Pubblicato su “Materialismo Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane", n° 2/2017, licenza Creative Commons BY-NC-ND 4.0
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1. La questione tedesca nel movimento comunista
Nel
movimento operaio internazionale, la questione tedesca e le sue
possibili ricadute sulle prospettive generali della rivoluzione
socialista in Europa hanno costituito un argomento tradizionalmente
assai dibattuto. Come faceva notare Pierre Broué, riportando nelle
pagine iniziali della sua celebre opera sulla – mancata –
rivoluzione tedesca le ottimistiche previsioni letterarie di
Preobrazhenskij e gli auspici politici di Zinovev1,
è un dibattito che si è fatto però tanto più necessario e intenso
con l’Ottobre e soprattutto negli anni successivi alla conclusione
della Prima guerra mondiale, in ragione delle profonde trasformazioni
politiche che si erano verificate in Germania dopo la sconfitta e la
caduta del Kaiser e nel contesto di un conflitto civile dalle
conseguenze imprevedibili. Un conflitto a intensità variabile ma
pressoché ininterrotto, le cui incontrollabili esplosioni – ora a
destra, ora a sinistra – sembravano certamente porre le basi per la
rottura definitiva di quell’ordine borghese del quale la
socialdemocrazia, nelle analisi dei bolscevichi, si era fatta garante
a Weimar. Ma che rischiavano al tempo stesso di condurre ad un esito
decisamente diverso da quello che ancora dopo il Terzo congresso il
Comintern riteneva comunque prossimo, come sarebbe in effetti
accaduto in Italia con la presa del potere da parte del fascismo nel
1922 2.
In
realtà, sappiamo bene che lo sguardo sulla Germania coincide in un
certo senso con l’atto di nascita stesso del partito comunista
moderno. «I comunisti rivolgono la loro attenzione sopratutto alla
Germania», avevano spiegato Marx e Engels sin dal 1848 e in un
contesto assai diverso, «perché la Germania è alla vigilia d'una
rivoluzione borghese e perché essa compie questo rivolgimento in
condizioni di civiltà generale europea più progredite e con un
proletariato molto più evoluto che non l'Inghilterra nel
Diciassettesimo secolo e la Francia nel Diciottesimo»3.
Ragion per cui, concludevano, «la rivoluzione borghese tedesca può
essere soltanto l'immediato preludio d'una rivoluzione proletaria»
destinata a propagarsi in tutta Europa. E questa impostazione assai
ottimistica ritornava ancora nella prefazione alla seconda edizione
russa del 1882, sfrondata del precedente meccanicismo ma con parole
non dissimili: un’eventuale «rivoluzione russa» sarebbe stata
ovviamente importante; ma poiché non era di certo possibile affidare
l’affermazione del comunismo alla «comunità rurale», il suo
valore sarebbe consistito in primo luogo nel funzionare come «segnale
a una rivoluzione operaia in occidente, in modo che entrambe si
completino»4. Ancora
nel 1892, poi, come sempre Pierre Broué ricorda, il vecchio Engels
si aspettava che la Germania fosse «al centro del campo di battaglia
nel quale borghesia e proletariato si sarebbero fronteggiati nella
lotta finale»5.
Adesso,
dopo Versailles, la Germania era ancora il cuore della rivoluzione
europea, come i padri fondatori avevano ritenuto? Costituiva cioè
quel diaframma geopolitico strategico la cui rottura avrebbe
consentito una risoluzione agevole dello scontro tra gli antagonisti
di classe su scala continentale e l’insediamento del socialismo in
uno dei centri nevralgici più progrediti del mondo capitalistico,
spingendo «alla conquista immediata del potere»6 (la
«lega Spartaco» occupava non casualmente il primo posto nell’elenco
dei convocati presente nella Lettera d’invito per il I congresso
dell’Internazionale7)?
Oppure la borghesia tedesca, indebolita dai colpi ricevuti ma proprio
per questo ancor più inferocita, sarebbe riuscita anche in quel
paese a reprimere le forze comuniste e a elaborare, sulla scorta di
una guerra totale che aveva cambiato per sempre la natura della sfera
politica, un regime capitalistico autoritario di nuovo tipo; un nuovo
modello politico che, muovendo dal laboratorio tedesco, si sarebbe
diffuso in Europa con una virulenza ancora maggiore rispetto al
fascismo italiano? E come assicurare la sopravvivenza della stessa
rivoluzione in Russia, se il paese dei soviet fosse rimasto privo di
ogni appoggio e dunque isolato e accerchiato nella sua arretratezza
atavica e nella sua oggettiva debolezza produttiva e militare?











