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https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/03/francesco-valentini-soluzioni-hegeliane.html
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Rileggere la filosofia politico-giuridica di Hegel alla luce
di una categoria strettamente teoretica e logica, qual è quella del
riconoscimento (die Anerkerkennung), se per un verso significa muovere dal
formalismo della ragione alla concretezza della fattualità, per l’altro
coincide con l’ambizioso tentativo di rintracciare delle «aperture nella
sistemica hegeliana» (p. 19), una sistemica apparentemente chiusa. Chiave di
volta per compiere un simile percorso è la categoria della plebe (die Pöbel), ben distinta da Hegel dalla semplice povertà – ovvero dalla
nullatenenza di beni che accompagna le società precapitalistiche – e intesa
dall’autrice come giuntura strategica delle analisi economico-politiche
hegeliane. Il saggio della Fabiani, articolato in due macrosezioni, dedicate
l’una all’analisi della genesi dello stato nelle lezioni jenesi (1803-1806) e
l’altra all’emersione della specificità della categoria di plebe nella
Filosofia del diritto, propone un’indagine volta all’individuazione di un carattere
intrinsecamente problematico del pensiero hegeliano che, lungi dal poter essere
ridotto a un sistema filosoficamente compiuto e perciò speculativamente
sterile, si rivela quale controverso e complesso snodo aporetico della
modernità. L’insorgenza di una sostanziale dinamicità nel ragionamento politico
hegeliano mostra poi, per contrasto, l’insufficienza di certa lettura marxista
e neomarxista che, attestandosi miopemente sull’immagine inveterata di una
filosofia reazionaria e statalista, non è riuscita a rendere conto della
complessità di un sistema che piuttosto che fuggire le aporie le contempla,
invece, al proprio interno come nodi inestricabili di una realtà
eccedente, ad ogni passo, il formalismo della ragione. Da qui l’originalità della
lettura della Fabiani – seppure in linea con le posizioni di Weil e con il
versante italiano costituito da Salvucci e Valentini – che,
contrariamente a molti eccellenti tentativi, teoreticamente ineccepibili ma
storicamente discutibili, rende ragione del profondo radicamento delle
riflessioni hegeliane nella temperie politico-culturale del suo tempo, una
lettura attuata non tanto forzando arbitrariamente i contenuti, quanto
rivelandone una vitalità interna quasi insospettabile. Al fianco di una
puntuale analisi dei testi, il saggio della Fabiani contiene infine un
interessante compendio dedicato alla disamina delle posizioni critiche (pp.
161-192), un compendio che a mio avviso potrebbe fungere da guida alla lettura
dell’intero volume.Il saggio si apre con un attento esame del termine plebe nell’alveo delle riflessioni hegeliane. Determinato come status sì economico, ma anche sociale e politico – contrariamente alla povertà che invece indica una condizione strettamente finanziaria –, la plebe sorge con il sorgere della modernità: per un verso essa è il frutto compiuto del liberismo economico, ovvero dell’imporsi dell’idea del lavoro come autosussistenza, per l’altro è la deriva incontrollata del liberalismo politico, e cioè il luogo sociale in cui domina un certo sentimento dell’ingiustizia subita (p. 16). Dalle analisi politiche emerge, tuttavia, un’ulteriore accezione che inerisce tanto alla sfera etica quanto, o forse proprio perciò, a quella teoretica. Hegel, ci dice Fabiani, usa il termine sia nell’accezione di volgo o senso comune, sia in quella di intelletto negativo astratto (p. 17). Così intesa, la categoria di plebe richiama immediatamente – pur sottraendosi, come vedremo, ad essa – la dialettica del riconoscimento. Il filosofo di Jena sembra insomma, fin da subito, connotare la plebe come un che di destabilizzante. Comprendendone la perniciosa natura rispetto alla stabilità dello Stato – inteso sia come organismo politico-giuridico sia come espressione dello Spirito –, ne ignora quasi l’esistenza, come giustamente sottolinea Marx, nella logica sistematica. Allo stesso tempo, però, dissemina i suoi scritti di riferimenti strategici che, se correttamente intesi, possono svelare l’intrinseco paradosso che mina la logica ferrea del riconoscimento. È necessario perciò, avverte l’autrice, non solo tornare a rilevare analiticamente un legame, non proprio esplicitato da Hegel (cfr. p. 19), ma addirittura accentuare l’intreccio tra plebe e riconoscimento.
















