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Siamo entrati in una nuova Guerra fredda che potrebbe sfociare in una guerra vera e propria.
Come è noto, Papa Bergoglio ha dichiarato che si sta già combattendo la terza guerra mondiale, ma a pezzi, ossia in diversi luoghi simultaneamente. Però, come tutti i papi, si è dimenticato di indicare chi sono i veri colpevoli di questo immane disastro, al di là della responsabilità generica da attribuire a tutti gli esseri umani.
A differenza del papa, noi invece siamo interessati a scoprire i veri responsabili, analizzando alcuni degli eventi più gravi in questo senso che si stanno verificando sotto i nostri stessi occhi e che però non sono notati dall’uomo comune distratto, né ricomposti in un disegno d’insieme dai mass media egemoni.
In primo luogo, sulla base di quanto scrive Manlio Dinucci, ricorderò che nel Rapporto del Pentagono 2018 si può leggere che la Russia viola i confini delle nazioni limitrofe ed esercita il potere di veto sulle decisioni dei suoi vicini. A ciò il Rapporto aggiunge: “Il modo più sicuro di prevenire la guerra è di essere preparati a vincerne una”. Con queste finalità il Pentagono chiede ai paesi alleati di aumentare le spese militari per rendere la NATO più potente.
Questi temi sono stati tutti ignorati dagli squallidi contendenti della campagna elettorale italiana, che hanno anche evitato di parlare dei contingenti militari italiani stanziati a ridosso della Russia e delle nuove bombe nucleari B61-12. Queste ultime saranno presto posizionate in Italia al posto delle B61 già presenti (circa 70). Come scrive sempre Dinucci: “La B61-12… è una nuova arma: ha una testata nucleare a quattro opzioni di potenza selezionabili a seconda dell’obiettivo da colpire; un sistema di guida che permette di sganciarla non in verticale, ma a distanza dall’obiettivo; la capacità di penetrare nel terreno per distruggere i bunker dei centri di comando in un first strike nucleare”.
Nel luglio del 2017 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha elaborato un trattato con lo scopo di individuare uno strumento legalmente vincolante atto a proibire la fabbricazione e l’impiego delle armi nucleari, a favore del quale hanno votato 122 paesi. Gli Stati dotati di armi nucleari, inclusi i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza, non hanno partecipato ai negoziati né alla votazione. Alcuni paesi, come Cuba, Venezuela, Messico, Palestina, Tailandia lo hanno già ratificato, mentre i 29 paesi della Nato hanno dichiarato che il trattato ignora i pericoli che oggi il mondo deve fronteggiare, ossia la Corea del Nord. Esso entrerà in vigore dopo che sarà firmato e ratificato da 50 paesi.
Il tentativo di bandire le armi nucleari è antico: nel 1968, quando i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza avevano acquisito le armi nucleari, fu proibita la loro proliferazione, con lo scopo di impedire agli altri paesi di dotarsene (come nel caso del dissidio Stati Uniti / Nord Corea).
Successivamente, nel 1996, 166 paesi sottoscrissero un trattato che proibiva le prove nucleari soprattutto a causa dei danni alla salute da esse provocato e che però non è mai entrato in vigore, per il fatto che tre paesi (India, Pakistan e Corea del Nord) non lo hanno firmato e cinque (Cina, Egitto, Stati Uniti, Israele, Iran) non lo hanno ratificato.
Nel contesto attuale, che ha visto il rapido peggioramento delle relazioni tra gli Stati Uniti e la Nato da un lato, e dall’altro la Russia di Putin, si ricomincia a parlare di Guerra fredda, che poi tale non è mai stata perché è sempre stata accompagnata da conflitti guerreggiati per interposta persona.
La dissoluzione dell’Unione Sovietica e dei paesi ad essa legati ha comportato una politica di colonizzazione di quelle regioni soprattutto da parte della Germania e la progressiva espansione della Nato, con l’obiettivo di stabilire una forma di controllo militare e politico sulla zona e di appropriarsi delle sue straordinarie risorse. La caduta del muro di Berlino fu accolta dai più con gioia, ma Alessandro Natta, ex-segretario del PCI all’epoca, saggiamente osservò: “Cambia la storia… ha vinto Hitler 50 anni dopo”.
L’ascesa al potere di Vladimir Putin, che si propose di riportare la Russia al livello della potenza della ex-Unione Sovietica, non rinnegando ambiguamente in toto l’eredità di quest’ultima, ha fatto divampare di nuovo il fuoco della guerra fredda, le cui scintille non si erano mai spente e languivano sotto la cenere. Le informazioni fornite da Edward Snowden, ex-tecnico di Booz Allen, dipendente della Cia, sul programma di spionaggio PRISM delle telecomunicazioni internazionali condotto dalla NSA (Agenzia della sicurezza nazionale statunitense), accolto in Russia da Putin, sono state un primo passo in questa direzione, seguito dalla divisione dell’Ucraina e dall’annessione della Crimea.
La risposta degli Stati Uniti e dell’Unione europea, che già avevano accerchiato la Russia con i dispositivi militari della Nato [1], è stata quella di imporre sanzioni commerciali e di portare il prezzo del petrolio, d’accordo con l’Arabia saudita, a 40 dollari il barile, con lo scopo di mettere in difficoltà l’economia russa.
Per recuperare il ruolo internazionale della Russia Putin si è offerto come mediatore nelle dispute che lacerano il Medio Oriente, in particolare il contenzioso siriano e il conflitto tra Iran, Israele e Arabia saudita, appoggiando inoltre Assad nella sua lotta contro i terroristi di varie sfumature e per mantenere integro lo Stato siriano.
Germán Gorraiz López descrive questo scenario come la palindromia della storia [2], intendendo con questa parola che due momenti storici diversi possono essere interpretati nello stesso modo in quanto sono uno la ripetizione dell’altro. Sembrerebbe, pertanto, che una Russia, anche non più comunista, non vada proprio agli Stati Uniti e ai suoi alleati succubi.
La complessa situazione del Medio Oriente, che a breve potrebbe portare a una guerra più estesa coinvolgente Iran, Israele, Libano e Arabia saudita, le cui ripercussioni non mancherebbero di farsi sentire in Europa, traspare ben chiara dalle parole del ministro degli Esteri israeliano Lieberman, il quale ha recentemente dichiarato che “la realtà mediorientale rende irrilevante la parola pace” e che “l’unico modo per vivere qui serenamente è prepararsi alla guerra”.
D’altra parte, anche la Francia di Macron si sta preparando alla guerra con la nuova legge di programmazione militare, presentata lo scorso febbraio e che sarà votata durante l’estate. Riferendosi al periodo 2019-2025 essa decide un incremento delle spese militari (295 miliardi di euro), di cui beneficeranno i monopolisti del conglomerato francese (Dassault, Lagardère etc,). Due aspetti debbono essere sottolineati di questa legge: la preoccupazione di ampliare il numero degli interventi all’estero e l’istituzione del servizio nazionale universale. Quest’ultimo implica che gli studenti da 11 a 16 anni saranno sottoposti a corsi di insegnamento morale e civico, oltre che, una volta all’anno, a una settimana obbligatoria dedicata alla difesa ed alla cittadinanza. Il progetto agisce, pertanto, su due versanti: quello militare e quello pedagogico-ideologico [3].
La preparazione alla guerra, che qui ho in parte documentato, ha un suo specifico perno da individuare nella capacità di sferrare il primo colpo nucleare (il già menzionato first strike), il quale come è noto consiste in un attacco nucleare a sorpresa difficilmente localizzabile nello spazio volto a distruggere tutto l’arsenale nucleare del paese aggredito, così da impedire una risposta ugualmente devastante. Il paese aggressore ritiene che in queste condizioni può subire distruzioni, che però non gli dovrebbero impedire di continuare ad esistere.
Che questo sia il punto centrale della questione è dimostrato dal discorso di Putin all’Assemblea federale il primo di marzo, che alcuni hanno considerato come un’ulteriore manifestazione dell’aggressività russa. Nell’analisi che ne fa Giulietto Chiesa per Pandora TV si tratta, invece, esattamente del contrario come del resto afferma lo stesso Putin, sottolineando che chi ha cominciato questa riedizione peggiore della Guerra fredda è stato il Presidente George Bush Junior, ritirandosi unilateralmente nel 2002 dal Trattato ABM (Anti missile balistico). Con questo Trattato si evitava che chi avesse ricevuto il primo colpo potesse rispondere colpendo l’avversario e con questo equilibrio si era mantenuta la pace mondiale nel corso della Prima Guerra fredda.
Con la risoluzione di ritirarsi dall’Accordo gli Stati Uniti hanno deciso di affrettare la loro preparazione alla guerra, apprestando un potente sistema antibalistico, proibito dal precedente Trattato, e dai loro stessi documenti si ricava che sarà pronto in 5 anni. Inoltre, gli Stati Uniti stanno ampliando la sfera di intervento delle loro basi militari – continua Putin -, accerchiando la Russia e ora anche la Cina e avvicinando i loro dispositivi militari ai punti di partenza dei missili nemici.
Quando il sistema sarà operativo – ritiene Putin – essi saranno pronti a sferrare il primo colpo, convinti che non potranno essere colpiti a loro volta. Ma – avverte il Presidente della Russia -purtroppo per loro tale obiettivo è già oggi obsoleto grazie a quattro nuove armi russe, che nessun sistema anti-missile può fermare. Queste sono un nuovo missile con motore atomico e con un raggio di azione planetario, un drone sommergibile armato di missili intercontinentali non facilmente individuale, un missile che supera di dieci volte la velocità del suono con un raggio di azione di 2.000 chilometri, infine un nuovo missile strategico veloce più di venti volte del suono. Tutti questi nuovi armamenti potranno essere dotati di armi atomiche o convenzionali e suonano come un avvertimento ai potenti nemici, i quali d’altra parte cercano sempre nuovi pretesti per giustificare un possibile intervento (v. caso Skripal, che come riconosce Sergio Romano non si basa su alcuna prova).
Un avvertimento implicito va anche a quei paesi non cosiddetti nucleari, come l’Italia, che ospitano le basi statunitensi e che quindi potrebbero diventare un facile bersaglio delle armi strategiche russe, ma come osserva Dinucci, il discorso di Putin ha destato scarso interesse o commenti ironici nel nostro paese nelle mani di giovinastri irresponsabili, eppure si stava parlando della nostra sopravvivenza messa a repentaglio da quella banda di criminali – come dice Chomsky – asserragliata a Washington.
Note
[1] Nel 1990 James Baker, ministro degli esteri degli Stati Uniti, dichiarò che non ci sarebbe stato nessun allargamento della Nato a est, ma nel 1999 entrarono nella Nato l’Ungheria, la Polonia, la Repubblica ceca, nel 2004 la Bulgaria, la Romania, la Slovacchia, Slovenia e i Paesi Baltici.
[2] Il termine “palindromo” indica una parola, un’espressione che può essere letta anche al contrario, rimanendo la stessa, come in italiano “i topi non avevano nipoti”.
[3] Intervention Communiste 145, marzo-aprile 2018, p. 5.
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