Quello che è accaduto alla Fiat tra il Settembre e l'Ottobre del 1980 non ha rappresentato solo una semplice sconfitta sindacale, ma una sconfitta sul piano sociale, politico e culturale, che ha modificato profondamente non soltanto il modo di produrre e le relazioni sindacali, ma ha inciso profondamente sulla vita reale di milioni di lavoratori. Proprio da lì, infatti, è partito l'attacco al mondo del lavoro, che solo alcuni anni dopo ha portato, sotto il governo Craxi, al "Decreto di San Valentino" ed al conseguente taglio della scala mobile.
Il retroterra delle lotta dei 35 giorni alla Fiat parte praticamente dal clima molto caldo di quel periodo a Torino, e la Fiat prende come pretesto sia la morte del suo dirigente Carlo Ghiglieno, ucciso dalle BR, che alcuni agguati ai caporeparti, da poco verificatisi, per licenziare, nell'Ottobre del 1979, sessantuno (61) lavoratori, come fiancheggiatori in fabbrica dei terroristi (dei quali, poi, solo quattro di essi saranno condannati) e, non potendo dare questa motivazione, respinta in prima istanza dalla magistratura, l'azienda addebita loro indisciplina e comportamenti scorretti. Gli operai, in massima parte, la ritengono essere l'ennesima prepotenza del padrone, e la FLM si schiera con loro, mentre le confederazioni, ancora uniti in Federazione, ed il PCI, avvisati da Romiti prima dell'avvio dei provvedimenti, oltre che invitati a tenere un comportamento responsabile, preferirono defilarsi, accusando la FLM di essere "renitente" nella lotta "contro il terrorismo e la violenza", così come veniva presentata in quegli anni.