mercoledì 4 aprile 2018

Ingerenze elettorali e svolta a destra in America Latina - Alessandra Ciattini

Da: https://www.lacittafutura.it -  Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza.



L’ingerenza elettorale statunitense sta producendo una svolta a destra in America Latina.



È veramente paradossale che negli Stati Uniti si continui ad agitare il tema dell’ingerenza russa nelle elezioni presidenziali che, anche per la particolarità del loro sistema elettorale, hanno portato al potere quel grottesco personaggio che è Donald Trump. Come d’altronde la recente scoperta dell’uso di dati di circa 50 milioni di utenti di Facebook da parte della società Cambridge Analytica, per favorire il trionfo di Trump rende, se è possibile, la situazione ancora più sconcertante.
Lo stesso tipo di comportamento si può riscontrare nell’ostilità verso la Corea del Nord per essersi dotata della bomba nucleare, o in quella verso la Siria e ultimamente verso la Russia per il possesso e l’uso delle armi chimiche, dal momento che tale accusa proviene da un paese che possiede l’armamento più sofisticato al mondo ovviamente comprensivo di bombe atomiche [1], sottoposte ora ad un processo                                                                                                  di aggiornamento, e di armi chimiche.
Per bollare tale comportamento si potrebbe ricordare il celebre passo del Vangelo di Luca: “Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?”. Purtroppo questa considerazione non basta a comprendere l’atteggiamento arrogante e prepotente degli Stati Uniti, che negli ultimi anni con vari espedienti, tra cui il tanto esecrato attentato alle Torri gemelle del World Trade Center di New York [2], hanno fatto a pezzi il diritto internazionale, imponendo la legge del più forte.
Tornando al tema dell’ingerenza elettorale, è noto e documentato che gli Stati Uniti hanno sempre pilotato le elezioni in varie regioni del mondo, giungendo a sollecitare e appoggiare colpi di stato, quando gli eletti alle cariche più importanti non erano di loro gradimento. 
Secondo l’analista internazionale Adalberto Santana tale politica cominciò addirittura nel 1947, quando fu istituita la CIA e si prodigò in interventi armati, oltre che col finanziamento dei partiti politici di destra e col condizionamento di vari organismi istituzionali. Successivamente fu creata la NED (1983, National Endowment for Democracy) con le stesse finalità, ma mascherando i suoi veri obiettivi con la giustificazione di essere lo strumento dell’affermazione della democrazia là dove essa manca o langue. In particolare, negli ultimi anni in America Latina la NED ha portato avanti una politica di destabilizzazione dei governi progressisti del Venezuela, della Bolivia e del Nicaragua; a tale scopo ha utilizzato e i mass media per screditare e criminalizzare i leader progressisti, sostenendo al contempo quelle forze di destra impopolari e che non sono riuscite a conquistare il potere mediante le elezioni.
Un caso a parte è rappresentato dall’Ecuador del Presidente Lenin Moreno, stretto collaboratore del precedente Presidente Rafael Correa, di cui con una mossa inaspettata ha tradito il progetto, smantellando la Rivoluzione cittadina per restaurare il potere dei banchieri e dell’oligarchia, che è tornata a controllare i mass media. Dopo aver fatto durante la campagna elettorale promesse mirabolanti e successivamente aver accusato di corruzione Correa e i suoi governi, con cui ha collaborato per 10 anni, con un referendum Moreno ha fatto un vero e proprio colpo di stato, mirando soprattutto ad eliminare il precedente Presidente dalla politica ecuadoriana. Questi aspirava ad una successiva rielezione alla presidenza del paese. Almeno così descrive l’ascesa al potere di Moreno l’intellettuale argentino Atilio Borón, il quale trova anche significative somiglianze con quanto sta accadendo nell’Argentina di Mauricio Macri.
Negli ultimi dieci anni nel resto dell’America Latina il Pentagono ha adottato nuove strategie, impiegando sia il sistema giudiziario che quello mediatico per accusare i suoi avversari di corruzione e per screditarli agli occhi dell’opinione pubblica. Questo è il caso dei violenti attacchi contro Cristina Fernández in Argentina, Ignacio Lula da Silva e Dilma Rousseff in Brasile, ma - come osservano Santana e Aumori Chamorro nell’articolo già citato – si è trattato in questi casi di vittorie elettorali e non politiche. In Honduras, dove invece si sono verificati brogli nelle elezioni del 26 novembre 2017, che hanno visto vincitore il conservatore Juan Orlando Hernández, gli Stati Uniti ne hanno immediatamente riconosciuto l’esito e i mezzi di comunicazione di massa lo hanno legittimato. Le proteste seguite al fraudolento risultato elettorale hanno scatenato l’intervento della polizia, che ha causato la morte di 34 persone.
In Messico è oggetto di un violento attacco mediatico il progressista Andrés López Obrador, sostenuto dal Partido del Trabajo, da Morena e da Encuentro Social; ciò nonostante (e nonostante si parli di ingerenza russa a suo favore) egli sembra essere fino ad oggi il favorito (con il 37, 8) alle elezioni presidenziali che si svolgeranno il primo luglio 2018. Obrador si trova contro una coalizione (Por México al Frente) formata da vari partiti come il PAN, il PRD e il Movimiento Ciudadano, oltre che il candidato del PRI, che ha governato il Messico per 70 anni, José Antonio Meade. AMLO, come viene comunemente chiamato, ha dichiarato di ispirarsi al pensiero di Noam Chomsky, ed è già stato sconfitto in precedenza due volte in elezioni sospettate di brogli.
Naturalmente le campagne mediatiche contro i vari concorrenti alle elezioni non sono neutrali, giacché i proprietari dei mezzi di comunicazione di massa sono al contempo i proprietari del sistema industriale e finanziario dei vari paesi e preferiscono un governo amico formato da partiti conservatori ostili ad ogni forma di riforma economico-sociale fortemente richiesta dalle masse popolari.
Un altro caso interessante, segnato da uno svolta a destra, è quello del Cile, dove l’ex-candidato presidenziale progressista, Marco Enríquez Ominami, figlio del fondatore del MIR, che nei sondaggi superava di 20 punti Sebastian Piñera, poi risultato vincitore, probabilmente deve la sua sconfitta all’essere stato mediaticamente attaccato ed accusato di aver ricevuto finanziamenti illeciti per la sua campagna elettorale. Analogamente l’altro ex-candidato alle elezioni di dicembre il socialdemocratico Alejandro Guiller non è riuscito a sconfiggere Piñera, uno degli uomini più ricchi del paese, confermando anche in questo caso che nel subcontinente latinoamericano gli equilibri politici si stanno modificando a tutto vantaggio della destra. E ciò nonostante abbia ricevuto i voti di parte del Frente Amplio, coalizione di sinistra capeggiata da Beatrix Sánchez.
Quanto alla situazione della Colombia, dove il referendum per la pace fu un insuccesso per chi sosteneva la pacificazione [3],in generale molto alto è il tasso di astensione che in quella occasione ha raggiunto il 62%. Mentre continuano gli assassini dei leader dei movimenti sociali l’11 marzo si sono tenute le elezioni legislative, il 27 maggio si terranno, invece, le presidenziali, cui parteciperà il candidato della sinistra Gustavo Petro, ex-sindaco di Bogotà. Nelle prime ha sicuramente vinto la destra, mentre il partito delle FARC ha ottenuto solo 5 scranni alla Camera e 5 al senato secondo quando stabilito dagli accordi dell’Avana. Gli Stati Uniti si sono detti preoccupati anche in questo caso di possibili ingerenze russe tramite la diffusione di “false informazioni” attraverso il canale televisivo Telesur.
Recentemente si sono svolte a Cuba le elezioni legislative (11 di marzo), nel corso delle quali sono stati scelti i membri dell’Asamblea del poder popular. In questo caso i cubani hanno dovuto fronteggiare le dichiarazioni delegittimanti nei confronti del loro sistema democratico fatte dal segretario dell’Organizzazione degli Stati dell’America, Luis Almagro; istituzione che Fidel Castro definì acutamente “il Ministero degli Esteri degli Stati Uniti”.
Infine, parliamo del Venezuela, il caso più trattato dai nostri mass media e che si contrappone alla Colombia, perché quest’ultima è assai vicina agli Stati Uniti ed è persino probabile che entrerà a far parte della NATO. Le elezioni presidenziali si terranno il prossimo 22 di aprile e gli Stati Uniti hanno dichiarato che non si tratta di elezioni legittime, libere, trasparenti e che non riconosceranno il presidente eletto. Inoltre, hanno dichiarato che useranno tutti gli strumenti disponibili contro il successore di Chávez, diplomatici, politici ed economici.
Da questa sintetica panoramica si può ricavare che gli Stati Uniti perseguono sempre la stessa strategia sin dagli inizi della guerra fredda e che sono soltanto diventati più flessibili nella scelta delle modalità di intervento.


Note
[1] Gli Stati Uniti sono fino ad oggi l’unico paese che ha impiegato le bombe atomiche. 
[2] Molti hanno dubitato che si sia trattato di un attentato, sostenendo che tale operazione è stata progettata e realizzata all’interno degli stessi Stati Uniti (v. G. Chiesa, 11 settembre, perché il consulente saudita dice che dietro c’erano gli USA? Chiesa considera l’attentato un colpo di Stato contro il mondo intero.
[3] Il processo di pace fu sconfitto anche per il voto di parte di 10 milioni di evangelici presenti nel paese e notoriamente conservatori.
Il Venezuela di Maduro accerchiato resiste di G. Colottti
Il ruolo ideologico-politico di Telesur di A. Ciattini
La Colombia e la NATO di A. Ciattini
L’esempio e l’insegnamento del Che di G. Colotti

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