*Da: noirestiamo.org
**Professore di Politica economica internazionale alla Sapienza di Roma e dirigente della Rete dei Comunisti.
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Per Vasapollo, già la crisi del 1929 è una grossa crisi di accumulazione da cui il capitalismo esce da un lato con un nuovo modello produttivo – il fordismo – dall’altro ridefinendo il ruolo dello Stato, conferendogli una presenza molto più attiva in termini di spesa pubblica che, come Vasapollo ha sottolineato, di per sé non significa necessariamente spesa sociale, e anzi ha assunto la dimensione prevalente di spesa in armamenti. In effetti, l’uscita da quella crisi è stata storicamente possibile solo con la seconda guerra mondiale e ha visto a quel punto gli Stati Uniti, il cui territorio è rimasto intatto da bombardamenti e distruzioni, imporsi come potenza imperialistica egemone a livello globale, seppur in coesistenza con il blocco socialista a guida sovietica. In questa fase gli USA, tramite ingenti finanziamenti economici, hanno di fatto legato a sé la ricostruzione economica e i destini dell’Europa e del Giappone.
Germania e Giappone hanno sviluppato successivamente una forma particolare di capitalismo, ciò che Vasapollo definisce modello renano-nipponico: alti salari, alta produttività e buon livello di stato sociale in cambio di un livello molto basso di conflittualità. Gradualmente – mentre l’egemonia economica globale statunitense iniziava a incrinarsi, e il 1971 sanciva la fine degli accordi di Bretton Woods e della convertibilità diretta oro-dollaro – questi paesi sono stati in grado di sviluppare un proprio modello di accumulazione, rendendosi gradualmente indipendenti dagli Stati Uniti e anzi diventando suoi competitori.
L’Unione Europea nasce poco dopo la fine della seconda guerra mondiale – i primi passi vanno rintracciati nella Comunità del carbone e dell’acciaio – e da subito rappresenta un progetto di costruzione di un fronte europeo in funzione antisovietica. Vasapollo ha illustrato come ogni passaggio di questo processo di integrazione abbia seguito un importante avvenimento a livello di politica internazionale: il trattato di Roma del 1957 segue i fatti di Ungheria, l’ingresso di Danimarca, Irlanda e Gran Bretagna è del 1973 e segue la fine di Bretton Woods.
Gradualmente, la Germania imprime la sua impronta indelebile sul processo di integrazione europeo: in particolare, data la dimensione fortemente esportatrice della sua economia, essa incoraggia la deindustrializzazione progressiva dei paesi del Sud e dell’Est Europa, in un processo che naturalmente manifesta un fondamentale salto di qualità con la fine del socialismo reale e la riunificazione della Germania, fatti preceduti dall’importante Atto unico europeo del 1986, con cui si sancisce la nascita del mercato unico.
I trattati europei firmati a partire da quello di Maastricht rappresentano la cornice che dà forma al progetto a guida franco-tedesca (dove la Francia è particolarmente importante in quanto braccio militare, mentre la Germania è la potenza economica preponderante), progetto incentrato fin da subito – e non potrebbe essere altrimenti – sulla costruzione di un ruolo da protagonista nella competizione globale, in crescente divaricazione con gli Stati Uniti. Da qui inizia la costruzione di quella borghesia transnazionale europea, di cui la borghesia tedesca rappresenta la parte più avanzata ma certo non l’unica, si pensi ai settori di borghesia italiana che hanno interesse alla costruzione di un polo europeo forte e autonomo e che fanno riferimento al Partito democratico.
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