportiamo nel blog intervalliamo i resoconti trascritti da registrazioni di riunioni del collettivo, di ordine più politico-divulgativo, sapendo che in diversa forma, dello stesso argomento si tratta. Questo incontro, ad esempio, si tenne il 28/05/1998 ad una riunione del collettivo sul tema "La questione ebraica" di K. Marx e ci sembra importante sottolineare come bene si intrecci con lo scritto "Tra Cartesio e Hume" che stiamo pubblicando per parti.                                                                                                                                                                                                        E' possibile ascoltare direttamente la registrazione dell'incontro (prima parte e seguenti)      qui...                                                                                                                          https://www.youtube.com/watch?v=hNtPloQioc8                                                                                                        
 Incontri con
STEFANO GARRONI 
La questione ebraica
Collettivo di formazione Marxista 28/05/1998
 
Dunque…l’argomento questa sera è l’articolo che Marx scrisse alla fine del 1843 ma che pubblicò all’inizio del ’44, nella rivista ‘Annali franco-tedeschi’ e intitolato ‘La questione ebraica’. Ora… bisogna ricordare qual è  lo scopo dei nostri incontri: a noi interessa riuscire a comprendere come il motivo dell’organizzazione politica, e quindi del Partito, nasca per Marx, come anche per Lenin, all’interno di un modo di concepire la Storia. E che quindi il problema dell’organizzazione politica non è un mero fatto tecnico, né un mero fatto politico, ma è qualcosa che si inscrive all’interno di una visione più generale della Storia e della stessa funzione quindi della Rivoluzione comunista.
Questo va ricordato perché succede che ogni pagina di Marx, come d’altra parte ogni pagina di Lenin, solo apparentemente è semplice, quando si presenta semplice. In realtà non è mai semplice,  addirittura direi che, in linea generale,  quelle pagine che si presentano  più semplici e quelle opere che sono più brevi, sono sicuramente  le più complesse da capire, perché sono estremamente  concentrate  e perché il linguaggio semplice, in realtà  allude a una serie di questioni che bisogna far emergere, se poi si vuol  capire la pagina. E d’altra parte questo è un lavoro necessario, esattamente perché il problema appunto dell’organizzazione politica in Marx e in Lenin, non è un obiettivo di per sé, ma è un obiettivo all’interno di un obiettivo più generale, quindi ha una serie di significati che vanno oltre il politico. Voi comprendete perfettamente che se a un certo momento Marx scriverà che il proletariato deve farsi erede della filosofia classica tedesca, ovviamente non poteva avere una semplice idea politica in testa, doveva avere qualcosa di molto complesso, perché la filosofia classica tedesca vuol dire nientedimeno che Leibniz, Kant, Hegel, quindi cose di enorme spessore, e se il proletariato deve farsi erede di questo,  evidentemente si deve fare erede di un’operazione gigantesca. E l’azione politica e l’organizzazione politica è all’interno di questo quadro  più generale. E per esempio si possono fare subito due osservazioni, che spero di rendere in modo chiaro, ma che danno il senso però  della complessità anche di queste piccole pagine. La prima osservazione è la seguente, e cioè: esistono precisi luoghi della filosofia del diritto di Hegel, in cui si dicono esattamente le cose che Marx dirà in questo articolo sulla questione ebraica. Cioè è dimostrabile, testi alla mano, come Marx riproponga temi che già sono in Hegel, in questo articolo. Contemporaneamente sappiamo, basta leggere l’articolo, che questo è scritto contro le tesi dell’Hegeliano Bruno Bauer. E allora evidentemente comincia a delinearsi il fatto che il richiamo a Hegel, che è comune a Bauer e a Marx, può avere esiti completamente diversi, infatti poi Marx polemizza contro un altro che si richiama a Hegel. Ma la cosa è ancora più complessa. Perché?... perché l’articolo esce nella rivista ‘Annali franco-tedeschi’… tra parentesi: perché ‘Annali franco-tedeschi’?.. Perché nel linguaggio che si era andato imponendo nella filosofia tedesca dell’epoca, la Francia era il simbolo del cuore, della passione, dell’azione politica, la Germania il simbolo della riflessione filosofica e scientifica, quindi dire ‘Annali franco-tedeschi’ già significa dire quello che poi Marx scriverà, e cioè che il proletariato deve farsi erede della filosofia classica tedesca. Significa già annunciare nel titolo della rivista la volontà di creare una saldatura tra azione politica e base scientifico-filosofica. Comunque per fare questa rivista il tedesco Ruge, cerca ovviamente collaboratori, e si rivolge proprio all’ambiente dei giovani Hegeliani: Bruno Bauer fa parte dei giovani Hegeliani, Feuerbach è un personaggio molto amato dai giovani Hegeliani, Marx vede o vedeva con simpatia i giovani Hegeliani, e incontra, Ruge, l’opposizione forte da parte di una componente dei giovani Hegeliani che si chiamavano I Liberi …perché opposizione forte… perché I Liberi facevano questo discorso: l’effettiva emancipazione dell’uomo non può avvenire attraverso la strada politica, in quanto la strada politica comporta di necessità un lavoro a livello di massa, e quindi anche un lavoro con ambienti che si muovono a un livello di  coscienza basso, non all’altezza della grande emancipazione realizzata dalla filosofia classica, dunque fare politica significa venire appunto a compromessi con livelli inferiori di coscienza, e dunque impedire una effettiva liberazione. In qualche modo è un po’.. un discorso  che veniva l’altra volta quando io, riferendomi, non mi ricordo se esplicitamente o implicitamente, alla Radio Cittaperta, denunciavo quest’uso criminale che viene fatto del termine ‘gente’, anche a sinistra, mostrando ovviamente l’equivoco di un termine come gente, popolo etc… e giustamente Mauro, diceva: ‘beh… ma quando tu devi entrare in contatto con ambienti larghi, in qualche modo devi venire a compromessi con i linguaggi, e quindi i livelli di coscienza di questi ambienti’. Proprio questa necessità del compromesso faceva dire a quei neo Hegeliani, I Liberi, non è possibile un’azione politica, come azione liberatoria, perché implica imbarcare questi livelli di coscienza più arretrati, quindi mettere un peso, un limite, al processo di emancipazione. Marx invece, evidentemente, è d’accordo nella necessità di mediare il livello dell’emancipazione filosofica con l’azione politica: infatti non solo accetta di partecipare alla rivista, ma poi di fatto è lui che organizza il numero, effettivamente. E allora noi in sostanza abbiamo già tre spaccati del movimento che si richiama a Hegel: questo dei Liberi, che rifiuta la politica per le ragioni dette, Bruno Bauer, che invece accetta l’azione politica, ma che incorre nelle critiche che poi Marx gli fa… Ora… il fatto che il pensiero di Hegel abbia funzionato storicamente in modi diversi, cioè che sia stato accolto, interpretato e svolto in modi diversi, ovviamente non è una caratteristica particolare del pensiero di Hegel,  questo succede a ogni grande della storia del pensiero, ovviamente. Però noi dobbiamo abituarci a questo ragionamento: spesso appunto si contrappone l’interpretazione che si dà di un testo, di un testo importante, a quello che il testo ha veramente detto. Non so se ricordate, qualche anno fa usciva anche in Italia una collana di libri che era intitolata così: ‘Che cosa ha detto veramente’… Marx, Freud, Lacan, Adorno etc… e quindi questa contrapposizione tra che cosa ha veramente detto x e le interpretazioni di x. Ora… noi dobbiamo abituarci a capire che questa contrapposizione è falsa. Nel senso che il modo in cui una certa opera, un certo pensiero, funziona storicamente, cioè viene interpretata, è parte interna del significato di quell’opera. Io non posso dire: questo è il significato del Vangelo, poniamo, e mettere tra parentesi il modo in cui il Vangelo ha funzionato storicamente. Il modo in cui ha funzionato storicamente il Vangelo: quello è il significato del Vangelo. Nel senso che il significato di un’opera non è qualcosa di misterioso, di interiore..no? come l’anima interna ad ognuno… no, il significato sta nelle cose, nei fatti, cioè nel modo di funzionare di un’opera. E allora cosa succede, succede che noi dobbiamo abbandonare l’idea che un’opera possa avere solo un significato… voglio dire.. è evidente.. Marx è stato interpretato in vari modi, è stato svolto in varie direzioni, analogamente altri: Hegel, Kant, quelli che vi pare. Ma attenti, questa possibilità di vari usi…non sono in contrapposizione al vero significato dell’opera, ma sono i modi in cui il significato dell’opera viene fuori. Il fatto è che le opere, specie se sono importanti, di necessità sono ambigue, proprio perché sono importanti, proprio perché sono importanti, allora sono profondamente legate alla concretezza dell’esperienza storica e dunque inevitabilmente sono sviluppabili in vari modi, possono mettere in evidenza più un lato, un  altro etc… e addirittura …e addirittura è vero questo, che un autore può scoprire il significato di quello che ha fatto attraverso l’esito del suo libro… Questo perché?.. ma perché evidentemente un libro importante non è il prodotto del cervello di un autore, ma è il modo in cui una certa epoca storica, proprio attraverso quel cervello, prende coscienza di sé. Il culto dell’autore come il genio che capisce tutto, questa è una cosa romantica, che non è vera, è un complesso processo storico che va conquistando la coscienza di sé attraverso anche opere scritte. Ma allora voi capite perfettamente che un singolo cervello è troppo debole per comprendere tutta l’ampiezza di un’epoca storica,  e allora è possibile, per così dire… insomma il singolo autore è come una sorta di portatore dello spirito di un’epoca, che esprime nella sua opera. Ma addirittura l’autore può comprendere relativamente quello che scrive, può scoprire il significato di quello che scrive, per esempio attraverso gli esiti pratici, per esempio attraverso le varie interpretazioni che vengono date poi del suo pensiero, attraverso il modo di funzionare del suo pensiero. Per questo peraltro è infame la figura dell’ex comunista, perché è la figura di chi si scarica di dosso la Storia… voglio dire, quando voi avete letto Ingrao, che di fronte a quella gigantesca montatura che è il volume sui crimini del comunismo no? …ha detto : ‘no… non possiamo accettare di essere stati queste cose qua! no? Eh no! Noi siamo la nostra Storia e noi la rivendichiamo in pieno, tutta la nostra Storia, con grande orgoglio. La nostra Storia che ovviamente è piena di contraddizioni etc.. ma noi siamo prodotti della nostra Storia, non possiamo scaricarcela, e con la nostra Storia dobbiamo fare i conti, perché quella è la nostra realtà, non l’anima interiore di ognuno. Appunto non il significato interno dell’opera, l’opera sta nei fatti, nei prodotti, nei risultati. Il Marxismo sta nella sua Storia, evidentemente. E anche Hegel sta nella sua Storia. E ovviamente Hegel, in quanto grande autore, è inevitabilmente ambiguo, cioè leggibile sotto vari profili. Entro certi margini, ovviamente. Ora… per esempio è possibile fare l’operazione che Marx ha fatto, e cioè rifarsi a momenti centrali del pensiero di Hegel, per volgerli contro altri aspetti. Perché? Ma perché Hegel è ambiguo, ed è ambiguo proprio perché è un personaggio importante… eh.. uno che non sia ambiguo, che sia ben netto e unilaterale, sarebbe un idiota, perché non avrebbe capito niente della realtà, che è complessa, contraddittoria, piena di aspetti che fanno a cazzotti l’uno con l’altro, insomma no? Ora…per esempio è stato osservato che ‘La questione ebraica’ è una sorta di prolungamento di un’opera che Marx aveva cominciato, ma non finito di scrivere. Anche questa è una cosa ambigua: cominciato ma non finito… e molte sono le cose che Marx comincia e non finisce, anche ‘Il Capitale’…I comunisti non amano ricordarlo ma Marx non ha scritto ‘Il Capitale’, ha scritto il primo libro del ‘Capitale’, il resto sono appunti, non l’ha scritto. Quello che i comunisti non amano ricordare è che ‘Il Capitale’ lo dobbiamo scrivere, cioè c’è un compito nostro, c’è un… come dire…una sorta di …c’è una palla da raccogliere, insomma no? Invece si ama piuttosto andare alla ricerca del già fatto, del dogma. Ora… un’opera precedente di Marx non finita, cioè ‘La critica della filosofia del diritto di Hegel’, è stato osservato, viene sviluppata in questo articolo:’La questione ebraica’. La realtà …adesso non è possibile entrare in merito alla cosa… però questa osservazione è di estrema importanza, e corregge anche certe letture che sono state fatte di Marx, in particolare dalla scuola di Della Volpe, Colletti etc… Quello che noi qui possiamo sicuramente riprendere è questo: l’articolo di Marx si chiama ‘La questione ebraica’ ...di che parla? Beh esattamente non è vero che parla della questione ebraica. La questione ebraica è una sorta di pretesto. E questa è un’osservazione importante, perché orienta… siccome nell’opera…in questa opera di Marx è frequente il richiamo al fenomeno religioso, bisogna tener presente che sia la questione ebraica, sia la questione religiosa, è una sorta di pretesto qua, in Marx, e che propriamente non esiste nessun’opera di Marx in cui la religione sia oggetto d’analisi. E quindi per esempio dire: esiste una teoria marxista della religione è falso, non è vero, la religione è una sorta di pretesto per fare un altro discorso, e la questione ebraica è un pretesto per fare un altro discorso. Il pretesto è dato dalla pubblicazione di due cose di Bruno Bauer che affrontavano il tema appunto della situazione degli ebrei in Germania. Ma Marx cos’è che vuole affrontare in quest’opera? Vuole affrontare due temi di fondo. Primo: quali sono le condizioni di possibilità per l’esistenza della religione, che attenti, non è un discorso sulla religione. In sostanza voglio dire questo… una cosa molto banale… se una condizione di possibilità perché esistano i pesci è il mare, è chiaro che io facendo un discorso sul mare non faccio un discorso sui pescecani etc…, per fare un discorso sui pescecani devo parlare di ben altre faccende, il mare è solo lo sfondo generale. Ecco, quando Marx qui parla della religione, parla della condizione generale di possibilità che esistano delle religioni. Ma se poi voglio parlare di una religione o di alcune religioni in modo particolare, debbo fare ben altre riflessioni, ben altri studi, che Marx non fa. E solo se li facesse potrebbe elaborare una teoria della religione. Ma non li fa. Secondo: vuole parlare di un elemento più sottile, e che noi viviamo quotidianamente, in particolare oggi:  e cioè del fatto che questa condizione di possibilità della religiosità, assume la forma più ampia nello Stato borghese, cioè che lo Stato borghese, la società borghese, il rapporto Stato-società civile è l’espressione più pura, più autentica della condizione di possibilità della religione. Questo è importante perché…voi sapete che, un discorso che ha girato per molto tempo, è stato questo, e purtroppo è stato fatto proprio anche dalla sinistra, e cioè quando si è detto, per esempio: ‘la scienza che è nata con la volontà di battere la religione, invece ha dimostrato la propria incapacità di battere la religione, quindi dobbiamo riaprire il discorso sulla religione. La società industriale che nasce con la pretesa del progresso continuo, che supera i pregiudizi, e quindi fa fuori la religione.. eh, invece non ce l’ha fatta’. Non è vero, è falso. Già Marx nel 1843, ma non è il primo, Hegel lo aveva fatto prima, per esempio, mostra come la società capitalistica nel suo meccanismo profondo è l’espressione più pura della condizione di possibilità delle religioni, cioè che la religiosità è interna al meccanismo profondo della società capitalistica. Poi nel ‘Capitale’, quando parlerà del denaro, per esempio, del dio denaro, quando quelle poche volte che Marx parlerà dello Stato, ecco, individuerà nello Stato, nel denaro, due meccanismi profondamente religiosi, legati al profondo della società capitalistica. Quindi non è vero che la non sconfitta della religione è prova che scienza e modernità hanno fallito, no! perché la modernità capitalistica è intimamente legata al proporsi delle condizioni di possibilità della religione. Allora quello che Marx vuol fare è esattamente questo, cioè mostrare come nel meccanismo profondo, il rapporto tra società civile e Stato, nel capitalismo, produce le condizioni per la religiosità. Che significa?… qui consentitemi …devo fare un’altra parentesi, che però è una parentesi lunga… però è importante, perché poi va oltre il testo e va più direttamente al cuore del problema che a noi interessa. E cioè: nel 1944, se non sbaglio, Jean Paul Sartre scrive, pubblicandola poi nel ‘46, un’opera che si chiama ‘Riflessioni sulla questione ebraica’: quella è veramente un’opera sul problema ebraico. E’ molto importante, lui la scrive nel ’44, quindi un brutto periodo,  insomma no? E lui cerca di mostrare come l’antisemitismo sia legato alla condizione del piccolo borghese, quali sono i meccanismi sociali e psicologici che dispongono il piccolo borghese verso l’antisemitismo. Lui ha presente ovviamente la situazione francese, dove sappiamo che i nazisti non dovettero fare una grande fatica per trovare i fascisti là, per organizzare uno stato fascista là. Ecco è molto interessante che se noi facciamo un raffronto tra l’opera di Sartre e questa di Marx, vediamo una differenza proprio eclatante. E cioè il libro di Sartre per così dire, trascina il lettore dentro le pagine no? Lo fa trovare a casa sua, nel senso che continuamente Sartre fa riferimento a colloqui che ha avuto con colleghi, a persone che ha conosciuto, a situazioni che ha vissuto, e tu ti senti a casa tua, quasi riconosci persone che anche tu hai visto, con cui hai parlato etc…etc…no? E cioè, questo libro…come dire… mette in scena tanti soggetti concreti, come oggi orrendamente si dice: ‘uomini in carne ed ossa’, e ricordi tanti altri uomini in carne ed ossa con cui hai avuto rapporto, con cui hai parlato etc… Nell’opera di Marx non ci sono gli uomini in carne ed ossa, ci sono solo all’inizio, quando Marx dice: ‘l’ebreo tedesco rivendica l’emancipazione’, e Bruno Bauer risponde. Poi scompare, l’uomo in carne ed ossa, ed appaiono invece che cosa? Meccanismi, processi, istituzioni, rapporti. In questo senso enti astratti, enti obiettivi, collettivi, astratti, i quali però vivono nella pagina di Marx. Cioè la pagina di Marx è costruita in un modo estremamente stimolante, vivace, è quasi come se questi istituti obiettivi divenissero dei personaggi. Ecco questo è profondamente dialettico. Cioè il fatto di cogliere come protagonista non l’uomo in carne ed ossa, l’uomo in carne ed ossa non è il protagonista. Il protagonista è la relazione sociale, la situazione storica, l’istituto storico, cioè il fattore obiettivo, non personale. Ma questo fattore obiettivo, vive, è dentro un processo contraddittorio, dinamico, ha una vita, è il vivente. Questo è il significato della misteriosa espressione hegeliana che ‘lo spirito vive’. Vuol dire questo: la Storia è fatta da processi collettivi, istituzionali, obiettivi, ma è una Storia contraddittoria, in cui questi enti anonimi si scontrano, entrano in conflitto, si compongono, etc… Ecco, nell’opera di Marx questo si potrebbe vedere anche… ovviamente lui è favorito anche un po’ dalla lingua tedesca, che è fatta in un certo modo, per cui consente meglio certi giochi di parole etc… però quello che conta è proprio questa drammaticità della pagina, ma: mancano gli uomini in carne ed ossa. Ovviamente, perché appaiono i soggetti storici reali, che non sono gli uomini in carne ed ossa. E’interessante che invece in Sartre appaiono gli uomini in carne ed ossa… eh già… perché in realtà si sta già sviluppando quel certo processo, che oggi è di senso comune, per cui i rapporti sociali, le componenti storiche, le grandi forze della Storia, scompaiono. E allora per esempio si dice Fausto e non si dice Bertinotti, si parla delle regole, degli individui etc… e scompaiono i rapporti sociali, si parla di Suarte, della famiglia di Suarte, ma non del sistema di relazioni che crea certe cose. E la sinistra boccona, che accetta l’ideologia capitalistica, che si è fatta colonizzare dall’irrazionalismo capitalistico, allora ama il sentimento, il vissuto, l’uomo in carne ed ossa, il corpo, cioè tutte queste cose che non contano nella Storia, non sono i protagonisti della Storia. La Storia è altro, è le relazioni sociali, è i rapporti istituzionali, è le grandi forze storiche. Ovviamente la necessità del Partito nasce dalla consapevolezza che il protagonista non è l’uomo in carne ed ossa. La classe è qualche cosa che si produce nella Storia, la classe sappiamo non è l’operaio, non è il lavoratore, è una costruzione storica, se si riesce a far avvenire appunto quella congiunzione, per riprendere i termini di Marx, tra il proletariato e l’eredità della filosofia classica tedesca. Se si riesce, allora si costruisce la classe. Ora… ovviamente se si tratta di far vivere questi rapporti storici obiettivi, di mostrarne la drammaticità delle relazioni, allora ovviamente… eh bisognerà, come dire, analizzare delle situazioni determinate, perché solo in questo modo si può vedere in concreto come si relazionano, si scontrano queste forze. Il che significa né più né meno quello che Lenin diceva no? : ‘Cos’è la dialettica? E’ la lotta (manca un pezzo dal minuto 1.39 al minuto 1.43) …contesto, quindi non sarà possibile mai una formulazione che valga per sempre e per tutti della dialettica, ma sarà sempre necessario trovare la dialettica di quel contesto, di quel tema, di quell’argomento, di quella situazione. E allora cosa succede, succede che per esempio, in questo testo di Marx, a un certo momento Marx scrive qualche cosa che potrebbe prestarsi, se non fossimo avvertiti, a una generalizzazione, come alla formulazione di una regola dialettica generale. Ma ovviamente bisogna ben guardarsi dal far questo, perché la dialettica è sempre una dialettica contestualizzata, è sempre in situazione. E badate che questo invece estrapolare delle leggi della dialettica, che pretendano di avere validità universale, ha segnato una certa fase della riflessione comunista e marxista. Sarebbe... Mauro mi ha fatto vedere un libro belga sul problema del Partito… per esempio in questo libro è molto chiaro che il tipo di atteggiamento è quello di chi dice: ‘ecco, questo è il manuale per fare il Partito, queste son le regole’, …eh no! non ci sono le regole generali per fare il Partito, così come non ci sono le regole generali della dialettica, il problema è contestualizzare, cioè comprendere le contraddizioni, le dinamiche degli enti collettivi in situazione. E’ così che si batte il dogmatismo, è così che si mostra come la dialettica faccia a cazzotti con il dogmatismo, è così che si evita lo scolasticismo, è così che si comprende, per esempio, che il Lenin che serve per sapere come si costruisce il Partito, non è il Lenin che dice: ‘guardate dobbiamo fare così il Partito’. Perché Lenin lo dice in una certa situazione, ad un certo ambiente, in un certo tempo storico. Quello che serve di Lenin è la stimolazione che ti viene quando tu riesci a cogliere il modo in cui lui affronta i problemi politici, lo stile di lavoro, se volete, di Lenin. E’ questa la dialettica. Ma questo stile di lavoro andrà sempre contestualizzato, cioè riportato ad ambienti, a situazioni, che cambiano, e quindi Lenin non può essere il deposito, appunto la cassetta degli attrezzi, dove io vado a prendere il martello quando mi serve, no il martello me lo devo far io. Appunto il problema fondamentale che spesso i comunisti non amano sentire è che il Partito siamo noi che lo costruiamo, in questa situazione, con i nostri rischi, con le nostre decisioni…certo sulla base dell’arricchimento che ci viene dalla stimolazione della nostra Storia, ma dobbiamo poi inventare, cioè trovare noi le soluzioni oggi. E analogamente sul piano della teoria marxista non c’è da ripeter nulla, c’è da ricevere l’indicazione, la stimolazione della tradizione, ma per andare avanti, per affrontare nuovi problemi, che ovviamente non potevano essere conosciuti da chi è morto cento o più anni fa insomma no? Ora… un aspetto appunto del dogmatismo è…voi sapete questa… Engels una volta ha scritto una frase infelice, e cioè ha scritto che il problema che eternamente si presenta nella filosofia è quello della lotta tra materialismo e idealismo. Purtroppo, come spesso è successo a Engels… voi sapete lui prende degli appunti per fare un libro, questi appunti sono stati raccolti come ‘Dialettica della natura’, che è diventato, quel libro, come la base della concezione marxista della scienza. Quelli sono appunti, che lui ha preso per scrivere un libro che non ha mai scritto, insomma no? Come anche quel povero Lenin, scrive ‘Materialismo ed empireocriticismo’ per combattere una corrente interna al suo Partito, cioè un momento di lotta politica…ovviamente da comunista lui… da marxista e da comunista, è chiaro che capisce che un dibattito politico non è solo politico, ha anche dei risvolti culturali, e cerca di capire quali sono le radici culturali delle posizioni degli altri, ma sta facendo una battaglia politica. Non è colpa di Lenin se quello poi...quel libro, è stato spacciato come una pietra miliare della concezione della scienza da parte del marxismo, non è colpa di Lenin, lo hanno fatto gli altri, insomma. Ora… eh… questa faccenda…appunto della lotta continua tra materialismo e idealismo, in definitiva, per dirla in breve, qui abbiamo …ecco nel momento in cui torna di grande attualità oggettiva il problema della costruzione del Partito, è ovvio che torni di grande attualità oggettiva il problema della diffusione del marxismo. Cioè è chiaro che se vai a un  processo di riorganizzazione politica, è chiaro che tu devi andare anche a un tipo di letteratura, che riesca a mettere grandi masse, ma anche quadri politici, che però non sono filosofi insomma no? in contatto con il marxismo. Quindi il problema della divulgazione ce l’hai. E allora diventa un problema importante, quando ti poni il compito del Partito, per esempio quello della divulgazione del marxismo. Ma come si fa la divulgazione? eh perché la divulgazione è terrificante, nel senso che inevitabilmente divulgando tu devi semplificare, ma semplificare comporta sicuramente un aspetto di falsificazione. E bisogna vedere fino a che punto tu falsifichi. Perché delle cose complesse, quando tu le esprimi in modo semplice, in qualche modo le falsifichi sempre. Questo lo puoi dare per scontato, ma fino a che punto la falsificazione pesa? e può stravolgere addirittura. Per esempio questa è una cosa interessantissima: se la Storia della filosofia fosse come in tutti i manuali di marxismo viene scritto, in tutti i manuali viene scritto, il che vuol dire che migliaia, addirittura milioni di comunisti si sono formati su questi testi… ce ne sono… si possono fare esempi precisi, se la Storia della filosofia fosse la lotta eterna tra idealismo e materialismo, sarebbe fatta fuori la dialettica. Perché? Perché si sarebbe scoperto come legge eterna della Storia un’opposizione non mediabile. Caratteristica della dialettica è l’esistenza di opposizioni e di mediazioni. Se la Storia della filosofia è l’eterna lotta tra questi due principi opposti, non c’è mediazione: è saltata la dialettica. Eh.. non solo, ma poi siccome questo materialismo viene detto anche il punto di vista delle scienze, allora succede che l’idealismo diventa la religione e l’ignoranza, e il materialismo diventa le scienze. Ma allora, paradossalmente, cosa succede? Succede che la scienza nasce in un modo e continua a svilupparsi sempre in un modo, ma non è vero, è falso, è falso per Hegel, è falso per Marx. Perché è estremamente importante cogliere, per esempio, la relazione tra pensiero scientifico e pensiero etico-politico, questo è decisivo, ed è questo un momento centrale della riflessione dialettica. E allora voglio dire… appunto è estremamente importante tener presente che, quando si parla di dialettica, si parla necessariamente di dialettica contestualizzata, che quando si diffonde, inevitabilmente in qualche modo si falsifica, e che la dialettica, essendo sempre contestualizzata, è qualcosa che inevitabilmente deve sempre essere arricchita, perché cambiano i contesti, perché cambiano le situazioni. Ora… cerco di svolgere un ultimo punto, perché penso che discutendo poi possano venir meglio fuori altre questioni...Cioè dicevo che poi, in sostanza, qui Marx quello che vuol mostrare è come nel profondo della società capitalistica, cioè nel rapporto tra società civile e Stato, ci sia il meccanismo, la condizione di possibilità della religiosità. Uso l’espressione religiosità per dire qualche cosa che non è una determinata religione, nel senso che lo studio di una determinata religione implica ben altro lavoro rispetto a quello che fa Marx. Quello che Marx vuol dire è, direi, una cosa di una semplicità cristallina che…che sanno tutti, sa anche l’avversario di classe, e lo sa meglio di noi… voi sapete che… credo che sia stata la sinistra ad inventare l’espressione lavori socialmente utili. E’ un’espressione bizzarra no? Perché uno ingenuamente può dire: ‘se quelli sono lavori socialmente utili, esistono lavori che non sono socialmente utili’, questo è ovvio. E d’altronde è ovvio che il lavoro è il momento in cui gli uomini entrano in contatto tra di loro, si organizzano, fanno dei progetti, dei piani no? Hanno un rapporto con la natura, inventano strumenti, cioè è il momento centrale della Storia: ma guarda un po’, il momento centrale della Storia solo per eccezione è socialmente utile? Questa è la società capitalistica. Perché la società capitalistica è costruita in maniera tale, per cui il momento essenziale della Storia, e cioè il combinarsi degli uomini per lavorare, per produrre, sia funzionalizzato a scopi privati, cioè il momento centrale della socialità umana, è ridotto alla dimensione privata. E allora cosa succede? Succede che l’elemento sociale, comunitario, essendo stato ridotto, nella sua base reale, cioè il momento del lavoro, dell’organizzazione per il lavoro etc… a fatto privato, ti riappare, come? Come astrazione, come mondo che sta al di là, il mondo della legge, delle regole, dello Stato.  L’uomo viene scisso in anima e corpo, essendo il corpo ...appunto quel momento in cui si cura i propri interessi, ma invece è il momento in cui sta realizzando effettivamente la socialità, quello è il corpo, perché è stato appiattito a dimensione propriamente privata, e dall’altro lato c’è il cielo, in cui trionfa la socialità dell’uomo. Ma trionfa come mera legge, come mera regola, e indipendentemente, staccata dal mondo quotidiano del lavoro. Oh…è importante: questo tipo di scissione, per cui la legge, la regola, la norma, sta in un mondo diverso da quello quotidiano del lavoro, e quindi della concreta socialità, questa separazione… come dire…non è un’invenzione di un filosofo, non si può dire: ‘così pensava Kant, la colpa è di Kant’, no, Kant pensava in definitiva così, perché? Perché la società capitalistica è fatta così, perché essendo basata sulla proprietà privata, allora determina appunto la privatezza degli scopi, della destinazione dell’economico etc…e dunque dà al momento della socialità, l’espressione astratta della legge, formale della legge. E quindi impone all’uomo di vivere in una duplice dimensione, continuamente, della sua vita quotidiana, in cui è quella piccola persona che per poter pagare l’affitto, allora va in ufficio a guadagnare dei soldi, ma quello invece è il momento effettivo della sua socialità, e la sua socialità viene dissolta nell’astratto universo del cittadino, in cui tutti sono uguali esattamente perché nessuno è se stesso, perché io sono quest’impiegato, sono quest’operaio, questo padrone, poi divento questo spettro, questo fantasma del cittadino, la gente, il popolo etc..no? Ora… questo meccanismo, essendo legato alla proprietà privata degli strumenti di produzione, appunto non è un meccanismo che inventa un filosofo, un filosofo può esprimerlo, può tradurlo in autocoscienza, ma questo meccanismo è nei fatti, cioè il fatto che la regola del mondo, appaia nella forma astratta della mera legge dell’uguaglianza degli uomini quando non sono più se stessi, sono i cittadini e non il signor x, y che fa l’impiegato, l’operaio o un’altra cosa, da un lato, e dall’altro lato è l’uomo ridotto alla sua corporeità immediata, cioè il fatto che Tizio, Caio, Sempronio che fa quel lavoro unicamente perché si deve pagare l’affitto, perché si deve comprare le sigarette, perché etc…cioè perché ha degli immediati e piccoli piccoli scopi privati. Questa è la scissione tra anima e corpo, questa è la base reale della scissione tra anima e corpo. E finché c’è questa base reale, dice Marx, non è possibile nessuna emancipazione dalla religione. Addirittura, e questo è molto importante, lo Stato ateo, cioè lo Stato che dica: ‘non esiste una religione dello Stato, tutte le religioni sono uguali’, questo è il più religioso. Perché? Perché siccome nella vita reale invece valgono le differenze, per esempio le differenze non solo di interessi, ma anche di fedi, di convinzioni, allora si apre un baratro tra gli uomini reali, che sono diversi per scopi, per obiettivi, per convinzioni, per fede e questo mondo aereo, puro, in cui invece non c’è più la religione, tutto è uguale. Allora questo è il massimo dell’astrazione, cioè è il massimo della spaccatura dell’uomo nella volgare corporeità quotidiana e nell’astratta, celeste liberazione. E’ Dio, è il paradiso, è la religione. Allora ecco che lo Stato borghese, proprio in quanto non religioso, è eminentemente religioso. E allora Marx qui lo dice, a un certo punto, come si fa a risolvere una contraddizione che non sia mediabile? Cambiando il terreno, cioè non esiste un’emancipazione dalla religione nello Stato borghese, proprio perché esso è intimamente religioso. L’’emancipazione dalla religione c’è solo togliendo lo Stato borghese. Ma lo Stato borghese si toglie togliendo la società civile borghese, cioè con la Rivoluzione. Appunto… come si superano le contraddizioni? Cambiando terreno, il cambiamento di terreno è la Rivoluzione sociale. Questi sono alcuni temi del testo. Ma come primo punto, credo che sia molto importante tener presente questo no? Anche se, per ragioni evidentemente di volgarizzazione, si è nella tradizione marxista molto insistito sul ruolo di Feuerbach no? per… dal punto di vista della formazione di Marx, per liberarsi dal pensiero speculativo, e per la critica al fenomeno religioso, ovviamente le cose non stanno affatto così. Per esempio, un lavoro che si può fare molto semplicemente no? è guardare l’epistolario Marx-Engels e vedere alla voce Feuerbach… che cosa loro dicevano di Feuerbach,  lo trattavano malissimo, ma in una maniera proprio… lo trattavano da imbecille, con espressioni violentissime. Perché? Perché in realtà il discorso sulla religionem che Marx eredita, è un discorso antichissimo, che tra l’altro lui aveva già svolto personalmente nella tesi di laurea, ma che c’è in Kant, c’è in Hegel, ma c’è nei pensatori greci del VI secolo avanti Cristo. Ricordavo in un’altra occasione che, per esempio Erodoto, quando deve spiegare la religiosità degli egiziani, la spiega sulla base della necessità dello Stato egiziano di darsi una certa organizzazione, per esempio no? Ora… a me interessava e interessa far chiarezza su questo punto: se per ragioni storiche determinate i comunisti hanno in un certo periodo ritenuto di aver bisogno di dire che in Marx c’è tutto, in Marx c’è la teoria di tutto, questo non è vero. Marx appartiene a una tradizione di pensiero ampia, grande, in cui ci sono grandissimi personaggi e, per la maggioranza dei problemi, com’è ovvio, essendo Marx una persona umana, per la maggioranza dei problemi lui si ricollega a tradizioni, va bene? Quindi per esempio una teoria della religione in Marx non c’è, e non si può trovare in Marx. Marx eredita alcuni giudizi che appartengono a una lunga storia di riflessione sulla religione. In questi giudizi, per esempio c’è, anche in Marx, ripreso, per esempio il problema del rapporto tra atteggiamento religioso e problema della morte. Questo è un tema che Marx ha, no? Il che ovviamente è ben al di là dei contorni sociali. Anche se è vero che in società diverse la morte viene affrontata in maniera diversa, però è chiaro che non è un problema che si dissolve dissolvendo un tipo di organizzazione sociale. Almeno…!. speriamo che invece si possa risolvere… ma insomma finché c’è il problema della morte…Ora… mi pare che il succo del discorso che Marx eredita, non è tanto quello del rapporto tra religione e proprietà privata, la proprietà privata è l’istituto storico che, come dire, dà l’espressione più netta a una situazione che..adesso scusatemi io la esprimo in questa maniera, e so che bisognerebbe illustrarla molto meglio, però se no stiamo altre sei ore… il problema per cui la legge della vita sociale è qualche cosa che io non controllo, ma mi si impone. Ecco questo potere della legge come qualcosa di misterioso, che io non controllo e che  mi condiziona, è questo senso di non controllare appunto la legge, la regola del vivere, è questo al fondo della religione. La società capitalistica, con i suoi meccanismi, accentua in realtà questo senso di dipendenza… In realtà la società capitalistica, purtroppo, è legata all’Illuminismo, solo che l’Illuminismo era una cosa bellissima e… la società capitalistica un po’ meno, e spesso succede che l’Illuminismo viene visto semplicemente come la coscienza della borghesia che conquista il potere. Invece la cosa è molto più complessa, l’Illuminismo è una cosa seria insomma…ma, ecco, se l’epoca moderna nasce, dal tre, quattrocento no? con il senso forte del soggetto che, come dire, si alza in piedi e pretende di ragionare e di comprendere, di aver la spiegazione delle cose, quindi rivendica l’autorità della ragione eh…la società capitalistica fa esattamente l’opposto: la società capitalistica è un meccanismo in cui il 90% della gente è ridotta all’ottusità, questo è il punto. Allora….(?) un meccanismo profondo (…..?) determinato problema religioso può essere esaurito da un’impostazione del genere. Che ne so…dico…quando nel Medioevo si discuteva… diciamo della prova di Anselmo d’Aosta sull’esistenza di Dio, in realtà si discute di una serie di problemi logici di grande importanza, che non possono essere risolti con la faccenda della religione, la proprietà privata ecc…no, qui sono problemi logici di grande importanza che noi ereditiamo e che hanno uno spessore grosso, insomma no? Per la faccenda della classe, molto rapidamente, questo è chiaro, perché è chiaro che è un argomento importantissimo. Però, ecco io credo due cose vadano dette, cioè la posizione mia francamente è questa: credo che esista un problema di comprensione della struttura di classe oggi. Esiste un problema, nel senso che non ci sono cose scritte che me lo  spiegano, va bene? Bisogna scriverle, ancora. Però io credo che bisogna partire da due punti di fondo. Primo: Marx nel Capitale, proprio in quanto descrive non un capitalismo storicamente determinato, ma descrive il concetto di capitale,  cioè la logica essenziale della formazione capitalistica, del modo di produzione capitalistico, individua alcuni punti fondamentali e confermati dall’esperienza successiva a Marx. Primo: la polarizzazione di classe. E’ una balla che la società capitalistica abbia prodotto, al contrario della previsione di Marx, una serie di ceti medi, che mediano gli estremi. Questa situazione è stata limitata a una fase molto determinata, in cui l’espansione del ceto medio è stata eminentemente un fatto politico, per bloccare il proletariato, e non appena il capitale ha visto dissolversi il movimento comunista, ha ripreso in pieno il suo percorso della polarizzazione di classe netta. Quello che dobbiamo invece dire è che esiste un processo di proletarizzazione dei ceti medi, che contrasta ovviamente con il livello di coscienza dei ceti medi. Perché, secondo punto : la classe non è un dato oggettivo semplicemente, non è semplicemente il modo in cui io ho rapporto con l’organizzazione economica, la classe è una coscienza, un modo di porsi verso la società. E allora la classe è un prodotto della Storia, la classe non esiste se non esiste organizzazione di classe, se non esiste il processo di costituzione della classe. In questo senso dire per esempio, come si diceva qualche anno fa, che la classe operaia era scomparsa, era in un certo senso del tutto vero, nel senso che non esiste la classe operaia, se non è cosciente di essere la forza antagonistica della società capitalistica. Ovviamente che gli operai esistessero, questo risultava chiarissimamente, perché appena scattava il periodo dei contratti salariali la televisione ti diceva che il lavoro costava troppo, quindi insomma era la confessione che materialmente esistono, però come soggetto storico non sono semplicemente la materialità economico-sociologica. Allora che esistano o non esistano le classi, di nuovo, secondo me, è un problema di cui i comunisti si devono fare carico, non esistono se non esistono i comunisti. Se mi è permesso, io concordo al cento per cento con quello che diceva Mauro, tranne un elemento di interpretazione generale della faccenda che… non so se sia di dissenso, ma diciamo di prospettazione diversa, cioè per dirla tutta, io son convinto che oggi i comunisti devono, proprio in quanto si pongono il problema del Partito, debbono essere profondamente capaci di raccogliere, di dare uno sbocco positivo, a un’istanza che si è andata facendo sempre più largamente presente, che è l’istanza del riconoscimento della soggettività, del riconoscimento della libertà, del riconoscimento della coscienza individuale. E credo che, in questo senso, debbono cogliere e dare la traduzione oggettiva, reale, e non mistificata, a queste istanze. Che sono, senza dubbio il prodotto anche dell’evoluzione della società capitalistica, ma, Mauro stesso lo diceva, quando si descrive il cambiamento dei modi di produzione e si lega questo cambiamento a livello politico, si sta facendo un lavoro di schematizzazione, bisogna esserne ben consapevoli, nel senso che non c’è un rapporto di causa effetto. Che a contesti… voglio dire molto semplicemente questo, che a contesti socio-economici uguali possono corrispondere situazioni politiche profondamente diverse, perché? Perché tra la base economica e la sovrastruttura, si inseriscono molte questioni. Per esempio le tradizioni, per esempio la Storia concreta che si realizza, insomma… gli uomini non sono macchine, in parole povere no? Gli uomini hanno sempre una coscienza, più o meno deviata, più o meno spostata, ma agiscono… un filosofo inglese del ‘600 diceva: ‘non è vero che gli uomini si muovono per l’utile, ma per ciò che ritengono essere l’utile’, c’è la mediazione della coscienza. Questo è fondamentale, questo turba no? Questo rende impossibile stabilire un rapporto di causa effetto tra base economica e sovrastruttura, perché in mezzo ci sono gli uomini che scelgono, scelgono sulla base delle loro idee, delle loro esigenze, delle loro tradizioni, delle situazioni, delle contingenze. C’è una storia complessa, se no la dialettica sarebbe molto facile, uno fa tre, quattro regolette e ha capito tutto, invece no. E oggi, non c’è solo lo sviluppo della società capitalistica, ma c’è lo sviluppo della scienza. E la scienza non è quello che pensa la nuova sinistra, la scienza è una cosa serissima, ed è un grande momento di libertà e di sviluppo della ragione e dello spirito critico. Perché la scienza non è mai nata come mera produzione di strumenti, ma è nata sempre in connessione con una profonda istanza di riconoscimento della personalità. La scienza nasce contro, la scienza non è neutrale, non è mai stata neutrale, è sempre stata un elemento di battaglia, di battaglia per la liberazione della personalità umana. E noi viviamo in un mondo che è dominato dall’applicazione tecnologica della scienza, e già questa è una grossa falsificazione, però… tutto sommato è vero che io muovendo alcuni pulsanti posso entrare in contatto con documenti di tutto il mondo. Per esempio sarebbe improponibile… l’Unione Sovietica ci ha provato, non ce l’ha fatta…sarebbe improponibile al cittadino moderno dirgli: ‘guarda tu le informazioni che avrai saranno solo quelle che io Partito stabilirò, non è possibile. Per esempio non è possibile perché abbiamo basi tecnologiche, prodotte dalla scienza, che hanno aperto gli orizzonti a tutti, per esempio. Ma capite che quando io posso con il mio computer farmi un libro, compormelo, dargli le vesti che voglio eccetera, capite che questa è un’esperienza importantissima, che dà a me il senso di un dominio sulle cose, e per cui per esempio nessun Partito, neanche comunista, potrà più dirmi guarda tu fai questo e basta. Io debbo lavorare ormai con gente che non vuole sentirsi dire fai questo e basta, a meno che non sia ragionevole far questo e basta. Ma allora lo devi spiegare. Allora che voglio dire: se noi comprendiamo la necessità di un’interpretazione non schematica della dialettica, e quindi il ruolo centrale dell’elemento coscienza, abbiamo, giustamente come sottolineava Mauro, un elemento decisivo per il modo di concepire il Partito. E’ chiaro che il Partito per esempio non può essere il Partito che molte volte noi abbiamo conosciuto, il Partito con la netta distinzione, per esempio, tra dirigente e diretto, per esempio. Dev’essere un Partito in cui la funzione del semplice compagno deve essere molto forte, per esempio. Non può avere l’avanguardia un rapporto… come molte volte chi ha fatto il sessantotto lo sa perfettamente no? quante volte sono nati gruppi, e anche adesso ci sono, che ti escono con il volantino in cui ti spiegano che cosa tu devi pensare e devi fare. Non funziona: la gente non vuole più questo, la gente vuole pensare con la propria testa. E allora tu non devi andare a dare la lezione, ma devi stimolare i processi critici. Appunto, qui ha ragione Mauro, Marx è attualissimo, Marx e anche Lenin, sa però perfettamente che le avanguardie non stanno chilometri avanti alle masse.

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