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Roberto_Fineschi è un filosofo ed economista italiano (https://marxdialecticalstudies.blogspot.it/).
Vedi anche https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/12/epoca-fasi-storiche-capitalismi-forme-e.html
https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/08/in-cerca-di-un-soggetto-storico-forme-e.html
A critical evaluation of the Russian revolution implies e re-consideration of Marx's theory of historical change. In the light of the recent philological acquisitions available thanks to the new critical edition of Marx's and Engels' works. It seems possible to redefine some basic concepts of Historical materialism; this affects both the concept of Revolution and the theory of the historical and political classes supposed to lead this process. The essay begins a reflection on these complex themes and suggest some possible future researches.
Keywords: Marx; Revolution; Historical materialism; Classes.
In questa relazione
vorrei iniziare a indagare, in maniera problematica e necessariamente
provvisoria, un tema radicale, che sta
forse alle spalle della riflessione sugli eventi dell’Ottobre 1917, vale a
dire il significato stesso del concetto di “rivoluzione”. È possibile
ricostruirne una teoria tanto in termini generali quanto in termini più
specifici relativamente al passaggio dal modo di produzione capitalistico
a una società futura?
Quanto segue costituisce solo una riflessione di carattere
preliminare; le domande sono più delle risposte. Per trovare le risposte,
bisogna però partire dalla domande giuste; spero che questo contributo
possa essere di qualche aiuto in questo senso.
In termini marxiani, si tratta di una trasformazione che implica una
ridefinizione dei rapporti di produzione e distribuzione sulla base di un
nuovo modo di produzione e delle relative forme di rappresentazione e
consapevolezza di tale processo da parte degli attori coscienti. Questo
cambiamento può essere il risultato di un processo politico
consapevolmente gestito dagli attori sociali, che oltre ad essere agiti
dalle tendenze obiettive, le “agiscono”, se mi si consente la
sgrammaticatura. Alcune possibili domande, quindi, sono:
a) quando ci sono state effettivamente rivoluzioni strutturali?
b) Quando le rivoluzione strutturali sono state risultato di soggetti
consapevoli che si erano posti quello scopo?
c) Quale evento storico “rivoluzionario”, a detta dei suoi promotori,
ha effettivamente portato a una rivoluzione strutturale?
d) Viceversa, quale rivoluzione strutturale è avvenuta a prescindere
dalla consapevolezza dai suoi realizzatori materiali?
Un secondo blocco di domande inevitabilmente collegate a queste
sono le seguenti:
e) in quale altra epoca storica la lotta di classe ha prodotto delle
dinamiche progressive o ha garantito alle classi antagoniste una via di
uscita “progressiva”?
f) Ovvero quali e quante rivoluzioni soggettive, anche di grande
portata, sono finite nel nulla?
g) In questo contesto, l’incremento delle forze produttive è una
costante storica nel passaggio da un modo di produzione all’altro?
h) Il corrente modo di produzione è sempre stato fecondo del
successivo in termini di progresso della produttività del lavoro e della
capacità degli uomini di gestire il ricambio organico con la natura?
Alla maggioranza di queste domande, soprattutto a quelle del
secondo blocco, si dovrebbe rispondere positivamente sulla base dello
schematico modello esposto nella celeberrima Prefazione marxiana a
Per la critica dell’economia politica. Parrebbe trattarsi però di una
formalistica generalizzazione transtorica di leggi e tendenze che si
instaurano nel modo di produzione capitalistico. In effetti, non pare che
nel corso storico le cose siano andate esattamente così, dove mondi
produttivi sono scomparsi, implosi, senza generare niente di
“superiore”; dove le classi in teoria progressive hanno tentato
rivoluzioni tragicamente fallite proprio per la mancanza di condizioni
oggettive; oppure condizioni obiettive hanno prevalso prendendo
determinate direzioni a prescindere dall’azione programmatica delle
classi in gioco.
Per farla breve, Marx ha effettivamente elaborato una teoria degli
“altri” modi di produzione? In assenza di essa non si può che prendere
atto che tutte le domande di cui sopra sono destinate a non avere
risposta. Questo è un problema anche per la teoria del presente e del
suo eventuale carattere anticipatorio del futuro. Riprendiamo il discorso
dalle fondamenta.
2. «Die materialistiche Geschichtsauffassung» ovvero, la concezione
materialistica della storia
La teoria del processo storico elaborata da Marx è rimasta un torso.
Ciò non significa che quello che ci ha lasciato non costituisca, ancora
oggi, uno dei più validi strumenti teorici e politici che siano a nostra
disposizione; tuttavia non bisogna neppure farsi illusioni sui suoi limiti
o, forse meglio, sulla sua incompiutezza. Il mio contributo cercherà di
mettere in luce, in questo contesto, quelli che a mio modo di vedere
sono alcuni orizzonti di ricerca aperti, soprattutto per quanto riguarda il
concetto di rivoluzione e cambiamento storico.
La teoria della storia di Marx si articola attraverso una complessa
struttura che si sviluppa su diversi livelli di astrazione.
a) continuità/discontinuità fra uomo e natura. La specie umana, una
delle tante del regno animale, si caratterizza per la sua capacità di
lavorare. Il processo lavorativo mette in gioco tutta una serie di elementi
“naturali” che però, grazie alle modalità in cui il processo si realizza,
diventano “umani”. Qui il riferimento è ai noti passi del primo libro del
Capitale sul Processo lavorativo.
La “Gegenständlichkeit” del risultato del processo, il prodotto,
rende possibile l’essere per altro oggettuale dell’attività umana e quindi
la possibile socializzazione dei suoi prodotti. La costruzione di un
mondo oggettivo, naturale/umano che ha una sua esistenza altra,
potenzialmente per altri.
Le caratteristiche di questo processo in astratto non descrivono una
modalità primordiale di lavorare, una essenza/esistente o esistita in un
qualche momento primigenio. L’individuazione in astratto degli
elementi del processo lavorativo non è che il caput mortuum di un
processo di astrazione che come tale non è mai esistito né deve esistere.
Il processo si realizzerà sempre in forme storiche determinate che ne
saranno una manifestazione, ma, proprio per questo, mai saranno
identiche all’universale astratto.
b) Questo discrimine permette di articolare il secondo processo di
continuità/discontinuità, quello delle diverse fasi storiche “umane”. Le
diverse modalità, in cui gli astratti elementi del processo lavorativo
verranno ad unirsi permettendo l’estrisecarsi del processo stesso, e le
dinamiche sociali specifiche, che così vengono a svilupparsi, fanno sì che ci siano fasi diverse della storia della produzione che saranno per
certi aspetti la stessa cosa – forme del produrre umano – ma allo stesso
tempo specificamente diverse – ciascuna con una sua dinamica
peculiare. Determinati rapporti di produzione in cui le forze produttive
esistono. Il modo di produzione è il cuore concettuale e pratico da cui
tutto ciò si sviluppa.
Le conformazioni materiali – che, vale la pena sottolinearlo, sono
tanto manuali che intellettuali – della produzione determinano le
modalità attraverso le quali i singoli individui hanno una funzione
determinata. La loro funzione individuale raccorda i vari singoli
individui in una funzionalità di sistema, una classe. La loro socialità è
implicita in ciò. Le modalità di realizzazione del processo mostrano
pure – espongono – come gli attori del processo si “rappresentino” il
processo stesso nella loro coscienza non scientifica, come si producano
forme di consapevolezza fenomenica del processo obiettivo e come esse
non siano semplicemente un inganno, ma la necessaria forma di
manifestazione dell’essenza. Divengono parvenza solo se si pretende di
considerare il fenomeno non per quello che è, ovvero essenziale, ma
l’essenza stessa.
3. Stufentheorie, ovvero della Teoria degli stadi
Se questo è, in maniera estremamente schematica, il nocciolo della
materialistische Geschichtsauffassung, ci si può chiedere come Marx
pensi, in primo luogo, la presenza di leggi complessive del corso storico
in generale; secondariamente, in che misura egli riesca ad articolarne
ogni singolo periodo. Si tratta di una questione che inevitabilmente
ripropone la vexata quaestio della Stufentheorie, su cui molto si è già
detto e scritto.
Alla prima domanda si può rispondere: per generalizzazione. Marx
elabora la teoria del modo di produzione capitalistico – senza portarla a
termine fra l’altro – e sulla base della sua logica specifica, per differenza,
cerca di individuare sia le caratteristiche del processo lavorativo in
astratto – “a-/transstorico” cui si accennava in precedenza – sia le
determinazioni formali astrattamente comuni a qualsiasi modo di
produzione. Mentre per le caratteristiche astratte questa modalità perm “sottrazione” può anche funzionare, per gli altri modi di produzione
funziona solo fino ad un certo punto, in quanto, mancando le modalità
specifiche, manca in realtà la teoria vera e propria.
Se così stanno le cose, è difficile prendere troppo sul serio la
generica periodizzazione offerta da Marx nella Prefazione a Per la
critica dell’economia politica. D’altronde, pure l’interesse di Marx per
le forme pre-capitalstiche sembra principalmente orientato a
individuare il processo di formazione delle premesse del modo di
produzione capitalistico – ovvero la separazione di forza-lavoro e mezzi
di produzione e la cosiddetta accumulazione originaria –, più che a
formulare una teoria di un diverso e specifico modo di produzione. Almeno questo è quanto accade per esempio nel XXIV capitolo del
primo libro del Capitale.
Sicuramente, almeno in parte, diversa la questione per le Formen e
per i successivi interessi etno-antropologici, in cui Marx si sforza di
individuare in maniera un po’ più precisa alcune delle caratteristiche
peculiari di altri modi di produzione, senza tuttavia riuscire in
un’impresa che, essa stessa estremamente complessa, sicuramente
avrebbe richiesto un immenso lavoro preliminare che al tempo era ben
lungi dall’essere non solo svolto, ma addirittura immaginato.
Note, tuttavia, le “ossificazioni” interpretative connesse a questo
tema, secondo le quali tutte le nazioni e tutti i popoli avrebbero dovuto
passare più o meno schematicamente attraverso le fasi indicate nella
Prefazione a Per la critica; si finiva così per riproporre una “filosofia
della storia” in senso deteriore, vale a dire una concezione
meccanicistico-finalistica dell’evoluzione umana, basata tra l’altro su un
modello sostanzialmente eurocentrico. Se i limiti dell’esposizione di
Marx liberano il discorso definitivamente e fortunatamente da siffatti
schematismi, dall’altra, sfortunatamente, non ci forniscono una
soddisfacente teoria della processualità storica.
4. I limiti della dialettica
Marx insiste molto, in varie sedi, sui “limiti della dialettica”, per vari
motivi. In primo luogo, ciò che vuole evitare è l’accusa di “hegelismo”,
etichetta con la quale intende sostanzialmente una concezione della
Materialismo Storico, n° 2/2017 (vol. III)
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storia finalistica, per cui una intrinseca tendenza di fondo guiderebbe lo
svolgimento del corso storico verso uno scopo finale. Marx vuole invece
mostrare come non sia possibile teorizzare questa tendenza in astratto,
ma solo la dinamica temporale specifica di singoli modi di produzione,
quello capitalistico nello specifico. Esso ha dei punti di partenza non
definiti da esso stesso, eredità di un modo di produzione precedente.
Solo una volta che tutti i presupposti si danno, è possibile che il
modello capitalistico inizi la sua dinamica; questa prima “posizione”
non è “posta” dal modo di produzione capitalistico stesso. Per come
funziona, esso tenderà a porre come risultati della sua stessa
processualità quelli che erano dei presupposti, e quindi a diventare un
processo vero e proprio. Gran parte della teoria dell’accumulazione è
dedicata a questo scopo. Fa tuttavia parte della teoria la necessità di un
prima “altro”, corrispondente a dinamiche diverse, che non si può
spiegare sulla base della teoria del modo di produzione capitalistico. Se
ciò fosse possibile, si stabilirebbe una catena teleologica universale e
quindi una nuova versione della storia a piano.
Che cosa si può dire della società futura? E di quelle passate? Sulla
base della stessa logica, per coerenza, si potrebbe affermare che il modo
di produzione capitalistico pone certi presupposti, ma dal suo interno
non si può elaborare una teoria del modo di produzione futuro. Marx
invece più volte si sbilancia in questo senso, parlando della società
futura sulla base delle tendenze intrinseche al modo di produzione
capitalistica e guadagnandosi così note accuse di finalismo. Teorizza
non solo come gli attori ed i soggetti che svolgono determinate funzioni,
a un certo punto, per la dinamica stessa del modo di produzione,
entrino in conflitto mutuo, ma anche come ciò determini lo svilupparsi
di soggettualità storiche capaci di una progettualità politica legittimata
dalla tendenza di fondo della dinamica storica. Ciò però è possibile
senza una scienza del futuro nel presente?
Marx è qui ancora più radicale, arrivando a sostenere che la società
futura sarà qualcosa di essenzialmente diverso dal passato, non sarà
semplicemente un nuovo modo di produzione, ma una nuova storia
libera dal conflitto di classe, quello che, fino ad allora, era stato
identificato come il motore stesso della dinamica storica. Per Marx
questa “scienza del futuro” è almeno in parte possibile sulla base della
premessa che il futuro comincia ad emergere nel presente, è già nel presente per il suo contenuto, ma non per la forma. Prima di
considerare questo aspetto, ovvero se ciò basti a salvare la teoria
dall’accusa di teleologismo, vorrei fare qualche comparazione.
5. Ancora sulla Stufentheorie
I limiti ormai accettati da insigni marxisti come ad es. Hobsbawn o
Cazzaniga della Stufentheorie marxiana, almeno per quanto concerne il
passato, hanno fatto il paio con l’assenza di elaborazioni di teorie di
modi di produzione non capitalistici. La proposta di Kula per il modo
di produzione feudale probabilmente non avrebbe soddisfatto le
esigenze marxiane e, a mio modo di vedere, resta legata alla
generalizzazione e connessione di dati storici dell’esperienza polacca
che troppo sono debitori di un approccio descrittivo e che, per Marx,
probabilmente farebbe parte più del modo di ricerca che non di quello
di esposizione, quello “propriamente scientifico”.
Questo approccio per contrasto e comparazione è comunque stato
anche ridimensionato da altri anche da un punto di vista metodologico.
Si è parlato di Methode auf Widerruf, “metodo revocabile”, tanto
buono ed efficace quando specifico del modo di produzione di cui è
forma, vale a dire del modo di produzione capitalistico. Quindi anche
metodologicamente si finisce per negare una possibile continuità fra
modi di produzione e in qualche modo si delegittima la possibilità di
conoscere gli altri per contrasto con quello attuale. O almeno solo a
livello descrittivo, non di enucleazione delle leggi di funzionamento.
Per venire ai concetti di Lotta di classe e, nello specifico, di
Rivoluzione, altri hanno sempre di fatto ridimensionato la possibilità di
concepire una nozione forte di questi termini, nel senso della dialettica
di funzione e conflitto, riservandone l’effettiva efficacia specificamente,
di nuovo, solo al modo di produzione capitalistico.
Alla luce degli studi e delle ricostruzione filologica dello stato della
teoria di Marx, in sostanza, non semplicemente l’idea della schematica
successione lineare è venuta meno. A venir meno è stata una
interpretazione larga, estensiva della concezione materialistica della
storia. La cogenza scientifica della teoria di Marx, per lo stato
deficitario del suo sviluppo, la sua sostanziale incompiutezza, non può che limitarsi al modo di produzione capitalistico e restare solo
un’ipotesi di ricerca per gli altri. Infatti, senza una teoria degli altri modi
di produzione, è difficile definire il ruolo funzionale delle classi, la loro
natura rivoluzionaria, il passaggio da una fase all’altra, il carattere
progressivo di questo passaggio. Queste sono tutte domande che al
momento non possono trovare risposta. I contadini, gli schiavi,
ammesso e non concesso che queste si possano definire classi subalterne
o antagoniste dei non meglio definiti feudalesimo e schiavismo, in che
senso sono stati rivoluzionari e in che modo, grazie alla loro azione, si è
passati ad una forma diversa e superiore? In realtà, le loro rivolte sono
fallite. Il modo di produzione antico è finito portando ad una
decadenza da tutti i punti di vista, della popolazione, della cultura, delle
tecniche e della capacità produttiva.
Per farla breve, la teoria di Marx, per come ce la abbiamo, permette
di parlare della storia e della struttura economico-sociale del modo di
produzione capitalistico. Questo in linea di principio non significa che
non sia possibile cercare, praticamente e metodologicamente, di
utilizzarla per fare la teoria di altri modi di produzione, ma al momento
la concezione materialistica della storia “in weiterem Sinn” è ancora in
alto mare.
6. Scienza del presente e/o del futuro?
Che la Stufentheorie marxiana – e quindi la Teoria della lotta di
classe e della Rivoluzione – sia incompleta e in questo senso deficitaria,
non significa che il suo valore scientifico come modello di conoscenza
del presente, vale a dire del modo di produzione capitalistico, non sia
solido e scientificamente sviluppato. Come può però essa, sulla base
degli stessi caveat metodologici ed epistemologici visti sopra, essere
teoria del futuro? Anche se ci limitiamo al modo di produzione
capitalistico, la questione è come si possa fare una teoria del presente
che apra le porte del futuro senza prestare il fianco alle accuse di
determinismo meccanicistico e di teleologia deteriore.
Hegel alla fine si sottraeva a questa critica con la metafora della
Nottola di Minerva che spicca il volo sul far della sera. Quindi, la
ricostruzione della razionalità dello svolgimento storico è realizzata a posteriori, una volta che si era data. Chi agiva nel presente per
cambiarlo non sfuggiva alla dimensione del dover essere senza che ciò
che alla fine si andava a realizzare fosse necessariamente ciò che ci si era
preposti consapevolmente; l’eterogenesi dei fini. La scienza filosofica
conosceva in quanto riconosceva ex-post; essa non permetteva di
cambiare o ringiovanire il corso storico, ma di coglierne la razionalità
intrinseca. La dialettica del cambiamento storico era invece tematizzata
nella Weltgeschichte, attraverso i popoli ed i principi da loro incarnati;
e i popoli si avvicendavano attraverso la guerra. In che misura e come la
teoria di Marx riesce a sottrarsi a questa limitatezza? Credo che almeno
questo salvataggio sia possibile senza necessariamente cadere nelle
teleologia. Questo grazie al metodo marxiano ed al modo in cui viene
sviluppata la sua teoria del modo di produzione capitalistico.
La combinazione di metodo di ricerca e metodo di esposizione
permette a Marx di sviluppare una teoria che individua l’ossatura del
modo di produzione capitalistico. Ciò non è potuto avvenire nel vuoto
pneumatico dell’astrazione, ma solo perché il capitalismo si era già
sviluppato fino ad un certo punto; ciò rendeva possibile fissarne la
cellula economica, lo snodo concettuale da cui si dipana poi la teoria nel
suo complesso, in virtù della sua intrinseca logica. Lo sviluppo di questa
teoria individua un’architettonica che implica funzioni e conflitti da una
parte e linee di tendenza dall’altra. Non mi dilungo qui sulla teoria dei
soggetti storici, sulla distinzione tra Forme e Figure che ho sviluppato
altrove, e sulle tendenze di lungo periodo del modo di produzione che
Marx è stato in grado di indicare con larghissimo anticipo, dimostrando
la sostanziale correttezza della sua teoria. Ciò che adesso mi preme
sottolineare è che ciò è stato possibile perché la nottola di Minerva ha
spiccato il volo prima del far della sera e ha visto abbastanza da cogliere
delle tendenzialità sulla base delle quali si riesce non solo a pensare il
presente come concluso, ma come conflittuale unità con delle linee di
tendenza definite e dei soggetti che incarnano funzioni creando questa
processualità sistemica. Sulla base di ciò si riescono a determinare delle
linee di sviluppo, a un altissimo livello di astrazione, del modello. Si
determinano delle classi, il loro ruolo e la loro legittima rivendicazione
politica. L’opposizione di classe e la legittima conflittualità politica è
così, non moralmente o empiricamente, ma scientificamente fondata. Ciò consente di ipotizzare che il Dover essere dei soggetti storici
possa essere razionalmente contestualizzato, che si possa legittimamente
cercare non di cavalcare in astratto l’onda della storia, ma la dinamica
del modo di produzione capitalistico con cognizione di causa… finale,
pur nei limiti di questo modo di produzione.
7. Die Zukunfsmusik – La musica del futuro
Marx però non si limita a legittimare la lotta di classe nel presente, a
individuare le linee di tendenza, ma va ad indicare il contenuto
materiale della società futura già presente nella forma sociale inadeguata
e contraddittoria del modo di produzione capitalistico. Queste
potenzialità sono il Lavoratore complessivo – il produttore universale
integrato –, la capacità infinita della produttività, l’umanità non più
come astrazione generica ma realtà di fatto, l’individuale fatto universale
e viceversa.
In quali soggetti effettivi, in quali classi (forme e figure) e in quali
forme del produrre ciò si sustanzia? Marx indica le cooperative e la
società per azioni come soggettualità di passaggio. In che senso esse
possono costituire il fondamento di un nuovo modo di produzione? Si
tratta di una elaborazione palesemente inadeguata, alla quale manca la
teorizzazione di livelli di astrazione più bassi in cui si prenda in
considerazione tanto per fare un esempio lo Stato, e via dicendo.
Qual è il nuovo modo di produzione che emerge dalla ceneri di
quello capitalistico? Forse Marx poté ritenere che i tempi fossero
maturi per formulare una teoria del nuovo modo di produzione. Forse,
però, proprio qui è il problema, i tempi non lo erano e non è detto che
lo siano adesso, per vedere abbastanza del nuovo contenuto da farne
una teoria.
Si sono ovviamente fatte delle ipotesi. Qual è la teoria di un nuovo
modo di produzione? Quello statuale? Quale la nuova forma del
prodotto? Le nuove modalità in cui gli elementi del processo lavorativo
vanno ad unirsi e a dare vita al processo lavorativo?
Qui emerge immediato un problema già emerso relativamente al
confronto con i passati modi di produzione: queste nuove modalità
sono già in essere o sono modalità che noi vorremmo ci fossero perché le definiamo per differenza dal modo di produzione capitalistico?
Eliminare merce e denaro o altre categorie teoriche e pratiche tipiche
del modo di produzione capitalistico, non produce di per sé la teoria e
la pratica di un nuovo modo di produzione. Lo dimostra anche la prassi
rivoluzionaria di Lenin nei suoi passaggi dall’economia di guerra alla
NEP dove certe soluzioni “ideologiche” vengono abbandonate perché
praticamente non furono solo inefficaci ma fallimentari. Il dibattito sul
passaggio dal “piano” a elementi di economia di mercato nei paesi
socialisti negli anni sessanta e settanta risponde alla stessa logica.
I tentativi in corso, in Cina, in Venezuela, a Cuba, in Corea del nord,
in modo assai diverso, in certi casi con una certa dose di eclettismo
politicamente comprensibile viste le circostanze, ed in certi casi con dei
notevoli successi in politica sociale, come si inquadrano in questo
contesto? Se esiste una progettualità di lungo corso, come essa si
configura? Non mi pare ci siano idee troppo chiare in proposito.
In un certo momento è parso che il modo di produzione capitalistico
stesso tendesse ad “autoorganizzarsi” attraverso trust e monopoli. Il
sollevamento e la presa in carico da parte dello Stato di questo processo
è allora una nuova forma del produrre? Come pare pensasse Lenin ma
come poi non è stato con l’Unione Sovietica?
Ed il sistema del welfare? La trasformazione di determinate merci
fondamentali in diritto, la loro sottrazione al mercato è abbastanza? È
un altro modo di produzione? Un sistema che può essere
universalizzato al punto da cancellare merci, denaro, salari, ecc.?
La partecipazione statale a vari livelli nell’economia e il
ridimensionamento del libero mercato sono un’anticipazione del futuro,
dei cambiamenti epocali, oppure una coerente ristrutturazione del
processo capitalistico di accumulazione e valorizzazione ed una
ridefinizione dei rapporti egemonici di classe in un contesto
prettamente capitalistico?
Perché una Rivoluzione avvenga, deve cambiare il modo di
produzione, il sistema di produzione e di distribuzione dei prodotti. Se
questo nuovo contenuto si forma nel presente, la sfida è saperlo cogliere
e farne la teoria, ammesso che sia già abbastanza sviluppato per poterlo
fare. Marx ha scritto Il capitale a un certo punto dello sviluppo del
capitalismo storico. Riusciremo noi, senza perderci in utopie fantastiche
o contrastive, a scrivere Il comunismo?
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