In
un recente
articolo sul
blog lavoce.info, il prof. Guido Tabellini, ex Rettore
dell’Università Bocconi, propone un’entusiastica recensione di
un libro di due autori francesi – Pierre Cahuc e André Zylbrerger,
un vero best
seller –
sul
c.d. “negazionismo economico”. La tesi di fondo è che “la
conoscenza economica ha ora solide basi empiriche e le sue
prescrizioni sono diventate più affidabili” e ciò nonostante
“questi progressi sono spesso ignorati al di fuori della
disciplina, con la conseguenza che il dibattito di politica economica
è di frequente viziato da pregiudizi ideologici”.
È
evidente il presupposto dal quale Cahuc, Zylberger e e il prof.
Tabellini partono: l’Economia è una scienza esatta, esiste
un’unica ‘verità in Economia alla quale si arriva mediante un
processo di continua e progressiva eliminazione di errori, l’Economia
è una scienza sperimentale il cui statuto metodologico è (o deve
tendere a) quello delle scienze della natura.
Non
è una tesi nuova e le obiezioni rivolte a questo modo di concepire
l’Economia sono state e sono molteplici. Già nel 1900, Maffeo
Pantaleoni, economista italiano di orientamento liberista, ebbe a
dichiarare “In Economia esistono due scuole di pensiero: chi la
conosce e chi non la conosce”. Non è questa la sede per richiamare
i tanti argomenti contrari a questa posizione: è sufficiente
rilevare che in Economia, a differenza delle scienze della natura, è
impossibile replicare un esperimento[1].
Qui
è forse più interessante mettere in rilievo alcune conseguenza
implicite di questa posizione: conseguenze per certi aspetti
paradossali o contradditorie rispetto a ciò che Tabellini
scrive.
1. Proposizione
1: la teoria economica è plurale e, al tempo stesso, basata
sull’evidenza. La ‘teoria’ del negazionismo economico prova a
far credere che, nella disciplina, esistono orientamenti diversi (“è
semplicemente falso che in economia vi sia un’unica visione
dominante”, scrive Tabellini) e, al tempo stesso, pone un punto
fermo laddove fonda l’analisi economica su un’evidenza empirica
considerata non disputabile. Da qui, delle due l’una: o è vera la
prima affermazione (gli economisti hanno opinioni diverse) o è vera
la seconda (l’evidenza empirica è conclusiva e non ammette
opinioni discordanti). In altri termini, se è l’evidenza fattuale
– assunta oggettiva – a stabilire qual è la correlazione fra
variabili economiche, non vi è motivo per metterla in discussione e,
per conseguenza, l’esistenza di un “pensiero unico” (la cui
esistenza Tabellini nega) ne costituisce, per contro, la conseguenza
logica. Di più: sostenere la teoria del negazionismo economico porta
semmai a rafforzare la convinzione che non solo già esiste un
pensiero unico, ma che occorra renderlo ancora più egemone. La
proposizione 1, dunque, si nega da sola.
2. Proposizione
2: la politica economica deriva da una teoria economica basata
sull’evidenza. Ciò che preoccupa Tabellini è che l’opinione
pubblica sia “vittima di credenze”, che derivano dalle “false
certezze” delle “ricette populiste”. È compito dell’economista
far valere la sua “autorità scientifica”, contrastando i danni
che si possono produrre “in nome del pluralismo economico”.
L’autorità scientifica dell’economista la si valuta dalle sue
“credenziali”. Quali siano queste credenziali non è dato sapere,
ma si può congetturare che siano riferite alla quantità di
pubblicazioni su riviste accademiche considerate top. Lasciamo
da parte il problema di come e su quali parametri queste riviste
vengono considerate prestigiose e procediamo con questa
considerazione. Se l’Economia è basata sull’evidenza, la
politica economica è anch’essa basata sull’evidenza e se la
politica economica è basata sull’evidenza non ha alcun senso il
dibattito di politica economica. Da ciò dovrebbe logicamente
discendere che gli unici governi ammissibili sono governi formati da
soli tecnici, gli unici legittimati a gestire la politica economica
sulla base dell’evidenza. Il passaggio alla riduzione degli spazi
democratici (peraltro diffusamente teorizzato nell’ambito di
ricerca nel quale si muove il prof. Tabellini) è molto
breve.
3. L’evidenza
è oggettiva e chi non la riconosce è ‘negazionista’. È
implicita nella tesi di Tabellini l’idea che l’economista non
abbia un proprio orientamento ideologico e neppure politico. È,
cioè, un tecnico puro, la cui unica funzione consiste nel
raccogliere dati, metterli in relazione (avvalendosi delle tecniche
econometriche più avanzate) e derivarne prescrizioni di politica
economica. Il punto qui in discussione è se l’evidenza empirica
sia realmente oggettiva. La risposta non può che essere negativa.
Ogni esercizio statistico presuppone l’individuazione di variabili
che il ricercatore soggettivamente considera
rilevanti. La rilevanza soggettiva di una variabile rispetto a
un’altra non può che risentire della sua “visione pre-analitica”
e, dunque, delle sue convinzioni in senso lato politiche. Ovviamente,
esiste anche una domanda politica di idee economiche ed ‘effetti di
cattura’, soprattutto laddove la ricerca è finanziata da
Istituzioni private, per ottenere risultati che diano legittimazione
scientifica ai loro interessi. Tutto legittimo, ma nulla a che vedere
con la libertà di ricerca e tantomeno con la verità in
Economia.
La
teoria del negazionismo economico ripropone il programma
della Evidence
based policy lanciato
nel 1997 dal New Labour di Tony Blair, cerca di avvalorare la
dicotomia fra ‘scientismo’ e ‘antiscientismo’ e, per quanto
attiene alle politiche economiche, ripropone di fatto il
thatcheriano There
is no alternative.
La
teoria del negazionismo economico può essere letta come il
tentativo, da parte delle èlites,
di mettere a tacere teorie economiche che pongono in discussione
l’attuale assetto istituzionale, basato su quello che è stato
definito attacco globale al lavoro[2].
Anche qui nulla di nuovo. Uno dei massimi esponenti della “scuola
austriaca”, Ludwig von Mises, scrisse con estrema chiarezza a
riguardo:
"Se
è l'interesse di classe a determinare il pensiero, allora oggi la
borghesia ha bisogno di una teoria che esprima la realtà senza
contaminazioni da false idee. Fino all'apparizione di Marx, la
borghesia ha beneficiato di un'ideologia, vale a dire del sistema
degli economisti classici e volgari. Ma quando, con la pubblicazione
del primo volume del Capitale (1867), il proletariato ha avuto una
dottrina corrispondente alla propria collocazione sociale, la
borghesia ha cambiato tattica ... La borghesia aveva bisogno di una
teoria che, guardando spassionatamente al vero stato delle cose e
affrancata da ogni coloritura ideologica, le offrisse la possibilità
di avere sempre a sua disposizione i mezzi più idonei per la grande
e decisiva lotta di classe" (L. von Mises, Problemi
epistemologici dell'economia,
1933).
Il
rilievo della teoria del negazionismo economico, in questa fase
storica, la si può mettere in relazione con il successo elettorale,
in Europa e non solo, di partiti e movimenti politici con programmi
economici potenzialmente destabilizzanti. In più, la teoria del
negazionismo economico può essere anche letta come un segnale di
crisi della teoria economica dominante, proprio in quanto ha
necessità di acquisire ulteriore legittimazione negando appunto la
validità di altre teorie, quindi rifiutandosi di confrontarsi con
queste.
Non
esiste dunque un qualcosa che può definirsi negazionismo economico.
L’economia è una disciplina sociale, con importanti presupposti e
implicazioni politiche, ed è sempre più un ambito di conflitto fra
teorie economiche contrapposte e radicalmente inconciliabili. Che il
prof. Tabellini sia maggiormente ascoltato rispetto ad altri
economisti ‘critici’ non dipende dal fatto che ciò che dice o
scrive è basato sull’evidenza (anche le teorie economiche definite
negazioniste si basano sull’evidenza): più banalmente, ciò
dipende dal fatto che quello che dice o scrive è in linea con il
pensiero dominante e lo dice o lo scrive da una sede universitaria
considerata prestigiosa.
NOTE
[1] Le
tesi qui esposte si limitano a discutere criticamente la posizione
del prof. Tabellini in una formulazione comprensibile anche a non
economisti, considerando la rilevanza che la voce di Tabellini ha
avuto e ha nel dibattito politico italiano. Per una trattazione
recente e approfondita delle teorie qui richiamate, si rinvia a C.
Codaglione, F. Bogliacino e G.A. Veltri, (2018). Scienza
in vendita. Incertezza, interessi e valori nelle politiche pubbliche.
Milano: Egea.
[2] Cfr.
R. Bellofiore and J. Halevi (2010). Could
Be Raining": The European Crisis After the Great Recession,
“International Journal of Political Economy”, 39, pp.5-30.
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