*Da: https://www.facebook.com/events/541394676028024/566687913498700/
La teoria Marxista poggia la sua forza sulla scienza... che ne valida la verità, e la rende disponibile al confronto con qualunque altra teoria che ponga se stessa alla prova del rigoroso riscontro scientifico... il collettivo di formazione Marxista Stefano Garroni propone una serie di incontri teorici partendo da punti di vista alternativi e apparentemente lontani che mostrano, invece, punti fortissimi di convergenza...
mercoledì 6 aprile 2016
martedì 5 aprile 2016
Wittgenstein e la filosofia del linguaggio – Piergiorgio Odifreddi
Zettel presenta: Wittgenstein e la filosofia del linguaggio – Piergiorgio Odifreddi:
Ludwig Wittgenstein nasce a Vienna il 26 aprile del 1889 in
una famiglia alto-borghese di origini ebraiche.
All’età di diciassette anni si iscrive alla facoltà di
ingegneria dell’Università di Berlino.
Durante gli anni universitari si avvicina alla logica e alla
filosofia della matematica, grazie alla lettura delle opere di Gottlob Frege;
nel 1912 si iscrive al Trinity College di Cambridge per seguire le lezioni di
Bertrand Russell.
Tra il 1913 e il 1914 trascorre alcuni mesi in Norvegia e lì
inizia a comporre la sua opera principale, il Tractatus logico-philosophicus,
che darà alle stampe nel 1921, con l’introduzione di Bertrand Russell. Il
Tractatus diventa presto un testo di riferimento per i filosofi del Circolo di
Vienna, che Wittgenstein frequenta, pur non aderendovi ufficialmente.
Nel 1929 il filosofo fa ritorno a Cambridge, dove inizia la
sua carriera accademica. Tiene diversi cicli di lezioni e i suoi allievi
raccolgono gli appunti in quelli che saranno conosciuti, postumi, come il Libro
blu e il Libro marrone.
Negli stessi anni inizia a lavorare alle opere più
significative del suo cosiddetto “secondo periodo”: le Ricerche filosofiche e
le Osservazioni sui fondamenti della matematica, entrambe pubblicate postume.
Nel 1939 è nominato Professor of Philosophy all’università
di Cambridge, ma allo scoppio della Seconda guerra mondiale si allontana
dall’ambiente universitario per prestare servizio volontario in un ospedale
londinese.
Wittgenstein si spegne a Cambridge il 29 aprile del 1951.
Leggi anche: http://ilcomunista23.blogspot.it/2014/05/temi-wittgensteiniani-stefano-garroni.html
Leggi anche: http://ilcomunista23.blogspot.it/2014/05/temi-wittgensteiniani-stefano-garroni.html
lunedì 4 aprile 2016
Il capitale fisso e l’intelligenza generale della società. Su “general intellect” e dintorni.* - Gianfranco Pala
*Da: http://www.antiper.org/ http://www.gianfrancopala.tk/ https://rivistacontraddizione.wordpress.com/
Il frammento: http://www.doppiozero.com/materiali/marxiana/frammento-sulle-macchine
“Questa contrapposizione delle potenze intellettuali del processo materiale di produzione ai lavoratori, come proprietà non loro e come potere che li domina, è un prodotto della divisione del lavoro di tipo manifatturiero, e si completa nella grande industria che separa la scienza, facendone una potenza produttiva indipendente dal lavoro, e la costringe a entrare al servizio del capitale. L’arricchimento di forza produttiva sociale da parte del lavoratore collettivo, e quindi del capitale, è la conseguenza dell’impoverimento delle forze produttive individuali di ciascun lavoratore” [K.Marx, Il Capitale, I.12,5].
“Le manifatture prosperano di più dove meno si consulta la mente, di modo che l’officina può esser considerata come una macchina le cui parti sono uomini”, scriveva il maestro di Smith, Adam Ferguson, Saggio sulla storia della società civile, già nel 1767. E quelle parti “umane” della macchina non contengono più neppure un briciolo di “intelligenza generale” del processo. Tutt’al più conservano, per poco tempo ancora, alcuni segreti e astuzie. La separazione del lavoro dal sapere, anziché essere superata col cosiddetto postfordismo (come alcuni vorrebbero far credere), e tuttavia neppure creata da esso, rimanda alla divisione del lavoro storicamente rilevante nelle società classiste, ai fini dell’affermazione del dominio di una classe (casta, ordine, ecc.), che è quella tra lavoro mentale e lavoro fisico. Con lo sviluppo della grande industria, il lavoro mentale e quello intellettuale (o meramente fisico cerebrale) vengono sottomessi realmente al capitale per la sua autovalorizzazione, nella produzione di plusvalore e poi nella sua circolazione. Non solo, ma i loro stessi risultati, derivanti dalla combinazione del lavoro sociale, sono continuamente incorporati come scienza e tecnica nel corpo materiale delle macchine del capitale.
Il frammento: http://www.doppiozero.com/materiali/marxiana/frammento-sulle-macchine
“Questa contrapposizione delle potenze intellettuali del processo materiale di produzione ai lavoratori, come proprietà non loro e come potere che li domina, è un prodotto della divisione del lavoro di tipo manifatturiero, e si completa nella grande industria che separa la scienza, facendone una potenza produttiva indipendente dal lavoro, e la costringe a entrare al servizio del capitale. L’arricchimento di forza produttiva sociale da parte del lavoratore collettivo, e quindi del capitale, è la conseguenza dell’impoverimento delle forze produttive individuali di ciascun lavoratore” [K.Marx, Il Capitale, I.12,5].
“Le manifatture prosperano di più dove meno si consulta la mente, di modo che l’officina può esser considerata come una macchina le cui parti sono uomini”, scriveva il maestro di Smith, Adam Ferguson, Saggio sulla storia della società civile, già nel 1767. E quelle parti “umane” della macchina non contengono più neppure un briciolo di “intelligenza generale” del processo. Tutt’al più conservano, per poco tempo ancora, alcuni segreti e astuzie. La separazione del lavoro dal sapere, anziché essere superata col cosiddetto postfordismo (come alcuni vorrebbero far credere), e tuttavia neppure creata da esso, rimanda alla divisione del lavoro storicamente rilevante nelle società classiste, ai fini dell’affermazione del dominio di una classe (casta, ordine, ecc.), che è quella tra lavoro mentale e lavoro fisico. Con lo sviluppo della grande industria, il lavoro mentale e quello intellettuale (o meramente fisico cerebrale) vengono sottomessi realmente al capitale per la sua autovalorizzazione, nella produzione di plusvalore e poi nella sua circolazione. Non solo, ma i loro stessi risultati, derivanti dalla combinazione del lavoro sociale, sono continuamente incorporati come scienza e tecnica nel corpo materiale delle macchine del capitale.
venerdì 1 aprile 2016
Politiche espansive e crescita debole. Siamo in una stagnazione secolare?* - Vittorio Daniele
Da qualche anno, le Banche centrali delle principali
economie mondiali (Stati
Uniti, Eurozona e Giappone)
stanno attuando politiche fortemente espansive. La base monetaria, sotto forma
di liquidità o di riserve detenute dalle banche commerciali, è aumentata
enormemente: negli Stati Uniti, all’inizio del 2016, era quattro volte quella
del 2008. La BCE ha adottato una serie di misure espansive, finanziando a basso
costo il sistema bancario e attuando un programma di acquisto di attività (quantitative
easing) di 80 miliardi di euro mensili per una durata prevista di due
anni.
Si tratta di un’iniezione di liquidità senza precedenti, che
ha fatto scendere i tassi d’interesse a breve e a lungo termine a valori
prossimi allo zero (e, in alcuni casi, negativi, come in Giappone o in Europa).
Ciò avrebbe dovuto stimolare gli investimenti e, dunque, i consumi e il
reddito. I risultati sono, però, largamente inferiori alle attese.
Nell’Eurozona, i dati sul Pil e sull’inflazione mostrano, infatti, come la
ripresa sia molto debole. Anche negli Stati Uniti, dove la crescita è più
elevata di quella europea, il Pil rimane al di sotto del potenziale (Fig. 1).
giovedì 31 marzo 2016
mercoledì 30 marzo 2016
Dialoghi di profughi VI.* - Bertolt Brecht
*Da: https://www.facebook.com/notes/maurizio-bosco/dialoghi-di-profughi-vi-bertolt-brecht/10151258109628348?pnref=story
Cos'è "Dialoghi di Profughi": http://www.controappuntoblog.org/2013/10/18/quando-si-parla-di-umorismo-io-penso-sempre-al-filosofo-hegel-fluchtlingsgesprache-dialoghi-di-profughi-brecht-bertolt/
Cos'è "Dialoghi di Profughi": http://www.controappuntoblog.org/2013/10/18/quando-si-parla-di-umorismo-io-penso-sempre-al-filosofo-hegel-fluchtlingsgesprache-dialoghi-di-profughi-brecht-bertolt/
Ziffel osservava malinconicamente i giardinetti polverosi
davanti al ministero degli Esteri, dove dovevano farsi rinnovare il permesso di
soggiorno. In una vetrina aveva visto esposto un giornale svedese con le
notizie dell’avanzata dei tedeschi in Francia.
ZIFFEL Tutte le grandi idee
falliscono per colpa degli uomini.
KALLE Mio cognato le darebbe
ragione. Perso un braccio, che era finito negli organi di trasmissione di una
macchina, gli era venuta l’idea di aprire un negozio di sigarette con annessa
vendita dell’occorrente per cucire, aghi, filo e cotone da rammendo, perché le
donne fumano, sì, volentieri, ma non entrano volentieri in una tabaccheria; ma
l’idea fallì, perché non gli diedero la licenza. Non che importasse molto,
tanto non sarebbe comunque riuscito a mettere insieme i soldi necessari.
ZIFFEL Non è questo che io chiamo
una grande idea. Una grande idea è la guerra totale. Ha letto che in Francia la
popolazione civile ha messo i bastoni fra le ruote alla guerra totale? Ha
mandato a monte tutti i piani degli stati maggiori, si dice. Ha ostacolato le
operazioni militari, perché le fiumane di profughi hanno ingorgato le strade e
impedito i movimenti delle truppe. I carri armati si sono impantanati nella
massa umana – dopo che finalmente si era riusciti a inventare delle macchine,
appunto i carri armati, che non si impantanano nemmeno nel fango altro fino al
ginocchio e possono abbattere boschi interi. La gente affamata ha divorato le
provviste delle truppe, cosicché la popolazione civile si è rivelata una vera
piaga delle cavallette. Un esperto militare scrive con preoccupazione sui
giornali che la popolazione civile è diventata un problema serio per i
militari.
KALLE Per i tedeschi?
lunedì 28 marzo 2016
UNA RILETTURA TEORICA E POLITICA DEL MANIFESTO DEL PARTITO COMUNISTA - Riccardo Bellofiore
«Si dissolvono tutti i rapporti stabili ed irrigiditi, con il loro
seguito di idee e di concetti antichi e venerandi, e tutte le idee e i concetti
nuovi invecchiano prima di potersi fissare. Si volatilizza tutto ciò che vi era
di corporativo e di stabile, è profanata ogni cosa sacra, e gli uomini sono
finalmente costretti a guardare con occhio disincantato la propria posizione e
i propri reciproci rapporti».
(Karl Marx e Friedrich Engels, Manifesto del
Partito comunista, p. 87)
LE CONDIZIONI DELLA
LIBERTÀ DINAMICA CAPITALISTICA E QUESTIONE DEL SOGGETTO NELL’EPOCA DELLA
“GLOBALIZZAZIONE”: UNA RILETTURA TEORICA E POLITICA DEL MANIFESTO DEL PARTITO
COMUNISTA.
Introduzione.
«Lo spettro del
comunismo ha cessato di inquietare l’Europa, ma il Manifesto non ha cessato di
inquietare i rivoluzionari».
Wal Suchting, What is Living and What is Dead
in the Communist Manifesto?, p. 163.
Riprendere in mano, a centocinquant’anni dalla sua comparsa,
il Manifesto del partito comunista può essere fatto con metodi e obiettivi
diversi (1). E’ possibile, evidentemente, collocare l’opuscolo nella temperie
politica e culturale degli anni in cui vide la luce; come è possibile
soggiacere alla tentazione di un confronto immediato tra il testo e la realtà
che abbiamo di fronte. Un approccio “storico”, il primo; un approccio
“attualizzante”, il secondo.
Esemplare, in un certo senso, del primo è la riedizione
della Einaudi, con la lunga e utile postfazione di Bruno Bongiovanni, mentre
esemplare del secondo, è l’introduzione che Eric Hobsbawm ha premesso alla
ristampa inglese della Verso, uscita anch’essa quest’anno. Entrambe, però,
mettono bene in rilievo i rischi di operazioni del genere. Da una parte, la
riduzione del Manifesto a “classico”, quando non a documento di un’altra epoca,
con una nascosta, ma non meno efficace, sterilizzazione dell’impatto presente
di quelle pagine. Dall’altra parte, all’opposto, la rivendicazione al Manifesto
di una dimensione profetica, sia pure dimezzata: dove la profezia sta
nell’avere anticipato - con la sola colpa di averlo fatto con troppo grande
anticipo - i caratteri del capitalismo mondializzato dei nostri giorni; e il
suo essere dimezzata sta nella spiacevole circostanza che, giusto quando le
previsioni “analitiche” di Marx si sarebbero concretizzate, esse avrebbero al
contempo distrutto il soggetto sociale che doveva farsi messaggero di una
società futura, meno disumana e portatrice di una libertà più autentica
nell’eguaglianza2 . Vi è qui, a me pare, un difetto dovuto a un eccesso di
“empirismo”. Si ragiona quasi come se i “fatti” fossero lì, neutri, a
consentire di saggiare la validità del costrutto teorico; dal che consegue un
ammirato stupore nel verificare quanto lo sviluppo delle forze produttive
tratteggiato da Marx nel Manifesto assomigli al nostro presente. E’ evidente,
peraltro, che, visto che i fatti neutri non lo sono mai, in questo modo ci si
ritrova pressoché sempre a spacciare come non problematica la ricostruzione
dominante della realtà attuale, e ci si limita a rivestire l’interpretazione di
senso comune di una retorica radicale - tanto più radicale, in effetti, quanto
più la descrizione prevalente di come stanno le cose nega qualsiasi possibilità
di intervento alle classi dominate.
domenica 27 marzo 2016
Complessità comuniste, intervista a Stefano Garroni
Per una migliore fruizione audio/video si consiglia di modificare le impostazioni del video (velocità 1,25)
LA FILOSOFIA NON E' VANILOQUIO: https://www.youtube.com/watch?v=E7B7JHIZuJE
sabato 26 marzo 2016
Migranti e keynesismo militare* - Guglielmo Carchedi
*Da: http://www.sinistrainrete.info/
I. Nella discussione attuale sugli immigrati si
fa una distinzione tra migranti economici e rifugiati politici. Solo i
rifugiati politici dovrebbero essere accolti per ragioni umanitarie. I migranti
economici dovrebbero essere messi in prigione (come proposto dal partito
razzista olandese) o accolti a fucilate (come proposto dal partito razzista
tedesco). La distinzione tra rifugiati politici ed economici è falsa, ipocrita
e cinica. Se le guerre creano povertà, i rifugiati politici sono anche migranti
economici. E se i migranti economici scappano dalla disoccupazione e dalla
povertà creata dalle guerre, i migranti economici sono anche rifugiati
politici. Tutti devono essere accolti per ragioni umanitarie.
Gli xenofobi e razzisti nostrani se ne fregano delle ragioni
umanitarie. Per loro i migranti economici dovrebbero essere respinti perché
essi ruberebbero il lavoro agli Italiani. Falso. L'Italia è un paese a forte
decrescita. La presenza degli immigrati è tale che se improvvisamente domani
partissero, il paese andrebbe a rotoli. Senza gli immigrati, interi settori
fallirebbero e molti italiani perderebbero il loro lavoro.
Ma, proseguono i beceri difensori del patrio suolo, se non
ci fossero stati gli immigrati, quei lavori sarebbero andati ai lavoratori
Italiani. Questo è il tipico esempio in cui si dà la colpa alla vittima. La
questione è: chi ruba il lavoro agli Italiani? Non certo gli immigrati. Sono
certi imprenditori che, approfittandosi della debolezza contrattuale degli
immigrati, possono assumerli illegalmente o comunque a salari inferiori a
quelli che dovrebbero pagare ai lavoratori Italiani. Gli immigrati sono
le vittime, non i colpevoli. I colpevoli della disoccupazione degli
Italiani sono quegli imprenditori Italiani che assumono immigrati invece di
Italiani. Sono gli imprenditori che rubano il lavoro agli Italiani per
darlo agli immigrati, non sono gli immigrati che rubano lavoro ai lavoratori
italiani. E sono gli imprenditori che rubano una parte del salario agli
immigrati pagandoli salari inferiori se non infimi.
II. Queste e altre menzogne sono facilmente
contestabili. Più difficile da confutare è un'altra menzogna, tanto subdola
quanto insidiosa. Essa riguarda il Keynesismo militare e cioè i supposti
effetti benefici, sia per il capitale che per il lavoro, delle spese militari
indotte dallo stato e del loro effetto a cascata in tutta l'economia. Questo
effetto a cascata è chiamato il moltiplicatore keynesiano. Quando applicato
alle spese militari esso serve a razionalizzare le guerre (sul suolo altrui,
ovviamente). È quindi necessario esaminare la logica della teoria del
Keynesismo militare e rivelarne sia gli errori concettuali che il contenuto di
classe.
È chiaro che è il capitale che ha generato l'attuale ondata
migratoria creando e fomentando le guerre che sono alla sua origine. Le guerre
fomentate dai paesi imperialisti richiedono armi che i suddetti paesi sono ben
lieti di produrre e esportare.
venerdì 25 marzo 2016
La nuova frontiera del precariato: i buoni lavoro* - Marta Fana
*Da: http://www.econopoly.ilsole24ore.com/
Leggi la scheda: http://www.eticaeconomia.it/la-nuova-frontiera-del-precariato-i-buoni-lavoro/
Leggi anche: http://www.wikilabour.it/voucher.ashx
Marta Fana descrive l'evoluzione normativa e le evidenze disponibili sul sistema dei buoni lavoro (i voucher). Fana sottolinea che le riforme del mercato del lavoro hanno costantemente liberalizzato il lavoro accessorio fino ad estenderlo a tutti i settori e ricorda che il Jobs Act ha aumentato i massimali di reddito percepibili. Esaminando i dati Fana documenta la crescita esplosiva dell’uso dei voucher: soltanto nel 2015 ne sono stati venduti più di 71 milioni e i lavoratori, soprattutto giovani, interessati da questa nuova forma di lavoro precario, sono oltre un milione.
Leggi la scheda: http://www.eticaeconomia.it/la-nuova-frontiera-del-precariato-i-buoni-lavoro/
Leggi anche: http://www.wikilabour.it/voucher.ashx
Marta Fana descrive l'evoluzione normativa e le evidenze disponibili sul sistema dei buoni lavoro (i voucher). Fana sottolinea che le riforme del mercato del lavoro hanno costantemente liberalizzato il lavoro accessorio fino ad estenderlo a tutti i settori e ricorda che il Jobs Act ha aumentato i massimali di reddito percepibili. Esaminando i dati Fana documenta la crescita esplosiva dell’uso dei voucher: soltanto nel 2015 ne sono stati venduti più di 71 milioni e i lavoratori, soprattutto giovani, interessati da questa nuova forma di lavoro precario, sono oltre un milione.
Il rapporto del
ministero del Lavoro e dell’Inps sull’uso dei voucher pubblicato oggi
approfondisce parzialmente alcuni temi e questioni sollevate nel corso dei mesi
sulla progressiva, e inarrestabile, diffusione di questo strumento di
regolazione delle prestazioni di lavoro occasionali.
Eravamo rimasti al numero di voucher venduti nel 2015:
114.921.574. Oggi sappiamo che i lavoratori che hanno ricevuto almeno un
voucher sono 1.392.906, erano 24.437 nel 2008, anno di introduzione dei voucher
per alcune attività legate al settore dell’agricoltura. Poco più della metà
sono donne, mentre nella distribuzione anagrafica continua l’ascesa degli under
25 interessati dal lavoro accessorio: rappresentavano poco più del 15% nel
2008, mentre a fine 2015 costituiscono il 31% dei percettori di voucher.
Inoltre, l’importo medio percepito nell’anno dai più giovani voucheristi è di
554 euro contro i 700 degli over 65, che rappresentano solo il 3,9 percento dei
percettori. Da questo primo dettaglio non è tuttavia possibile capire se il
minor reddito dei giovani dipenda da un minore ammontare di ore lavorate per
prestazioni occasionali oppure perché soggetti più frequentemente a lavoro
irregolare.
Un dettaglio necessario, che purtroppo manca e rende
difficile non soltanto la comprensione del fenomeno ma in un certo senso indebolisce
“l’intenzione e la volontà del Governo e del ministero di combattere ogni forma
di illegalità e di precarietà nel mercato del lavoro e di colpire tutti i
comportamenti che sfruttano il lavoro ed alterano una corretta concorrenza tra
le imprese”. Scorrendo gli ulteriori approfondimenti presenti nel breve
rapporto, è evidente che lo sforzo sin qui fatto da Lavoro e Inps è solo
parziale.
mercoledì 23 marzo 2016
martedì 22 marzo 2016
Dialoghi di profughi V* - Bertolt Brecht
LE MEMORIE DI ZIFFEL,
PARTE II. – VITA DIFFICILE DEI GRANDI UOMINI. – SE IL COMEDIAVOLOSICHIAMA
POSSEGGA UN PATRIMONIO.
Quando Ziffel e Kalle si incontrarono di nuovo, Ziffel
aveva pronto un altro capitolo delle sue memorie.
ZIFFEL (Legge) «Io sono fisico
di professione. Un ramo della fisica, la meccanica, ha grande importanza nella
vita moderna; eppure personalmente ho poco a che fare con i macchinari. Anche quelli
tra i miei colleghi che danno qualche suggerimento agli ingegneri per la
costruzione degli Stukas, e questi stessi ingegneri, lavorano circa tanto
pacificamente e lontano dal mondo quanto, per esempio, un alto funzionario
delle ferrovie.
«Circa dieci anni della mia vita li trascorsi in un istituto
sito in una zona tranquilla e ricca di giardini. Mangiavo in un ristorante lì
vicino. Una donna a ore mi teneva in ordine l’appartamento. Le mie amicizie
erano tra colleghi.
«Vivevo la vita tranquilla di un animale intellettuale. Come
ho già detto, avevo frequentato una scuola decente, e in più godevo di certi
privilegi, forse non grandi, ma pur sempre tali da fare una bella differenza.
Essendo di «buona famiglia», ricevetti, grazie ai notevoli sacrifici finanziari
dei miei genitori, un’educazione che mi procurò una vita ben diversa da quella
che conducevano intorno a me milioni di poveri diavoli. Ero incontestabilmente
un «signore», e come tale potevo fare pasti caldi varie volte al giorno,
fumare, andare a teatro la sera e fare bagni a volontà. Le mie scarpe erano leggere;
i miei pantaloni non erano sacchi di farina. Ero in grado di apprezzare un
quadro, e un brano di musica non mi metteva in imbarazzo. Se mi soffermavo a
parlare del tempo con la donna delle pulizie, questo era considerato prova di
spirito umanitario.
«I tempi erano relativamente tranquilli. Il governo della
Repubblica non era né buono, né cattivo, e quindi in complesso piuttosto buono,
dato che si occupava soltanto delle sue proprie faccende, come assegnazione di
posti ecc., e lasciava più o meno in pace la gente, che aveva a che fare con
esso solo indirettamente e che costituiva il popolo. In ogni modo, con le mie
naturali disposizioni, quali che fossero, riuscivo più o meno a cavarmela.
Naturalmente, per essere esatti, nella mia professione e nella situazione
generale non andava proprio tutto liscio. Ogni tanto qualche indispensabile
cattiveria, o verso una donna, o verso qualche collega; ogni tanto
qualche debolezza; ma in fondo nulla che io non potessi facilmente superare,
come ogni altro mio pari. Purtroppo, però, la Repubblica aveva i giorni
contati.
«Non ho né l’intenzione né la capacità di tracciare un
quadro dell’improvviso e pauroso aumento della disoccupazione e del generale
impoverimento, né tanto meno di indicare quali fossero le forze che erano qui
all’opera. Il lato più inquietante di questa minacciosa situazione era proprio
che non si riusciva a scoprire da nessuna parte le cause di tale repentino
peggioramento.
lunedì 21 marzo 2016
DIALOGO SOPRA UN MINIMO SISTEMA DELL’ECONOMIA, a proposito della concezione di Sraffa e degli “economisti in libris” suoi discepoli * - Gianfranco Pala e Aurelio Macchioro
Questo articolo, Dialogo sopra un minimo sistema
dell’economia – a proposito della concezione di Sraffa e degli “economisti in
libris” suoi discepoli, fu messo insieme, sistemato e redatto da
Gianfranco Pala, per la rivista Marxismo oggi, 3, Milano 1993. La parafrasi
del Dialogo galileiano qui scelta trae spunto da una serie di
circostanze. Innanzitutto, è da considerare in maniera un po’ sarcastica
l’esagerata importanza che, per seguir le mode, negli anni trascorsi fu data
all’opera di Sraffa che, conseguentemente è stata qui definita come “sistema
minimo” dell’economia; all’opposto, ma forse proprio per quell’esagerazione
pregressa, è altrettanto ingiustificata la dimenticanza in cui essa è stata poi
gettata, tanto più se la si compara con le “nuove” mode dell’economia
neoliberista dai “tratti demenziali”, come la connoterebbe Brecht. Tuttavia,
l’abbandono e la successiva sedimentazione del dibattito intorno a Sraffa può
oggi costituire un elemento vantaggioso per riparlarne post festum (e post
mortem).
In secondo luogo, per ciò che interessa maggiormente i
comunisti, vi è da soppesare il ruolo, che è stato attribuito alla teoria di
Sraffa e alla “sraffologia” in genere, da giocare contro il marxismo in
un supponente “superamento” o “approfondimento” o “rafforzamento” o
“miglioramento” di quest’ultimo; e quel ruolo, in quanto assegnato allo
sraffismo nei caldi anni 1960\70 in Italia, ha da essere guardato con legittimo
sospetto, in quanto l’ideologia dominante, mascherata a sinistra, cercava di
accreditare così la presunta “crisi del marxismo”, epperò presentandola dal di
dentro di quella che veniva suggerita come una delle possibili letture
del “marxismo-senza-Marx”. Ora, in una riflessione sul marxismo in Italia
nell’ultimo mezzo secolo e più, questo “dialogo” su Sraffa può contribuire a
diradare le nebbie di quella confusione, risarcendo anche il marxismo
italiano nella critica dell’economia politica.
Non è un caso che in quegli anni, anche nella cultura di
“sinistra”, il tentativo di distinguere nettamente Marx da Sraffa (e da
Ricardo, ma anche lo stesso Ricardo da Sraffa, nei termini della teoria del
valore e del plusvalore) fu minoritario ed emarginato – avendo “avuto ben
poca eco, sopraffatto dal miracolo sraffiano”, per dirla con Macchioro –
al punto da non ricevere mai adeguata risposta dalla “sraffolalia” prevalente,
adagiata nel solco del revisionismo [le “celebrazioni sraffiane”, allora pel
decennale della di lui morte, non contemplano di fatto alcun possibile
intervento critico marxesco sulla sua opera, venendo escluse a priori].
Quindi, la censura di quelle pochissime diverse opinioni e interpretazioni che
rammenta – alla lontana e in maniera farsesca, certo, fatte le
proporzioni storiche e scientifiche – toni da sant’inquisizione accademica,
suggeriscono istintivamente, in terzo luogo, la loro esposizione nella forma
del dialogo galileiano.
domenica 20 marzo 2016
FRANCESCO VALENTINI, SOLUZIONI HEGELIANE* - Carla Maria Fabiani
"L'assoluto
è fra noi", quest'espressione significa che le concezioni che fino a Hegel
si sono avute dell'assoluto come di un qualcosa di non interamente dominabile
dall'uomo, ormai sono comprese e, essendo comprese, liberano l'uomo dal timore
che ci possa essere un qualcosa, un assoluto che lo trascenda o addirittura in
qualche modo lo minacci. L'assoluto è fra noi, ma non per questo l'assoluto è
compiuto; è cioè compiuta una concezione errata dell'assoluto, ma il sapere è
un sapere sempre totalmente aperto. (F. Valentini)
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/01/la-legge-la-liberta-la-grazia-remo_29.html ù
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/12/hegel-e-la-dialettica-remo-bodei.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/01/la-civetta-e-la-talpa-il-concetto-di.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/09/hegel-la-dialettica-valerio-verra.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/03/hegel-e-la-sua-fenomenologia-fulvio-papi.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/08/hegel-la-comprensione-dellintero-carlo.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/05/hegel-il-sistema-antonio-gargano.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/04/soggetto-oggetto-commento-hegel-remo.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/05/del-ragionamento-dialettico-stefano.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/05/liberta-e-necessita-hegel-sartre.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/08/il-riconoscimento-in-hegel-carla-maria.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/06/hegel-la-ragione-come-mondo-costantino.html
https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/07/il-senso-della-politica-francesco.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/12/hegel-e-la-dialettica-remo-bodei.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/01/la-civetta-e-la-talpa-il-concetto-di.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/09/hegel-la-dialettica-valerio-verra.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/03/hegel-e-la-sua-fenomenologia-fulvio-papi.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/08/hegel-la-comprensione-dellintero-carlo.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/05/hegel-il-sistema-antonio-gargano.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/04/soggetto-oggetto-commento-hegel-remo.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/05/del-ragionamento-dialettico-stefano.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/05/liberta-e-necessita-hegel-sartre.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/08/il-riconoscimento-in-hegel-carla-maria.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/06/hegel-la-ragione-come-mondo-costantino.html
https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/07/il-senso-della-politica-francesco.html
"La fenomenologia dello spirito nel pensiero si Hegel" - Francesco Valentini (https://www.teche.rai.it/1990/06/la-fenomenologia-dello-spirito-nel-pensiero-hegel/)
Francesco Valentini, Soluzioni hegeliane, Milano, Guerini e Associati 2001
*Da: www.filosofia.it
L'oggettività è così quasi soltanto un involucro sotto il quale si trova nascosto il concetto. Nel finito non possiamo vedere o esperire che il fine viene veramente raggiunto. L'attuazione del fine infinito consiste così soltanto nel superare l'illusione che ancora non sia attuato. Il bene, ciò che è assolutamente bene, si compie eternamente nel mondo, e il risultato è che esso è già compiuto in sé e per sé, e non ha bisogno di aspettare noi. È questa l'illusione in cui viviamo e, al tempo stesso, è quest'illusione soltanto la forza operante su cui riposa l'interesse del mondo. [Soluzioni...p.233n]
Torneremo, nel corso di questa breve recensione, sull'idea
hegeliana del Bene e la sua genesi, seguendo il prezioso e limpido commento di
Francesco Valentini. Emergerà, in chi si appresta a leggere Soluzioni
hegeliane, l'esigenza di comprendere il pensiero di Hegel a partire da Hegel, e
al contempo l'esigenza sarà pienamente soddisfatta. Sarà, per es., soddisfatta
l'esigenza di chi voglia comprendere il realismo hegeliano, la soluzione
offerta da Hegel al problema kantiano del Bene e della sua realizzazione; il
lettore interessato, perciò, sospenda inizialmente il giudizio, se accogliere o
meno le soluzioni proposte da Hegel, e segua fino in fondo la traccia che F.
Valentini disegna così lucidamente attraverso tutta l'opera del filosofo.
MARX dopo MARX, da Engels a Labriola.* - Renato Caputo
*Da: Università
Gramsci
Sindacalismo rivoluzionario di Sorel- il marxismo
rivoluzionario di Lenin e il dibattito sull'eredità leninista: https://www.youtube.com/watch?v=MLe_0zBB5Lw
Il dibattito sull'eredità leninista - Stalin - Trockij - il marxismo
nel Terzo Mondo - Introduzione a Gramsci: https://www.youtube.com/watch?v=BS0rMehI-Wg
Antonio Gramsci: Quaderni del carcere. Introduzione a Jean
Paul Sartre: https://www.youtube.com/watch?v=jyP5a2Rycag
J. P. Sartre: La difficile sintesi fra marxismo ed
esistenzialismo; Utopia e speranza: il marxismo di Ernst Bloch: https://www.youtube.com/watch?v=VYMnbfnmxV8
Vedi lezioni precedenti: http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/02/il-giovane-marx-renato-caputo_28.html
giovedì 17 marzo 2016
Il significato della supremazia bianca oggi. Racconto della conferenza di Angela Davis* - Coll. Militant
*Da: http://www.militant-blog.org/
«Non sono più iscritta al partito comunista, ma sono ancora comunista».
Questa una delle affermazioni di Angela Davis durante la lezione magistrale che ha tenuto lunedì scorso all’Università di Roma Tre. Parole decise, prive di ipocrisia e senza toni attenuati, pronunciate in risposta all’intervento polemico del germanista Marino Freschi, che – e la frecciatina anticomunista nelle sue affermazioni era palese – evidenziava i rapporti di Davis con Erich Honecker, segretario della Sed (il partito comunista della Repubblica democratica tedesca) e poi presidente della Ddr, e l’esistenza di una foto che la ritrae con sua moglie Margot. La foto in questione, che vede anche la presenza della cosmonauta sovietica Valentina Tereshkova, è del 4 agosto 1973, pochi giorni dopo la morte di Walter Ulbricht, fino ad allora presidente della Ddr con pochi poteri effettivi: Freschi non ha potuto fare a meno di fare un po’ di polemica, dicendo che Honecker aveva tenuto nascosta questa morte perché allora nella Ddr non si poteva dire la verità. La dichiarazione di Davis di essere ancora comunista e l’affermazione precedente sulla possibilità di un futuro socialista («Non solo perché non ci sono più paesi socialisti dobbiamo pensare che non ci sarà più un mondo socialista in futuro», ma andiamo a memoria) assumono, in questo contesto ufficiale, ancora più valore.
Queste parole, infatti, sono state pronunciate da Davis nell’aula magna della facoltà di Lettere dell’Università di Roma Tre, nel corso di un incontro ufficiale organizzato dall’istituzione universitaria. Le cinquecento poltrone dell’aula non sono bastate a contenere tutto il pubblico, composto in gran parte di compagne e compagne, e molti si sono seduti a terra o sono rimasti in piedi. Era la prima volta che quell’aula era così piena, come ha notato il rettore dell’Università Mario Panizza in una pantomima introduttiva in cui, probabilmente per fare bella figura con l’ospite straniera, invitava a continuare a leggere Marx.
A riempirla per la prima volta, a quanto pare, è dunque riuscita proprio Angela Davis: e ciò dimostra come la forza del suo esempio e di quello del Black Panther Party sia ancora forte tra i compagni. Militante del Partito comunista dal 1968 e, in seguito, del BPP (almeno fino a quando le pantere nere decisero che la militanza nell’organizzazione non era compatibile con quella in altri partiti e Davis scelse il partito comunista), a lungo imprigionata per “terrorismo” a causa soprattutto dei suoi rapporti con George Jackson, e poi liberata dopo una vastissima campagna internazionale, Angela Davis è oggi docente universitaria e attiva nel movimento Black Lives Matter (BLM): da molto tempo è impegnata nello studio delle interconnessioni tra classe, razza e genere e, negli ultimi anni, nella lotta per l’abolizione del carcere. Una figura di militante politica comunista importantissima, oggi come quarantacinque anni fa, a dispetto della scandalosa “breve biografia” pubblicata sul sito di Roma Tre, in cui la sua figura è stata quasi completamente depoliticizzata, la sua militanza ridotta a “coinvolgimento” (??) «nei movimenti per la giustizia sociale in tutto il mondo grazie al suo attivismo e al suo impegno decennale» e la sua persona presentata come una che «con il suo lavoro di educatrice – sia a livello universitario che nell’ambito pubblico più ampio – ha sempre sostenuto l’importanza di costruire comunità militanti per la giustizia economica, razziale e di genere» (con il suo lavoro di educatrice??). Una depoliticizzazione così ricercata che, nell’elenco delle sue pubblicazioni, è persino scomparsa la sua Autobiografia di una rivoluzionaria: forse il titolo sembrava troppo estremista. Una depoliticizzazione che fa il paio con l’intervista a Davis di Antonio Gnoli uscita su «Repubblica», che non ha saputo far meglio che chiedere alla militante afroamericana dei suoi incontri con Adorno e Marcuse, della musica, del suo giudizio sul post-moderno, della sua infanzia.
«Non sono più iscritta al partito comunista, ma sono ancora comunista».
Questa una delle affermazioni di Angela Davis durante la lezione magistrale che ha tenuto lunedì scorso all’Università di Roma Tre. Parole decise, prive di ipocrisia e senza toni attenuati, pronunciate in risposta all’intervento polemico del germanista Marino Freschi, che – e la frecciatina anticomunista nelle sue affermazioni era palese – evidenziava i rapporti di Davis con Erich Honecker, segretario della Sed (il partito comunista della Repubblica democratica tedesca) e poi presidente della Ddr, e l’esistenza di una foto che la ritrae con sua moglie Margot. La foto in questione, che vede anche la presenza della cosmonauta sovietica Valentina Tereshkova, è del 4 agosto 1973, pochi giorni dopo la morte di Walter Ulbricht, fino ad allora presidente della Ddr con pochi poteri effettivi: Freschi non ha potuto fare a meno di fare un po’ di polemica, dicendo che Honecker aveva tenuto nascosta questa morte perché allora nella Ddr non si poteva dire la verità. La dichiarazione di Davis di essere ancora comunista e l’affermazione precedente sulla possibilità di un futuro socialista («Non solo perché non ci sono più paesi socialisti dobbiamo pensare che non ci sarà più un mondo socialista in futuro», ma andiamo a memoria) assumono, in questo contesto ufficiale, ancora più valore.
Queste parole, infatti, sono state pronunciate da Davis nell’aula magna della facoltà di Lettere dell’Università di Roma Tre, nel corso di un incontro ufficiale organizzato dall’istituzione universitaria. Le cinquecento poltrone dell’aula non sono bastate a contenere tutto il pubblico, composto in gran parte di compagne e compagne, e molti si sono seduti a terra o sono rimasti in piedi. Era la prima volta che quell’aula era così piena, come ha notato il rettore dell’Università Mario Panizza in una pantomima introduttiva in cui, probabilmente per fare bella figura con l’ospite straniera, invitava a continuare a leggere Marx.
A riempirla per la prima volta, a quanto pare, è dunque riuscita proprio Angela Davis: e ciò dimostra come la forza del suo esempio e di quello del Black Panther Party sia ancora forte tra i compagni. Militante del Partito comunista dal 1968 e, in seguito, del BPP (almeno fino a quando le pantere nere decisero che la militanza nell’organizzazione non era compatibile con quella in altri partiti e Davis scelse il partito comunista), a lungo imprigionata per “terrorismo” a causa soprattutto dei suoi rapporti con George Jackson, e poi liberata dopo una vastissima campagna internazionale, Angela Davis è oggi docente universitaria e attiva nel movimento Black Lives Matter (BLM): da molto tempo è impegnata nello studio delle interconnessioni tra classe, razza e genere e, negli ultimi anni, nella lotta per l’abolizione del carcere. Una figura di militante politica comunista importantissima, oggi come quarantacinque anni fa, a dispetto della scandalosa “breve biografia” pubblicata sul sito di Roma Tre, in cui la sua figura è stata quasi completamente depoliticizzata, la sua militanza ridotta a “coinvolgimento” (??) «nei movimenti per la giustizia sociale in tutto il mondo grazie al suo attivismo e al suo impegno decennale» e la sua persona presentata come una che «con il suo lavoro di educatrice – sia a livello universitario che nell’ambito pubblico più ampio – ha sempre sostenuto l’importanza di costruire comunità militanti per la giustizia economica, razziale e di genere» (con il suo lavoro di educatrice??). Una depoliticizzazione così ricercata che, nell’elenco delle sue pubblicazioni, è persino scomparsa la sua Autobiografia di una rivoluzionaria: forse il titolo sembrava troppo estremista. Una depoliticizzazione che fa il paio con l’intervista a Davis di Antonio Gnoli uscita su «Repubblica», che non ha saputo far meglio che chiedere alla militante afroamericana dei suoi incontri con Adorno e Marcuse, della musica, del suo giudizio sul post-moderno, della sua infanzia.
mercoledì 16 marzo 2016
Sull'uso capitalistico delle macchine nel neocapitalismo* - Raniero Panzieri
*Da: http://www.antiper.org/
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/10/panzieri-tronti-negri-le-diverse.html
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/10/panzieri-tronti-negri-le-diverse.html
"La stessa
facilità del lavoro diventa un mezzo di tortura, giacché la macchina non libera
dal lavoro l'operaio, ma toglie il contenuto al suo lavoro. E' fenomeno comune
a tutta la produzione capitalistica in quanto non sia soltanto processo
lavorativo, ma anche processo di valorizzazione del capitale, che non è
l'operaio ad adoprare la condizione del lavoro ma viceversa, la condizione del
lavoro ad adoperare l'operaio; ma questo capovolgimento viene ad avere soltanto
con le macchine una realtà tecnicamente evidente. Mediante la sua
trasformazione in macchina automatica il mezzo di lavoro si contrappone
all'operaio durante lo stesso processo
lavorativo quale capitale, quale lavoro morto che domina e succhia la
forza-lavoro vivente." (K. Marx, Il
Capitale)
Lo sviluppo capitalistico
della tecnologia comporta, attraverso le diverse fasi della razionalizzazione,
di forme sempre più raffinate di integrazione ecc., un aumento crescente del
controllo capitalistico. Il fattore fondamentale di questo processo è il
crescente numero del capitale costante rispetto al capitale variabile. Nel
capitalismo contemporaneo, come è noto, la pianificazione capitalistica si
ampia smisuratamente con il passaggio a forme monopolistiche e oligopolistiche,
che implicano il progressivo estendersi della pianificazione dalla fabbrica al
mercato, all'area sociale esterna.
Nessun "oggettivo" occulto fattore, insito negli
aspetti di sviluppo tecnologico o di programmazione nella società capitalistica
di oggi, esiste, tale da garantire lì"automatica" trasformazione o il
"necessario" rovesciamento dei rapporti esistenti. Le nuove
"basi tecniche"via via raggiunte nella produzione costituiscono per
il capitalismo nuove possibilità di consolidamento
del suo potere. Ciò non significa, naturalmente, che non si accrescano nel
contempo le possibilità di rovesciamento del sistema. Ma queste possibilità
coincidono con il valore totalmente eversivo che, di fronte all'"ossatura
oggettiva" sempre più indipendente del meccanismo capitalistico, tende ad
assumere "l'insubordinazione operaia".
martedì 15 marzo 2016
domenica 13 marzo 2016
La "Storia del marxismo" curata da Stefano Petrucciani* - Con una lettura di Roberto Finelli
*Da: http://materialismostorico.blogspot.it/
Stefano Petrucciani Manifesto 8.12.2015
Obiettivo dei tre
volumi della Storia del marxismo è tracciare una mappa delle molte avventure di
pensiero che, a partire dal 1883, anno della morte di Marx, si sono dipanate
prendendo le mosse dalla sua eredità. Ripercorrere quasi un secolo e mezzo di
storia intellettuale, come i tre volumi cercano di fare, può essere utile anche
per contestualizzare ciò che di nuovo si viene scoprendo, attorno alle
questioni marxiane, nella ripresa di studi su Marx alla quale assistiamo da
qualche anno.
I. Socialdemocrazia, revisionismo, rivoluzione (1848-1945)
II. Comunismi e teorie critiche nel secondo Novecento
III. Economia, politica, cultura: Marx oggi
III. Economia, politica, cultura: Marx oggi
L’impatto che Karl Marx ha avuto sulla storia del XIX e del
XX secolo è stato così forte da non poter essere paragonato a quello di nessun
altro pensatore. Solo i fondatori delle grandi religioni hanno lasciato alla
storia del mondo una eredità più grande, influente e persistente di quella che
si deve al pensatore di Treviri. Ma per capire che tipo di influenza ha avuto
la figura di Marx sulla storia del suo tempo e di quello successivo, bisogna
mettere a fuoco un aspetto che concorre con altri a determinarne la
singolarità: l’attività di Marx si è caratterizzata per il fatto che Marx è
stato al tempo stesso un pensatore e un organizzatore/leader politico, e di
statura straordinaria in entrambi i campi. Notevolissima è stata la ricaduta
che le sue teorie hanno avuto sul pensiero sociale, filosofico e storico, ma
ancor più grande, anche se non immediato, è stato l’impatto che la sua attività
di dirigente politico (dalla stesura del Manifesto del Partito Comunista alla
fondazione della Prima Internazionale) ha lasciato alla storia
successiva.
Certo, una duplice dimensione di questo tipo non appartiene
solo a Marx: la si può anche ritrovare in grandi leader che furono suoi
antagonisti, da Proudhon a Mazzini a Bakunin. Ma in Marx entrambe le
dimensioni, quella della costruzione teorica e quella della visione politica,
attingono una potenza che manca a questi suoi pur importanti antagonisti. Sul
piano della organizzazione politica dall’attività di Marx sono infatti
derivati, nel tempo e attraverso complesse mediazioni, i partiti
socialdemocratici e poi quelli comunisti che hanno inciso così largamente nella
storia del Novecento. Sul piano teorico, invece, Marx ha influenzato, e
continua a segnare ancora oggi, una parte non trascurabile della cultura che
dopo di lui si è sviluppata.
La forza degli inediti
Un aspetto di questa duplice eredità di Marx è stato proprio
quello che si suole definire «marxismo». Anche la realtà politico-culturale che
si designa con questo termine è stata qualcosa di assai singolare perché ha
avuto una duplice natura: da un lato è stata una corrente culturale presente in
modo più o meno intenso nei vari ambiti disciplinari, dall’altro è stata anche
il riferimento «statutario» di partiti e organizzazioni politiche (socialiste o
comuniste): cosicché le discussioni sul marxismo per un verso si sono dipanate
come un libero dibattito culturale, per altro verso sono state un elemento
della lotta politica tra frazioni e gruppi all’interno del movimento operaio e
dei suoi partiti.
Ma che rapporto c’è tra il pensiero Marx e il «marxismo»? Un
primo aspetto che deve essere messo a fuoco, se si vuole ragionare su questo
punto, è che la conoscenza e la diffusione dell’opera di Marx è stata, durante
la sua vita e nel tempo immediatamente successivo, decisamente molto limitata.
Anzi si potrebbe dire che, su questo tema, viene alla luce una sorta di
contraddizione. Colui che è divenuto la fonte ispiratrice di un «ismo», e cioè
di qualcosa che comporta inevitabilmente una certa dogmatizzazione, aveva con
la propria opera un rapporto decisamente molto critico e problematico.
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