giovedì 24 gennaio 2019

Mia carissima Julca - Antonio Gramsci

Da: Antonio Gramsci, Lettere dal carcere - https://www.facebook.com/riccardo.bellofiore.3
Vedi anche: http://www.raiscuola.rai.it/articoli/luciano-canfora-la-lezione-di-libert%C3%A0-di-antonio-gramsci


Mia carissima Julca,

ti voglio descrivere la mia vita quotidiana nelle sue linee più essenziali, perché tu possa seguirla e coglierne di tanto in tanto qualche tratto. Come sai, perché deve avertelo già scritto Tania, io abito insieme ad altri quattro amici, fra i quali l’ingegnere Bordiga di Napoli, del quale forse conosci il nome. Gli altri tre sono: un ex deputato riformista di Perugia, l’avv. Sbaraglini e due amici abruzzesi. Adesso dormo in una stanza con uno di questi abruzzesi, Piero Ventura; prima dormivamo in tre, perché era insieme a noi l’ex deputato massimalista di Verona Paolo Conca, un simpatico tipo di operaio, che la notte non ci lasciava dormire perché assillato dal pensiero della moglie; sospirava, soffiava, poi accendeva il lume e fumava dei sigari pestilenziali. La moglie è finalmente venuta anche lei ad Ustica per raggiungere il marito e il Conca ci ha lasciato. Siamo dunque in cinque, divisi in tre camerette da letto (tutta la casa): abbiamo a nostra disposizione una bellissima terrazza, dalla quale ammiriamo lo sconfinato mare durante il giorno e il magnifico cielo durante la notte. Il cielo sgombro di ogni fumosità cittadina, permette di godersi queste meraviglie col massimo di intensità. I colori dell’acqua marina e del firmamento sono veramente straordinari per la varietà e la profondità: ho visto degli arcobaleni unici nel loro genere.

Al mattino, di solito, io sono il primo a levarmi; l’ingegnere Bordiga afferma che in questo momento il mio passo ha caratteristiche speciali, è il passo dell’uomo che non ha ancora preso il caffè e lo attende con una certa impazienza. Io stesso faccio il caffè, se non sono riuscito a convincere il Bordiga a farlo, date le sue attitudini spiccate per la cucina. Incomincia quindi la nostra vita: si va a scuola, come insegnanti o come scolari. Se è giorno di posta, si va sulla marina ad attendere con ansia l’arrivo del vaporetto: se per il cattivo tempo la posta non giunge, la giornata è rovinata, perché una certa malinconia si diffonde su tutti i volti. A mezzogiorno si mangia: io partecipo ad una mensa comune e proprio oggi mi spetta fare da cameriere e da sguattero: non so ancora se dovrò sbucciare le patate, preparare le lenticchie o pulire l’insalata prima di servire in tavola. Il mio debutto è atteso con molta curiosità: parecchi amici volevano sostituirmi nel servizio, ma io sono stato incrollabile nel volere adempiere la mia parte. La sera dobbiamo rientrare nelle nostre abitazioni alle 8.

Talvolta vengono delle visite di sorveglianza per accertare se veramente siamo in casa. A differenza dei coatti comuni noi non siamo chiusi dal di fuori. Altra differenza consiste nel fatto che la nostra libera uscita dura fino alle 8 e non solamente fino alle 5; potremmo avere dei permessi serali se fossero necessari per qualche cosa. In casa, alla sera giuochiamo alle carte. Non avevo giocato mai finora; il Bordiga assicura che ho la stoffa per diventare un buon giocatore di scopone scientifico. Ho già ricostituito una certa bibliotechina e posso leggere e studiare. I libri e i giornali che mi arrivano hanno già determinato una certa lotta tra me e il Bordiga, il quale sostiene a torto che io sono molto disordinato; a tradimento egli mette il disordine tra le cose mie, con la scusa della simmetria e dell’architettura: ma in realtà io non riesco più a trovar nulla nel guazzabuglio simmetrico che mi trovo combinato.

Carissima Julca: scrivimi a lungo sulla vita tua e dei bambini. Appena è possibile, mandami la fotografia di Giuliano. Delka ha fatto ancora molti progressi? Gli sono cresciuti nuovamente i capelli? La malattia ha lasciato in lui qualche conseguenza? Scrivimi molto di Giuliano. E Genia è guarita?

Ti abbraccio stretta stretta ANTONIO 

15 1 1927

mercoledì 23 gennaio 2019

Riflessioni 17... - Stefano Garroni

Da: https://www.facebook.com/groupsStefano_Garroni è stato un filosofo italiano. - 
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/10/riflessioni-16-stefano-garroni.html  


Per una pace perpetua (1775) è un’operetta scritta da Kant, quando ormai il suo pensiero fondamentale era stato fissato nelle sue grandi Opere.

Dal titolo si potrebbe ricavare che Kant riconosca quale aspirazione più profonda dei popoli, quella di vivere in pace; ma più volte su questo Kant esprime dubbi, considerando tale obiettivo utopico e fantastico; ma ciò non basta a far sì che Kant abbandoni tale obiettivo; si pensa forse che l’espressione di Moltke [Helmuth von Moltke the Elder], secondo cui “una pace perpetua è un sogno e in nessun caso un bel sogno”, oppure a Voltaire, il quale anche parla di un sogno, che può tradursi in realtà tanto poco, quanto poco vi può essere pace tra i regnanti, come tra gli elefanti e i rinoceronti, la volpe e il cane; o si pensa stupidamente che Kant nella sua introduzione comporti che, nell’epoca dell’armamento atomico, ogni sforzo per la pace tra i popoli è un cimitero (Kirchhof), in cui l’umanità si adagerà per un’eterna pace.

Ma nello scritto non troviamo nulla di tutto questo; è vero piuttosto che Kant affronta il tema così come fa nel caso, in generale, dei concetti della ragione: l’idea della pace perpetua appartiene ai concetti che sono al di là delle possibilità dell’esperienza e che, dunque, non troveranno mai un oggetto ad essi pienamente corrispondente: ciò che solo è realistico è che l’esperienza umana si tenda verso il raggiungimento di un obiettivo in verità, irrealizzabile.

Non potremmo mai raggiungere, quell’obiettivo, perché infinitamente lontano. Piuttosto quello che ci poniamo è un compito del tutto reale ed alla cui realizzazione possiamo lavorare con successo, cioè a dire, ricercare la strada, che ci permetta di avvicinarci –solo avvicinarci- a quello scopo.

Questo tendere, destinato ad una insoddisfazione senza fine, appartiene agli imperativi morali, che ogni essere razionale approva e sul diritto che, in definitiva, deve valere per tutto il mondo umano.

Così gli argomenti di Kant circa la strada per la pace perpetua si basano sull’idea di libertà, sulla legge morale e sulla sua dottrina del diritto. Cosa significa per lui, in questo insieme, libertà? Come si pone, da politico, Kant nei suoi confronti?

Già nel 1781, dunque circa 50 anni prima dello scritto sulla “Pace perpetua”, espresse, nella Critica della ragion pura, la sua concezione della migliore costituzione possibile, nella lapidaria espressione: “Una Costituzione della massima libertà umana secondo leggi, la quale fa sì che la libertà di ognuno possa sussistere in connessione con quella degli altri (non una Costituzione della maggiore felicità, poiché quest’ultima ne deriverebbe di per sé) è dunque per lo meno un’idea necessaria, che non si debba disporre, solo, del primo schizzo di una Costituzione statale, ma sì di una Costituzione completa di tutte le leggi”. Una simile libertà è una condizione fondamentale per una pacifica vita sociale degli uomini. E questa resta una ferma componente della sua costruzione critica.

Nessuna meraviglia che Kant non si trovasse minimamente d’accordo con il modo, in cui, in Francia, si cercava di portare avanti l’idea di libertà. Ed e’ comprensibile anche come egli sicuramente preferisse la via legale e non quella violenta: Kant spiega, per fare un esempio, che non è giusto che se i sottomessi cacciano via un tiranno, che opprime la loro libertà, non gli riconoscano, una volta detronizzato, diritti e libertà.

Come l'idea di libertà, anche la dottrina del’imperativo categorico restò indiscussa nel sistema kantiano della ragione, e proprio nei termini in cui essa compare nello scritto, di cui ci stiamo occupando. L’imperativo categorico, secondo il quale è vero che il volere razionale vale per il singolo eticamente, così come è vero che esso vale nello stesso senso anche nel comportamento dei popoli l’un verso l’altro, in breve: “la volontà universale data a priori, la quale ha nella ragione la propria origine e la propria sede, è la sola, che può definire (bestimmen) che cosa sia giusto”. Questo pensiero ben presto si radicò nella dottrina morale kantiana ed anche nel presente scritto funge da idea cardine, intorno a cui gli altri pensieri a proposito della libertà del mondo umano si vanno ordinando.



martedì 22 gennaio 2019

La dura lotta intercapitalista - Paolo Massucci

Leggi anche: Conflittualità intercapitalistica (anarchia della produzione) - Gianfranco Pala (https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/07/conflittualita-intercapitalistica.html)

Questo articolo preso dal Sole 24 Ore
(https://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2019-01-15/recessione-porte-modello-solo-export-non-funziona-piu-071019.shtml?uuid=AEDbdlEHci)
ci permette di fare una breve anche se ovvia riflessione...

L'articolo in sintesi evidenzia come più o meno tutti i Paesi dell'Eurozona registrino forti avanzi delle partite correnti e mette ciò in relazione con il rallentamento economico prima, con la stagnazione e poi con la vera e propria recessione registrata in questi giorni nell'Eurozona.

Le spiegazioni si limitano al fatto, relativamente noto, che se troppi Paesi basano la propria economia sull'export anziché bilanciare le partite correnti con i consumi interni, allora nascono difficoltà, ovvie, di sbocco delle merci esportate: infatti se un paese è esportatore netto, un'altro necessariamente deve essere importatore netto. Ad esempio gli USA di Trump, ribaltando il modello precedente, con le loro politiche protezioniste e i dazi sulle importazioni stanno sostenendo investimenti produttivi e produzione interna e ostacolando le importazioni (dunque in sostanza si assiste ad un riorientamento a vantaggio dell'export contro l'import).

Quello che l'articolo omette di chiarire esplicitamente è che in Europa (ma anche nel mondo) le politiche neoliberiste (sono infatti le oligarchie capitalistico-finanziarie che orientano le politiche economiche dei governi) portano a ridurre le imposte sul capitale e ridurre il costo del lavoro: questo, a sentire i mass media, appare come qualcosa di ottimo e benefico per l'economia e per il Paese (come se fossimo tutti sulla stessa barca, senza classi sociali) ma in realtà è tutt'altro che indolore! Se si riducono le imposte sul capitale allora per garantire la parità di bilancio, o comunque per non incrementare il deficit pubblico, devono essere aumentate le imposte sul lavoro o le tasse sui consumi (IVA), e devono ridursi qualità, estensione ed efficacia dei servizi pubblici; se si riduce il costo del lavoro di converso si devono ridurre salari, salari differiti (pensioni) e salari indiretti (stato sociale).

Cosa comporta dunque tutto questo in un Paese, cioè la presenza di capitali produttivi ipertrofici e di consumi depressi ? Comporta che il Paese, per non bloccarsi, deve orientare la propria economia alle esportazioni. Ma l'intera Europa negli ultimi trent'anni si sta muovendo in questa direzione e ora i nodi arrivano al pettine, peraltro nel momento in cui anche gli USA di Trump stanno riorientando la propria economia verso l'export. La competizione tra gli Stati, sia in Europa sia in tutto il mondo, per gratificare e quindi conquistarsi i capitali globali, è all'origine di quelle politiche neoliberiste che aumentano in maniera drammatica la polarizzazione di redditi e ricchezze, restringono lo stato sociale (quei servizi universalistici la cui costituzione, pur mai completata, sanciva il progresso civile delle politiche socialdemocratiche), comportano sofferenza e insicurezza sociale e disgregazione sociale, con comportamenti -in assenza di alcuna consapevolezza e coscienza di classe- di estrema competizione tra individui e sentimenti di rabbia che sfociano persino nel razzismo.

Ora, a queste devastazioni nella sfera sociale prodotte dalle politiche neoliberiste, si aggiunge un inceppamento della circolazione del denaro, in quanto le merci prodotte dai capitali industriali non trovano più sufficienti sbocchi a seguito del prevalere, appunto, a livello mondiale, di un modello economico globale vocato sempre più alle esportazioni. Ma come risolvere questa crisi se gli stessi poteri capitalistici per aumentare i profitti spingono sempre più i governi ad adottare politiche sempre più neoliberiste? Non sembra in questo caso, almeno per ora, che "la mano invisibile del mercato" sia in grado di sanare questa crisi. 

Paolo Massucci (Collettivo di formazione marxista "Stefano Garroni")

lunedì 21 gennaio 2019

"Pensiero in movimento" - Maurizio Ferraris

Da: Labont - Center for Ontology - Pensiero in Movimento, Resp. scientifico: Maurizio Ferraris, Pearson, forthcoming 2019
Maurizio_Ferraris è un filosofo e accademico italiano.



martedì 15 gennaio 2019

Una lettera di Rosa Luxemburg e la risposta di Karl Kraus ad una lettrice di "Die Fackel"

Da: https://www.facebook.com/notes/maurizio-bosco - [Die Fackel, nr. 546-550, luglio 1920, pp.6-9; e nr. 554-556, novembre 1920, pp. 6-12] -





Vedi anche:
ROSA L. - Margarethe Von Trotta (1986)

Rosa Luxemburg - Angelo d'Orsi



Leggi anche: 
https://ilcomunista23.blogspot.com/2016/05/rosa-luxemburg-rivoluzionaria-donna.html



Dedico alla memoria della più nobile vittima la lettura della seguente lettera, che Rosa Luxemburg scrisse dal carcere femminile di Breslavia a Sonja Liebknecht a metà dicembre 1917.

«Ormai è un anno che Karl è in carcere a Luckau. In questo mese ci ho pensato spesso: proprio un anno fa Lei era a casa mia, qui a Wronke, e mi ha donato quel bell’albero di natale…Quest’anno me ne sono procurato uno,ma me lo hanno portato molto scadente e con qualche ramo mancante – non c’è confronto con quello dell’anno scorso. Non so come potrò appenderci le otto piccole luci che mi sono porcurata. E’ il mio terzo Natale in carcere , ma non la prenda sul tragico. Io sono tranquilla e serena come sempre. Ieri sono rimasta sveglia a lungo – ormai non riesco a prender sonno prima dell’una, ma devo coricarmi già alle dieci – e poi nel buio mi abbandono a tanti sogni dunque pensavo: è strano come io viva costantemente in una lieta ebrezza – e senza alcun motivo particolare. Così, per esempio, giaccio in questa cella buia su un materasso duro come la pietra, tutto intorno a me regna il solito silenzio di tomba, sembra di essere già morti: dalla finestra si staglia sulla coperta il riflesso di un lampione, che arde tutta la notte davanti al carcere. Di quanto in quanto si sente, smorzato, lo strepito lontano di un treno che passa o, vicinissimo sotto la finestra, il tossicchiare della sentinella che, per sgranchirsi le gambe irrigidite, fa due passi lentamente nei suoi pesanti stivali. Sotto questi passi la sabbia scricchiola così disperatamente, che tutto il vuoto e l’inesorabilità dell’esistenza risuonano nella notte umida e oscura. Ed io giaccio sola, avvolta nei molteplici panni neri delle tenebre, della noia, della prigionia dell’inverno – ma il mio cuore intanto batte di un’intima gioia sconosciuta, inconcepibile, come se camminassi su un prato fiorito nella chiara luce del sole. Nel buio io sorrido alla vita, come se fossi consapevole di un magico segreto, che annulla il male e la tristezza e li trasforma in pura luminosa felicità. Cerco un motivo per questa gioia, non lo trovo e sorrido di me stessa. Penso che il segreto non sia che la vita stessa; le profonde tenebre notturne sono belle e morbide come il velluto, basta saper guardare. Ed anche nello scricchiolio della sabbia umida sotto i passi lenti e pesanti della sentinella, risuona un piccolo e dolce canto sulla vita – basta saper ascoltare. In questi momenti io penso a Lei, e vorrei comunicarLe la chiave magica, perché possa cogliere, sempre ed in ogni circostanza, la gioiosa bellezza della vita, perché anche Lei possa vivere in questa ebrezza e camminare come su un prato fiorito. Non voglio certo propinarLe ascetismo e gioie immaginarie: Le auguro tutte le reali gioie dei sensi. A queste vorrei solo aggiungere la mia inesauribile gioia interiore, per essere tranquilla sul Suo conto, per essere sicura che Lei affronti la vita avvolta in un mantello trapunto di stelle, che La protegga da ogni piccineria, volgarità angoscia. Nel parco di Steglitz Lei ha colto un bel mazzo di bacche nere e rosso-viola. Per quelle nere, si può trattare di sambuco – le sue bacche pendono in pesanti e fitti corimbi fra grandi foglie pennate, le conosce certamente – o di ligustro: piccole, esili pannocchie dritte, tra foglie sottili e lanceolate- Le bacche rosa-viola, nascoste tra le piccole foglie, potrebbero essere quelle del nespolo nano; in realtà sono rosse, ma in questa stagione avanzata sarebbero fin troppo mature, e un po’ marcite appaiono spesso di un rosa violetto; le foglioline sono simili a quelle del mirto, piccole e aguzze in cima, di un verde scuro, ruvide nella parte inferiore e simili al cuoio in quella superiore.

lunedì 14 gennaio 2019

L’Italia prima e dopo l’euro. LA MONETA AL GOVERNO. - Augusto Graziani

Da la rivista del manifesto, n.30, luglio-agosto 2002. - Economisti-di-classe-Riccardo-Bellofiore-Giovanna-Vertova
Augusto_Graziani è stato un economista e politico italiano.
Leggi anche: Euro: dopo vent’anni, riforma cercasi disperatamente - Riccardo Bellofiore 
Impoverimento reale e cause immaginarie. L’euro come capro espiatorio che serve a nascondere l’aumento dello sfruttamento –  M. Donato  

Allorché si prospettava l’adozione dell’euro come moneta unica, gli esperti concordavano nel prevedere per la nuova valuta il destino di una valuta forte. Nel loro insieme, i paesi ammessi a far parte dell’Unione monetaria (undici, in seguito divenuti dodici) formavano un mercato finanziario maggiore di quello statunitense; per di più, alcune delle valute che venivano fuse nell’euro potevano vantare una tradizione consolidata di stabilità e solidità, mentre la struttura industriale che stava alle spalle della nuova moneta era fra le più avanzate del mondo. Tutte queste previsioni erano destinate a risultare fallaci. A partire dal 1° gennaio 1999 e fino ad oggi (giugno 2002) la moneta europea, nonostante la recente ripresa, si è svalutata di circa il 20 % rispetto al dollaro e di oltre il 10% rispetto allo yen giapponese (lo stesso yen si è svalutato del 10% sul dollaro).

Per l’Italia, l’adozione di una moneta comune, unita all’andamento declinante del corso dell’euro rispetto alle altre grandi valute mondiali, ha significato l’abbandono di quello che era stato in passato un carattere tipico della politica valutaria italiana. In anni precedenti, quando l’Italia poteva condurre una politica valutaria indipendente, le autorità monetarie (Banca d’Italia e Tesoro) avevano sempre tentato di realizzare una sorta di linea differenziata. Da un lato veniva perseguito, se non un lieve apprezzamento della lira, almeno un tasso di cambio stabile rispetto al dollaro; questa linea aveva lo scopo di evitare l’aumento dei prezzi in lire delle importazioni quotate in dollari (anzitutto il petrolio, ma anche macchinari ad alta tecnologia, brevetti, apparecchi elettronici). Dall’altro, veniva vista con favore una lieve svalutazione della lira rispetto al marco tedesco, in quanto poteva incoraggiare le esportazioni verso i mercati europei.

domenica 13 gennaio 2019

Ninna Nanna - Bertolt Brecht (1932)


Da: “Bertolt Brecht. Poesie politiche”, a cura di Enrico Ganni, Einaudi 2006 (2014) - 
Versi di Bertolt Brecht. Musica di Hanns Eisler In “Historische Recordings 1931-1933”
https://www.antiwarsongs.org/canzone.php?lang=it&id=49123 
https://www.facebook.com/notes/244950772197993/ 


Ninna Nanna 

Quando ti portavo in seno 

eran tempi duri, lo sai bene,

“questo piccolo, mi dicevo sempre,

verrà al mondo in un mondo di pene” 

e ho giurato di fare di tutto

perchè almeno tu sapessi cosa fare,

perchè il mondo che ti accoglie così male,

tu lo possa almeno un po’ migliorare.

E vedevo montagne di carbone,

ben difese dalla polizia,

“quando avrà freddo mio figlio, mi dicevo,

penserà lui a portarle via”.

E vedevo nelle vetrine il pane,

vedevo gli occhi di chi pane non ha,

“quando avrà fame mio figlio, mi dicevo,

a spaccare quei vetri penserà”.

Quando ti portavo in seno,

mi dicevo “tra poco nascerai,

sarai bello giusto e forte

e nessuno fermarti potrà mai”.

Quando tu sei nato, i tuoi fratelli piangevano per la fame

e domandavano pane,

quando tu sei nato, non si avevano soldi per il gas

e sei venuto al mondo al buio,

quando ti aspettavo con tuo padre, ogni sera

parlavamo di te,

ma per il dottore soldi non ce n’erano

ci servivano per comprare il pane.

Quando ti abbiam fatto, proprio più non c’era

la speranza di trovare lavoro

e soltanto Marx e Lenin alla gente come noi

parlavano di un futuro.

O figlio, al mondo c’è gente che prepara,

per quando sarai grande, un bastone per te

perché tu sei di quelli nati per la catena

e per i quali al mondo altro posto non c’è.

Tu forse non sei il più bello e il più forte,

per te non ho soldi e non voglio preghiere,

ma tu sei mio figlio e non dovrai sprecare

il poco tempo che ti è dato sulla terra.

Di notte sento le tu manine strette a pugno accanto a me

e penso allora che qualcuno già

sta preparando l’arma destinata a te.

La tua mamma non ti ha mai detto

che sei il più forte, che sei il più bello,

ma neppure ti ha messo al mondo

perché tu sia fatto carne da macello.

Ricorda, figlio, che solo coi tuoi simili

i prepotenti vincere potrai.

E tu ed io e tutti quelli come noi

devono lottare.

Perché in questo mondo, in cui vivrai anche tu,

sfruttati e sfruttatori non ce ne siano più! 


sabato 12 gennaio 2019

Impoverimento reale e cause immaginarie. L’euro come capro espiatorio che serve a nascondere l’aumento dello sfruttamento –  Maurizio Donato


Da: https://mrzodonato.wordpress.comhttps://pungolorosso.wordpress.comhttp://www.antiper.org -
maurizio donato è un economista italiano.

Trovate qui di seguito un articolo dell’economista Maurizio Donato dell’università di Teramo sull’impoverimento della popolazione lavoratrice e la questione dell’euro. Quest’articolo sferra un bel colpo alla tesi dei “sovranisti di sinistra” secondo cui è stato l’euro a far impoverire i lavoratori abbassando il potere d’acquisto dei salari. Dati alla mano, Donato mostra come il fatto dell’impoverimento relativo e assoluto di chi vive e lavora in Italia sia cominciato ben prima dell’introduzione dell’euro nel 1999. L’impoverimento è iniziato nella seconda metà degli anni Settanta ed è stato particolarmente forte proprio nel periodo che va dalla meta’ degli anni Settanta fino al 1999, con la lira come moneta. In altri termini, Donato mostra come additare l’euro come causa dell’impoverimento “serv[a] a nascondere l’aumento dello sfruttamento” da parte della classe capitalistica: questa è la causa del peggioramento delle condizioni di vita e lavoro,  non il cambio della moneta. Non all’euro bisogna guardare, ma alla necessità del capitale, italiano e globale, di contrastare la caduta tendenziale del saggio di profitto, e in particolare alla necessità dei capitalisti italiani di restare competitivi in un mercato mondiale in cui si è fatta insidiosa la concorrenza della Cina e altri colossi, puntando molto sulla riduzione dei salari. [Pungolorosso] 



L’impoverimento assoluto e relativo di chi vive e lavora in Italia è un fenomeno reale, evidenziabile da numerosi indicatori relativi alla dinamica del reddito pro-capite, dei salari nominali, dei salari reali in riferimento alla produttività del lavoro, della quota del lavoro sul PIL. Non emergono, al contrario, evidenze empiriche che possano mettere tali dinamiche in rapporto all’introduzione dell’euro, dal momento che la compressione dei redditi da lavoro è cominciata molto tempo prima del 1999. 

venerdì 11 gennaio 2019

Fare i conti con la sinistra latinoamericana del XXI secolo - Alessandra Ciattini


Da: https://www.lacittafutura.it Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza.


Leggi anche: Sul compromesso storico - Aldo Natoli

Solo l’analisi approfondita può farci comprendere a cosa veramente tende un’organizzazione politica, anche senza saperlo.


Fare i conti con la sinistra latinoamericana del XXI secolo e con il suo addentellato, il socialismo del o nello stesso, non è un vano esercizio, ma una riflessione utile anche a focalizzare meglio l’attuale congiuntura italiana, sempre che si voglia ragionare, dando pane al pane, e non schematizzare in grossolane opposizioni dicotomiche, del tipo chi critica Lula da Silva è uno scherano dello spietato imperialismo statunitense.
Riflessione anche opportuna per cercare di fare un po’ di luce nell’attuale confusione che domina i vari gruppuscoli comunisti italiani, che non riescono a trovare un denominatore comune per costituire un fronte aggregante in vista delle prossime elezioni europee, e per rilanciare l’arduo processo di ricostruzione della coscienza di classe dissolta da decenni di politiche liberiste sedicenti di sinistra e di ipocrita buonismo verso i cosiddetti ultimi. Del resto, la coscienza tende a rattrappirsi quando l’individuo si trova di fronte al costante ricatto di chi ti intima: se vuoi campare queste sono il salario (irrisorio) e le condizioni di lavoro (pessime), facendoci comprendere che il problema non è mai esclusivamente ideologico.
Aggiungo che con il fare i conti con la sinistra latinoamericana non intendo scaricare su di essa la causa del peggioramento della situazione politica di questa regione del mondo (sarebbe sciocco e semplicistico), ma individuare il suo contributo a tale processo che è ovviamente dovuto ad una molteplicità di fattori. Tuttavia, credo che la demoralizzazione delle masse provocata da promesse non mantenute, sia pure continuamente agitate, non sia un elemento da sottovalutare.

giovedì 10 gennaio 2019

mercoledì 9 gennaio 2019

Euro: dopo vent’anni, riforma cercasi disperatamente - Riccardo Bellofiore

Da: https://www.lindro.it - http://www.ilcorsaro.info - (Economisti-di-classe-Riccardo-Bellofiore-Giovanna-Vertova
riccardo.bellofiore è professore ordinario di Economia politica all’Università degli Studi di Bergamo. 

Vedi anche: "IL VALORE D'USO CONOSCITIVO E POLITICO DEL CAPITALE DI MARX OGGI" - Riccardo Bellofiore


Lo scorso primo gennaio sono trascorsi vent’anni dall’introduzione dell’euro come valuta: un anniversario che arriva in un anno cruciale per l’Unione europea, con le elezioni del prossimo maggio, e impone un bilancio complessivo di un processo di integrazione monetaria europea, delle sue contraddizioni e del suo futuro possibile. Punto di arrivo di un tortuoso processo di integrazione dei mercati nel Continente e, secondo i suoi fautori, primo passo di una sempre maggiore integrazione politica, la moneta unica dell’Europa dopo la crisi dei debiti sovrani si pone oggi come problema primario per la tenuta e legittimità dell’intero progetto europeo e degli stessi Stati membri. Le ferite ancora parte della crisi e l’erosione di una solidarietà europea sotto la scure dell’austerità e dei vincoli fiscali legano sempre di più il destino dell’euro a quello delle democrazie e dei diritti sociali, rendendo urgente e necessario interrogarsi sulle promesse tradite della moneta unica e su quelle irrealizzabili. Quali sono state le ragioni che hanno portato all’introduzione della moneta unica? Quali i suoi limiti e le prospettive di una riforma dell’eurozona? Ne abbiamo parlato con Riccardo Bellofiore, Professore di Economia Politica all’Università di Bergamo. 
  
Intervista a Riccardo Bellofiore, professore ordinario di Economia politica all’Università degli Studi di Bergamo

 A vent’anni dall’adozione dell’euro come valuta, quale l’origine e le ragioni storiche dell’adozione dell’euro? 

martedì 8 gennaio 2019

I concetti fondamentali della filosofia di Hegel - Renato Caputo




Leggi anche: Il tragico destino del cristianesimo - Renato Caputo 


Link al video della lezione tenuta per l’Università popolare Antonio Gramsci


Affrontiamo i concetti fondamentali della filosofia di Hegel per avere gli strumenti necessari a comprendere le sue immortali opere filosofiche, liberandoci delle più comuni incomprensioni.


La realtà (Wirklichkeit) nel senso forte del termine, la realtà effettuale, è per Hegel una totalità organica e non indica dunque – come spesso avviene nel linguaggio quotidiano – un singolo essere determinato. Quest’ultimo è definito da Hegel come esistente ed è in quanto tale parte di tale totalità, è il finito che come tale non può che morire, non avendo in sé la propria verità ma nel suo altro. Al contrario l’assoluto o infinito è ab-solutus, ovvero privo di legami già nel significato etimologico del termine; ha in sé la propria ragione di essere, la propria verità e necessità e, perciò, è reale unicamente una totalità organica. Ciò che è invece finito, particolare, esistente è in quanto tale limitato. Non è vero, in quanto non è in sé razionale. Non ha in sé senso e necessità, ma li acquista solo nella relazione che lo lega a tutti gli altri finiti quali momenti dell’infinito, parti del tutto in cui soltanto assumono il loro vero significato. 

lunedì 7 gennaio 2019

Tempo di lavoro e salario - Carla Filosa

Da: http://www.consecutio.org/2018/11/indice-8/ - Carla Filosa insegna dialettica hegeliana e marxismo.


  1. Forza-lavoro al tempo del salario

    Il concetto di «salario» è stato deliberatamente rimosso attraverso la stessa rarefazione del termine. Molti giovani del III millennio non ne hanno mai sentito parlare, e ricevono, per loro semplicemente, «denaro» – ovvero una «paga» (wage) – in cambio di lavoro, meglio “lavoretto” o “job” (posto di lavoro, incarico, compito) normalizzato, anche senza neppure un contratto, senza mansionario o orario, senza assunzione, senza neppure percepire, né sospettare di dover conoscere, quanto altro tempo di vita viene loro richiesto per ottenere quel compenso magari nemmeno pattuito, ma solo forzosamente accettato. Altri, giovani e non, sono costretti a erogare lavoro gratuito nella speranza di ottenerne uno retribuito in una prospettiva non definibile, ma ignorano di costituire, in diverse fasi, quella quota oscillante dell’«esercito di riserva» di cui Marx analizzò, già quasi due secoli fa, la necessità vitale per il sistema di capitale. Altri ancora, formalmente calcolati come occupati e per lo più stranieri, sono soggetti ai sistemi di caporalato con lavori stagionali, saltuari, intermittenti o a tempo parziale, se non proprio scomparsi dalle statistiche nel lavoro in nero, in base a cui la remunerazione dovuta evapora tra le mani dei mediatori e l’arbitrio padronale – insindacabile e quasi mai controllabile nella consueta elusione delle legislazioni vigenti – nel conteggio delle ore lavorate e nella quantità del denaro spettante. Il furto di lavoro, nella civiltà degli eguali su carta, riporta tutti nel passato della storia ove la disuguaglianza tra le classi era la norma e il lavoro era egualmente disprezzato nella forma svilita della schiavitù o della servitù. Se il capitale, cioè, non ha inventato lo sfruttamento lavorativo o pluslavoro, – ma solo il plusvalore poiché esso implica il valore – continua però a servirsene in quest’ultima forma, nella dicotomia salariata tra uso complementare sotterraneo a quello legalizzato e sua negazione giuridica e ideologica.

    Scientificamente rispondente all’aumento della composizione organica del capitale, e risparmio di capitale variabile, la persistenza nei nostri tempi di questa realtà mondiale ha avuto la possibilità di sviluppare, ormai senza ostacoli, un assoluto comando sul lavoro nella procurata disgregazione, atomizzazione e perdita coscienziale di chi è sempre costretto a vivere nella dipendenza di datori di lavoro casuali o transitori. L’incremento della cosiddetta disoccupazione, legata anche al lavoro umano sempre più subordinato o affiancato all’uso di macchine o robot (dalla parola slava robota = lavoro pesante, o rabota = servo) richiede, o comunque legittima, uno sforzo di chiarificazione in direzione di un’analisi relativa ai meccanismi di questo sistema. Il salario, infatti, è di questo una parte fondante e non può essere schiacciato su un presente insignificante nella sua apparente empiria, ma deve essere riconoscibile alla luce di categorie teoriche tratte dal reale. I nostri tempi sono inoltre caratterizzati da un lungo periodo di crisi irresolubile, da parte di questo sistema in fuga continua dalle proprie ineliminabili contraddizioni, il cui risultato è la combinazione sociale dell’accumulazione in recessione da un lato e la perdita progressiva dei diritti civili dall’altro. Se infatti alle contraddizioni si corre al riparo con i soliti mezzi di contrasto (espulsione di lavoro vivo, riduzione e conversione produttiva, accordi commerciali favorevoli o bilaterali, protezionismo, qualora permanga il formale multilateralismo, guerre per interposta persona, ecc.), alla eliminazione programmatica dei diritti collettivi concorre favorevolmente l’attuale e non proprio casuale migrazione mondiale, sulla cui apparente accidentalità e fondata importanza si dirà più avanti.

sabato 5 gennaio 2019

"Anima e corpo dell'algoritmo: intelligenze, umane e artificiali" - Mario Rasetti

Da: Digit Italia - mario-rasetti è scienziato e presidente dell'Isi Foundation.
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/09/lalgoritmo-sovrano-renato-curcio_18.html


L'intelligenza artificiale unita a 5G e IoT entro 4-5 anni cambierà lo scenario lavorativo e dunque sociale che ci circonda. Nei prossimi 10 anni Il 50% dei lavori che oggi conosciamo scomparirà. Dovremmo sostituirli con altri lavori se fossimo in un sistema razionale. Potrebbe essere una catastrofe ma anche una grande possibilità per il genere umano. 
Resta ferma una cosa però: l'intelligenza artificiale non è l'intelligenza umana. Un macchina, complessa quanto vi pare, svolge solo alcune delle funzioni (per giunta le meno complesse) del cervello umano, tipo memoria e classificazione; ma le più complesse come etica, estetica, autocoscienza, non può farle. Queste si chiamano infatti operazioni non-"turing compatibile" ossia: dammi un pc (macchina di turing) complesso e potente quanto ti pare che quelle operazioni non può farle. Inoltre il cervello svolge queste funzioni complesse consumando 20 w di potenza, un pc per fare le stesse funzioni consumerebbe 20 terawat. A questo importante risultato e giunto il prof.Rasetti ed il suo gruppo di ricerca. La questione è: usiamo il cervello e organizziamoci per un cambio radicale di modello sociale. (P. Vecchiarelli)