"Il corpo politico, considerato nella sua individualità, può essere considerato come un corpo organizzato, vivente e simile a quello dell'uomo... La vita dell'uno e dell'altro è l'io comune al tutto, la reciproca sensibilità, la corrispondenza interna di tutte le parti. Se questa comunicazione viene a cessare, se viene meno l'unità formale, se le parti contigue mantengono unicamente un rapporto di giustapposizione, l'uomo è morto e lo stato dissolto" (J:J:Rousseau, Scritti politici, 1, Laterza 1971, pp280-281)
La teoria Marxista poggia la sua forza sulla scienza... che ne valida la verità, e la rende disponibile al confronto con qualunque altra teoria che ponga se stessa alla prova del rigoroso riscontro scientifico... il collettivo di formazione Marxista Stefano Garroni propone una serie di incontri teorici partendo da punti di vista alternativi e apparentemente lontani che mostrano, invece, punti fortissimi di convergenza...
mercoledì 25 febbraio 2015
Freud e l'analogia Psichico-Statuale* - Stefano Garroni
*Da "Su Freud e la morale (L'uomo e la società)" Stefano Garroni, Bulsoni editore
"Il corpo politico, considerato nella sua individualità, può essere considerato come un corpo organizzato, vivente e simile a quello dell'uomo... La vita dell'uno e dell'altro è l'io comune al tutto, la reciproca sensibilità, la corrispondenza interna di tutte le parti. Se questa comunicazione viene a cessare, se viene meno l'unità formale, se le parti contigue mantengono unicamente un rapporto di giustapposizione, l'uomo è morto e lo stato dissolto" (J:J:Rousseau, Scritti politici, 1, Laterza 1971, pp280-281)
"Il corpo politico, considerato nella sua individualità, può essere considerato come un corpo organizzato, vivente e simile a quello dell'uomo... La vita dell'uno e dell'altro è l'io comune al tutto, la reciproca sensibilità, la corrispondenza interna di tutte le parti. Se questa comunicazione viene a cessare, se viene meno l'unità formale, se le parti contigue mantengono unicamente un rapporto di giustapposizione, l'uomo è morto e lo stato dissolto" (J:J:Rousseau, Scritti politici, 1, Laterza 1971, pp280-281)
giovedì 19 febbraio 2015
HEGEL - IL SISTEMA - Antonio Gargano
Il mondo fino alla Rivoluzione francese si è retto su
meccanismi automatici, che sostanzialmente implicano la prevalenza del più
forte, la prevalenza di chi riesce a raccogliere più potere. Hegel vede il
carattere nuovo della nostra epoca nata con la Rivoluzione francese nel fatto
che l’uomo prende nelle proprie mani il processo di sviluppo dei rapporti
sociali e si mette a dirigerlo secondo una progettualità, cioè secondo la
ragione: «Dacché il sole è nel firmamento e i pianeti gli ruotano intorno, non
si era visto che l’uomo poggia sulla testa, cioè sul pensiero, e, in base ad
esso, edifica la realtà [...]. Ora solo l’uomo è arrivato a conoscere che il pensiero deve governare la
realtà spirituale. Fu una splendida aurora. Tutti gli esseri pensanti hanno festeggiato
quest’epoca». L’età contemporanea non si è ancora chiusa, noi viviamo ancora
nell’età aperta dalla Rivoluzione francese. Il processo che Hegel ha visto
iniziare con la Rivoluzione francese non si è ancora compiuto: il mondo umano
non è ancora plasmato, anzi purtroppo è ben lungi dall’essere plasmato dalle
forze della ragione, dalla progettualità razionale. In una filosofia così forte
l’uomo può conoscere tutta la realtà, l’uomo crea una seconda natura, questa
seconda natura può essere modellata pienamente dalla progettualità razionale: è
chiaro che si tratta di una filosofia ottimistica, possibile in un momento di
grande espansione degli orizzonti umani. Quando, nel 1830‑’48, tutto questo fulgore viene meno, si manifesta chiaramente che la
grande speranza dell’emancipazione complessiva dell’umanità non è stata
realizzata; nelle barricate del ’48 per la prima volta la borghesia si vede con
disappunto contrapposta un’altra classe sociale che le è ostile, il
proletariato, e perde la convinzione di poter essere la classe che ha
emancipato l’umanità e l’ha liberata definitivamente, inizia un ripiegamento
che dà luogo a forme di irrazionalismo, all’esistenzialismo, da cui non si è
ancora usciti. [...]
L’Illuminismo ha fallito perché pretendeva di calare ideali
dalla mente dei filosofi nella realtà, invece gli ideali li partorisce la
storia stessa: la storia è autocontraddittoria e genera da sé il nuovo. Questo
è l’aspetto che verrà sviluppato in particolare da Marx. «Ma la separazione
della realtà dall’idea è specialmente cara all’intelletto». La tendenza a
separare reale da razionale è una delle funzioni dell’intelletto, cioè della
facoltà non pienamente matura dell’uomo che tende a vedere le cose come
separate, razionale da una parte e reale dall’altra: la mentalità
illuministica. [...]
lo spirito è l’autoconsapevolezza di sé che la natura
acquisisce nell’uomo, lo spirito è l’uomo razionale. «Questo possesso di sé
dello spirito, questo suo venire a se stesso può dirsi il suo scopo supremo,
assoluto, questo soltanto è il suo ruolo e nient’altro. Tutto ciò che avviene
in cielo ed in terra, che eternamente avviene, la vita di Dio e tutto ciò che
si opera nel tempo, tende soltanto a far sì che lo spirito riconosca se stesso,
che si oggettivi a se stesso, che trovi se stesso, che divenga per sé, che si
ricongiunga con sé. Lo spirito è sdoppiamento, è estraniamento, ma soltanto per
poter ritrovare se stesso». [...]
l’assoluto si rivela nella storia della filosofia, la storia
della filosofia culmina nel pensiero hegeliano, Hegel quindi ha la pretesa di
essere il momento di autorivelazione dell’assoluto. Hegel in qualche modo
questa pretesa l’aveva: lo spirito assoluto culmina nella filosofia e con Hegel
l’assoluto arriva all’autocomprensione di sé, quindi il circolo in qualche modo
si chiude, il sistema hegeliano ha una sua chiusura. Però Hegel non era ignaro
del fatto che altri materiali empirici, altri elementi vitali sarebbero emersi
e avrebbero avuto bisogno di una sintesi ulteriore: si può dire 170 anni dopo
la sua morte che una sintesi ulteriore poi non c’è stata, quindi finora la
filosofia hegeliana rimane la filosofia suprema, cioè la filosofia che è
riuscita meglio a sintetizzare in una strutturazione logica coerente tutto il
pensiero precedente, tutta la comprensione che l’umanità ha avuto della realtà
e del corso storico stesso. Ma si deve rilevare che, se il sistema hegeliano si
può considerare una sintesi, è pur vero che il metodo dialettico implica che
ogni sintesi si riproduce sempre come tesi e dà luogo a un ulteriore sviluppo
storico: Hegel, che è il filosofo del divenire, non pretende di chiudere col
proprio pensiero il divenire, Hegel è un filosofo aperto invece sullo sviluppo
ulteriore della realtà.
mercoledì 18 febbraio 2015
Una risposta alle "Confessioni di un marxista eccentrico" - Aristide Bellacicco
Confesso – ammetto, è meglio dire – di non aver letto
integralmente, fino ad oggi, le “Confessioni” del ministro Varoufakis. Oggi ho
avuto tempo e l’ho fatto. In effetti, queste pagine in cui Varoufakis pone se
stesso al centro di una vicenda storico-esistenziale con risonanze epocali mi
hanno fatto sorgere più di una perplessità.
Le sintetizzo – parzialmente e per punti - qui di seguito.
- 1 Scrive Varoufakis: “Marx aveva fatto una ‘scoperta’ che
deve restare al centro di ogni analisi utile del capitalismo. Era, ovviamente,
la scoperta di un’…opposizione binaria profonda nel lavoro umano. Tra due
‘nature’ molto diverse del lavoro: (i) lavoro come attività di creazione di un
valore che non può mai essere specificato o quantificato in anticipo (e perciò
è impossibile da mercificare) e (ii) lavoro come una quantità (ad esempio il
numero di ore lavorate) che è in vendita e si ottiene a un certo prezzo. E’
questo che distingue il lavoro da altri fattori della produzione, come
l’elettricità: la sua natura doppia, contraddittoria.”
Ora, per quanto mi è noto, la doppia natura del lavoro in
Marx oppone il lavoro in quanto produttore di “ricchezza” (valori d’uso) al
lavoro in quanto produttore di “valore” (rintracciabile nel valore di scambio).
E’ chiaro che il “lavoro come attività di creazione di un valore” non può mai
essere quantificato in anticipo, perché è solo nella realizzazione del
plusvalore (e non nella sua produzione) che viene in chiaro quanto profitto il
capitale sia riuscito o meno a realizzare. D’altra parte, è proprio nella
riduzione del “lavoro” (ma sarebbe meglio dire della “forza- lavoro”) ad una
entità quantificabile che trova la sua ragion d’essere la produzione di valore
(e di plusvalore). E ciò, in Marx, è vero sia sotto il profilo logico che sotto
il profilo storico. Risparmio a tutti, e al buon Varoufakis soprattutto, le
citazioni arcinote in cui questa affermazione trova riscontro.
martedì 17 febbraio 2015
L'ILLUMINISMO DI FREUD* (2)** - Stefano Garroni
*Da "Su Freud e la morale (L'uomo e la società)" Stefano Garroni, Bulsoni editore
**Prima parte:
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/02/lilluminismo-di-freud-stefano-garroni.html
HEGEL - LA FILOSOFIA DEL DIRITTO - Antonio Gargano
«Ciò che è razionale è reale; e ciò che è reale è razionale.
Ogni coscienza ingenua, del pari che la filosofia, riposa in questa
persuasione; e di qui appunto procede alla considerazione dell’universo
spirituale, in quanto universo naturale. Se la riflessione, il sentimento o
qualsiasi aspetto assuma la coscienza soggettiva, riguarda il presente come
cosa vana, lo oltrepassa e conosce di meglio, allora essa si ritrova nel vuoto
e, poichè soltanto nel presente v’è realtà, essa è soltanto vanità. Se, viceversa,
l’idea passa per essere soltanto un’idea, una rappresentazione in un’opinione,
la filosofia al contrario garantisce il giudizio che nulla è reale se non
l’idea. Si tratta allora di riconoscere nell’apparenza del temporaneo e del
transitorio, la sostanza che è immanente e l’eterno che è attuale. Invero il
razionale, il quale è sinonimo di idea, realizzandosi nell’esistenza esterna,
si presenta in un’infinita ricchezza di forme, fenomeni e figure; e circonda il
suo nucleo della spoglia variegata, alla quale la coscienza si sofferma
dapprima e che il concetto trapassa, per trovare il polso interno e per
sentirlo appunto ancora palpitante nelle figure esterne».
«Nella prefazione alla mia Filosofia del diritto, p. XIX si
trovano queste proposizioni. Ciò che è razionale è reale; e ciò che è reale è
razionale. Queste semplici proposizioni son sembrate strane a parecchi, e han
trovato opposizioni anche da tali che non vogliono si metta in dubbio che essi
posseggano filosofia, e di certo, almeno, religione. Per ciò che concerne la
religione, non è necessario tirarla in mezzo in questo dibattito, giacché le
sue dottrine sul divino reggimento del mondo esprimono quelle proposizioni in
modo ben determinato. Per ciò che riguarda il significato filosofico, è da
presupporre tanta coltura che si sappia non solo che Dio è reale, – che è la cosa più reale e che è la cosa
veramente reale, – ma anche, nel
rispetto formale, che l’esistenza è, in parte, apparizione, e solo in parte
realtà. Nella vita ordinaria si chiama a casaccio realtà ogni capriccio,
l’errore, il male e ciò che è su questa linea, come pure ogni qualsiasi
difettiva e passeggiera esistenza. Ma già anche per l’ordinario modo di
pensare, un’esistenza accidentale non meriterà l’enfatico nome di reale: –
l’accidentale è un’esistenza che non ha altro maggior valore di un possibile,
che può non essere allo stesso modo che è. Ma, quando io ho parlato di realtà,
si sarebbe pur dovuto pensare al senso nel quale adopero quest’espressione,
giacché in una mia estesa Logica ho trattato anche della realtà, e l’ho
accuratamente distinta non solo dall’accidentale, che pure ha esistenza, ma
altresì dall’essere determinato, dall’esistenza e da altri concetti. – Alla
realtà del razionale si contrappone, da una parte, la veduta che le idee e gli
ideali non siano se non chimere, e la filosofia un sistema di questi fantasmi
cerebrali; e dall’altra, che le idee e gli ideali siano alcunché di troppo
eccellente per avere realtà, o anche di troppo impotente per procacciarsela. Ma
la separazione della realtà dall’idea è specialmente cara all’intelletto, che
tiene i sogni delle sue astrazioni per alcunché di verace, ed è tutto gonfio
del suo dover essere, che anche nel campo politico va predicando assai
volentieri; quasi che il mondo aspettasse quei dettami per apprendere come
dev’essere, ma non è: che, se poi fosse come dev’essere, dove se n’andrebbe la
saccenteria di quel dover essere? Allorché l’intelletto, col suo dover essere,
si rivolge contro cose, istituzioni, condizioni, ecc., triviali, estrinseche e
passeggiere, che possono anche serbare per un certo tempo e per certe
particolari classi d’uomini una grande importanza relativa, avrà anche ragione,
e troverà in quel caso molte cose che non rispondono ad esigenze giuste ed
universali: chi non possederebbe la pazienza di scoprire, in ciò che lo
circonda, molte cose che in fatto non sono come debbono essere? Ma questa
sapienza ha torto quando immagina di aggirarsi, con siffatti oggetti e col loro
dover essere, nella cerchia degli interessi della scienza filosofica. Questa ha
da fare solo con l’idea, che non è tanto impotente da restringersi a dover
essere solo, e non essere poi effettivamente: ha da fare perciò con una realtà,
di cui quegli oggetti, istituzioni, condizioni, ecc., sono solo il lato esterno
e superficiale».
«Così dunque questo trattato in quanto contiene la scienza
dello Stato, deve essere null’altro se non il tentativo di intendere e
presentare lo Stato come cosa razionale in sé. In quanto scritto filosofico
esso deve restare molto lontano dal dover costruire uno Stato come deve essere.
L’ammaestramento che può trovarsi in esso non può giungere ad insegnare allo
Stato come deve essere, ma piuttosto in qual modo esso deve essere riconosciuto
come universo etico. Intendere ciò che è, è il compito della filosofia, quindi
non dare il dover essere, ma intendere ciò che è, poichè ciò che è è la
ragione, del resto, per quel che si riferisce all’individuo ciascuno è
senz’altro figlio del suo tempo ed anche la filosofia è il proprio tempo
appreso col pensiero. È altrettanto folle pensare che una qualche filosofia
precorra il suo mondo attuale, quanto che ogni individuo si lasci indietro il
suo tempo e salti oltre su Rodi. Se la sua teoria nel fatto oltrepassa questo,
se si costruisce un mondo come deve essere, esso esiste bensí, ma soltanto
nella sua intenzione, in un elemento duttile col quale si lascia plasmare ogni
qualsiasi cosa».
«Ma il bene, che qui è il fine universale, deve non restare
semplicemente nel mio interno, cioè puramente soggettivo e interiore come nella
morale, ma deve anche realizzarsi. La volontà soggettiva cioè esige che il suo
interno, ossia il suo fine, consegua esistenza esterna, che quindi il bene
debba essere compiuto nell’esistenza esterna».
«Non c’è alcun
pretore, arbitro supremo e mediatore fra gli Stati, e anche questi sono soltanto
in modo accidentale, cioé secondo la volontà particolare. La concezione
kantiana d’una pace perpetua, mediante una lega degli Stati, la quale appiani
ogni controversia, e, in quanto potere riconosciuto da ogni singolo Stato,
componga ogni dissenzione, e quindi renda impossibile la decisione per mezzo
della guerra, presuppone l’umanità degli Stati, che dipende da ragioni e
riguardi morali, religiosi o di qualsiasi natura, in generale, sempre da una
volontà sovrana particolare, e, quindi, resta affetta da accidentalità».
(Hegel, Lineamenti, par. 333, aggiunta).
sabato 14 febbraio 2015
venerdì 13 febbraio 2015
Sigmund Freud - Antonio Gargano
Il pensiero freudiano può essere interpretato come una «mappa delle interferenze che deformano la coscienza» (come afferma il filosofo Remo Bodei). La psicanalisi, cioè, è un tentativo di prendere in considerazione le stratificazioni, le interferenze, le intermittenze, i piani di frattura del pensiero logico. Il concetto di razionalità deve essere ampliato, fino a comprendere anche ciò che apparentemente è refrattario alla logica e alla coscienza: le credenze, le superstizioni, ma anche i sogni, i contenuti fantastici dell’arte, i quali non presentano verosimiglianza, devono essere sottoposti ad analisi per scoprirvi i nuclei di verità che contengono. La razionalità cui siamo abituati è quella cartesiana, fondata sul principio di evidenza e sulla “chiarezza” e “distinzione” delle idee, che viene articolata mediante il ragionamento e la rigorosa deduzione. Emblema della razionalità occidentale è l’atteggiamento illuministico: la ragione è equiparata alla luce, che si diffonde sulle tenebre dell’ignoranza e della superstizione e le dissipa. Per Freud invece anche all’interno delle tenebre si celano nuclei di verità, anche se di una verità deformata, che si può manifestare nella fantasia o nella patologia, e che va decodificata, trasponendola dal linguaggio dell’inconscio in quello della coscienza. Per Freud la verità non è qualcosa che si presenta con evidenza, bensí qualcosa che «nasce da forze in lotta e da forme di compromesso: non vi è una evidenza puntuale della verità, bensí questa viene sagomata in un processo non lineare, si profila al termine di un tragitto tortuoso», come afferma ancora Remo Bodei.
http://www.iisf.it/scuola/freud/freud.htm
giovedì 12 febbraio 2015
Confessioni di un marxista eccentrico - Yanis Varoufakis
...Se la mia prognosi è corretta e la crisi europea non è soltanto un altro crollo ciclico che sarà superato presto con la ricrescita dei profitti conseguente all’inevitabile stretta sui salari, la domanda che sorge per i radicali è la seguente: dovremmo accogliere questo vasto cedimento del capitalismo europeo come un’occasione per sostituire il capitalismo con un sistema migliore? O dovremmo essere così preoccupati al riguardo da imbarcarci in una campagna per stabilizzare il capitalismo europeo? La mia risposta negli ultimi tre anni è stata inequivocabile ed è disattesa dalla lista citata più sopra dei diversi uditori che ho cercato di influenzare. La crisi dell’Europa è, a mio parere, gravida non solo di un’alternativa progressista, ma anche di forze radicalmente regressive che hanno la capacità di causare un bagno di sangue umanitario cancellando la speranza di un qualsiasi passo avanti progressiste per generazioni a venire.
Per queste idee sono stato accusato, da voci radicali benintenzionate, di essere un ‘disfattista’, un menscevico dell’ultimo giorno che instancabilmente si batte a favore di piani lo scopo dei quali è salvare l’attuale indifendibile sistema socio-economico europeo. Un sistema che rappresenta tutto ciò che contro cui un radicale dovrebbe ammonire e lottare: un’Unione Europa antidemocratica, irreversibilmente neoliberista, fortemente irrazionale, transnazionale che non ha quasi alcuna capacità di evolvere in una comunità genuinamente umanistica in cui le nazioni dell’Europa possano respirare, vivere e svilupparsi. Questa critica, lo confesso, ferisce. E ferisce perché contiene più di un nocciolo di verità.
In verità io condivido la visione di questa Unione Europea come cartello fondamentalmente antidemocratico e irrazionale che ha posto i popoli dell’Europa su un sentiero di misantropia, conflitti e recessione permanente. E mi inchino anche alla critica di aver condotto una campagna fondata sul presupposto che la Sinistra sia, e rimanga, francamente sconfitta. Dunque sì, in questo senso mi sento obbligato a riconoscere che desidererei che la mia campagna fosse di un genere diverso; che promuoverei molto più volentieri un’agenda radicale la cui raison d’etre fosse sostituire il capitalismo europeo con un sistema diverso, più razionale, piuttosto che limitarmi a promuovere la stabilizzazione del capitalismo europeo, in contrasto con la mia definizione di Buona Società.
A questo punto è forse pertinente una confessione di secondo ordine: confessare che … le confessioni tendono a essere interessate. In effetti le confessioni sono sempre sull’orlo di quanto disse una volta John von Neumann a proposito di Robert Oppenheimer, dopo aver sentito che il suo ex direttore al Progetto Manhattan era diventato un attivista antinucleare e si era confessato colpevole del suo contributo alla carneficina di Hiroshima e Nagasaki. Le caustiche parole di Von Neumann furono:
“Confessa il peccato per reclamare la gloria”.
Fortunatamente io non sono un Oppenheimer e perciò non sarà troppo difficile confessare vari peccati come mezzo di autopromozione bensì, piuttosto, come finestra da cui osservare un capitalismo europeo devastato dalla crisi, profondamente irrazionale e ripugnante la cui implosione, nonostante i suoi molti mali, andrebbe evitata a ogni costo. E’ una confessione mediante la quale convincere i radicali che abbiamo una missione contraddittoria: arrestare la caduta libera del capitalismo europeo al fine di guadagnare il tempo che ci è necessario per formulare l’alternativa a esso.
mercoledì 11 febbraio 2015
La scuola di Francoforte - Antonio Gargano
Vedi anche: http://www.sitocomunista.it/marxismo/altri/scuolafrancoforte.html
Max Horkheimer Intervista 1968:
http://www.filosofia.it/multimedia/gilles-deleuze-l-abecedario-filosofico
Max Horkheimer Intervista 1968:
http://www.filosofia.it/multimedia/gilles-deleuze-l-abecedario-filosofico
Il riorientamento strategico della Nato dopo la guerra fredda - Manlio Dinucci
Il colpo di stato in Ucraina
L’operazione condotta dalla Nato in Ucraina inizia quando
nel 1991, dopo il Patto di Varsavia, si disgrega anche l’Unione Sovietica di
cui essa faceva parte. Gli Stati Uniti e gli alleati europei si muovono subito
per trarre il massimo vantaggio dalla nuova situazione geopolitica. L’Ucraina –
il cui territorio di oltre 600mila km2 fa da cuscinetto tra Nato e Russia ed è
attraversato dai corridoi energetici tra Russia e Ue – non entra nella Nato,
come hanno fatto altri paesi dell’ex Urss ed ex Patto di Varsavia. Entra però a
far parte del «Consiglio di cooperazione nord-atlantica» e, nel 1994, della
«Partnership per la pace», contribuendo alle operazioni di «peacekeeping» nei
Balcani.
Nel 2002 viene adottato il «Piano di azione Nato-Ucraina» e
il presidente Kuchma annuncia l’intenzione di aderire alla Nato. Nel 2005,
sulla scia della «rivoluzione arancione» (orchestrata e finanziata agli Usa e
dalle potenze europee), il presidente Yushchenko viene invitato al summit Nato
a Bruxelles. Subito dopo viene lanciato un «dialogo intensificato
sull’aspirazione dell’Ucraina a divenire membro della Nato» e nel 2008 il
summit di Bucarest dà luce verde al suo ingresso. Nel 2009 Kiev firma un
accordo che permette il transito terrestre in Ucraina di rifornimenti per le
forze Nato in Afghanistan. Ormai l’adesione alla Nato sembra certa ma, nel
2010, il neoeletto presidente Yanukovych annuncia che, pur continuando la
cooperazione, l’adesione alla Nato non è nell’agenda del suo governo.
Nel frattempo però la Nato tesse una rete di legami
all’interno delle forze armate ucraine. Alti ufficiali partecipano per anni a
corsi del Nato Defense College a Roma e a Oberammergau (Germania), su temi
riguardanti l’integrazione delle forze armate ucraine con quelle Nato. Nello
stesso quadro si inserisce l’istituzione, presso l’Accademia militare ucraina,
di una nuova «facoltà multinazionale» con docenti Nato. Notevolmente sviluppata
anche la cooperazione tecnico-scientifica nel campo degli armamenti per
facilitare, attraverso una maggiore interoperabilità, la partecipazione delle
forze armate ucraine a «operazioni congiunte per la pace» a guida Nato.
Inoltre, dato che «molti ucraini mancano di informazioni sul
ruolo e gli scopi dell’Alleanza e conservano nella propria mente sorpassati
stereotipi della guerra fredda», la Nato istituisce a Kiev un Centro di
informazione che organizza incontri e seminari e anche visite di
«rappresentanti della società civile» al quartier generale di Bruxelles. E
poiché non esiste solo ciò che si vede, è evidente che la Nato costruisce una
rete di collegamenti negli ambienti militari e civili molto più estesa di
quella che appare.
Sotto regia Usa/Nato, attraverso la Cia e altri servizi
segreti vengono per anni reclutati, finanziati, addestrati e armati militanti
neonazisti. Una documentazione fotografica mostra giovani militanti neonazisti
ucraini di Uno-Unso addestrati nel 2006 in Estonia da istruttori Nato, che
insegnano loro tecniche di combattimento urbano ed uso di esplosivi per sabotaggi
e attentati. Lo stesso fece la Nato durante la guerra fredda per formare la
struttura paramilitare segreta di tipo «stay-behind», col nome in codice
«Gladio». Attiva anche in Italia dove, a Camp Darby e in altre basi, vennero
addestrati gruppi neofascisti preparandoli ad attentati e a un eventuale colpo
di stato.
È questa struttura paramilitare che entra in azione a piazza
Maidan, trasformandola in campo di battaglia: mentre gruppi armati danno
l’assalto ai palazzi di governo, «ignoti»
cecchini sparano con gli stessi fucili di precisione sia sui dimostranti
che sui poliziotti (quasi tutti colpiti alla testa). Il 20 febbraio 2014 il
segretario generale della Nato si rivolge, con tono di comando, alle forze
armate ucraine, avvertendole di «restare neutrali», pena «gravi conseguenze
negative per le nostre relazioni». Abbandonato dai vertici delle forze armate e
da gran parte dell’apparato governativo, il presidente Viktor Yanukovych è
costretto alla fuga. La direzione delle forze armate viene assunta da Andriy
Parubiy, cofondatore del partito socialnazionalista ridenominato Svoboda,
divenuto segretario del Comitato di difesa nazionale, e, in veste di ministro
della difesa, da Igor Tenjukh, legato a Svoboda.
La Nato si sente ormai sicura di poter compiere un altro
passo nella sua espansione ad Est, inglobando l’Ucraina. Lo conferma la
riunione dei ministri Nato della difesa, che si svolge il 26-27 febbraio 2014
al quartier generale di Bruxelles. Primo punto all’ordine del giorno l’Ucraina,
con la quale – sottolineano i ministri
nella loro dichiarazione – la Nato ha una «distintiva partnership» nel cui
quadro continua ad «assisterla per la realizzazione delle riforme». Prioritaria
«la cooperazione militare» (grimaldello con cui la Nato è penetrata in Ucraina).
I ministri «lodano le forze armate ucraine per non essere intervenute nella
crisi politica» (lasciando così mano libera ai gruppi armati) e ribadiscono che
per «la sicurezza euro-atlantica» è fondamentale una «Ucraina stabile» (ossia
stabilmente sotto la Nato).
martedì 10 febbraio 2015
Psicologismo e negazione. Freud e Frege* - Stefano Garroni
*Da "Tracciati dialettici (Note di politica e cultura)" Stefano Garroni, Edizioni Kappa
L'operazione compiuta da Freud è duplice; da un lato, riprende modalità di pensiero fregeane - almeno nell'ispirazione - per segnare i limiti della mente rispetto alla più vasta dimensione dello psichico; dall'altro, in particolare con la seconda parte della sua "Verneinung", punta a svolgere i motivi 'fregeani' in una rinnovata psicologistica.
Il mondo - Mirko Bertasi
Ma il guaio grosso è che molti si stanno abituando
Troppi se ne stanno fregando
Gli stessi che poi vanno piangendo
Quando cominciano a vivere affannando
Dicono:“Io non mi occupo di politica, sai, ho tanti problemi… sono un po’ ansiolitica”
Ma chi si occupa di te però è proprio la politica
E quindi poco conviene essere apatica
Secondo me converrebbe prendere una bella pertica
Mettersi nelle condizioni di saper fare seria critica
Ma anche un po’ di autocritica.
Certo che per far questo, bisognerebbe capire qual è la linea del movimento
Che ci porta a tanto imbarbarimento
Che ci spinge all’accaparramento
Che naturalizza lo sfruttamento
Lasciandoti poi addirittura contento!
“Sono sfruttato? Lo acconsento!
L’importante è che formalmente libero mi sento!
Vado avanti a stento?
L’importante è che la partita me l’ascolto!”
Ma guai … a renderti un po’ più colto!!
Certo, per capire meglio questo movimento che dicevamo
Ci vuole qualcosa che ancora non abbiamo
Come un’organizzazione seria alla quale in tanti aderiamo
Perché solo attraverso di essa possiamo pensare che ci rialzeremo
Perché dobbiamo capire dove siamo e dove andremo
Ma se i lavoratori stessi non comprendono i loro interessi?
E’ per questo che l’organizzazione deve lavorare costantemente con essi
Per evitare che cadano negli abissi
Per mostrar loro che non sono fessi
Per indicargli dove sono i cessi
E fargli vedere che se vogliono hanno i contro cazzi.
E sai … quanti non darebbero più retta a Bossi!!
Siamo nel mondo dell’inganno
Dove le cose si fanno sempre di qualcun altro a danno
Ma se lavoriamo bene, molti prima o poi lo capiranno
E questo sistema lo ripudieranno, lo combatteranno e lo abbatteranno
E magari uno diverso ne applicheranno
Ma intanto, cominciamo a lavorà, per quest’anno!!
Mirko Bertasi
sabato 7 febbraio 2015
venerdì 6 febbraio 2015
Le principali teorie economiche - Riccardo Bellofiore
La lezione fa parte del Corso di Macroeconomia, a cura di R. Mapelli, R. Romano, M. Lepratti, per la Associazione Culturale Punto Rosso.
mercoledì 4 febbraio 2015
martedì 3 febbraio 2015
FREUD E LA MASSENPSYCHOLOGIE* (2) - Stefano Garroni
*Da "Su Freud e la morale (L'uomo e la società)" Stefano Garroni, Bulsoni editore - Parte seconda
"...ripensare Freud all'interno della tradizione scientifica e morale classica, nella situazione presente, ha un certo senso salutarmente -inattuale-"
"La centralità del tema 'Personalità', in autori come Nietzsche e J. S. Mill (entrambi significativi per Freud), è motivato dalla critica al conformismo prodotto dalla società politica borghese ed al conseguente imperio dell'opinione pubblica (che entrambi gli autori descrivono come forza tirannica, invasiva e restia ad adeguarsi a condizioni e realtà nuove). Questa 'scoperta' del conformismo moderno - e, quindi, dei pesanti limiti della 'democrazia' borghese - è uno dei motivi, per cui il XIX secolo si volge a studiare la psicologia delle folle."
Prima parte:
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/01/freud-e-la-massenpsychologie-stefano.html
"...ripensare Freud all'interno della tradizione scientifica e morale classica, nella situazione presente, ha un certo senso salutarmente -inattuale-"
"La centralità del tema 'Personalità', in autori come Nietzsche e J. S. Mill (entrambi significativi per Freud), è motivato dalla critica al conformismo prodotto dalla società politica borghese ed al conseguente imperio dell'opinione pubblica (che entrambi gli autori descrivono come forza tirannica, invasiva e restia ad adeguarsi a condizioni e realtà nuove). Questa 'scoperta' del conformismo moderno - e, quindi, dei pesanti limiti della 'democrazia' borghese - è uno dei motivi, per cui il XIX secolo si volge a studiare la psicologia delle folle."
Prima parte:
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/01/freud-e-la-massenpsychologie-stefano.html
giovedì 29 gennaio 2015
LA LEGGE LA LIBERTA' LA GRAZIA - Remo Bodei, Antonio Delogu
"La reminiscenza sartriana, il "siamo condannati a essere liberi", non vuole alludere alla libertà come peso dell'esistenza. Vuole alludere invece - e direi che nello stesso Sartre, nel Sartre filosofo della libertà, c'è questo motivo - vuole dunque alludere alla morale della responsabilità e - aggiungerei - alla durezza di Hegel nei confronti del singolo. Penso specialmente all'ultima parte del quinto capitolo della Fenomenologia, in cui la Cosa stessa, come Hegel dice, cioè il corso storico e la sua razionalità, ricomprende in sé l'azione del singolo, che fatuamente ne rivendica la proprietà. La pietra lanciata dalla mano è del diavolo, dice Hegel riprendendo un antico proverbio. Agendo mi espongo ai voleri della Fortuna, cioè la mia azione si intreccia con quelle altrui e con il complesso delle circostanze, la Cosa stessa ora accennata. E tuttavia la Cosa stessa non mi è estranea, perché si appunta nell'autocoscienza, è la "mia" Cosa, ho comunque contribuito a produrla. È stato detto che in guerra non vi sono vittime innocenti, e Hegel potrebbe condividere questa espressione che allude alla universale responsabilità. Per un verso dunque la mia azione è poca cosa, perché è destinata a perdersi nel miro gurge del corso storico, per un altro verso il corso storico mi appartiene o - ma in questo caso è la stessa cosa - io appartengo al corso storico. Hegel spinge sino in fondo la sua geniale tesi. Il corso storico ha la sua logica di fronte a cui l'opera del singolo è irrilevante. Persino il famoso grand'uomo di Hegel, Alessandro magno, Giulio Cesare, non sono dei veri creatori, non somigliano per nulla agli uomini di Nietzsche o di Carlyle, perché la loro azione non va oltre il portare alla luce una situazione virtualmente presente. La repubblica romana era virtualmente cesariana quando Cesare vi dispiegò la sua azione politica. Hegel infatti parla di un "cupo tessere dello spirito", cioè di un corso delle cose che si viene svolgendo inconsciamente, sicchè l'uomo d'azione interviene a cose quasi fatte, l'uomo di pensiero, il filosofo, interviene a cose fatte e anzi quando la situazione non solo si è consolidata, ma è già in crisi, sta per mutare (l'uccello di Minerva che inizia il suo volo al crepuscolo). Potrebbe sembrare che questa dottrina possa spingere a un atteggiamento quietista: se la mia azione è poca cosa non vale la pena di impegnarsi troppo. E invece abbiamo visto che l'atteggiamento hegeliano è di assoluta responsabilità. Certo la mia azione è eminentemente rischiosa, può perdersi nel non-senso e comunque solo tardi, solo a processo compiuto saprò o altri saprà quale sarà stato il risultato e quindi il significato del mio impegno. Ma nel mio agire devo credere (qui il temine è appropriato) di realizzare il Bene (l'ineludibile motivo kantiano). È una illusione necessaria che governa la mia libertà. E Hegel mostra che sfuggire a questa libertà è impossibile perché è impossibile sfuggire alla mia essenza di uomo."
Francesco Valentini
mercoledì 28 gennaio 2015
FREUD E LA MASSENPSYCHOLOGIE* - Stefano Garroni
*Da "Su Freud e la morale (L'uomo e la società)" Stefano Garroni, Bulsoni editore - (Prima parte)
(Seconda parte):
(Seconda parte):
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/02/freud-e-la-massenpsychologie-2-stefano.html
"...ripensare Freud all'interno della tradizione scientifica e morale classica, nella situazione presente, ha un certo senso salutarmente -inattuale-
"...ripensare Freud all'interno della tradizione scientifica e morale classica, nella situazione presente, ha un certo senso salutarmente -inattuale-
lunedì 26 gennaio 2015
ESPERIENZA E EDUCAZIONE - John Dewey
Introduzione
I due
saggi di John Dewey Unity of Science as a social problem e Theory of Valuation
sono stati pubblicati tra il 1938 e il 1939 nella raccolta di scritti curata da
Otto Neurath dal titolo International Encyclopedia of Unified Science
dall’University of Chicago Press.
I due scritti
sono da leggere all’interno del contesto dell’opera, l’Enciclopedia unificata
della scienza, che rappresenta l’approdo della riflessione, che si sviluppò tra
le due guerre ad opera di un gruppo di studiosi scienziati e filosofi che
facevano riferimento come origine all’esperienza del Circolo di Vienna.
L’Enciclopedia può a ragione essere considerata come un tentativo di
raccogliere assieme le voci più autorevoli di quel movimento filosofico che
avendo per obiettivo l’unità della scienza
paradossalmente, in relazione alle differenze tra i diversi autori viene
definito, ora neopositivismo, ora positivismo logico e ancora come empirismo
logico.
L’Enciclopedia è dunque un opera
complessa che contiene lavori di taglio diverso il cui denominatore può essere
ritrovato nel tentativo di raggiungere un metodo scientifico comune ed
applicabile non solo nell’ambito delle discipline scientifiche in senso
stretto, ma al complesso dell’attività umana e nell’attribuzione al linguaggio
di una funzione detrminante in questo processo..
Il
neopositivismo si affermò nel periodo tra le due guerre mondiali a partire
dalle riflessioni che un gruppo di pensatori, scienziati e filosofi , il
Circolo di Vienna, sviluppò e diffuse. L’iniziativa del Circolo di Vienna, di
cui facevano parte studiosi come Moritz Schlick, Hans Hahn, Otto Neurath,
Philipp Frank, Rudolf Carnap, Victor Kraft, Felix Kaufmann, Kurt Reidmeister,
Herbert Feigl, fu affiancata da un altro autorevole gruppo di pensatori della
Scuola di Berlino (Hans Reichenbach, Alexander Hezberg, Walter Dubilav, Kurt
Grelling, Kurt Lewin, Wofang Koeler, Carl Gustav Hempel).
L’avvento
del nazismo e il conseguente scioglimento dei due gruppi spostò la riflessione
dal continente europeo negli Stati Uniti. In realtà il neopositivismo aveva già
trovato accoglienza in America soprattutto per opera di Charles Morris, ma con
l’abbandono dell’Europa da parte di pensatori come Carnap, Hampel, Reichenbach,
Franck e Kaufmann il neopositivismo assume i caratteri di una corrente
filosofica americana.
L’impatto
con il pensiero americano ed in particolare con il pragmatismo di Mead e di
Dewey, aiutò, come afferma Brancatisano,
il neopositivismo a liberarsi degli ultimi residui metafisici ed a mettere a
fuoco il rapporto tra discorso teoretico ed esperienza.
Abbiamo
sottolineato come la ricchezza e la varietà dei contributi che afferirono al
neopositivismo non consentano di considerarlo come una scuola unitaria di
pensiero, tuttavia è possibile identificare un denominatore comune nello sforzo
di questi ricercatori che possiamo sistetizzare nella avversione per le
posizioni irrazionali e preconcette e nello sforzo di trovare un linguaggio
comune tra diversi settori di indagine tale da consentire una concezione
scientifica del mondo.
Il
contributo di Dewey consiste appunto nel proporre l’esperienza e non solo
quella di laboratorio, ma l’esperienza umana nel suo complesso, come banco di
prova del metodo scientifico, che deve dunque poter trovare applicazione in
tutti gli ambiti dell’esperienza umana. Dunque il discorso sull’unità della
scienza deve necessariamente potersi estendere alle discipline umanistiche.
giovedì 22 gennaio 2015
Corso sul "Capitale" (5) - Riccardo Bellofiore
Video del quinto incontro del ciclo di letture del I libro del "Capitale" di Karl Marx organizzato da Noi Restiamo Torino e tenuto da Riccardo Bellofiore (Università di Bergamo).
Precedenti:
http://ilcomunista23.blogspot.it/2014/10/corso-sul-capitale-1-riccardo-bellofiore.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2014/11/corso-sul-capitale-2-riccardo-bellofiore.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2014/12/corso-sul-capitale-3-riccardo-bellofiore.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/01/corso-sul-capitale-4-riccardo-bellofiore.html
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lunedì 19 gennaio 2015
LA COSIDDETTA ACCUMULAZIONE ORIGINARIA - Karl Marx, IL CAPITALE, LIBRO I, SEZIONE VII, CAPITOLO 24
Non è certo una facile lettura quella del Capitale di Marx... ma il capitolo 24° è un passaggio unico per la sua limpida chiarezza... è affascinante cogliere la tensione morale che guida tutto il discorso di ricostruzione storica. Tutti dovrebbero leggerlo...
1. L’ARCANO DELL’ACCUMULAZIONE ORIGINARIA.
Abbiamo visto come il denaro viene trasformato in capitale, come col capitale si fa il plusvalore, e come dal plusvalore si trae più capitale, Ma l’accumulazione del capitale presuppone il plusvalore, e il plusvalore presuppone la produzione capitalistica, e questa presuppone a sua volta la presenza di masse di capitale e di forza-lavoro di una considerevole entità in mano ai produttori di merci. Tutto questo movimento sembra dunque aggirarsi in un circolo vizioso dal quale riusciamo ad uscire soltanto supponendo un’accumulazione «originaria»(«previous accurnulation» in A. Smith) precedente l’accumulazione capitalistica: una accumulazione che non è il risultato, ma il punto di partenza del modo di produzione capitalistico.
venerdì 16 gennaio 2015
Su Piketty e il “suo” capitale del nuovo secolo - Francesco Schettino
"... il fenomeno a cui si assiste e di cui si discute,
ormai anche a livello colloquiale in qualsiasi bar di periferia, è che, quella
parte della classe proletaria, spesso animata da ambizioni piccolo-borghesi,
che fino alla fine del secolo scorso riusciva a strappare, senza troppa fatica,
salari in grado di garantire una vita pressoché agiata – a scapito del
proletariato meno specializzato che, seppur indirettamente, era costretto a
sostenerne vizi e comodità (non a caso Engels, riferendosi al caso inglese, parlava
di costoro come di quelli a cui lo stato regalava le briciole estorte dal
proletariato indiano) – si è improvvisamente destata dal sogno di avvicinarsi
al sole del potere del capitale e, in quanto non proprietaria delle condizioni
di produzione, come Icaro, ha iniziato un precipitoso ammaraggio nelle torbide
acque del proletariato, classe a cui ha sempre appartenuto al di là delle
artificiose apparenze."
"...i processi di concentrazione e di centralizzazione
del capitale, cresciuti sensibilmente dal 1970, hanno traghettato la
disuguaglianza in termini di proprietà patrimoniale (e dunque non solamente
delle condizioni oggettive di produzione) a livelli superiori rispetto a quelli
individuabili nella distribuzione dei redditi da lavoro, nonostante la crescita
e l’affermazione dei mostruosi salari dei supermanagers in stile Marchionne. Al
2010, infatti, se il 10% dei salariati più ricchi ottiene il 25% della massa
salariale corrisposta in Europa, lo stesso decile della distribuzione ottiene
il 35% del totale negli Usa, valore che dovrebbe giungere al 45% nel giro di
meno di un ventennio. E tutto ciò viene calcolato non comprendendo chi viene
liberato dal lavoro che, percependo salario nullo, non viene incluso nelle
elaborazioni numeriche. Quindi, esprimendo il tutto in termini dell’indice di
Gini, si osserva come nel 2010 la disuguaglianza tra i lavoratori europei fosse
sufficientemente bassa (0,26), mentre quella statunitense già raggiungeva
livelli più sostenuti (0,36) puntando per il 2030 a un pesantissimo 0,46,
qualora non ci sia una decisa inversione di rotta."
"Per quanto riguarda, invece la distribuzione della
proprietà patrimoniale (e dei redditi che ne derivano) che, appunto, oltre alle
condizioni oggettive della produzione include immobili, terra ecc., la
situazione è ben diversa. Se nei paesi storicamente con un basso livello di
disparità, come quelli scandinavi degli anni 70-80, il 10% dei proprietari più
ricchi detiene il 50% del patrimonio complessivo, in Europa tale coefficiente
sale a 60%, mentre negli Usa addirittura al 70%. I corrispondenti indici di
Gini raggiungono lo 0,58 (+0,29 rispetto all’indice calcolato sui soli redditi
da lavoro), 0,67 (+0,41) e 0,73 (+0,37). È chiaro che incrociando dunque i
dati, ossia effettuando il calcolo della disuguaglianza sui redditi
complessivi, ossia di lavoro e “capitale” i risultati mostrano una disparità
nettamente più pronunciata rispetto a quella dei soli redditi da lavoro,
mostrando così come la struttura delle condizioni di proprietà (produzione)
siano fondamentali nella determinazione della disuguaglianza complessiva."
"... porre, dunque, come fa Piketty, il discorso della
conflittualità su un piano della “lotta di percentile” (centile struggle) come
aggiornamento della più nota “lotta di classe” (class strugle): ma ciò, a
differenza di quello che sostiene l’economista francese, non determina
unicamente una “perdita di fascino” della stessa ma semplicemente un errore
macroscopico che non è solo di natura statistica ma assume rilevanti connotati
economici e politici."
"...In sostanza ciò che viene negato nell’analisi di
Piketty, così come dalla totalità degli economisti, è la natura del profitto in
quanto forma monetaria del plusvalore, entità che, al pari del salario – ossia
il valore complessivo della forza-lavoro – viene determinato nella fase,
distinta solo logicamente, della produzione di merce."
"I cosiddetti rapporti di distribuzione corrispondono, quindi, a
forme storicamente determinate, specificamente sociali, del processo di
produzione e dei rapporti in cui gli uomini entrano nel processo di
riproduzione della loro vita e derivano da queste forme. Il carattere storico
di questi rapporti di distribuzione è il carattere storico dei rapporti di
produzione, dei quali essi esprimono soltanto un aspetto. La distribuzione
capitalistica è distinta dalle forme di distribuzione che derivano da altri
modi di produzione, ed ogni forma di distribuzione scompare insieme con la
forma di produzione determinata a cui essa corrisponde e da cui deriva”.(K.
Marx, III libro del Capitale)
giovedì 15 gennaio 2015
il grande Scott - Aristide Bellacicco
Hanno
un senso i miei capelli?’ disse Scott ‘Dai, rispondi. Hanno un senso, secondo
te?’
Si
afferrò una ciocca fra due dita e la tirò verso l’alto, come fanno i barbieri
prima di tagliare. Quella settimana se li era fatti biondo scuro.
‘Allora?
Parlo con te, Milli. Hanno un senso o no?’
Milli
non riuscì a trattenere un sorriso.
‘Sei
buffo. Oddio, se ti vedessi. Scott, non immagini quanto sei buffo.’
Era
seduta sul divano a fumare una sigaretta, non resisteva più a sentirlo parlare
e voleva solo andarsene a letto.
‘Ma
a te non viene mai sonno?’ disse.
Scott
lasciò andare i capelli. Sospirò come un uomo seriamente deluso e tirò giù un
sorso.
‘Sant’iddio,
Milli. Ogni volta che comincio un discorso serio mi smonti. Lo fai apposta, lo
so. Sei cattiva. Sei proprio una donna cattiva.’
Era
seduto accanto al biliardo, con un gomito sulla sponda. Aveva poggiato la
bottiglia sul drappo verde e ogni volta che la sollevava le biglie sembravano
lanciargli sguardi furtivi e disordinati.
Bevve
ancora. Poi infilò il bicchiere fra le ginocchia e le strinse. Contemplò il
risultato con soddisfazione, aprendo le braccia come un giocoliere che conclude
un numero difficile.
‘Ecco’
disse ‘ conosci qualcuno capace di fare altrettanto?’
Nella
stanza c’era molto caldo. Dalla portafinestra spalancata sulla notte immobile
non entrava un filo d’aria. Milli cercò di immaginare che aspetto avessero le
stelle sepolte in quel calore buio.
‘Assolutamente
no’ disse ‘Tu sei unico. Anzi, sei l’unico. L’unico Scotch della mia vita. Oh,
perdonami. Volevo dire Scott.’
Scott
battè piano le mani, annuendo più volte ostinatamente.
‘Ottimo’
disse ‘addirittura un gioco di parole. Fantastico, Milli.’
Afferrò
la bottiglia e cercò di riempire di nuovo il bicchiere tenendolo in quella
strana posizione, ma si sbilanciò sulla sedia e il liquore gocciolò sul
pavimento.
‘Fa
niente’ disse ‘ una piccola defaillance. Capita anche ai più grandi.’
Tornò
a posare la bottiglia sul biliardo e la fissò corrugando la fronte.
‘Guardala,
Milli. La mia boccia preferita. L’unica con un numero di quattro cifre. L’unica
che non rotola e che non finisce in una di quelle maledette buche. Ora, quello
che mi manca per concludere in bellezza è una cannuccia. Amore, guarda se di là
abbiamo una cannuccia di…circa mezzo metro, direi. Per andare da qui a qui.’
Si
toccò alternativamente le ginocchia e labbra.
‘E’
per il colpo di scena. L’effetto conclusivo, quello che lascia tutti a bocca
aperta. Hai presente? Una specie di finale da maestro.’
Milli
si avvicinò. Prese il bicchiere per il bordo e lo tirò via vincendo la debole
resistenza di Scott, che istintivamente allargò le gambe. Rovesciando il capo,
Milli ingoiò il liquore fino all’ultima goccia.
‘Ecco
fatto, Scott. Ci ho pensato io. L’importante era finirlo, no? E perdonami se ti
ho guastato l’effetto, ma purtroppo non esistono cannucce di mezzo metro. Per
certi numeri, ci vuole la collaborazione di un altro essere umano.’
Tornò
barcollando verso il divano e vi si lasciò cadere.
‘Meglio
ancora se ubriaco’ soggiunse.
mercoledì 7 gennaio 2015
Corso sul "Capitale" (4) - Riccardo Bellofiore
Video del quarto incontro del ciclo di letture del I libro del "Capitale" di Karl Marx organizzato da Noi Restiamo Torino e tenuto da Riccardo Bellofiore (Università di Bergamo).
(Per una migliore fruizione consigliamo, al minuto 17,18, di saltare e riprendere al minuto 28,18)
Precedenti:
http://ilcomunista23.blogspot.it/2014/10/corso-sul-capitale-1-riccardo-bellofiore.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2014/11/corso-sul-capitale-2-riccardo-bellofiore.html
http://ilcomunista23.blogspot.it/2014/12/corso-sul-capitale-3-riccardo-bellofiore.html
giovedì 1 gennaio 2015
"La civetta e la talpa, il concetto di filosofia in Hegel" - Remo Bodei
Da: Hegel Padova - Remo_Bodei è un filosofo italiano.
introduzione di Luca Illetterati: https://www.youtube.com/watch?v=PHuIalagrq4#t=436
Domande e risposte nel dibattito: https://www.youtube.com/watch?v=oMjgMDwHmeg
introduzione di Luca Illetterati: https://www.youtube.com/watch?v=PHuIalagrq4#t=436
Domande e risposte nel dibattito: https://www.youtube.com/watch?v=oMjgMDwHmeg
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