sabato 3 giugno 2017

Il mito dell’imperialismo russo: in difesa dell’analisi di Lenin*- Renfrey Clarke, Roger Annis**

https://traduzionimarxiste.wordpress.com/   Il testo seguente è una versione più lunga di un precedente saggio: Perpetrator or victim? Russia and contemporary imperialism, di Renfrey Clarke e Roger Annis, pubblicato sul sito Links International Journal of Socialist Renewal, nel febraio del 2016. 
**Renfrey Clarke, scrittore ed attivista australiano, nel corso degli anni Novanta ha svolto il ruolo di corrispondente da Mosca per Green Left Weekly. Roger Annis, lavoratore del settore aerospaziale oggi in pensione, attivista e blogger, ha compiuto numerosi viaggi di ricerca in Crimea e nel Donbass. Entrambi sono tra i curatori del sito New Cold War (newcoldwar).

In tempi recenti, un’aspra controversia si è sviluppata in seno alla sinistra internazionale riguardo al posto occupato dalla Russia nell’odierno sistema capitalistico mondiale. Nello specifico, si tratta di una potenza imperialista, parte integrante del “centro” del capitalismo globale? Oppure le sue caratteristiche economiche, sociali e politico-militari la rendono parte della “periferia”, o semi-periferia, globali – ovvero, parte della maggioranza dei paesi che, a diversi livelli, sono oggetto dell’aggressione e del saccheggio imperialisti? [1]
Tradizionalmente, la sinistra marxista ha utilizzato il termine “imperialismo” con un alto grado di discernimento. Dunque, per i marxisti, l’imperialismo non è un qualcosa che emerge misteriosamente quando i leader si lasciano sovrastare dall'”avidità”. Né può essere ridotto alla semplice azione militare esterna, per quanto aggressiva. Per i marxisti, viceversa, l’imperialismo attuale nasce da specifiche caratteristiche dell’ordine economico e sociale dei paesi capitalistici più avanzati.

La classica definizione marxista di imperialismo nell’epoca moderna è stata fornita da Lenin nel suo pamphlet del 1916,  L’imperialismo, fase suprema del capitalismo. Secondo il punto di vista del leader bolscevico, il capitalismo avanzato emerso nei decenni precedenti presentava le seguenti caratteristiche salienti:
“1) la concentrazione della produzione e del capitale, che ha raggiunto un grado talmente alto di sviluppo da creare i monopoli come funzione decisiva nella vita economica; 2) la fusione del capitale bancario col capitale industriale e il formarsi, sulla base di questo «capitale finanziario», di un’oligarchia finanziaria; 3) la grande importanza acquistata dall’esportazione di capitale in confronto con l’esportazione di merci; 4) il sorgere di associazioni monopolistiche internazionali di capitalisti, che si ripartiscono il mondo; 5) la compiuta ripartizione della terra tra le più grandi potenze capitalistiche.” [2] 

A partire dagli ultimi decenni del XIX secolo, affermava Lenin, le economie dei paesi più industrializzati si erano mosse in direzione di una nuova fase di “capitalismo monopolistico”. Il controllo sulla vita economica da parte delle maggiori concentrazioni di capitale era giunto al punto che, in ognuno di questi paesi, l’influenza detenuta da un gruppo strettamente interconnesso dei più potenti capitalisti, finanziari e industriali, era fuori questione.

giovedì 1 giugno 2017

Contro il liberoscambismo*- Marco Veronese Passarella**

*Da:    http://www.marcopassarella.it/it/socialismo-o-liberoscambismo/ (https://mpra.ub.uni-muenchen.de/60350/1/MPRA_paper_60350.pdf)       https://sinistrainrete.info/
** Lecturer in economics presso la Business School dell’Università di Leeds, Regno Unito. Email: m.passarella@leeds.ac.uk. Web: www.marcopassarella.it  
Vedi anche:  https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/02/crisi-si-ma-quale-teoria-della-crisi.html 

1. Introduzione
Il quesito sollevato dal titolo del seminario, Welfare o barbarie, evoca la drammatica alternativa posta da Rosa Luxemburg, sulla scorta di Friedrich Engels, esattamente un secolo fa: «la società Borghese si trova di fronte ad un dilemma, o transizione al socialismo o regressione nella barbarie» (Luxemburg 1915). Si noti che quell’«o» assumeva, per Luxemburg, un valore di disgiunzione esclusiva. Esprimeva, cioè, un’opposizione netta: socialismo oppure barbarie. Come è noto, di lì a poco una parte del mondo scelse il primo, con «l’assalto al cielo» delle classi lavoratrici russe – e sia pure tra le mille contraddizioni denunciate proprio da Luxemburg nel suo intenso scambio epistolare con Lenin e gli altri dirigenti socialisti dell’epoca. L’altra parte del mondo «civilizzato» piombò, invece, nella barbarie dei conflitti coloniali e dei campi di concentramento, delle deportazioni di massa e, infine, dello sterminio nucleare. Una barbarie che – troppo spesso viene dimenticato – fu preceduta da un periodo di straordinaria apertura dei mercati, ossia di intensificazione negli scambi di merci e nei flussi di capitale transnazionali. Il che stride con la tesi liberal-positivista allora in gran voga, e tuttora dominante, dei commerci quale veicolo di pace internazionale e di prosperità economica1. In effetti, la stagione di grande apertura dei mercati che precedette la prima guerra mondiale non avrebbe conosciuto eguali fino alla seconda ondata di globalizzazione capitalistica sperimentata dalle maggiori economie mondiali in seguito all’implosione del blocco socialista – a partire, cioè, dai primi anni novanta. Sennonché, a dispetto delle asserite proprietà salvifiche delle forze della concorrenza e delle leggi naturali del mercato, la crescente integrazione delle economie mondiali è sembrata dischiudere, ancora una volta, gravi rischi per le conquiste economiche e sociali strappate, nel corso del secondo dopoguerra, dal movimento operaio e dalle sue organizzazioni rappresentative nei paesi di prima industrializzazione. D’altra parte, l’ascesa economica recente dei giganti asiatici e sudamericani non appare in grado, almeno al momento, di legarsi stabilmente alla prospettiva di un avanzamento generalizzato nei rapporti sociali a favore dei salariati e delle classi lavoratrici in genere, di surrogare, cioè, il katéchon sovietico2. 
Sono già qui enunciate in nuce due tesi fondamentali, che costituiranno il leitmotiv di questo breve saggio. La prima tesi è che è che la contrapposizione welfare oppure barbarie sia storicamente legata a doppio filo al grado di mondializzazione del capitale, ossia ai processi di apertura dei mercati regionali e nazionali ai flussi internazionali di capitali e di merci. La seconda tesi – che è poi un corollario – è che non sia tanto, o soltanto, la soluzione di quella contrapposizione a favore del secondo termine (la barbarie connessa al possibile azzeramento di ogni forma di prestazione sociale) a far problema. È una posizione, questa, che pure sembrerebbe emergere dall’osservazione di quanto accaduto nelle economie avanzate nell’ultimo trentennio, dove il sistema statuale di previdenza sociale è stato progressivamente smantellato (ancorché in modo asimmetrico e parziale) a colpi di privatizzazioni prima, e di misure di austerità poi. Piuttosto, la sensazione è che si stia assistendo al progressivo tramutarsi della congiunzione «o» in una copulativa positiva, «e»: welfare e barbarie. Non azzeramento delle prestazioni di welfare, insomma, ma loro profonda ridefinizione in termini, ad un tempo, «universalistici» e «minimalisti», sulla base dei rapporti sociali emersi dalla crisi di valorizzazione degli anni settanta e dai conseguenti processi di ristrutturazione produttiva degli anni ottanta e novanta. Il welfare come sussidio residuale atto a colmare la differenza tra redditi da lavoro salariato precario e soglia minima di sussistenza: questa sembra essere, per le classi lavoratrici italiane (ed europee), la fosca prospettiva che si para all’orizzonte. Si tratta di una prospettiva, per la verità, non nuova, dato che rimanda agli albori del processo di industrializzazione. Di fronte a questo scenario, si ritiene necessario, anzitutto, avanzare una critica radicale all’accettazione incondizionata, a tratti apologetica, delle dinamiche di mondializzazione capitalistica e dell’agenda neoliberista e liberoscambista che ne costituisce la sovrastruttura ideologica3.Tale atteggiamento ha curiosamente caratterizzato, in Italia, gli intellettuali e le organizzazioni eredi del movimento operaio novecentesco ancor più delle forze conservatrici. Si tratta, in secondo luogo, di prospettare una diversa forma di organizzazione economica e sociale che recuperi ed aggiorni lo strumento della pianificazione economica quale alternativa alle dinamiche caotiche del mercato e, al contempo, quale prefigurazione di una società altra

mercoledì 31 maggio 2017

DEMENZA DIGITALE* - Manfred Spitzer**

*Rischi di effetti collaterali nell'uso delle tecnologie digitali nelle scuole. Dott. Manfred Spitzer. Convegno organizzato dalla Gilda di Padova (http://www.gildatv.it/)
**Manfred Spitzer, laureato in Medicina e Psicatria, è stato visiting professor a Harvard e attualmente dirige la Clinica psichiatrica e il Centro per le Neuroscienze e l'apprendimento dell'Università di Ulm (Germania).
Vedi anche:   https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/02/sulla-nozione-di-progresso-renato-curcio.html
                         https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/02/cose-lintelligenza-numerica-nelluomo.html



Cosa sta succedendo al nostro cervello con l'uso e l'abuso della tecnologia digitale?
Non sappiamo più usare una cartina per raggiungere un luogo e ci affidiamo totalmente al navigatore.
Non usciamo mai di casa senza cellulare e i bambini e i ragazzi usano lo smartphone e il computer per un tempo doppio a quello che trascorrono a scuola.
Sono aumentati i disturbi dell'apprendimento, lo stress, le patologie depressive e la predisposizione alla violenza.


martedì 30 maggio 2017

Vuoti di memoria - fascismo e (non) “nuovi” fascismi*

*pubblicato sulla rivista"la Contraddizione"n°130, a cura del Collettivo Autorganizzato Universitario di Napoli, 2010.    http://www.resistenze.org/ 
 
 Elaborazione del tutto
 
Dove eravamo rimasti? Abbiamo perso il filo. Sapevamo qualcosa un tempo, che oggi ci sfugge. Lo sapevamo nel ‘22: quando dietro gli uomini in camicia nera vedevamo gli industriali in camicia bianca, e oltre le violenze squadriste le “buone maniere” di chi voleva fermare con ogni mezzo la lotta operaia e contadina. Lo sapevamo nel Ventennio, quando i governi fascisti abbassarono le tasse ai ricchi, abolirono le imposte di successione, vietarono lo sciopero, e crearono le corporazioni, per opprimere ancora di più i lavoratori, fino a trascinarli, come carne da cannone, alla guerra. Lo sapevamo nel ‘43, “quando non ci furono più ordini, ciascuno dovette scegliere da sé, rischiare l’errore, decidere il dovere” – ed una nuova generazione riprese la lotta non solo contro il nazifascismo, ma contro l’oppressione e lo sfruttamento, contro i padroni dei campi e delle fabbriche, pagando quest’assalto al cielo con settantamila caduti, con centinaia di migliaia di feriti, con anni di carcere...
 
Provarono a farcelo dimenticare – un’amnistia ch’era un’amnesia: i giudici, i questori, la piccola-borghesia fedele al Duce intoccata negli apparati istituzionali, i gerarchi recuperati nei servizi segreti della nuova Italia repubblicana, con i partigiani in galera e la polizia che spara agli operai, con la mafia che uccide sindacalisti e contadini. Ma non l’avevamo dimenticato: dopo i morti di Reggio Emilia, dopo il governo Tambroni, sapevamo ancora riconoscere i fascisti, anche se non brandivano più il gladio, ma lo scudo crociato. “C’è ancora il fascismo? C’è. – scriveva Fortini – Ha ritrovato il suo viso di 50 anni fa. Prima delle camicie nere, il viso della conservazione che sul mercato politico offre ancora a buon prezzo gruppetti provocatori, perché il poco fascismo visibile mascheri il molto fascismo invisibile. La vostra coscienza cos’ha da dire? Bisogna scegliere, bisogna decidere. Il destino è solo                                                                                                               vostro. Rispondete. 

Risposero, otto anni dopo, gli studenti e gli operai, che quel destino volevano riprendersi. E rispose la bomba a Piazza Fontana. Tornò visibile il fascismo, ammazzando giovani, militanti, gente comune. Ma anche allora sapevamo chi li pagava e li copriva: gli Usa, i servizi segreti, la Dc, la grande borghesia, per far aumentare la tensione e favorire una stabilizzazione reazionaria... pienamente riuscita. Una guerra a bassa intensità, durata un decennio, finì all’improvviso. Il fascismo visibile tornò marginale, quello invisibile no: trovò altri strumenti. E forse allora smettemmo di sapere, perdemmo il filo del discorso. Le nostre voci si abbassavano, altre voci ci chiamavano, ci lasciammo sorprendere dal “nuovo”, e tutti i nostri ricordi non tornarono a chiedere il conto. Quella che era stata una consapevolezza di massa tornava ad essere il terribile segreto di pochi. Non sapevamo più riconoscere un fascista, nemmeno far riconoscere un fascista. E i nostri vuoti di memoria erano i pieni del potere... 

martedì 23 maggio 2017

Debolezze e potenzialità negli argomenti anti-hegeliani del giovane Marx*- Carlo Scognamiglio

1. La Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico di Karl Marx (scritta tra il 1842 e il 1843, ma pubblicata postuma nel 1927) si sviluppa intorno a un’argomentazione dominante, mutuata da Ludwig Feuerbach, il quale nel 1839, in uno scritto intitolato Per la critica della filosofia hegeliana, aveva insistito sul difetto della dialettica di Hegel, consistente nel ribaltamento dei rapporti tra soggetto e predicato. In altri termini, secondo Feuerbach, Hegel spiegherebbe l’esistente, cioè la vita concreta degli uomini, attraverso categorie astratte e universali, attribuendo a queste ultime la dimensione della soggettività, e considerando le circostanze materiali come predicati, per giunta accidentali. Tale rapporto, secondo Feuerbach, dev’essere ribaltato, per indicare nell’essere vivente concreto la vera soggettività, della quale è possibile predicare la capacità di pensiero e l’universale qualità astratta. 

Marx non recepisce meccanicamente l’intuizione feuerbachiana, ma la assimila in modo critico e articolato. Il libro su Hegel è sostanzialmente frutto di quest’opera di appropriazione concettuale. Leggendo il testo con attenzione, ma anche con una certa fatica, si nota qualche elemento acerbo nell’argomentazione di Marx, si ha quasi la sensazione di avere di fronte un libro filosoficamente debole, nella sua capacità effettiva di rovesciare o confutare le tesi hegeliane. Ciononostante si tratta di un libro importante, soprattutto per i numerosi spunti di critica della modernità che propone.

lunedì 22 maggio 2017

LA RIVOLUZIONE CONTRO IL CAPITALE (DI MARX)*- Alvaro Bianchi e Daniela Mussi**

*Da:    http://www.palermo-grad.com/
**Alvaro Bianchi è Professore associato al Dipartimento di Scienze politiche presso l’Università statale di Campinas (Unicamp – Brasile); Direttore dell’Archivio Edgard Leuenroth – Centro di ricerca e documentazione sociale.
​Daniela Mussi è ricercatrice post-Dottorato presso la Facoltà di Filosofia, Lettere e Scienze umane (FFLCH) dell’Università di San Paolo del Brasile.
Leggi l'articolo originale di Gramsci:  la-rivoluzione-contro-il-capitale


Gramsci e il 1917 


Ottanta anni fa – il 27 aprile 1937 – Antonio Gramsci muore dopo aver trascorso la sua ultima decade in un carcere fascista. Riconosciuto a livello internazionale molto più tardi per il lavoro teorico svolto in quelli che saranno pubblicati come Quaderni del Carcere, Gramsci iniziò a fornire un contributo di riflessione di taglio politico durante la Grande Guerra, quando era un giovane studente di linguistica presso l’Università di Torino. Già allora, i suoi articoli pubblicati sulla stampa socialista costituivano un atto di sfida non soltanto alla guerra in corso, ma anche alla cultura liberale, nazionalista e cattolica imperante in Italia.

All’inizio del 1917 Gramsci lavora come giornalista in un quotidiano socialista di Torino, Il Grido del Popolo, e collabora con l’edizione piemontese dell’Avanti!. Nei primi mesi che seguono alla Rivoluzione di Febbraio in Russia, le notizie a riguardo erano ancora scarse, in Italia. In massima parte ci si limitava alla riproduzione di articoli provenienti dalle agenzie giornalistiche di Londra e Parigi. Sull’Avanti! si seguivano gli eventi russi attraverso gli articoli firmati da “Junior”, pseudonimo di Vasilij Vasilevich Suchomlin, un Socialista Rivoluzionario in esilio. 
Per fornire ai socialisti italiani informazioni affidabili, la direzione del Partito Socialista Italiano (PSI) inviò un telegramma al deputato Oddino Morgari, che si trovava a L’Aia, chiedendogli di recarsi a Pietrogrado ed entrare in contatto con i rivoluzionari. Ma la missione fallì e Morgari fece ritorno in Italia nel mese di luglio. Il 20 aprile, tuttavia, l’Avanti! aveva pubblicato una nota scritta da Gramsci sul tentativo compiuto dal parlamentare, chiamandolo l’“ambasciatore rosso”. L’entusiasmo di Gramsci per gli eventi russi era palpabile: a questo punto egli riteneva che la potenziale capacità della classe operaia italiana di porre fine alla guerra fosse direttamente legata alla forza del proletariato russo. Pensava che con la rivoluzione in Russia tutte le relazioni internazionali sarebbero mutate radicalmente.

domenica 21 maggio 2017

Storia e oggettività in Nietzsche*- Vladimiro Giacché

*Da:  http://www.nilalienum.it/  Pubblicato su Hortus Musicus, luglio-settembre 2004, pp. 100-107



1. Storia e oggettività nella seconda Considerazione inattuale.

L'utilità e il danno della storia per la vita, pubblicata nel 1874, è la seconda delle Considerazioni inattuali di Nietzsche, ed è anche una delle sue opere più note e più lette. Tra le ragioni principali del fascino che quest'opera ha esercitato e tuttora esercita su un largo pubblico di lettori va sicuramente ricordata l'abilità di polemista del filosofo tedesco, che riesce a tenere su un tono molto teso e sostenuto tutta la prima parte dello scritto, imperniandola su variazioni del modulo retorico dell'antitesi; accanto a questo motivo di natura stilistica va collocato il bersaglio polemico dell'opera, ossia - come è detto nella Prefazione - la "corrente storica dell'epoca [historische Zeitrichtung]", l'attenzione (soprattutto tedesca) alla storia. Proprio questo obiettivo degli strali di Nietzsche, facilmente identificabile con lo “storicismo”, ha consentito di volta in volta a lettori avversi ad una delle vere o presunte varianti di questo (lo storicismo hegeliano, diltheyano, crociano, marxista...) di far proprio il discorso di Nietzsche, di utilizzarlo come arma per la propria battaglia: in altre parole, ha reso l'"inattualità" nietzscheana ripetutamente attuale. L'utilità e il danno della storia per la vita ha rappresentato quindi per generazioni di lettori una sorta di "canone dell'antistoricismo": e del resto proprio con questa definizione uno studioso in continuo (e simpatetico) dialogo con il pensiero del filosofo tedesco, Giorgio Colli, aprì alcune sue pagine di commento alla seconda considerazione inattuale.[2]

Ora, da un lato è difficile non concordare con il giudizio di Colli: lo scritto in questione è in effetti un attacco frontale allo storicismo, e più in generale agli effetti dell'uso della storia (ivi compresa, ovviamente, la storia della filosofia)[3] nella cultura moderna; d'altro lato, una delle ragioni di interesse di quest'opera di Nietzsche consiste nel suo dispiegare ed articolare alcuni temi centrali di un discorso metafisico sul mondo. Da questo punto di vista, i limiti di una lettura tutta 'antistoricistica' della seconda Considerazione inattuale sono evidenti. Oggetto dell'opera, in effetti, non è solo la storiografia: le implicazioni filosofiche del discorso di Nietzsche sono di assai più vasta portata, e lo stesso attacco alla storiografia può essere capito in base alla comprensione dello sfondo metafisico dello scritto. A questo va aggiunto che sul punto fondamentale - valore globalmente negativo della storia - Nietzsche non appare del tutto conseguente: talvolta impone un freno alla propria radicalità teorica, in altri casi mostra significative indecisioni o sfuma, nelle varie stesure dell'opera e nel corso di quella definitiva, contrasti dapprima presentati nella massima nettezza:[4] insomma, il percorso argomentativo di quest'opera si rivela in definitiva assai più articolato e problematico di quanto non sembri a prima vista. Ma passiamo senz’altro ad una lettura dello scritto nietzscheano.

1.1. L’attacco alla “malattia storica” 

sabato 20 maggio 2017

KARL MARX*- Lenin



*Da: Leninbreve saggio biografico ed esposizione del marxismo, Opere complete, vol. 21, pagg. 37-69    http://www.retedeicomunisti.org/ 
Leggi anche:   https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/02/sulla-nep-e-sul-capitalismo-di-stato.html 



     "Engels potette condurre per lungo tempo, dopo la morte di Marx, una sua riflessione e sviluppare temi, a cui Marx mai si interessò specificamente. Da parte loro, i più significativi seguaci di Marx, (intendo Lenin, Trockij e la Luxemburg) scrissero ed elaborarono sotto la forte pressione di problemi radicali, sia in ambito politico, che economico, organizzativo e militare; e la conseguenza fu che una teoria dello Stato e della politica, che fosse radicata nel pensiero di Marx, non riuscì a nascere. Si badi, ad es., che se Lenin scrisse opere, propriamente teoretiche (Materialismo ed empiriocriticismo e i Quaderni filosofici), in realtà la sua filosofia sta in tutt’altra sede (e per fortuna!), ovvero nel modo in cui condusse la lotta politica, sulla base di una certa concezione (hegeliana) del movimento storico; va da sé che, se è vero quanto dico, la ‘filosofia’ di Lenin è strettamente legata a situazioni contingenti e, quindi, difficilmente riducibile a precisi teoremi."
(S. Garroni)






L'articolo su Karl Marx, che esce ora in opuscolo, è stato da me scritto (a quanto ricordo) nel 1913 per il Dizionario Granat. Alla fine dell'articolo vi era una nota bibliografica abbastanza estesa delle opere su Marx, soprattutto in lingua straniera. Essa è stata omessa nella presente edizione.

Inoltre la redazione del dizionario aveva da parte sua soppresso, a causa della censura, la fine dell'articolo su Marx, dedicata all'esposizione della sua tattica rivoluzionaria. Purtroppo non ho la possibilità di ricostruire qui questa parte finale, perché la brutta copia è rimasta fra le mie carte a Cracovia o in Svizzera. Ricordo soltanto che in questa fine dell'articolo io riportavo, fra l'altro, quel passo della lettera di Marx a Engels del 16-IV-1856 in cui Marx scriveva: "In Germania tutto dipenderà dalla possibilità di far appoggiare la rivoluzione proletaria da una specie di seconda edizione della guerra contadina. Allora le cose andranno bene". È questo che non hanno capito dal 1905 i nostri menscevichi, che sono ora giunti al pieno tradimento del socialismo, al passaggio dalla parte della borghesia.  

venerdì 19 maggio 2017

HEGEL: LO STATO PERFETTO (E LA SPINA DI MARX)*- Fulvio Papi**

*Da:   http://casadellacultura.it/   Qui il link alla rivista completa:  http://casadellacultura.it/viaborgogna3/viaborgogna3-n5-filosofia-e-spazio-pubblico.pdf
**Fulvio_Papi. Filosofo, politico,scrittore e giornalista italiano


Cerchiamo di mettere in luce, riassumendoli, alcuni temi centrali della “Filosofia del diritto” di Hegel scritta nel 1820 quando aveva la cattedra di filosofia all’Università di Berlino. Gli studiosi di Hegel hanno spesso considerato i famosi scritti jenensi di Hegel dal 1801 al 1806 come precedenti importanti della “Fenomenologia dello Spirito” del 1808 come della “Filosofia del diritto”, anzi questi scritti giovanili mostrano spesso una ricchezza tematica più ampia delle successive opere a stampa. Inoltrarci in questa ricchissima selva filosofica vorrebbe dire perdere di vista la strada teorica che Hegel ha poi codificato come sua filosofia resa pubblica. Tuttavia su un tema molto generale si può trovare una linea di continuità.

Molti anni fa, siamo agli inizi degli anni Cinquanta, Mario Rossi (un amico di grande valore perduto immaturamente), studiando proprio gli scritti jenensi notava che “la preminenza assoluta di valore della determinazione politica serve a comprendere e a risolvere in sé le determinazioni sociali”. Vale a dire che ogni figura sociale, l’agricoltore, l’artigiano, il medico, il professore vanno compresi nel significato spirituale che essi hanno nella struttura ideale, unitaria e organica dello stato.

Hegel, all’inizio dell’Ottocento, conosceva le opere di Ferguson, sociologo e storico, Say, Smith, Ricardo, e classici della economia politica. Questa conoscenza ha portato a ritenere che Hegel, avendo nozione di queste opere, avesse anche una immagine teorica della società “borghese” che stava nascendo su una base capitalistica. Detta così questa proposizione non è vera. E qui è necessaria una considerazione generale intorno a che cosa sia la conoscenza di opere e quale senso esse possano avere in un tessuto interpretativo.

giovedì 18 maggio 2017

Etica, progresso, marxismo*- Giuseppe Cacciatore**

*Pubblicato su "Materialismo Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane, E-ISSN 2531-9582,n° 1-2/2016, dal titolo"Questioni e metodo del Materialismo Storico" a cura di S.G. Azzarà, pp. 12-17. Link all'articolo: http://ojs.uniurb.it/index.php/materialismostorico/article/view/596    **Giuseppe_Cacciatore è un filosofo italiano (Università Federico II di Napoli)


Beati costoro, che il futuro della storia e il diritto al progresso misurano quasi alla stregua di un certificato di assicurazione sulla vita! (LABRIOLA 1965, p.286).


Dove diminuisce il dolore dell’uomo là c’è progresso. Tutto il resto non ha senso.(BROCH 1950,p.19).


La storia universale è una storia del progresso – o forse anche soltanto del mutamento – nei mezzi e nei metodi dell’appropriazione: dalla occupazione della terra dei tempi nomadi e agrario-feudali alla conquista dei mari del XVI e XVII secolo, fino alla appropriazione industriale dell’epoca tecnico-industriale e alla sua differenziazione fra paesi sviluppati e non-sviluppati, per finire                                                                                           all’appropriazione dell’aria e dello spazio dei nostri giorni. (SCHMITT 1972, p. 311).




Si è sempre partiti da una sorta di equazione tra idea del progresso e teorie storicistiche.
Perciò non sarebbe sbagliato sottolineare che la critica delle ideologie del progresso può anch’essa muovere da prospettive storicistiche. Questo presuppone però che si operi una distinzione nell’ambito della polisemanticità degli storicismi. Se, ad esempio, si pone in questione la prospettiva storicistica fondata non sul concetto di legge e di generalità, ma su quello di singolarità e individualità (anche nella sua declinazione etica), si modifica radicalmente l’equazione progresso/storia universale. È il caso, ad esempio, di quegli storicismi che hanno messo capo ad una filosofia speculativa della storia, o a una teoria evolutivo-ottimistica. Tutto questo ha, naturalmente, non secondari riflessi sul modo stesso di pensare e di scrivere la storia del progresso (il progresso del capitalismo o il regresso delle crisi economiche? Il progresso della società mercantile o la decadenza dell’anarchia della produzione? Il progresso delle masse o quello indotto dalla tecnica? Il progresso delle ideologie liberali o quello delle ideologie socialiste?). 

mercoledì 17 maggio 2017

SULLA SINISTRA TEDESCA*- Hans Heinz Holz**

*Da “L’Ernesto”, N. 3 Settembre/Ottobre 2005 
**Hans_Heinz_Holz (26 2 1927 – 11 12-2011), intellettuale tedesco, saggista, fra i massimi pensatori marxisti europei. Professore Emerito di Filosofia presso l’Università di Groningen, Olanda.
Traduzione a cura di Stefano Garroni, primo ricercatore di Filosofia del CNR di Roma, traduttore di gran parte delle opere di H.H. Holz in Italia. 


Il punto di vista critico del filosofo marxista tedesco Hans Heinz Holz, in merito al progetto tedesco “di sinistra” alternativa alla SPD,



La fondazione di un partito di sinistra (Linkspartei), che potesse raggiungere anche il numero di suffragi per essere rappresentato al Bundestag (parlamento federale) ha fatto nascere euforiche aspettative negli ambienti tedeschi, critici del sistema. 

Nel periodo del cancellierato di G. Schroeder, la Spd si era comportata, in politica interna, come esecutrice degli interessi del grande capitale e, in politica estera, come sostenitrice di un attivo imperialismo germanico-europeo. Già da anni, in effetti, la politica socialdemocratica si era andata distinguendo solo per sfumature da quella della Cdu. Contro il ruolo guida degli Usa, i quali nel periodo della “guerra fredda” avevano operato, nell’interesse della borghesia europea, per ricacciare indietro l’Unione Sovietica, dopo il 1990 l’Unione Europea – dominata da Francia e Germania – aveva maturato l’idea di una propria posizione di dominio mondiale: iniziò così la lotta per la conquista del mercato mondiale, in cui dovunque – perfino nel loro “cortile di casa” latino-americano – gli Usa                                                                                                             andavano perdendo terreno. 

Gli Usa reagirono, usando il pretesto della lotta al terrorismo, con una politica mirante all’impossessarsi delle fonti energetiche mediorientali e dell’Asia centrale. La Germania e la Francia, che non possono accettare il monopolio statunitense sulle fonti energetiche – perché significherebbe accettare, anche, la loro riduzione a potenze di secondo rango – si contrapposero all’escalation militaristica. La guerra contro l’Iraq rese chiaro che gli Usa erano pronti a perseguire l’obiettivo della loro egemonia anche ricorrendo a mezzi militari, nel caso anche contro propri alleati. La concorrenza intercapitalistica entrava in contraddizione con il complessivo interesse capitalistico allo sfruttamento. Questa contraddizione, che nasce da una coesistenza solidale ma anche da rivalità inter-monopolistiche, determina oggi – anche se in modo non apparente e complesso – la situazione politica mondiale.

Già a partire dagli anni novanta, esistevano negli Usa e in Europa dei piani diretti non più al solo controllo dei Paesi sfruttati, ma anche all’intimidazione delle grandi potenze imperialistiche loro concorrenti.

martedì 16 maggio 2017

199 anni di Karl Marx*- Roberto Fineschi**

*Da:  https://www.lacittafutura.it/ 
**Roberto_Fineschi ist ein italienischer Philosoph, der sich mit der Dialektik der Waren- und Kapitaltheorie bei Karl Marx befasst. 
(https://marxdialecticalstudies.jimdo.com/)    (http://marxdialecticalstudies.blogspot.it/


Ei fu, siccome immobile, / dato il mortal sospiro”, e via dicendo. Così inizia la celeberrima ode manzoniana, Il cinque maggio, che tutti gli studenti italiani, molti di essi obtorto collo, hanno studiato se non addirittura imparato a memoria durante gli anni scolastici. La stessa data in cui nel 1821 a Sant’Elena morì Napoleone era stata, tre anni prima, la data in cui un altro gigante della storia era nato a Treviri: Carlo Enrico Marx. Con una qualche ironia della sorte, proprio Napoleone, insieme al nipote Napoleone III, è il personaggio storico che Marx dichiara di amare di meno rispondendo alle domande di un “album di famiglia” della figlia Jenny.
Date a parte ed in attesa delle grandi celebrazioni del prossimo anno per i 200 anni, dedicherò un paio di riflessioni all’attualità del pensiero del vecchio “Moro”, come lo chiamavano amici e familiari. Sin da subito tuttavia, è bene dire chiaramente che la teoria di Marx non ha tuttoggi eguali per la sua capacità di comprensione e spiegazione delle tendenze di fondo del modo di produzione capitalistico, quindi della struttura della società in cui viviamo. Questo non significa ovviamente che sia perfetta, che non necessiti di essere criticata, approfondita o continuata ove necessario, come del resto il suo stesso autore auspicava; ma non significa neppure che essa non funzioni più. Anzi, nessuna meglio di essa ha delle risposte - non tutte sfortunatamente - a molti dei processi storico-economico-sociali tutt’ora in corso. 
Le teorie mainstream di economia e di politica ci spiegano come il mondo dovrebbe essere: senza conflitto sociale, senza crisi economiche, senza sopraffazione e sfruttamento. Ci spiegano a chiare lettere in celebrati manuali come siano illegittime le rivendicazioni sociali, errori passeggeri le crisi e via dicendo, perché così è nel mondo armonico ed idilliaco che i loro autori costruiscono (e che ahimè gli studenti sono costretti a studiare). Per la teoria di Marx, invece, non è una sorpresa che ci siano crisi, sfruttamento, conflitto, ecc. Marx non è così banale da dire al mondo ed alle persone come dovrebbero essere, questo già lo fanno i “preti” di tutte le parrocchie, religiose o laiche; Marx spiega le cose per quello che sono. Insomma, la scienza contro l’ideologia. 

lunedì 15 maggio 2017

I salari e la questione irrisolta dell’euro*- Alberto Bagnai**

*Da:   http://www.ilsole24ore.com/
**albertobagnai economista italiano, Department of Economics – University “Gabriele D’Annunzio”  goofynomics  asimmetrie
Vedi anche:   https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/10/il-tradimento-degli-intellettuali.html


L'euro è stato il più grande successo della scienza economica, ma sta diventando la più umiliante sconfitta per la professione economica. Ringrazio il Sole 24 Ore, che mi permette, con apprezzabile spirito di apertura, di esporre e discutere nel quadro di un dibattito autorevole un paradosso che ci riguarda tutti, economisti e non.

L’euro è stato un grande successo della scienza economica: non conosco alcun altro caso in cui essa sia stata in grado di prevedere con una precisione così sconcertante le conseguenze di una decisione politica. Vi fornisco tre esempi. Partiamo dall’ultimo Bollettino economico della Bce, il quale lamenta come la crescita dei salari nell’Eurozona sia molto tenue, il che suggerisce una probabile sottostima dei dati ufficiali sulla disoccupazione. Siamo quindi nelle condizioni previste nel 1996 da Rudiger Dornbusch, quando avvertiva che l’unione monetaria avrebbe «trasferito al mercato del lavoro il compito di regolare la competitività», rendendo prevalenti condizioni di disoccupazione. È quanto chiamiamo «svalutazione interna», un meccanismo sul quale una unione monetaria deve contare, se vuole sopravvivere (lo mostrò Mundell nel 1961). In secondo luogo, in tutta Europa i partiti euroscettici progrediscono (nonostante le sconfitte), e mettono in causa il modello di integrazione politica europea. È esattamente quanto Nicholas Kaldor aveva previsto nel 1971, quando ammoniva che «se la creazione di una unione monetaria e il controllo della Comunità sui bilanci nazionali esercitano una pressione tale da portare al crollo del sistema, avrà impedito una unione politica anziché favorirla». Infine, Macron non si era nemmeno insediato, che dalla Germania il rifiuto della proposta francese di Eurobond chiariva come la potenza egemone non intenda deflettere dalla propria intransigenza. Ottimo esempio di quanto Martin Feldstein diceva nel 1997: «l’aspirazione francese all’uguaglianza e l’aspettativa tedesca di egemonia non sono coerenti».

domenica 14 maggio 2017

L’imperialismo e la trasformazione dei valori in prezzi*- Torkil Lauesen, Zak Cope**

*Da:  https://traduzionimarxiste.wordpress.com/  articolo originale in inglese Monthly Review



Introduzione

Con questo articolo, ci proponiamo di dimostrare che i bassi prezzi dei beni prodotti nel Sud globale, ed il concomitante modesto contributo delle sue esportazioni al prodotto interno lordo del Nord, occultano la reale dipendenza delle economie di quest’ultimo dal lavoro a basso costo del Sud. Dunque, sosteniamo che la delocalizzazione  dell’industria nel Sud globale, nel corso dei tre decenni passati, ha condotto ad un massiccio incremento del valore trasferito al Nord. I principali meccanismi di tale processo consistono nel rimpatrio del plusvalore tramite investimenti diretti esteri, lo scambio ineguale di prodotti incorporanti differenti quantità di valore e l’estorsione per mezzo del servizio del debito.

L’assorbimento di enormi economie del Sud all’interno del sistema capitalistico mondiale, dominato da multinazionali e istituzioni finanziarie con base nel Nord globale, ha posto le prime nella condizione di dipendenze socialmente disarticolate votate all’esportazione. 

I miseramente bassi livelli dei salari di tali economie trovano fondamento (1) nella pressione imposta dalle loro esportazioni al fine di competere per limitate porzioni del mercato, in larga parte metropolitano, dei consumatori; (2) il drenaggio di valore e risorse naturali, che altrimenti potrebbero essere utilizzati per costruire le forze produttive necessarie all’economia nazionale; (3) l’irrisolta questione agraria sfociante in una sovra offerta di lavoro; (4) governi compradori repressivi, i quali accettano, traendone beneficio, l’ordine neoliberista e sono quindi incapaci e non disposti a concedere aumenti salariali, per timore di stimolare rivendicazioni di maggior potere politico da parte dei lavoratori; e infine (5) frontiere militarizzate così da prevenire la circolazione dei lavoratori verso il Nord globale, e di conseguenza, un equalizzazione dei rendimenti da lavoro. 

La globalizzazione imperialista della produzione 

La dimensione europea della formazione tra competizione globale e crisi*- Antonio Allegra**

*Da: http://dialetticaefilosofia.it/  pubblicato su contropiano atti del convegno "Formazione, Ricerca e Controriforme", Bologna 30 aprile 2016, Anno 25, n.2 2016. retedeicomunisti.
**Università per Stranieri di Perugia, Dipartimento di Scienze umane e sociali.



«[la] necessità di creare la più larga base possibile per la selezione e l’elaborazione delle più alte qualifiche intellettuali [...] non è senza inconvenienti: si crea così la possibilità di vaste crisi di disoccupazione negli strati medi intellettuali come avviene di fatto in tutte le società moderne». (A. Gramsci, Q.12 [XXIX] § 1, 1932.).

«La scuola media superiore per tutti al più alto livello di qualità [...] è una prospettiva insopportabile per l’ordine tardocapitalistico che vuole bensì la scuola per tutti, ma perché tutti, convenientemente sottoeducati, possano essere consegnati alla selezione extrascolastica e al sottoimpiego nella produzione».
(F. Fortini, Non si dà vera vita se non nella falsa, in Contro l’industria culturale. Materiali per una strategia socialista, Bologna, Guaraldi, 1971, p. 113).

«La distinzione di “lavoro manuale” e “intellettuale” è di grado, non di qualità [...] è storica, sempre. [...] Così le funzioni “fisiche” e “intellettuali” del lavoro sono, nel loro complesso, quelle che la Riproduzione sociale complessiva in un determinato istante esige. Esse costituiscono un insieme di potenze sociali, che può essere promosso e ampliato, o viceversa disperso e lasciato decadere. Dunque: il rapporto di lavoro manuale e intellettuale riguarda tutta intera la classe lavoratrice. Nel mondo moderno, questo rapporto è una questione di classe e di lotta di classe, nello scontro sulla quale si gioca una fondamentale partita di egemonia».
(A. Mazzone, Le classi nel mondo moderno (parte terza). Nuove frontiere della produzione e dello sfruttamento, in «Proteo», 2005, 1).

Leggi tutto l'articolo:    http://dialetticaefilosofia.it/public/pdf/96allegra.pdf

sabato 13 maggio 2017

La situazione in Venezuela: le violenze dell’opposizione, la contromossa di Maduro e la manipolazione dei media*- Attilio Folliero


(Caracas 03/05/2017 – Aggiornato 11/05/2017)
Da circa un mese, ed esattamente dal 6 aprile in alcune zone del Venezuela sono in corso manifestazioni di protesta portate avanti dalla coalizione di partiti che si oppongono al Governo di Nicolas Maduro.

Tali manifestazioni spesso sono sfociate in violenti disordini che hanno provocato alla data odierna (3 maggio 2017) 33 morti, centinaia di feriti, qualche migliaio di persone fermate ed arrestate, danni ingenti per milioni e milioni di dollari.

Tranne rari casi, tali manifestazioni sono sempre state concentrate nelle zone dei quartieri bene di Caracas e qualche altra città del Venezuela. Fin da quando Hugo Chávez è salito al Governo nel 1999, hanno protestato contro di lui sempre e solo le classi più ricche, la classe alta e settori delle classi medie.


L’avversione della classe media ai governi di Chávez e Maduro


Queste classi non hanno mai accettato la politica di Hugo Chávez prima e di Nicolas Maduro poi, incentrata sulla redistribuzione in maniera più equa delle ricchezze dello stato; non hanno mai accettato che il Governo “sperperasse” – a loro dire – ingenti risorse per le classi più povere, da sempre emarginate ed abbandonate a vivere nella più totale miseria.
Questo è il punto vero. Le classi più ricche, la classe alta e le classi medie di questo paese non hanno digerito che i governi socialdemocratici di Chávez e Maduro (1) investissero ingenti risorse per permettere a tutti di usufruire di una istruzione gratuita e di qualità fino ai più alti livelli (scuola, università e studi post universitari); per incentivare la sanità pubblica, in modo da permettere a tutti di potersi curare, anche a chi non ha i mezzi economici per accedere alle costosissime cliniche private; milioni di case popolari costruite per i più emarginati e da sempre condannati a vivere nelle baraccopoli, nei cinturoni della miseria che affollano le grandi città del Venezuela. Ad oggi, il programma statale dedicato alla costruzione di case popolari (denominato “Gran Misión Vivienda Venezuela”) ha consegnato un milione e seicentomila appartamenti ad altrettante famiglie che vivevano nelle baraccopoli e che mai avrebbero potuto acquistare un appartamento.

venerdì 12 maggio 2017

Sul cosiddetto «Capitolo sesto inedito» di Karl Marx. Appunti di lettura e considerazioni critiche*- Giovanni Sgrò**

*Da: http://www.consecutio.org/ -- qui la rivista integrale:  http://www.consecutio.org/wp-content/uploads/2014/03/N.-5-rivista-integrale.pdf
**Università degli Studi eCampus. Scienze dell’Educazione e della Formazione, Facoltà di Psicologia.


1. Premessa 

Il cosiddetto Capitolo sesto inedito rappresenta ‒ insieme ai Grundrisse ‒ uno di quei manoscritti marxiani che nel corso degli anni Settanta del secolo scorso hanno avuto grande diffusione e notevole recezione in Francia, in Germania e anche in Italia, dove fu tradotto per la prima volta nel 1969 da Bruno Maffi per i tipi de La Nuova Italia1 e fu poi oggetto di una fortunata serie di lezioni di Claudio Napoleoni (Torino, Bollati Boringhieri, 1972). Nel presente contributo cercherò di offrire una sorta di “percorso di lettura” personale (§ 3) del denso testo del Capitolo sesto, al fine di mettere in luce alcune caratteristiche specifiche della sua trama teorica e alcuni suoi elementi di grande attualità politica (§ 4). Prima di passare all’analisi specifica dei contenuti del Capitolo sesto, mi sembra opportuno collocarlo brevemente nel progetto marxiano di critica dell’economia politica (§ 2).

2. Il ruolo e la posizione del Capitolo sesto inedito nel progetto marxiano di critica dell’economia politica 

I curatori del volume 4.1 della seconda sezione della MEGA2 hanno stabilito che il Capitolo sesto è stato scritto da Marx tra l’estate del 1863 e l’estate del 18642 : esso si colloca dunque all’altezza del terzo tentativo marxiano di esporre la sua critica dell’economia politica. Come è noto, il primo tentativo è rappresentato dai sette quaderni del 1857/58, noti con il nome redazionale di Grundrisse, che non costituiscono però, a ben vedere, il primo abbozzo de Il capitale, bensì il primo tentativo di una esposizione complessiva dell’ambizioso progetto marxiano di critica dell’economia politica3 . Nei Grundrisse si trova, infatti, una delle prime formulazioni del cosiddetto “piano dei sei libri”: 1) il capitale; 2) la proprietà fondiaria; 3) il salario; 4) lo Stato; 5) il commercio internazionale; 6) il mercato mondiale e le crisi4.

Il secondo tentativo compiuto da Marx per esporre il suo progetto di critica dell’economia politica è rappresentato dai 23 quaderni del manoscritto del 1861-63, la cui parte centrale è occupata dalle cosiddette Teorie sul plusvalore che, a loro volta, non costituiscono il “quarto libro” de Il capitale, in quanto è solo a partire dal Capitolo sesto che Marx inizia a parlare di un progetto in quattro libri (da pubblicare in tre volumi) e, quindi, di un quarto libro da dedicare alla storia delle teorie economiche, che viene separata dall’esposizione teoretica vera e propria, secondo la falsariga di Per la critica dell’economia politica (1859), in cui ai capitoli teorici seguiva un’ampia ricostruzione della storia delle categorie economiche.

giovedì 11 maggio 2017

Che cos’è il socialismo?*- N.I. Bukharin

*Da:   http://www.lavocedellelotte.it/   
Bukharin scrisse il testo che segue mentre era negli Stati Uniti d’America e collaborava con il giornale “Il Nuovo Mondo”, organo dei bolscevichi russi emigrati negli USA.

Da abile propagandista scrive con un lessico facilmente comprensibile alla massa operaia per spiegare in maniera semplice i principi della riorganizzazione socialista della società.

Un testo pedagogico per chi vuol utilizzare correttamente gli strumenti di agitazione e propaganda per dare una strategia politica al movimento operaio.

28 dicembre 1916

Qualunque paese oggi si prenda, Russia, Germania, America o Francia, dappertutto regna tra la gente la diseguaglianza: gli uni stanno sulla schiena degli altri, godono di tutto, padroneggiano tutto, mentre altre persone lavorano giorno e notte, mangiano male, dormono poco, gravati dalla miseria e dalla sventura e assoggettati in tutto ai propri padroni e governanti. Nelle grandi città, per le strade principali, passeggia il “pubblico rispettabile”. Qui è tutto di un lusso che abbaglia gli occhi. Ma nei quartieri miserabili di queste stesse città abitano i senzatetto. La mattina presto, appena comincia a far giorno, si trascinano fuori vecchie cenciose, bambini pallidi, scheletri umani. E cominciano a formicolare nell’immondizia della strada. Con avidità raccolgono gli avanzi degli ortaggi, dei pezzi di cartone, degli stracci: da questo ricavano il loro cibo, i loro “vestiti”, il loro combustibile per riscaldarsi…
Qual è il motivo di tale diseguaglianza? Nel fatto che alcune persone possiedono tutto, altre non possiedono niente, a parte un paio di braccia per lavorare. I primi hanno i soldi, i macchinari, le fabbriche, le case, la terra, che detengono come loro proprietà. I secondi sono poveri in canna. La società umana è scissa in due parti, in due parti, in due campi, in due grandi classi: la classe dei capitalisti-possidenti e proprietari terrieri e la classe dei lavoratori-proletari.

mercoledì 10 maggio 2017

Miserabile accumulazione: Salari, produttività e impoverimento relativo dei lavoratori*- Maurizio Donato**

*Da:   https://www.lacittafutura.it/ **L’autore insegna Economia politica alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Teramo 


Nella misura in cui il capitale si accumula, la situazione del lavoratore, qualunque sia la sua retribuzione, alta o bassa, deve peggiorare.


L'attenzione notevole rivolta negli ultimi anni ai cambiamenti intervenuti nella distribuzione del reddito da numerosi studiosi (Milanovic, Picketty, Deaton) può essere utilizzata correttamente se si considerano le crescenti disuguaglianze come effetto e non come causa della crisi.

Salari fermi al livello di sussistenza
Per Karl Marx, la parola “miseria” non indica la povertà assoluta, avendo egli chiarito nel I libro del Capitale (in particolare nei par. 3 e 4 del cap. 23) che la legge dell'immiserimento della classe operaia non è contraddetta dalla possibilità che i salari dei lavoratori crescano durante l’accumulazione di capitale, almeno fino a un certo livello. Nella sua analisi, Marx distingue tre definizioni del salario. In primo luogo, e a un livello più immediato, il salario rappresenta la quantità di denaro che il lavoratore riceve dal suo datore di lavoro: è il salario “nominale” o “monetario”. Tuttavia, in un mondo in cui spetta ai capitalisti decidere quantità e prezzi della produzione, non possiamo accontentarci di considerare i salari nominali, ma                                                                                        dobbiamo considerare la quantità effettiva di beni e servizi che i salari sono in grado di acquistare, cioè i salari “reali”.