mercoledì 22 gennaio 2014

IL CAPITALE, LIBRO I, SEZIONE III, LA PRODUZIONE DEL PLUSVALORE ASSOLUTO, CAPITOLO 8, LA GIORNATA LAVORATIVA. - K. Marx -


AVVERTENZA PER IL LETTORE 

Il testo del I libro del Capitale che viene qui riportato NON È UNA DELLE TRADUZIONI INTEGRALI DEL TESTO ORIGINALE che sono disponibili: esso infatti è una rivisitazione delle traduzioni esistenti (in italiano ed in francese) a cui sono state apportate le seguenti modifiche: 

1   negli esempi numerici, per facilitare la lettura, sono state cambiate le unità di misura e le grandezze; 
2 –  diversi dati richiamati nella forma di testo sono stati trasformati in tabelle ed in grafici; 
3 – in alcuni esempi numerici le cifre decimali indicate sono state limitate a due e nel caso di numeri periodici, ad esempio 1/3 o 2/3, la cifra periodica è stata indicata ponendovi a fianco un apice (). 
Ci rendiamo conto che leggere un testo del Capitale in cui Marx formula esempi in Euro (€) invece che in Lire Sterline (Lst) o scellini potrebbe far sorridere e far pensare ad uno scherzo o ad una manipolazione che ha  travisato il pensiero dell’Autore, avvertiamo invece il lettore che il testo è assolutamente fedele al pensiero originale  e che ci siamo permessi di introdurre alcune “varianti” per consentire a coloro che non hanno dimestichezza con le unità di misura e monetarie inglesi di non bloccarsi di fronte a questa difficoltà e di facilitarne così la lettura o lo studio. In altre parti si è invece mantenuto le unità di misura e monetarie inglesi originali perchè la lettura non creava problemi di comprensione e per ragioni di fedeltà storica. 
Ci facciamo altresì carico dell’osservazione che Engels ha formulato nelle “considerazioni supplementari” poste all’inizio del III Libro,laddove, di fronte alle molteplici interpretazioni del testo che vennero fatte dopo la prima edizione, sostiene: “Nella presente edizione ho cercato innanzitutto di comporre un testo il più possibile autentico, di presentare, nel limite del possibile, i nuovi risultati acquisiti da Marx, usando i termini stessi di Marx, intervenendo unicamente quando era assolutamente necessario, evitando che, anche in quest’ultimo caso, il lettore potesse avere dei dubbi su chi gli parla. Questo sistema è stato criticato; si è pensato che io avrei dovuto trasformare il materiale a mia disposizione in un libro sistematicamente elaborato, en faire un livre, come dicono i francesi, in altre parole sacrificare l’autenticità del testo alla comodità del lettore. Ma non è in questo senso che io avevo interpretato il mio compito. Per una simile rielaborazione mi mancava qualsiasi diritto; un uomo come Marx può pretendere di essere ascoltato per se stesso, di tramandare alla posterità le sue scoperte scientifiche nella piena integrità della sua propria esposizione. Inoltre non avevo nessun desiderio di farlo: il manomettere in questo modo perchè dovevo considerare ciò una manomissione l’eredità di un uomo di statura così superiore, mi sarebbe sembrato una mancanza di lealtà. In terzo luogo sarebbe stato completamente inutile. Per la gente che non può o non vuole leggere, che già per il primo Libro si è data maggior pena a interpretarlo male di quanto non fosse necessario a interpretarlo bene — per questa gente è perfettamente inutile sobbarcarsi a delle fatiche”. 
Marx ed Engels non ce ne vogliano, ma posti di fronte alle molteplici “fughe” dallo studio da parte di persone che non possedevano una cultura accademica, fughe che venivano imputate alla difficoltà presentate dal testo, abbiamo deciso di fare uno “strappo” alle osservazioni di Engels, intervenendo in alcune parti  avendo altresì cura di toccare il testo il meno possibile. Nel fare questo “strappo” eravamo tuttavia confortati dal fatto che, a differenza  della situazione in cui Engels si trovava, oggi chi vuole accedere al testo “originale”, dispone di diverse edizioni in varie lingue.
                                                                                                                                                
IL CAPITALE
LIBRO I
SEZIONE III
LA PRODUZIONE DEL PLUSVALORE ASSOLUTO

CAPITOLO 8

LA GIORNATA LAVORATIVA
1 - I limiti della giornata lavorativa.

martedì 21 gennaio 2014

"carne" - Aristide Bellacicco -


 
uno

 

Appena entrato in casa, Gioel colpiva col dorso delle dita le corde della chitarra appesa al muro.

Faceva questo tutte le sere. Non suonava più da tre anni, però voleva che  lo strumento fosse sempre accordato. Ascoltava fino in fondo l'estinguersi del suono e se qualcosa non lo convinceva  si sedeva sul divano e regolava la corda allentata. Quando tutto era a posto, rimetteva con attenzione la chitarra al suo posto.

Poi si svestiva, si dava una sciacquata sotto le ascelle nel lavandino di cucina e si infilava le pantofole.

Ada portava via i vestiti sporchi. La cena era pronta: mangiavano loro due insieme seduti al tavolino, sfiorandosi i gomiti nel maneggiare le posate.

Di solito erano le otto o le nove di sera quando cenavano. Ada gli diceva "tutto a posto" oppure gli raccontava se nel palazzo era successo qualcosa e se avevano portato via qualcun altro.

Col tempo, la loro paura era cresciuta a un  punto tale da averli resi quasi insensibili.

Gioel ascoltava le notizie peggiori mentre masticava un pezzetto di pane o si metteva fra le labbra un cucchiaio di minestra.

Nel palazzo c'era un enorme silenzio. Erano rimasti solo i Meier al primo piano, e non c'era  più nessuno fino al quarto, dove abitavano Ada e Gioel. Da tre settimane avevano svuotato anche l'ultimo piano. Al di sopra  c'era solo il terrazzo, e forse ci viveva qualcuno, nascosto nel lavatoio abbandonato.

giovedì 16 gennaio 2014

Riabilitiamo la teoria del valore* - Augusto Graziani *

(*) Augusto Graziani, Riabilitiamo la teoria del valore (da I conti senza l’oste, Bollati Boringhieri, pp. 235-240). https://zeroconsensus.wordpress.com/ 



Non poco dell’insegnamento economico di Marx è stato assorbito silenziosamente da economisti di tradizione estranea al marxismo. Non è difficile scoprire, all’interno della tradizione economica borghese, l’esistenza di una vasta corrente sotterranea di origine marxiana, a volte sepolta nel profondo, a volte affiorante in superficie, comunque sempre presente e vitale.

L’analisi di Marx, per chi volesse utilizzare un termine moderno, può dirsi impostata in termini macroscopici. La definizione marxiana del capitalismo come sistema basato sulla separazione fra lavoro e mezzi di produzione, e sulla conseguente contrapposizione tra una classe di capitalisti proprietari e una classe di lavoratori nullatenenti, è espressa direttamente in termini di struttura sociale. Questa definizione del capitalismo, come sistema costituito da classi in conflitto, è quasi superfluo ricordarlo, viene fermamente respinta dalla teoria economica borghese, la quale resta saldamente affezionata all’idea del mercato come libera palestra di contrattazione, nella quale i singoli affermano le proprie preferenze e difendono i propri interessi.

L’imposizione individualistica, com’è noto, prende come punto di partenza l’agire del singolo individuo e, dall’analisi del comportamento del singolo, desume l’assetto globale del sistema economico. A questa procedura, Marx, con la sua impostazione macroeconomica, contrappone una procedura inversa, di contenuto storico e concreto. Ridotta all’essenziale, la sua logica può essere espressa così: poiché l’esperienza storica mostra che un sistema sociale quale il capitalismo, basato sulla separazione tra lavoro e mezzi di produzione, si è affermato e perdura, ciò significa che i soggetti che lo compongono si comportano in modo da garantire la sopravvivenza. Compito dell’analisi economica è proprio quello di scoprire tali regole di sopravvivenza. Per spingersi nel profondo, occorre scoprire le vere condizioni di equilibrio del sistema economico, che sono le condizioni della sua riproduzione. Questo è il compito che Marx assegna alla scienza economica. Per un economista, questa regola di metodo significa riconoscere priorità e autonomia all’analisi macroeconomica, lasciando all’analisi microeconomica (e cioè allo studio del comportamento individuale) il carattere di residuo derivato.

L’analisi di classe della società capitalistica conduce immediatamente Marx a una descrizione del processo economico inteso come circuito monetario. I lavoratori, privi per definizione di mezzi di produzione, non possono avviare alcuna attività produttiva. Le imprese, a loro volta, possono farlo soltanto dopo aver acquistato forza-lavoro. Il processo economico si mette dunque in moto soltanto nel momento in cui le imprese, ottenuto un finanziamento monetario dal settore delle banche, acquistano forza-lavoro e realizzano il processo produttivo. Lo stesso processo si conclude allorché le imprese, avendo vendute le merci prodotte, rientrano in possesso della moneta erogata e rimborsano alle banche il credito inizialmente ricevuto.

mercoledì 15 gennaio 2014

Per una discussione col professor La Grassa - Stefano Garroni -

                                             ...........La risposta del prof. G. La Grassa......................



molto simpatico, molto preciso, sa quel che dice, ha tutti i pregi possibili. Tuttavia, si dovrebbe capire che mi fa paura la fossilizzazione nella stretta filologia. Poi, non so più che cosa significhi l’affermazione secondo cui fuori del comunismo (quello centrato sul marxismo, e io stesso non ne riconosco altri che non siano prodotto di puri fantasisti chiacchieroni) c’è il capitalismo; e che a fronte del capitalismo ci sta ancora questo prodotto del pensiero ottocentesco chiamato proletariato. Non c’è “un” capitalismo; la società inglese di metà ’800, in quanto “laboratorio” scelto da Marx per la sua elaborazione effettivamente scientifica, era nettamente diversa già dal capitalismo Usa emerso dalla guerra civile (1861-65, e Marx era ancora vivo, ma non poté valutarlo e tenerne conto per ovvii motivi), ma lo era addirittura stellarmente rispetto a tale capitalismo all’epoca della prima guerra mondiale; e non parliamo degli Stati Uniti odierni! Il proletariato è sempre stato usato come sinonimo (confuso) di classe operaia; si può discutere fin che si vuole della differenza tra operaio e arbeiter, ma resta che tutto il marxismo successivo a Marx ha preso come “soggetto rivoluzionario” l’operaio (esecutivo) di fabbrica. E già non capire la differenza tra impresa e fabbrica mette fuori gioco l’analisi marxista tradizionale per quanto filologicamente precisata, approfondita, ecc. Ma soprattutto restare allo sfruttamento – non capendo il conflitto strategico (che investe ambiti non solo economici) in quanto centro della questione relativa alla forma di società – porta a non capire che tutte le presunte avanguardie dei lavoratori (sia partitiche sia sindacali) diventano gruppi posti allo stesso livello di quelli imprenditoriali e dei loro corifei politici. La Camusso non è “funzionalmente” diversa da Squinzi (o da Marchionne); o anche da Napolitano, ecc. Se si continua con lo schema capitale/lavoro si diventa, magari del tutto onestamente, reazionari, perché quella lotta non ha portato nella direzione voluta, era errata nell’impostazione e la prassi è dunque fallita. E ciò che ha cambiato il mondo nel XX secolo non è stato il proletariato/classe operaia, ma l’intuizione dello spostamento della rivoluzione verso i paesi ancora contadini dell’”est” (poi detti terzo mondo e anche questa teorizzazione ha infine cristallizzato il pensiero e la prassi); masse contadine in lotta sotto la guida di nuovi gruppi divenuti, necessariamente, dominanti e in contrasto con quelli “più vecchi”. Con risultati che ancora non si vogliono valutare, perché i “nuovi” gruppi sono falliti dappertutto; a “ovest” (società dette capitalismi, al plurale però, con un po’ più di verità) non c’è stata alcuna rivoluzione e la formazione americana resta la più flessibile e più adattabile alle nuove congiunture; a “est” c’è stato di tutto e il contrario di tutto, con la trasformazione del mondo, ma assolutamente differente da ciò che si voleva e prevedeva. Il grave è che ancora non si cerca nemmeno di capire in che senso è cambiata la situazione mondiale; si insiste a pensare al comunismo, al proletariato, allo sfruttamento in senso marxista. Dall’altra parte, si blatera di mercato, della sua globalizzazione, della finanza quale elemento “cattivo” del capitale (in sé “buono”), e altre cazzate varie. Basta con queste vecchiezze assurde. Si deve intraprendere un cammino del tutto diverso; e quando si va su una nuova strada, inutile credere che non ci siano erbacce, pozzanghere, buche e quant’altro. Non si costruisce d’emblée una buona via, scorrevole, con critiche a Marx, ma quelle solo “fondate”. Mi dispiace, l’unica cosa che resta valida è la seguente: bisogna picchiare sulla testa di cretini che filosofesseggiano (non filosofano, tutt’altra cosa) in modo tale da impedire di capire la realtà in cui siamo, in modo da coprire i vecchi gruppi dominanti. Si deve procedere ad una “nuova scienza”; ma si deve pensare e ripensare su quali postulati essa si baserà, quali costruzioni logiche (che non riproducono la realtà, quella che tutti vogliono vedere come vera e raggiungibile con il nostro cervello) saranno le più adatte a costruire campi per la conduzione del conflitto. Un conflitto che sarà sempre tra gruppi organizzati e coordinati, con le “masse” il cui movimento è indispensabile, ma non secerne ciò che si deve fare. Credere ancora a queste fanfaluche è materialismo volgare esattamente come quello di coloro che credono al pensiero in quanto secrezione del cervello, ad un hardware che possa produrre direttamente il software, ad una tecnica pianistica (o del ballare) che produce il gran pianista o il gran ballerino, ad una orchestra che suona senza direttore, ecc. ecc.. Così poi vengono fuori i governi dei tecnici che portano a fondo un paese. E i filologi marxisti rischiano, del tutto onestamente in certi casi (non in tutti), di produrre gli stessi guasti irreparabili!
                                                                                                                                                                                                                                                                     ................................................................e ancora, seppur datato (2008), un altro commento..................................................................:
 
 http://www.webalice.it/mario.gangarossa/sottolebandieredelmarxismo_identita/2008_01_michele-basso_rivoluzione-contro-il-capitale-o-nuova-revisione-del-marxismo.htm

mercoledì 1 gennaio 2014

Appunti per "Rileggere Marx". - Stefano Garroni -


Lo scopo di questa raccolta di scritti è  mostrare l’attualità- in un’accezione non negativa del termine- della riflessione marxiana, qui esemplificata con la sua opera maggiore, Das Kapital. In sostanza mi sembra che questo si debba dire: il pensiero di Marx ha legami profondi con la parte più viva, dinamica e consapevole della cultura moderna, di quella cultura, cioè, che definisce lo"spirito"del nostro tempo. In questo senso, attraverso Marx (anche attraverso Marx) giungiamo alla consapevolezza di noi stessi, della problematica e delle alternative, che son proprie della nostra vita attuale (appunto!). Il che naturalmente non nega la possibilità di un giudizio anche negativo della riflessione marxiana, ma dice che una tale critica è legittimata solo da una critica più vasta e radicale, che investa una parte sostanziale  della coscienza moderna: per dirla con un apparente paradosso non basta mostrare che questa o quella tesi economico-sociale, elaborata da Marx, non ha trovato riscontro nello svolgersi effettivo dei fatti, perché l’autentico problema è mostrare l’inadeguatezza della angolatura etico-epistemologica (filosofica, insomma), entro cui Marx si colloca e che costituisce il retroterra delle analisi, che egli compie e delle soluzioni che prospetta.

Nel titolo della mia ricerca c’è il termine “Appunti”: perché? Ma perché piuttosto che l’analisi puntuale di specifiche questioni, ciò che mi preme è indicare una problematica, che Marx raccoglie da quel più ampio filone culturale, di cui ho detto sopra e che, certamente, ha in Hegel un momento decisivo.

giovedì 19 dicembre 2013

Una problematica politica odierna. Il comunismo libertario - Stefano Garroni -


E’ ben noto che il movimento di massa, che a partire dalla seconda metà del 1967, si diffuse in tutta l’Europa occidentale, in Gran Bretagna e negli Usa, presentò subito un’ambiguità di fondo – intendo la compresenza di rivendicazioni e di parole d’ordine, per un verso, legate direttamente alla lotta di classe anticapitalistica ma, per l’altro, che richiamavano temi, invece, della cosiddetta ‘rivoluzione sessuale’ e che, dunque, si collegavano alla cosiddetta Sexpolitik di certo marxismo tedesco post rivoluzionario (W. Reich, ad es.), ma anche e fondamentalmente a quel radicalismo borghese, che accompagnò per tutto l’Ottocento lo stabilizzarsi del dominio del grande capitale (temi caratteristici di tale radicalismo sono, come dovrebbe esser noto, il femminismo, la rivendicazione di libertà per la devianza sessuale e per il consumo di droghe).

Insomma, il movimento che si sviluppa a partire dal ’67-’68 si caratterizza, fin da subito, per rivendicazioni, che si estendono su tutti i livelli dell’esperienza umana (si ricordi il significativo slogan il privato è politico), senza avere tuttavia la coscienza del modo di coesistenza di tali livelli e, così, mostrandosi incapace di comprenderli ognuno nella propria determinatezza, specificità e valenza storica.

E’ in questo contesto che la ripresa dei temi del marxismo rivoluzionario si intrecciarono, paradossalmente, con il rifiorire di orientamenti anarchici (si ricordi che, appunto nel 1968, fu ristampato in Italia L’ Unico, il libro di Stirner, largamente criticato da Marx nella Ideologia tedesca) e che iniziò quell’ uso linguistico, che progressivamente finì col sostituire al termine, classista, di proletariato le più generiche qualificazioni ( intrise di impronte religiose), quali gli ultimi, gli oppressi, i più deboli, gli emarginati.

A tutto ciò va unito l’estendersi di un orientamento politico che, identificando stalinismo con organizzazione, centralizzazione e distinzione di ruoli, riprese la problematica consigliare, ma in modo astratto, unilaterale, vale a dire, facendone l’assoluto altro rispetto all’istanza organizzativa, intesa – quest’ ultima- come sinonimo di deformazione burocratica.

A questo punto le cose si radicalizzano: da un lato, in seguito alla durezza dello scontro politico con l’esistente organizzazione statuale, si consolidò la tendenza a non ingabbiare il movimento nelle maglie di una disciplina teorico-organizzativa ma di enfatizzarne il carattere di movimento libero e creativo, perché espressione diretta delle masse; dall’altro, tutto al contrario, si andarono costituendo formazioni (a volte di una certa ampiezza), addirittura neo-staliniste – e quindi, centralizzate, gerarchicizzate e ideologizzate (nel senso più deteriore e dogmatico del termine).

Contributo a una discussione - Aristide Bellacicco* -


*(Collettivo di formazione marxista "Stefano Garroni")

1) Uno dei fenomeni più caratteristici degli ultimi anni è il fortissimo prevalere, nelle analisi e nelle interpretazioni della crisi del capitale, dell’elemento strettamente economico pensato nella sua assolutezza e autonomia. In particolare nella’area europea, il dibattito appare contraddistinto dalla divisione fra i sostenitori di una linea recessiva e di austerità (alla Merkel, per intenderci) e coloro i quali sostengono che sia necessaria una politica monetaria più espansiva per ridare fiato alla produzione e al consumo. Il fatto che queste misure di carattere neo-keynesiano rappresentino l’orizzonte comune di molti economisti di ispirazione marxista o genericamente “di sinistra”, è sufficientemente indicativo dell’ impasse teorica e politica in cui si trova impigliato, ormai da molti decenni, ciò che resta del pensiero critico e dello stesso movimento comunista. La situazione si può forse riassumere in questo modo: da un lato, o meglio, sullo sfondo, il persistere della consapevolezza che il sistema di produzione capitalistico è sbagliato perché violento e irrazionale; dall’altro, o in primo piano, l’apparentemente insuperabile soggezione alle sue logiche e alle sue “leggi”. Da qui, il primato dell’”economico” e l’appiattimento, quasi ossessivo, sui temi dei “mercati”, della “ripresa”, delle banche e così via. E sempre da qui, come una specie di sottoprodotto, quella sorta di coscienza diffusa, priva di un chiaro segno politico, che porta a concepire la situazione attuale come polarizzata fra un generico “grande capitale” mostruoso e vorace, chiamato anche sbrigativamente “Europa”, e “il popolo”, vale a dire tutti gli altri.

2) Detto ciò, non ci si può nascondere che questa visione è, in buona sostanza, il riflesso necessario dei rapporti fra le classi o fra i diversi raggruppamenti sociali, su scala europea e mondiale, così come sono andati configurandosi nell’epoca della reazione neo-liberista. Del quadro fanno parte il fallimento delle due esperienze novecentesche di ispirazione socialista in paesi più o meno capitalisticamente avanzati – il Cile e il Portogallo – e la crisi e il crollo del campo socialista e dell’ Unione sovietica ad est: il famoso tramonto della centralità operaia, di cui si vocifera da un trentennio almeno, trova forse in tutto questo una delle sue radici e, se si assume un certo pessimismo della ragione, una sua almeno apparente conferma.

mercoledì 18 dicembre 2013

Il feticismo da un punto di vista antropologico. - A.Ciattini*, S.Garroni. -


Trascrizione dall'audio dell'incontro organizzato dal collettivo di formazione marxista "Maurizio Franceschini" di Roma - 15/01/96 - (Trascrizione ad opera del compagno Giacomo Turci) - 
http://www.treccani.it/enciclopedia/feticismo_(Dizionario_di_filosofia)/                                                                                                                                                                          
                                                                 
 


ALESSANDRA CIATTINI: [...] Da taluni, ad esempio da Manuel, che ha scritto un libro molto importante sulla riflessione e sulla religione, viene considerato solo un dilettante erudito. Comunque a noi qui interessa mettere in evidenza che De Brosses aveva svariati interessi. È intervenuto su problemi che a quel tempo erano importanti (siamo nel '700 francese), problemi di vario tipo. Si è occupato dell'origine del linguaggio, dell'origine della religione, e si è occupato anche di problemi geografici - siamo nell'epoca in cui continuano le grandi scoperte geografiche. Vediamo più dettagliatamente questa sua opera sul feticismo, sul culto degli déi feticci. Questa opera è abbastanza significativa ancora oggi per l'antropologia religiosa. L'antropologia religiosa è un sotto-settore dell'antropologia culturale, che da un lato si occupa di ricostruire e di descrivere in maniera dettagliata le varie forme di vita religiosa che si manifestano nelle società più disparate, anche se prevalentemente l'antropologo religioso studia le società a livello etnologico, cioè le società semplici, le società primitive cosiddette, anche se questa parola oggi viene condannata, ma forse è abbastanza adeguata - le società extraeuropee, le società esotiche, cioè quelle che si collocano ai livelli più semplici di vita economica e sociale. L'altra questione di cui si occupa l'antropologia religiosa è una questione più rilevante e che ha dei risvolti anche filosofici - è la questione se sia possibile individuare una struttura logica e specifica del comportamento della credenza religiosi, che consenta di stabilire paralleli e di fare comparazioni tra le varie forme di religiosità. Quindi l'antropologia religiosa si pone il problema di capire se la religione, rispetto alle altre forme di comportamento e di pensiero, ha una sua specificità distintiva. L'opera di De Brosses in realtà è significativa ancora oggi soprattutto per questo secondo punto. Riguardo al primo punto non è più significativa perché ovviamente De Brosses si basava sull'opera di viaggiatori, di missionari, di commercianti ecc., che davano reportage delle società primitive con cui entravano in contatto che spesso non erano del tutto veritieri e falsificati da motivazioni economiche e politiche. De Brosses è il primo che parla di feticismo, è il primo che utilizza questa parola, è lui che la inventa. Questa parola è stata ripresa successivamente da vari autori molto diversi, per esempio Comte, che ne fece uno stadio di sviluppo mentale dell'umanità. Diciamo che lo stadio feticistico è il primo stadio dello stadio teologico; successivo al feticistico abbiamo il politeistico e il monoteistico: così Comte descriveva la prima fase di sviluppo mentale ed intellettuale dell'umanità. Questo termine fu usato anche da Hegel e da Marx.

mercoledì 4 dicembre 2013

Il Capitale - Libro primo: Il processo di produzione del capitale - II Sezione: La Trasformazione del Denaro in Capitale - Quarto capitolo - Karl Marx -

  "Delle mie personali attidudini fisiche e intellettuali, e delle mie personali possibilità di azione io posso... alienare ad un altro un uso limitato nel tempo, giacche esse, dopo tale limitazione, conservano un rapporto esteriore con la mia totalità e universalità. Alienando tutto il mio tempo realizzato tramite il lavoro e la totalità della mia produzione, io darei in proprietà ad un altro quello che essi hanno di essenziale, la mia attività e realtà universali, la mia personalità".          Hegel          (Philosopie des Rechts, Berlino, 1840, p. 104, § 67)                                         
                                                                                                    "...si odia l'usura a pieno diritto in quanto qui il denaro stesso è la fonte del guadagno e non lo si usa allo scopo per cui fu inventato. Giacché ebbe origine per lo scambio di merci, ma l'interesse fa dal denaro più denaro, e da questo ebbe origine anche il suo nome (interesse e nato). In quanto i nati sono simili ai loro genitori. E l'interesse è denaro originato dal denaro, in maniera che esso è, tra tutti i modi di guadagno, quello maggiormente contro natura".        Aristotele             (DeRepubblica,vol.I,cap.10)                                                                                                                                                                                                                        "...la formazione del capitale deve essere possibile anche se il prezzo delle merci è eguale al valore delle merci. Non può essere spiegata con la differenza fra i prezzi e i valori delle merci. Se i prezzi differiscono realmente dai valori, occorre ridurre i prezzi ai valori, cioè fare astrazione da questa circostanza come casuale, se si vuole avere davanti a sé puro il fenomeno della formazione del capitale sulla base dello scambio di merci, e se non si vuole essere confusi nell'osservarlo da circostanze secondarie perturbatrici ed estranee al vero e proprio andamento del fenomeno. Si sa del resto che tale riduzione non è affatto un puro e semplice procedimento scientifico. Le oscillazioni continue dei prezzi di mercato, i loro rialzi e i loro ribassi, si compensano, si eliminano reciprocamente e si riducono a prezzo medio, che è la loro regola interna. Ed essa costituisce la stella polare p. es. del mercante o dell'industriale in ogni impresa che abbracci un periodo di tempo d'una certa durata. Dunque essi sanno che, considerato nel suo insieme un periodo di una certa durata, le merci vengono vendute non sopra e non sotto il loro prezzo medio, ma proprio al loro prezzo medio. E se il pensiero disinteressato fosse semmai il loro interesse. il mercante e l'industriale si dovrebbero porre il problema della formazione del capitale a questo modo: data la regolazione dei prezzi mediante il prezzo medio, cioè in ultima istanza, mediante il valore della merce, come può nascere capitale? Dico «in ultima istanza», perché i prezzi medi non coincidono direttamente con le grandezze di valore delle merci, come credono A. Smith, il Ricardo, ecc". [...] "Perciò, comunque si giri la cosa, il risultato è sempre il medesimo. Scambiando equivalenti, non sorge alcun plusvalore, e non sorge neanche scambiando non equivalenti. La circolazione, cioè lo scambio delle merci, non crea alcun valore".            Karl Marx
                             http://www.rottacomunista.org/classici/marx-engels/capitale/cap_4.htm

martedì 26 novembre 2013

E. Cassirer, Scienza e funzione… - Stefano Garroni -

Stefano Garroni (Roma, 26 gennaio 1939 – Roma, 13 aprile 2014) è stato un filosofo italiano. Assistente presso la Cattedra di Filosofia Teoretica (Roma Sapienza) diretta, nell'ordine, dai Proff. U. Spirito, G. Calogero e A. Capizzi. Nel 1973 entrò a far parte del Centro di Pensiero Antico del CNR diretto dal Prof G. Giannantoni. 


“La nuova posizione, che la filosofia contemporanea viene gradualmente assumendo riguardo ai fondamenti della scienza teoretica, forse in nessuna cosa si è manifestata con maggior chiarezza che nelle trasformazioni subite in essa dalle principali dottrine della logica formale. Solo nella logica lo sviluppo del pensiero filosofico sembrò aver finalmente raggiunto un sicuro punto d’appoggio; sembrò che in essa fosse stato delimitato un campo al sicuro dai dubbi sempre sollevati contro le diverse dottrine e opinioni gnoseologiche … Perfino la successiva affermazione secondo la quale la logica dopo Aristotele, come non fece nessun passo indietro, così non riuscì a compiere alcun passo avanti, dovette valere sotto questo punto di vista come una conferma del suo peculiare carattere di certezza. Non influenzata dal vero vivere e dal continuo trasformarsi di ogni sapere oggettivo, essa sola sembrò affermarsi in modo costante e uniforme.” (Cassirer, 0521: 9).[1]

“Tuttavia, se si segue più da vicino il corso preso dalla evoluzione scientifica negli ultimi decenni, ne risulta subito anche per la logica formale un quadro diverso. Essa appare ovunque impegnata in nuove questioni e dominata da nuove tendenze di pensiero (c’è un’evoluzione storica anche della logica formale).

Anche per il rinnovamento della logica formale è fondamentale la teoria matematica degli insiemi.(Cassirer,0521: 10) “Questa teoria si rivela sempre più quale meta comune di questioni logiche diverse, prima trattate di solito separatamente, le quali ricevono da essa la loro unità ideale. In tal modo la logica vien tolta dal suo isolamento e ricondotta a compiti e risultati concreti. Infatti l’orizzonte della moderna teoria degli insiemi non  rimane circoscritto a problemi puramente matematici, ma si allarga in una visione generale  che si estende e si conferma anche nella metodica speciale della conoscenza della natura.” (Cassirer, 0521). “La critica della logica formale si compendia in una critica della teoria generale della formazione dei concetti.” (Cassirer, 0521: 11)

Nota che la nozione tradizionale di concetto  viene descritta da Cassirer, in forte analogia con il modo in cui Hegel e Marx descrivono il metodo speculativo. (Cassirer, 0521: 12).[2]

Nell’accezione tradizionale il concetto non duplica la realtà,ma semplicemente la ordina e la classifica.(Cassirer, 0531: 12).

“Se dunque si denomina l’insieme delle note di un concetto la grandezza della sua comprensione, questa grandezza crescerà quando dal concetto superiore si scende all’inferiore, diminuendo in tal modo il numero delle specie che si pensano subordinate al concetto …” (Cassirer. 0531: 12s).

Contro la concezione tradizionale del concetto:”Ciò che anzitutto chiediamo e ci aspettiamo [e che il concetto in senso tradizionale non dà] dal concetto scientifico è che, in luogo dell’indeterminatezza e ambiguità del contenuto rappresentativo, esso instauri una netta e univoca determinatezza.” (Cassirer, 0531: 13); “il concetto perderebbe se esso significasse semplicemente la negazione dei casi particolari, dalla cui considerazione prende le mosse, e se volesse dire distruzione della loro natura specifica.” (Cassirer, 0531: 14). Se noi –per usare un drastico esempio di Lotze- facciamo rientrare ciliege e carne nel gruppo connotativo dei corpi rossi, succosi e commestibili, non otteniamo con questo alcun oggetto logico valido, bensì una connessione verbale priva di senso e di utilità per la comprensione dei casi particolari. Da ciò risulta chiaro che la generale norma formale di per sé sola non basta, e che invece viene sempre tacitamene integrata da un altro criterio di pensiero.” (Cassirer, 0531: 14).

[Concetto e telos in Aristotele] - “La definizione (aristotelica) del concetto mediante il suo genere prossimo e la differenza specifica rispecchia il processo in virtù del quale la sostanza reale si dispiega successivamente nei suoi particolari modi di essere.” (Cassirer, 0531: 14); per Aristotele almeno il concetto non è un semplice schema soggettivo in cui noi raccogliamo gli elementi comuni di un gruppo qualsiasi di cose. Rilevare ciò che è comune rimarrebbe un vano gioco dell’immaginazione se alla base non ci fosse il pensiero secondo cui ciò, che in tal maniera viene ottenuto è al tempo stesso la forma reale, che garantisce il nesso causale e teleologico delle cose singole.” (Cassirer, 0531: 14s)[3] “Il pensiero non fa che isolare il tipo specifico che è contenuto nella concreta realtà singola come fattore attivo e che conferisce ai particolari esseri formati l’impronta universale. La specie biologica indica al tempo stesso la meta, a cui la singola forma vitale tende, e la forza immanente onde il suo sviluppo è guidato … La definizione del concetto mediante il suo genere prossimo e la differenza specifica rispecchia il processo in virtù del quale la sostanza reale si dispiega successivamente nei suoi particolari modi di essere.[4]

“A questo fondamentale concetto di sostanza rimangono pertanto sostanzialmente legate anche le teorie puramente logiche di Aristotele. Il sistema completo delle definizioni scientifiche sarebbe al tempo stesso l’espressione completa delle potenze sostanziali che dominano la realtà. La struttura specifica della logica aristotelica è in tal modo condizionata dalla struttura specifica del suo concetto di essere.” (Cassirer, 0531: 15)

Giusta la sua concezione di sostanza, Aristotele fa passare in secondo piano il concetto di relazione, mentre rimane incontrastato il primato logico di sostanza … anzitutto è la categoria di relazione a essere degradata, in conseguenza di questa fondamentale dottrina metafisica di Aristotele, a un rango dipendente e subordinato.” (Cassirer, 0531: 16). “Nei manuali di logica formale questa concezione si manifesta nel fatto  che di solito i rapporti o le relazioni vengono annoverati fra le note <non essenziali> di un concetto, le quali perciò possono essere tralasciate senza danno nella definizione di esso.”(Cassirer, 0531: 16).

Particolarmente lo sviluppo scientifico moderno, mostra sempre più la contrapposizione tra una logica basata sul concetto di cosa e una logica basata sul concetto di relazione.(Cassirer, 0531: 16).

J.S.Mill “ribadisce esplicitamente che la vera realtà positiva di ogni relazione risiede sempre soltanto nei singoli termini da essa collegati, e che in tal modo, poiché questi termini possono esser dati soltanto nella differenziazione individuale, non si può parlare neppure di una rappresentazione concreta e con tutte le caratteristiche di tale rappresentazione ..” (Cassirer, 0531: 18s). La psicologia dell’astrazione e la disputa scolastica sugli universali. (Cassirer, 0531: 19-20)

“I concetti, che in definitiva Aristotele cerca  e a cui il suo interesse è principalmente rivolto, son i conceti-generi della scienza naturale descrittiva e classificatrice. La <forma> dell’ulivo, del cavallo, del leone è ciò che si tratta di raggiungere e di stabilire.” (Cassirer: 20)

“I concetto di punto, di linea, di superficie può essere mostrato come parte diretta del corpo fisicamente presente, e quindi essere da esso separato per semplice « astrazione ». Già di fronte a questi semplicissimi esempi, che sono forniti dalla scienza esatta, la tecnica logica si vede posta di fronte a un compito nuovo. I concetti matematici, che nascono mediante una definizione genetica, si distinguono dai concetti empirici, che vogliono essere soltanto la riproduzione di certi tratti effettivamente esistenti nella realtà delle cose. Se in quest'ultimo caso la molteplicità delle cose sussiste in sé e per sé e deve soltanto essere raccolta in un'espressione abbreviata linguistica o concettuale, nel primo caso invece si tratta appena di creare la molteplicità che forma l'oggetto della considerazione, in quanto da un semplice atto del porre viene prodotta per sintesi progressiva una connessione sistematica di creazioni del pensiero. Qui pertanto alla semplice «astrazione>> si contrappone un atto speciale del pensiero, una libera produzione di determinati nessi di relazioni. Si comprende facilmente che la teoria logica dell'astrazione abbia sempre tentato, ancora nella sua forma moderna, di cancellare questa opposizione, poiché su questo punto si decide la questione del suo valore e della sua intrinseca unità. Ma questo stesso tentativo conduce tosto a una trasformazione e dissolvimento della teoria per il cui vantaggio viene intrapreso. La teoria dell'astrazione perde qui o la sua validità universale o lo specifico carattere logico che originariamente le apparteneva.”(Cassirer: 20s).

“Così J.S. Mil1, per esempio, per mantenere l'unità del supremo principio esplicativo, cerca d'interpretare anche le verità e i concetti matematici semplicemente come l'espressione di concreti fatti fisici. La proposizione affermante  1 + 1 = 2 descrive semplicemente un'esperienza che ci si è imposta nella giustapposizione di cose; in un mondo di oggetti altrimenti costituito, in un mondo, per esempio, in cui mediante la connessione di due cose ne nascesse ogni volta spontaneamente una terza, essa perderebbe ogni significato e valore. Lo stesso vale per gli assiomi riguardanti rapporti spaziali: un «quadrato rotondo» significa per noi un c o n c e t t o contraddittorio solo in quanto ci risulta, da un'esperienza senza eccezioni che una cosa, nel momento in cui assume la proprietà rotonda, perde la forma quadrata, cosicché l’inizio di una proposizione è inseparabilmente associata alla cessazione dell’altra. In tal modo, in virtù di questa interpretazione la geometria e l’aritmetica sembrano di nuovo risolte in semplici enunciati intorno a determinati gruppi di immagini rappresentative. Ma questa concezione fallisce lo scopo quando Mill cerca poi di giustificare il valore e il significato specifico che nel campo complessivo della conoscenza sono propri di quelle speciali esperienze del numerare e del misurare. Qui si mostra anzitutto l’esattezza e la fedeltà delle immagini che noi conserviamo dei rapporti spaziali e numerici.. In questo caso, la rappresentazione riprodotta è simile in tutte le sue parti alla rappresentazione originaria, come ci è stato mostrato da un’esperienza ripetuta; l’immagine che la geometria abbozza corrisponde perfettamente nei suoi particolari all’impressione originaria secondo la quale era stata abbozzata. Appare perciò comprensibile che noi, per giungere a nuove verità geometriche o aritmetiche, non abbiamo bisogno ogni volta di rinnovate percezioni di oggetti fisici: l’immagine mnemonica può sostituire, grazie alla sua precisione e chiarezza, l’oggetto stesso. Ma questa spiegazione viene tosto a incrociarsi con un’altra. La peculiare certezza ‘deduttiva’ che attribuiamo alle proposizioni viene ora ricondotta al fatto che in queste proposizioni non abbiamo mai a che fare con enunciati intorno a fatti concreti, bensì con rapporti fra creazioni ipotetiche. Non vi sono cose reali che corrispondano esattamente alle definizioni della geometria: non vi è un punto senza grandezza, non una retta perfetta, non un cerchio i cui raggi siano tutti uguali. E non soltanto la realtà attuale, ma la stessa possibilità di questi insiemi di note deve essere contestata in base alla nostra esperienza: essa è esclusa in virtù della struttura fisica del nostro pianeta, se non di quella dell’universo. 

Non meno dell’esistenza fisica, è negata anche l’esistenza psichica agli oggetti delle definizioni geometriche. Infatti anche nel nostro spirito non si trova mai la rappresentazione di un punto matematico, ma sempre soltanto quella della minima estensione sensibile; anche qui non «concepiamo» mai una linea senza larghezza, giacché ogni immagine psichica, che possiamo abbozzare, ci mostra sempre soltanto linee di una determinata larghezza. Si vede subito come questa duplice spiegazione annu1li se stessa. Da un lato viene dato il massimo rilievo alla s o m i g 1 i a n z a fra le idee matematiche e le impressioni originarie; dall'altro appare subito che tale somiglianza, almeno per quelle formazioni che nella stessa scienza matematica vengono definite e indicate solo come «concetti», non esiste né può esistere. Queste formazioni non possono essere ottenute per semplice separazione dai fatti della natura e della rappresentazione, perchè esse non posseggono alcun riscontro concreto nel complesso di questi fatti. L'«astrazione», come finora è stata intesa, non m o di f i c a realmente ciò che si trova nella coscienza e nella realtà oggettiva, ma traccia soltanto in esso determinate linee di separazione e suddivisioni; separa le parti costitutive dell'impressione sensibile, ma non aggiunge ad esse alcun dato nuovo. Se non ché, nella matematica pura, come insegnano le stesse considerazioni svolte dal Mill, i1 mondo delle cose sensibili e delle rappresentazioni non tanto è rispecchiato quanto piuttosto trasformato e sostituito da un ordine d'altra natura. Se si indaga il modo e la via di questa trasformazione, si rivelano determinate forme di relazione, si rivela un sistema articolato, e rigorosamente distinto di funzioni del pensiero, le quali non possono venire indicate e ancor meno giustificate mediante l'uniforme schema dell'astrazione. E questo risultato è confermato anche quando si passa dai concetti puramente matematici a quelli della fisica teorica. Anche questi presentano nella loro origine -come si può notare nei casi particolari -lo stesso processo di trasformazione della concreta realtà sensibile, il quale non può essere giustificato dalla dottrina tradizionale; neppure essi vogliono creare semplici copie dei dati della percezione, bensì porre in luogo della molteplicità sensibile un’altra molteplicità conforme a certe condizioni teoretiche. (Cassirer: 21-24).

“ … ogni formazione di concetti è legata a una determinata f o r m a  di  c o s t r u z i o n e di  serie. Diciamo concettualmente compresa e ordinata una molteplicità offerta dall'intuizione allorché i suoi termini non stanno l'uno accanto all'altro senza rapporti, ma derivano in successione necessaria da un determinato termine iniziale secondo una fondamentale relazione generatrice. L' i d e n t i t à di questa relazione generatrice, che viene mantenuta pur nel mutare dei singoli contenuti, è ciò che costituisce 1a forma specifica del concetto. Il problema se dal mantenersi di questa identità di relazione si sviluppi alla fine un o g g e t t o astratto, una r a p p r e s e n t a z i o n e universale, in cui i tratti simili siano riuniti, è solo una questione psico-logica secondaria. La nascita di una siffatta rappresentazione comune può essere esclusa, data la natura della relazione generatrice, senza che per questo venga distrutta la deduzione di ciascun elemento da quello che precede. Si riconosce in questi rapporti che il vero difetto della teoria dell'astrazione consiste nell'unilateralità con cui dal grande numero di possibili principi di coordinazione logica si sceglie soltanto il principio della somiglianza. In verità risulterà che una sèrie di contenuti, per dirsi compresa e ordinata, può essere disposta secondo i punti di vista più diversi, a condizione soltanto che nella costruzione della serie il punto di vista assunto come guida venga mantenuto invariato nella sua specifica natura qualitativa. Per esempio, oltre alle serie fondate sulla somiglianza, in cui nei singoli contenuti ritorna costantemente un comune elemento costitutivo, possiamo stabilire delle serie in cui fra ciascun termine e quello che lo segue sussista un certo grado di d i v e r s i t à ; possiamo pensare che i termini siano ordinati secondo l'uguaglianza o la disuguaglianza, secondo la grandezza e il loro grado di dipendenza causale. Decisiva in ogni caso è solo la relazione di necessità, che un tal modo viene creata e di cui il concetto è solo l’espressione e l’involucro, non già la rappresentazione generica, che in determinate circostanze si può aggiungere, ma che non entra come elemento determinante nella definizione.”  (Cassirer: 25s)[5]

Note
[1] - Nota la posizione tradizonale, secondo cui se la realtà muta, la logica invece no.
[2] - E’ interessante Cassirer, 0521:13-4 che, contro il concetto nell’accezione tradizionale, avanza una critica à la  Hegel: “E perfino dal punto di vista immanente della logica formale nasce subito un nuovo problema.. Se ogni formazione di concetti consiste nel processo per cui noi da una pluralità di oggetti, che ci sta di fronte, isoliamo le note comuni, tralasciando tutte le rimanenti, è chiaro che con siffatta riduzione è sottentrata, in luogo dell’originaria totalità  intuita, una parte soltanto degli elementi contenuti in essa.”; altro elemento hegeliano in Cassirer, che continua la sua critica al concetto nel senso tradizionale: “il concetto perderebbe ogni valore se esso significasse semplicemente la negazione dei casi particolari, dalla cui considerazione prende le mosse, e se volesse dire distruzione della loro natura specifica.” (Cassirer, 0521:14).E’ interessante anche che Kant, di contro alla tradizionale teoria del concetto, si senta attratto verso il costruttivismo leibniziano, come testimonia Cassirer in leibniz.doc.
[3] - Per comprendere il ruolo fondamentale della teleologia in Aristotele.
[4] - Tutto questo c’è in Hegel e Marx.
[5] - Due notazioni: (a) è probabile che questa pagina possa essere utilizzata da me, per mostrare che Wittgenstein non nega il concetto; (B) possibilità di vari concetti a seconda del punto di vista o dell’ipotesi (Galilei).

giovedì 21 novembre 2013

Un omaggio a Paul Mattick - AAVV -

Il testo consiste in una raccolta di scritti di varia natura che spaziano dalla critica alle teorie delle crisi ad una eventuale economia di produttori associati attraverso la critica del modello sovietico

Questa pubblicazione non intende stabilire un “dialogato coi morti” come ultima risorsa di una sinistra ormai orfana di iniziativa. Non sappiamo se per pigrizia o per oggettiva impotenza, ma coloro che intendono ancora pensare di cambiare questo stato di cose credono di poterlo fare solo leggendo qualche “marxista” del passato per poi inserirlo nelle solite correnti di un movimento operaio esistente solo nella immaginazione del radicalismo o nelle descrizioni romantiche di qualche nostalgico. Mattick, nonostante i limiti che presenterebbe attualmente, ci può aiutare a ripartire dall’analisi marxiana, cioè scientifica, dei fenomeni che caratterizzano il capitalismo contemporaneo anche perché oggi è possibile attingere a numerose informazioni e dati empirici che spesso vengono disattesi da chi pretende di insegnare qualcosa propagandando ideologie prese a prestito da giornali e settimanali di modesta fattura. I fenomeni economici  e sociali vanno costatati scrupolosamente alla maniera delle scienze naturali, come invitava a fare Marx nella Introduzione a “Per la critica dell’economia politica”. 


                                                    http://177ermanno.blogspot.it/2013/11/karl-korsch-e-il-marxismo-paul-mattick.html 

mercoledì 20 novembre 2013

Il Partito Comunista Cinese al 15° Incontro Internazionale dei Partiti Comunisti e Operai


Da un lato, la crisi finanziaria internazionale ha gettato il capitalismo in un dilemma strutturale, confermando la critica di Marx sul capitalismo. I valori socialisti di equità, di giustizia, di solidarietà e di aiuto reciproco hanno messo radici più profonde. Ci siamo resi conto che il capitalismo selvaggio deve essere frenato da un efficace controllo democratico e da efficaci e democratiche regolamentazioni. Il modello di sviluppo del neoliberismo non può più sostenersi oltre, confermando la necessità di un cambiamento e di un riaggiustamento. Deve essere introdotto un modello di sviluppo che combini economia di mercato e controllo del governo, un modello che assicuri uno sviluppo equilibrato tra economia reale ed economia virtuale indirizzato sia verso l'equità che verso l’efficienza. D'altra parte, non possiamo non vedere la capacità del capitalismo di produrre sia la propria auto-regolazione che la flessibilità delle sue istituzioni e dei suoi sistemi. Un certo numero di paesi capitalisti sta spostando gli oneri della crisi sugli altri paesi attraverso il leveraggio finanziario e monetario mentre l’effetto di ricaduta della loro politica monetaria ha creato una pressione esterna sulla crescita economica dei paesi emergenti e in via di sviluppo. Per affrontare la crisi economica, alcuni paesi hanno tagliato i servizi pubblici e la spesa destinata al welfare, erodendo i diritti e gli interessi dei lavoratori. In campo internazionale, saltuariamente si manifestano l'unilateralismo e la politica di potenza, in violazione della Carta delle Nazioni Unite e dei principi fondamentali del diritto internazionale. Alcuni paesi capitalisti hanno intensificato gli sforzi per raggiungere il dominio sul nuovo ciclo della rivoluzione industriale e della globalizzazione e ottenere un vantaggio iniziale nel ridisegnare le regole internazionali, in modo da limitare lo spazio di sviluppo e d’azione del socialismo attraverso la concorrenza sleale, l’ordine irrazionale e regole inique. Pertanto, noi comunisti dobbiamo essere uniti per perseguire il nostro proprio sviluppo attraverso la cooperazione.                                                                                                                                                                                                                                                                                         Compagni!
Viviamo in un mondo interdipendente, un mondo che sta diventando sempre più una comunità dal destino comune. In questa nuova era storica, tutte le forze progressiste di questo mondo devono unirsi e lavorare di concerto per salvaguardare la pace mondiale, promuovere lo sviluppo comune e raggiungere il progresso sociale. La Cina terrà alta la bandiera della pace, dello sviluppo, della cooperazione e del mutuo vantaggio e perseguirà l'uguaglianza, la democrazia e l'inclusione in modo da rendere l'ordine e il sistema internazionale più giusti ed equi. Sulla base dei principi relativi ai rapporti tra i partiti di "indipendenza, completa uguaglianza, rispetto reciproco e non ingerenza nei reciproci affari interni", saremo impegnati a rafforzare gli scambi e il dialogo con i partiti comunisti e operai e le altre forze progressiste dei vari paesi, per condividere le esperienze nella direzione del partito e del paese, per studiare i modi per affrontare le sfide globali e per promuovere il continuo sviluppo della causa del socialismo nel mondo!                                                                                                                                                                                        http://www.marx21.it/comunisti-oggi/nel-mondo/23139-il-partito-comunista-cinese-al-15d-incontro-internazionale-dei-partiti-comunisti-e-operai.html                                                                                                                                                                                                                                                                                        http://www.china-files.com/it/link/34078/cina-speciale-terzo-plenum                                                                                                                                                                                         http://www.agichina24.it/in-primo-piano/politica-interna/notizie/post-plenum-sul-tavolo-la-riforma-delle-imposte                                                                                                                                                                                                                                                                      http://www.contropiano.org/internazionale/item/20270-cina-la-muraglia-sembra-reggere-ancora                                                                                                                                                                                                              http://www.marx21.it/internazionale/cina/23167-smith-schumpeter-e-marx-a-pechino-in-merito-al-plenum-del-partito-comunista-cinese.html                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                           http://china-files.com/it/link/34549/caratteri-cinesi-le-principali-riforme-economiche

giovedì 14 novembre 2013

Parte avuta dal lavoro nel processo di umanizzazione della scimmia - Friedrich Engels (1876) -

Non aduliamoci troppo tuttavia per la nostra vittoria umana sulla natura. La natura si vendica di ogni nostra vittoria. Ogni vittoria ha infatti, in prima istanza, le conseguenze sulle quali avevamo fatto assegnamento; ma in seconda e terza istanza ha effetti del tutto diversi, impreveduti, che troppo spesso annullano a loro volta le prime conseguenze. [...]  Ad ogni passo ci vien ricordato che noi non dominiamo la natura come un conquistatore domina un popolo straniero soggiogato, che non la dominiamo come chi è estraneo ad essa ma che noi le apparteniamo con carne e sangue e cervello e viviamo nel suo grembo: tutto il nostro dominio sulla natura consiste nella capacità, che ci eleva al di sopra delle altre creature, di conoscere le sue leggi e di impiegarle nel modo più appropriato.                                                                                                http://www.controappuntoblog.org/2012/11/24/parte-avuta-dal-lavoro-nel-processo-di-umanizzazione-della-scimmia-friedrich-engels-1876/