La teoria Marxista poggia la sua forza sulla scienza... che ne valida la verità, e la rende disponibile al confronto con qualunque altra teoria che ponga se stessa alla prova del rigoroso riscontro scientifico... il collettivo di formazione Marxista Stefano Garroni propone una serie di incontri teorici partendo da punti di vista alternativi e apparentemente lontani che mostrano, invece, punti fortissimi di convergenza...
giovedì 10 ottobre 2013
A chi serve la menzogna? Sull’informazione economica negli Stati Uniti - Alfio Neri -
Non sta a me fare previsioni o, peggio, profetizzare il futuro. Sta di fatto che se gli Stati Uniti avessero il loro debito in una valuta straniera, oggi si porrebbe già la questione dell’intervento provvidenziale dell’FMI. Non voglio insistere sulla possibilità oggettiva di uno scenario argentino. Voglio solo rilevare che quando un’intera nazione è accecata dal ritornello secondo cui “tutto va bene, stiamo tornando alla normalità” mentre danza di fianco al baratro, chi è cosciente del problema deve anche porsi la questione del “a chi giova tutto questo” L’unica vera riflessione giornalistica sulla crisi americana è di un inglese, Edward Luce, un giornalista del Financial Times che ha scritto un libro che ho comprato in Inghilterra e che non credo di avere notato nelle librerie degli Stati Uniti. Si tratta di un lungo reportage sulla necessità di iniziare a pensare al declino statunitense. Primeggiano le descrizioni di catastrofi, come quella che ha colpito Detroit, e di mancate eccellenze, come quelle di un settore industriale importante ma privo di appoggi politici. Luce pone l’accento più volte che, negli Stati Uniti, l’ignoranza del mondo esterno è elevata mentre la lettura è scarsa. L’istruzione obbligatoria del paese è estremamente scadente, gli alunni sanno fare i test a risposta multipla ma non si sanno esprimere. Nell’industria è la stessa storia, i dottorati in fisica non sono frequentati da americani mentre i brevetti sono in gran parte fatti da stranieri. Luce rileva anche le difficoltà dei governi nell’implementare politiche pubbliche appropriate, sia per oggettivi limiti culturali, sia per una serie di disastrosi veti incrociati statali e federali, che impediscono un’azione di governo coerente. Il punto non è che tra dieci anni il PIL cinese sarà più alto di quello americano (ormai è un dato acquisito), ma che dove è possibile fare qualcosa (come per esempio nell’educazione), non viene fatto nulla. Gli Stati Uniti sono in una traiettoria discendente visibile nel veloce declino della classe media. La crisi ha contribuito a polarizzare le posizioni ideologiche e ha reso più difficili l’elaborazione di risposte politiche coerenti. Nell’insieme non esiste neppure una vera risposta alla crisi e forse neppure la volontà di rovesciare la situazione. La bolla economica statunitense è cresciuta a dismisura perché era stata preceduta da una bolla politica. Dietro una bolla finanziaria che ha spinto un’intera nazione ha indebitarsi c’è molto di più di un ristretto gruppo di banchieri senza cuore. Vi è un’ideologia del libero mercato di tipo fondamentalista, ci sono potenti interessi economici che influenzano l’azione politica e ci sono anche delle debolezze istituzionali che hanno impedito alla politica statunitense di prendere delle decisioni forti. Il risultato è stato patologico. http://www.carmillaonline.com/2013/10/09/chi-serve-la-menzogna-sullinformazione-economica-negli-stati-uniti/
mercoledì 9 ottobre 2013
- Miseria della filosofia e differenze tra la teoria del valore tradizionale - 27.1.98 - Stefano Garroni -
L'audio si può ascoltare a questo link:
1/10
La
Miseria della
Filosofia di Marx è senza dubbio un testo molto ricco e denso di cose e
va esaminato con molta attenzione. Per quanto riguarda la differenza tra la
teoria del valore tradizionale e la teoria del valore che introduce Marx
bisogna tener presente il seguente aspetto: l’affermazione “è il lavoro umano che dà
valore alla cosa” è un affermazione che risale addirittura al Medioevo. In
questa formulazione il senso della tesi è che il mio
lavoro e quindi il lavoro particolare, determinato, la mia sofferenza, il mio
travaglio, il mio sforzo: è questo che dà valore alla cosa in questione! In
questo senso la cosa viene spiritualizzata, viene umanizzata dalla fatica
dell’uomo, il suo valore è il quanto di umanità è depositato in essa; non a
caso ciò è presente in ambiente medioevale in quanto l’analogia di rapporto
anima e corpo è evidente nel senso che l’anima viene concepita come l’impronta
del divino nel corpo e da qui ne deriva la tesi conseguente dell’impronta
dell’uomo nella cosa alla quale dà, appunto, valore. Questa stessa tesi è
all’origine della giustificazione
della proprietà
privata la quale nasce, appunto, come diritto mio al possesso di tutto ciò che le mie
braccia sono riuscite a coltivare, la proprietà privata quindi nasce nella
prospettiva del rapporto con la terra, della fatica mia a coltivarla e di conseguenza si
origina il diritto al possesso (o meglio alla proprietà) di tutte le cose che
risultano dal mio lavoro. E’ molto interessante il fatto che tra il ‘600 ed il
‘700 questo modo di considerare il valore delle cose e questo modo di
giustificare la proprietà privata si ripresenta in pieno e quindi, per usare il
linguaggio di Marx, si ripresenta la tesi per cui il valore della cosa è dato
dal lavoro determinato, concreto (per esempio il lavoro dell’artigiano che ha
fatto questo oggetto o il lavoro del contadino che ha coltivato quest’altro
etc.); di conseguenza fin dove si estendono le mie forze lì c’è la mia
proprietà! All’interno, però, della riflessione seicentesca e settecentesca
appare un elemento
contraddittorio con quanto abbiamo detto finora: Locke dice, appunto,
che “gli uomini ad un certo punto si misero d’accordo nel considerare l’oro,
l’argento come qualcosa che ha valore al di là della fatica necessaria ad
estrarli”. Una volta fatta questa convenzione
è cambiato tutto, gli uomini follemente hanno fatto questa convenzione e quindi
non c’è una
giustificazione. Abbiamo questo atto strano: “è successo questo”! Tutto
ciò ha cambiato, di conseguenza, le regole del gioco perchè è successo che chi
ha più pezzi di oro o di argento può diventare proprietario ossia può
acquistare ben al di là delle sue capacità di lavoro, questa mostruosità Locke
la lega al denaro, alla moneta ma la moneta, a sua volta, è il frutto di una
convenzione folle che gli uomini hanno fatto, cioè essa non ha una
giustificazione reale! E’ anche molto interessante il fatto che tutto ciò non
preoccupa più di tanto Locke perchè egli dice che esistono le Americhe che sono
talmente grandi, sono talmente estese per cui se uno non ha terra qua se ne va
là e se la prende. Tra il ‘600 ed il ‘700, quindi, appare il mito dell’America
come luogo della ricchezza disponibile in cui chiunque può andare e si può
impossessare della terra. E’ risaputo che Locke faceva parte di un ente
commerciale che si occupava del commercio di schiavi e, ovviamente, quella
terra disponibile in America si collega alle sue convinzioni in base alle quali
era possibile avere la disponibilità di...; quando, infatti, Locke parla dello Stato di natura in
cui non c’è ancora lo Stato, non c’è il denaro, in cui c’è però questa
proprietà mia, di
ciò che io lavoro,
che è giusta in quanto essa è l’espressione della mia fatica, allora quel mio, quel io è inteso come
“io, mia moglie, i miei figli e i miei schiavi” cioè i miei schiavi sono nati
subito per incanto e non c’è un motivo: io sono proprietario di ciò che lavoro
insieme a mia moglie, ai miei figli ed ai miei schiavi! Lo schiavo, quindi, è
una condizione naturale
e di conseguenza non c’era bisogno di scoprire che Locke aveva a che fare
con il traffico degli schiavi perchè già nel suo pensiero lo schiavo è
introdotto naturalmente, automaticamente. Questo finora detto è di estrema
importanza in quanto si rifà al fatto che lo Stato borghese allarga o restringe
le libertà sulla base principale di un esigenza fondamentale: la difesa della
proprietà privata! Democrazia, libertà vogliono significare, vogliono dire
qualunque cosa purchè salvino la proprietà privata e sulla base di tale
esigenza è molto interessante notare che quando serve si allarga il potere del
legislativo, quando serve lo si restringe, quando lo si allarga lo si svuota
però di contenuto reale: lo Stato borghese, di conseguenza, è una cosa molto
seria e si struttura sulla base della difesa della proprietà privata! Ecco perchè
si assiste allo schiavo introdotto naturalmente in quanto l’ottica da cui si
parte, in realtà, è l’ottica del proprietario privato. Assistiamo, allora, al
fatto evidente che le condizioni della proprietà privata sono l’espropriazione
della proprietà di alcuni e quindi lo schiavo è una condizione naturale! A questo punto,
come dicevamo, il ruolo del denaro cambia tutto perchè introduce questa
bizzarria, questo accordo, questa convenzione in base alla quale io posso
diventare proprietario anche di ciò che non coltivo (siamo, appunto, nel ‘600
-‘700).
giovedì 3 ottobre 2013
Marxiana - Stefano Garroni -
Morale vs pratica. -
“ Alle due di notte del 16 agosto 1867, anche
quest'ultimo foglio di stampa è corretto. E dunque -scrive Marx -questo
volume è pronto. Ai primi di settembre esce presso l'editore Meissner di
Amburgo, anch'esso in mille esemplari. «Perché dunque non vi ho risposto?
Perché ero sull'orlo della tomba, continuamente. Per questo dovevo utilizzare
ogni momento che potevo dedicare al lavoro, per terminare la mia opera cui ho
sacrificato la salute, la felicità della vita e la famiglia. Spero che a questa
spiegazione non occorra aggiungere altro. Mi fanno ridere i cosiddetti uomini
"pratici" e la loro saggezza. Se uno sceglie di essere bue, allora
può naturalmente voltare le spalle alle sofferenze dell'umanità e occuparsi
solo dei fatti propri. Ma io mi considererei veramente ben poco pratico se
fossi crepato senza avere completamente finito il mio libro, almeno in
manoscritto.»” (Marx).
Questo breve testo ci serve a sottolineare
quanto Marx sentisse l’impegno morale, nel senso della responsabilità di ognuno
verso la comunità di cui è parte, e di quanto egli concepisse l’impresa
scientifica legata intimamente a quell’impegno. In questo senso, anche se il
nostro obiettivo è esaminare certi temi di Das Kapital.1, conviene richiamare subito uno scritto giovanile dal
significativo titolo “Entfremdete
Arbeit” (1844). Di questo lavoro giovanile traduco una gran parte, con lo scopo
di mostrare, appunto, il nesso –qui già
contenuto e non mai smentito da
Marx-, fra analisi dialettica e costruirsi della critica marxiana
dall’interno stesso della elaborazione economica classica. Ciò significa che se
il punto di vista di Marx non è un’elaborazione solo individuale, per quanto
geniale, lo si deve proprio al suo profondo legame con l’oggettiva storia della
teoria economica. E’ partendo, infatti, dalla prospettiva, dal linguaggio e
dalla grammatica della esistente riflessione economica, che Marx può mostrarne
le difficoltà, le insufficienze ed il carattere ideologico (ovvero di
coscienza, che sorge per santificare determinati interessi di classe,
spacciandoli per espressione oggettiva di una condizione, sostanzialmente non
modificabile). In altri termini, è l’impostazione dialettica della sua critica,
che consente a Marx di prospettare il superamento della prospettiva (nazional-)
economica –il che ribadisce il carattere ‘scandaloso’ della dialettica, in
quanto rivoluzionaria per la sua stessa essenza.
Per
il testo tedesco di Entfremdete Arbeit mi servo di K. Marx, Texte zu Methode und Praxis II. Pariser Manuskripte 1844, Rowohlt 1966.
giovedì 26 settembre 2013
Né questo, né quello. Polanyi riletto - Alberto Sobrero -
http://177ermanno.blogspot.it/2013/09/karl-polanyi-e-la-grande-trasformazione.html
Questo
intervento non ha la pretesa di dire molto di nuovo sulla figura e sul pensiero
di Karl Polanyi. È davanti a tutti il recente ritorno editoriale della sua
opera, le continue riedizioni di The Great Transformation (negli Stati
Uniti nel 2008 e
nel 2010,
in Italia nel 2000 e
nel 2010;
e ormai in altre quindici lingue, fra le quali, più di recente, il cinese, 2007, il finlandese, 2009, il turco, lo sloveno, il greco etc.), i
tanti saggi di commento e approfondimento (ricordo solo quelli scritti al tempo
della crisi: Dale 2009,
2010b;
Joerges, Falke 2011;
Hann, Hart 2009,
2011;
Graeber 2011;
in italiano, Laville, La Rosa 2008;
Caillé, Laville 2011)
e, fatto nuovo e interessante, la presenza delle idee di Polanyi
nell’attualità del dibattito politico ed economico1.
Solo
tra la metà degli anni Sessanta e la metà del decennio successivo, in quel
periodo che Hann e Hart chiamano “l’età dell’oro dell’antropologia economica”,
l’interesse per l’opera di Polanyi ha conosciuto una simile intensità (Wilk 1996; Carrier 2005; Hann, Hart 2011). C’era allora la controversia
antropologica (confusa e magari ingannevole) fra un approccio formalista e un
approccio sostantivista, c’era, poco più tardi, il dibattito marxista e
strutturalista sulla nozione di modo di produzione, ma principalmente c’era
sullo sfondo un incessante interrogarsi sul rapporto fra capitalismo trionfante
e quello che allora si chiamava Terzo Mondo.
In
quegli anni abbiamo letto Polanyi grazie ad Alfredo Salsano, che ne ha
introdotto l’opera in Italia, e a Edoardo Grendi, che ne offrì fra i primi un
commento, ma per lo più lo leggemmo male: o forzandolo nella lezione dei Grundrisse
marxiani, o mettendolo accanto ai libri di Marcuse, Fromm, Adorno. In ogni
caso una compagnia un po’ stretta. Chi scrive deve un interesse, forse solo in
parte diverso, alla passione e alle aperture
interdisciplinari
di Salvatore Puglisi, docente e maestro di Paletnologia alla “Sapienza”.
Durante i seminari “autogestiti” leggevamo i neo-evoluzionisti, Gordon Childe
(altro autore molto amato dai giovani “marxisti”) e Polanyi. Era il 1974, quasi quarant’anni fa.martedì 17 settembre 2013
Teoria della crisi. 100 tesi - Vladimiro Giacché -
Marx definisce il capitale impiegato per comprare l'uso della forza lavoro capitale variabile e
quello adoperato per acquistare macchinari e mezzi di lavoro capitale costante. Ora, il problema è che con lo sviluppo del modo di
produzione capitalistico aumenta la proporzione del capitale investito in
macchinari rispetto a quello investito in forza-lavoro. Questo perché
macchinari sempre più sofisticati e costosi aumentano la forza produttiva del
lavoro e procurano al capitalista che li impiega per primo un vantaggio
competitive sugli altri (vantaggio che poi viene perduto non appena l’uso delle
nuove tecnologie si generalizza). In ogni caso, si verifica “una diminuzione relativa del capitale
variabile in rapporto al capitale costante e quindi in rapporto al capitale complessivo messo in
movimento” (Marx 1863-5: 110). Marx definisce questo
processo anche come una progressiva crescita della “composizione organica del
capitale”. Si tratta di “un’altra espressione dello sviluppo progressivo della
forza produttiva sociale del lavoro, che si manifesta proprio in ciò, che in
generale, per mezzo del crescente uso di macchinari, capitale fisso, più
materie prime e ausiliarie vengono trasformate in prodotti nello stesso tempo, ossia con
meno lavoro” (ibidem). La diminuzione relativa del capitale variabile in
rapporto al capitale costante fa sì che a parità di condizioni il saggio di profitto – ossia il rapporto tra il plusvalore
e il capitale complessivo investito nella produzione (la somma di capitale
variabile e capitale costante) – diminuisca. Questa, in sintesi, la legge della “caduta tendenziale del
saggio di profitto”.
- nel medio periodo è originata da sovrainvestimenti (grande crescita degli investimenti nei paesi di nuova industrializzazione a cui non ha corrisposto una proporzionale diminuzione nei paesi industrialmente avanzati) e sovraconsumo pagati a debito.
- nel lungo periodo nasce dalla caduta del saggio di profitto cui si è reagito con la finanziarizzazione, resa possibile tra l’altro dallo status particolare del dollaro (valuta internazionale di riserva che però dal 1971non è legata ad alcun sottostante)
La crisi che scoppia
nel 2007 ha cause di breve, medio e lungo periodo, così sintetizzabili:
- nel breve è stata alimentata dal parossismo
finanziario (e dal sovraindebitamento dei lavoratori, soprattutto dei paesi
anglosassoni);- nel medio periodo è originata da sovrainvestimenti (grande crescita degli investimenti nei paesi di nuova industrializzazione a cui non ha corrisposto una proporzionale diminuzione nei paesi industrialmente avanzati) e sovraconsumo pagati a debito.
- nel lungo periodo nasce dalla caduta del saggio di profitto cui si è reagito con la finanziarizzazione, resa possibile tra l’altro dallo status particolare del dollaro (valuta internazionale di riserva che però dal 1971non è legata ad alcun sottostante)
“Karl Marx aveva ragione. A un certo punto il
capitalismo può autodistruggersi” (Roubini2011a). “le
imprese stanno tagliando posti di lavoro perché non c’è abbastanza domanda
finale. Ma tagliare posti di lavoro riduce i redditi da lavoro, aumenta la
disuguaglianza e riduce la domanda finale” (Roubini2011b). “Il
pagamento dei prestiti esteri e il ritorno alla stabilità delle valute erano
considerati (anni 30) il simbolo della razionalità politica e nessuna
sofferenza dei singoli, nessuna violazione di sovranità erano considerati un sacrificio
troppo grande per riacquistare l’integrità monetaria. Le privazioni di coloro
che per la deflazione rimanevano disoccupati, la miseria di pubblici impiegati
licenziati senza un soldo di liquidazione e anche l’abbandono di diritti
nazionali e la perdita di libertà costituzionali, erano considerati un buon
prezzo da pagare per soddisfare i requisiti di bilanci solidi e di valute
altrettanto solide, questi apriori del liberalismo economico” (Polanyi 1944:
182).
Va riaffermata la
liceità, e anzi la necessità, di riprendere i grandi temi della programmazione
dello sviluppo e della pianificazione della produzione. Si tratta di
un’esigenza che può essere variamente declinata. Il modo più garbato per farlo
è proporre, secondo la formulazione di Nouriel Roubini citata più sopra, il
ritorno «a un corretto bilanciamento tra mercati e fornitura di beni pubblici».
Ipotesi che secondo lo stesso autore ha una sola alternativa: «come negli anni
Trenta, stagnazione prolungata, depressione, guerre valutarie e commerciali,
controlli sui capitali, crisi finanziaria, insolvenze dei debiti sovrani e
grande instabilità sociale e politica» (Roubini 2011 b). Se si eccettuano i
controlli sui capitali, è il film che si sta svolgendo sotto i nostri occhi.
lunedì 16 settembre 2013
La forma/valore - Capitale, libro 1, capitolo 1, §. 3. - Stefano Garroni -
Il testo inizia riproponendo la ben nota tesi
marxiana a proposito dell’essenziale ambiguità della merce, in quanto tale.
Essa ha un duplice carattere: è oggetto utile
e, dunque, è dotata di valore d’uso (Gebrauchswert); ma, per esser merce
appunto, è anche contemporaneamente portatrice di valore (Wert).
Detto in breve, ciò significa che la merce ha sia
una Naturalform, che una Wertform. Qui va subito notata una
puntualizzazione di Marx.
In pieno contrasto con la rude oggettività
sensibile delle merci in quanto corpi materiali (Warenkörper), neanche
un atomo della loro naturale materialità (Naturstoff) entra nella
oggettività delle merci in quanto
portatrici di valore/Wert.[1]
Dunque, la merce in quanto tale ha, nello
stesso tempo (ma ovviamente secondo prospettive diverse), caratteristiche
opposte, che sotto lo stesso profilo sarebbero esclusive l’una rispetto all’altra:
per poter essere mera portatrice di valore in generale, la merce deve
–come conditio sine qua non- avere addirittura un tipo determinato di
valore, ovvero il valore d’uso.
.Ciò
che conta notare di nuovo è che questa contraddittorietà di predicati (o
qualità) la merce deve possederla nello stesso tempo.
Ciò non impedisce, tuttavia, un’altra
osservazione: almeno a questo livello dell’analisi marxiana, in tanto una merce
può essere portatrice di valore/Wert, in quanto entri sul mercato già
essendo un valore d’uso/Gabrauchswert.
Dunque, la merce è –contemporaneamente (sincronicamente)-
valore d’uso e valore; ma in tanto può esibire questa contemporaneità, in
quanto è un valore d’uso che –dapprima- entri nel mercato, per
trasformarsi lì in valore. Dunque, sincronia, ma anche diacronia.
domenica 15 settembre 2013
Economia politica e filosofia della storia. Variazioni su un tema smithiano: la missione "civilizzatrice" del capitale*. - Riccardo Bellofiore -
*Da: https://www.facebook.com/Economisti-di-classe-Riccardo-Bellofiore-Giovanna-Vertova-148198901904582/?fref=ts
"Può forse essere il caso di notare che è nello stato di prosperità, quando la società sta procedendo verso nuove acquisizioni, piuttosto che quando essa ha acquisito tutta la sua ricchezza, che la condizione del povero che lavora, cioè della grande massa del popolo, sembra essere più felice e confortevole. Essa è dura nello stato stazionario, e miserevole in quello di decadenza. Lo stato di progresso è in realtà lo stato felice e sano di tutti i diversi ordini della società."(Adam Smith, Ricchezza , p. 81)
"Supponiamo d'aver prodotto in quanto uomini: ciascuno di noi avrebbe, nella sua produzione, affermato doppiamente se stesso e l'altro. Io avrei 1) oggettivato, nella mia produzione, la mia individualità e la sua peculiarità, ed avrei quindi goduto, nel corso dell'attività, una manifestazione individuale della vita, così come, contemplando l'oggetto, avrei goduto della gioia individuale di sapere la mia personalità come oggettuale, sensibilmente visibile e quindi come una potenza elevata al di sopra di ogni incertezza. 2) Nel tuo godimento o uso del mio prodotto io avrei immediatamente il godimento consistente nella consapevolezza di aver soddisfatto col mio lavoro un bisogno umano, e dunque d'aver oggettualizzato l'essenza umana ed aver quindi procurato un oggetto atto a soddisfare il bisogno di un altro essere umano. 3) D'essere stato per te l'intermediario fra te ed il genere, e dunque di venir inteso e sentito da te stesso come un'integrazione del tuo proprio essere e come una parte indispensabile di te stesso, di sapermi dunque confermato tanto nel tuo pensiero quanto nel tuo amore. 4) D'aver posto immediatamente nella mia individuale manifestazione di vita la tua manifestazione di vita, e dunque d'aver confermato e realizzato immediatamente nella mia attività la mia vera essenza, la mia essenza comune ed umana."(Marx, Opere , vol. III, 1843-1844, Editori Riuniti, Roma, p. 247. Corsivi nel testo)
"Compito della conoscenza è: non capitolare dinanzi alla realtà, che come una parete di pietra circonda gli uomini. E poiché la conoscenza rimette in vita i processi storici umani ormai spenti nei fatti compiuti, essa dimostra che la realtà è un prodotto degli uomini e perciò trasformabile: così il concetto più importante della conoscenza, la prassi, si rovescia nel concetto di azione politica" (Alfred Schmidt, Il concetto di natura in Marx , Laterza, Bari 1973, p. 189)
"Può forse essere il caso di notare che è nello stato di prosperità, quando la società sta procedendo verso nuove acquisizioni, piuttosto che quando essa ha acquisito tutta la sua ricchezza, che la condizione del povero che lavora, cioè della grande massa del popolo, sembra essere più felice e confortevole. Essa è dura nello stato stazionario, e miserevole in quello di decadenza. Lo stato di progresso è in realtà lo stato felice e sano di tutti i diversi ordini della società."(Adam Smith, Ricchezza , p. 81)
"Supponiamo d'aver prodotto in quanto uomini: ciascuno di noi avrebbe, nella sua produzione, affermato doppiamente se stesso e l'altro. Io avrei 1) oggettivato, nella mia produzione, la mia individualità e la sua peculiarità, ed avrei quindi goduto, nel corso dell'attività, una manifestazione individuale della vita, così come, contemplando l'oggetto, avrei goduto della gioia individuale di sapere la mia personalità come oggettuale, sensibilmente visibile e quindi come una potenza elevata al di sopra di ogni incertezza. 2) Nel tuo godimento o uso del mio prodotto io avrei immediatamente il godimento consistente nella consapevolezza di aver soddisfatto col mio lavoro un bisogno umano, e dunque d'aver oggettualizzato l'essenza umana ed aver quindi procurato un oggetto atto a soddisfare il bisogno di un altro essere umano. 3) D'essere stato per te l'intermediario fra te ed il genere, e dunque di venir inteso e sentito da te stesso come un'integrazione del tuo proprio essere e come una parte indispensabile di te stesso, di sapermi dunque confermato tanto nel tuo pensiero quanto nel tuo amore. 4) D'aver posto immediatamente nella mia individuale manifestazione di vita la tua manifestazione di vita, e dunque d'aver confermato e realizzato immediatamente nella mia attività la mia vera essenza, la mia essenza comune ed umana."(Marx, Opere , vol. III, 1843-1844, Editori Riuniti, Roma, p. 247. Corsivi nel testo)
"Compito della conoscenza è: non capitolare dinanzi alla realtà, che come una parete di pietra circonda gli uomini. E poiché la conoscenza rimette in vita i processi storici umani ormai spenti nei fatti compiuti, essa dimostra che la realtà è un prodotto degli uomini e perciò trasformabile: così il concetto più importante della conoscenza, la prassi, si rovescia nel concetto di azione politica" (Alfred Schmidt, Il concetto di natura in Marx , Laterza, Bari 1973, p. 189)
(pubblicato
in due parti come: (a) Economia politica e filosofia della storia. Variazioni
su un tema smithiano: la missione ‘civilizzatrice’ del capitale, in
“Teoria politica”, n. 2, 1991, pp. 69-96; (b) Cambiare la natura umana. Ancora
su economia politica e filosofia della storia, “Teoria politica”, n. 3, 1991,
pp. 63-98)
sabato 14 settembre 2013
DUE PAGINE SULLA DIALETTICA DOBB SARTRE - Stefano Garroni -
IL mio intento è
disegnare un significato di dialettica che, da un lato, sia
filologicamente sostenibile e, dall’altro, si mostri in sintonia
con esigenze e orientamenti profondi della nostra epoca. Mia
intenzione, insomma, è dimostrare che esiste un senso di dialettica,
storicamente fondato e, ad un tempo, capace di raccogliere ed
esprimere quanto c’è di vitale nella cultura contemporanea. Allo
scopo mi servo di due pagine di altrettanti autori che, sia pure
diversamente, hanno rappresentato momenti importanti della
riflessione teorica novecentesca sulla dialettica: l’economista
inglese Maurice Dobb e il filosofo francese J-P. Sartre.
Non casualmente ho
usato l’espressione «mi servo»: in effetti, utilizzo a volte
(quasi sempre?) quanto scrivono i due Autori, anche per ordinare
riflessioni, che mi derivano da altre fonti. L’operazione è
legittima, esattamente perché dichiarata: ciò che conta è sapere
che non necessariamente il mio commento a Dobb o Sartre è
rispettivamente ‘dobbiano’ o ‘sartriano’, dacché rinvia,
invece, ad altre sollecitazioni, che per altro risultano dalla
bibliografia citata..
Il disegno, che
dovrebbe risultare da tutto ciò, non pretende certo di essere
esaustivo, ma sì orientativo - nel senso di orientare il lettore
verso la comprensione della fertilità, ancora oggi, della
prospettiva dialettica.
1. In M. Dobb, 1974:
70s, troviamo un’esposizione dell’approccio dialettico, che ci
conviene riportare quasi integralmente, per via della sua precisione
ed essenzialità: riflettere sulle singole parti di tale esposizione
ci consentirà subito di afferrare alcuni termini essenziali del
problema «dialettica». Iniziamo.
“Secondo la
concezione marxista della storia (dunque, posta la marxista
«filosofia della storia»: che d’ora in avanti indicherò con
FDS), il progresso ha visto succedersi vari sistemi di classe,
ciascuno generante le condizioni tecniche e i connessi modi di
produzione del tempo, e a sua volta condizionato da essi. Gli
antagonismi di classe, fondati sui rapporti che le diverse sezioni
della società hanno con il sistema di produzione predominante, sono
stati la fondamentale forza motrice del processo, del passaggio da
una forma a quella successiva. Come risulta chiaramente da un esame
delle sue origini, anche il capitalismo è un sistema di classe;
diverso per aspetti di essenziale importanza dai sistemi precedenti,
ma pur sempre fondato su una dicotomia fra i padroni proprietari e i
soggetti espropriati. Era ben naturale che Marx guardasse alle
peculiarità di questo rapporto di classe per trovare una chiave che
gli consentisse d’interpretare il ritmo essenziale della società
capitalistica, di ritrovare gli squilibri, le tendenze al movimento
della società nei suoi fondamenti e non solo sui suoi fondamenti,
dietro il velo delle armonie economiche, che un’analisi limitata
semplicemente ai rapporti di scambio in un libero mercato sembrava
rivelare.“ (sott. mie, S.G.).
Notiamo subito che
M. Dobb, pur volendo illustrare la teoria marxiana circa il modo
capitalistico di produzione (kapitalistische Produktionsweise, d’ora
in avanti KPW) - dunque, un argomento singolare, determinato,
specifico avverte, tuttavia, la necessità (in piena coerenza con
l’impostazione di Marx) di fare di una teoria generale (la FDS) il
punto di partenza.
giovedì 12 settembre 2013
Attualità del “Germinal” di Emile Zola - Aristide Bellacicco -
1
In
“Germinal” di Zola il protagonista assoluto della narrazione è
il dominio di classe e il conflitto che ne scaturisce. La forma
corale del romanzo risponde a quanto l’autore vuol mettere in luce:
i personaggi della famiglia Maheu, minatori da generazioni, sono
esponenti tipici del loro ambiente sociale, i loro problemi e le loro
sofferenze sono quelle di tutti e di ciascuno, il loro è un destino
condiviso da migliaia e migliaia di uomini, donne e bambini che sono
incatenati all’estrazione del carbone come all’unica forma di
sostentamento – peraltro miserevole - alla quale possono e debbono
accedere.
La
mistificazione borghese del “libero lavoratore” è smascherata da
Zola proprio attraverso la forma particolare del rapporto di
produzione che lega il minatore al capitale: non si tratta, in
“Germinal”, di veri e propri lavoratori salariati. Le varie
squadre di minatori hanno per così dire in appalto una sezione
limitata dell’immensa vena carbonifera, e vengono pagate in
rapporto alla quantità di minerale estratto, cioè a cottimo.
“Liberi professionisti” della miniera, si direbbe: in loro
sopravvive, sebbene in una versione ferocemente farsesca, la figura
dell’operaio professionale, che vende sì se stesso al capitale, ma
il cui lavoro non ha ancora del tutto perduto il proprio carattere
specifico e “privato”.
Non
si diventa minatori con un’ addestramento di “un quarto d’ora”,
come reciterà più tardi la parabola fordista. E’ ancora un’”arte”
che ci si tramanda da padre in figlio, da madre in figlia, da
generazione in generazione. Ma la sostanza è ormai pienamente
capitalistica: nessuno degli operai possiede un qualsivoglia
strumento di produzione al di là delle proprie braccia, tutto il
resto – ascensori, picconi, cunei, lampade, vagoni per il trasporto
del minerale, macchine motrici ecc - appartiene al padrone del
sottosuolo, del paesaggio devastato, del cielo nero di fuliggine e di
ogni cosa comprese le squallide abitazioni dei minatori, raccolte a
formare villaggi la cui unica ragion d’essere risiede nelle
esigenze produttive del capitale stesso.
mercoledì 4 settembre 2013
RIPROPOSTE DIALETTICHE - LE ASTRAZIONI IN MARX - (Coll. di formaz. Marxista)
L’analisi non può che partire dal dato di fatto, dall’evidenza di ciò che si
mostra al nostro sguardo, in un caotico e disordinato flusso di percezioni
apparentemente casuale. Lo sguardo dialettico, l’unico capace di penetrare
questo immediato intrigato e multiforme, si fa metodo scientifico per il
teorico che deve decifrare prima e costruire poi una teoria che possa render
conto, stavolta senza incertezze e incomprensioni, di quella stessa realtà
iniziale.
Questo è quanto Marx ci indica come l’unica strada possibile. Questo è il suo modo di affrontare la realtà della società borghese che lo circonda. E questo è il modus operandi che gli consente di scrivere Il Capitale, ancor oggi l’unica teoria che sia riuscita fino in fondo a dare conto della linea di movimento, dei passaggi specifici, dell’intreccio e perfino delle casualità, che hanno portato all’affermazione completa e totale del capitalismo.
Questo è quanto Marx ci indica come l’unica strada possibile. Questo è il suo modo di affrontare la realtà della società borghese che lo circonda. E questo è il modus operandi che gli consente di scrivere Il Capitale, ancor oggi l’unica teoria che sia riuscita fino in fondo a dare conto della linea di movimento, dei passaggi specifici, dell’intreccio e perfino delle casualità, che hanno portato all’affermazione completa e totale del capitalismo.
Ma cosa significa “sguardo dialettico”? In cosa esso differisce dal modo
“classico” d’approccio alla realtà degli economisti del suo tempo, e non solo?
La risposta non è semplice da dare. Marx ce ne indica la
via: bisogna – egli dice – ricercare, con estrema attenzione, tutte quelle
peculiarità che si mostrano comuni, nel corso della storia della società umana,
nelle varie e differenti forme sociali che via via si sono susseguite nel corso
storico del cammino umano fin da quando le prime comunità si sono andate
formando -la comunità primitiva prima e la tribù poi e ancora l’insieme di
queste- fino a risalire a quello che Marx indica come il vero inizio della
storia: cioè a dire la fine del nomadismo. E grazie a questa analisi affiorerà
tutta una serie di categorie semplici, di astrazioni comuni a tutte le epoche
che, con forma e importanza diversa, sono tuttavia presenti in ogni epoca e in
ogni forma d’economia.
Bellissimo l’esempio che fa Marx con il denaro e il lavoro:
“Il denaro può esistere ed è storicamente esistito prima che esistessero il
capitale, le banche, il lavoro salariato ecc. In questo senso si può quindi
dire che la categoria più semplice può esprimere i rapporti predominanti di un
insieme meno sviluppato oppure i rapporti subordinati di un insieme più
sviluppato; rapporti che storicamente esistevano già prima che l’insieme si
sviluppasse nella direzione che è espressa in una categoria più concreta. In
questo senso il cammino del pensiero astratto, che sale dal più semplice al
complesso, corrisponderebbe al processo storico reale. […] Benché il denaro
svolga una funzione importante molto presto e in tutti i sensi, tuttavia, come
elemento dominante, esso appartiene nell’antichità solo a nazioni
caratterizzatesi in modo unilaterale, a nazioni commerciali. E perfino presso i
popoli più evoluti dell’antichità, presso i greci e i romani, il suo completo
sviluppo – che nella moderna società borghese costituisce una premessa – si
manifesta solo nel periodo della dissoluzione. Questa categoria del tutto
semplice non compare, dunque, storicamente nella sua piena intensità se non
nelle condizioni più sviluppate della società. E mai permeando tutti i rapporti
economici. Per esempio nell’Impero Romano, nel momento del suo maggiore sviluppo,
la base rimase l’imposta e la prestazione in natura. Il sistema monetario, in
sostanza, era sviluppato completamente solo nell’esercito, e non investì
neppure tutta la sfera del lavoro. Quindi benché la categoria più semplice
possa essere esistita storicamente prima di quella più concreta, essa può
appartenere nel suo pieno sviluppo intensivo ed estensivo solo ad una forma
sociale complessa, mentre la categoria più concreta era già pienamente
sviluppata in una forma sociale meno evoluta.”
Questo tipo di osservazione, questa riduzione ad una forma
sempre più chiara ed evidente va sempre confrontata, passo passo, volta a
volta, con la totalità concreta iniziale di partenza e con la totalità
dell’insieme determinato dal periodo storico di riferimento che il pensiero
ricostruisce nell’analisi.
Questo per tre motivi in particolare: 1 per confermare
l’effettiva comprensione della realtà pensata nella ricerca; 2 per valutare
come e quanto effettivamente quella categoria specifica opera ed incide nel suo
contesto di riferimento, prima, e nella attualità dell’oggi poi. E 3 quali e
quante differenze e similitudini si mostrano allo sguardo: “Il lavoro sembra
categoria del tutto semplice. Anche la rappresentazione del lavoro nella sua
generalità – come lavoro in generale – è molto antica. E tuttavia considerato
in questa semplicità dal punto di vista economico, <lavoro> è una
categoria tanto moderna quanto lo sono i rapporti che producono questa semplice
astrazione. Il Bullionismo (1), per es, pone la ricchezza in modo ancora
completamente oggettivo, come cosa fuori di se, nel denaro. Rispetto a questo
punto di vista fu un grande progresso quando il sistema manufattoriero o
commerciale trasferì la fonte della ricchezza dall’oggetto alla attività
soggettiva, al lavoro commerciale o manifatturiero, ma anch’esso concepiva
ancora sempre questa attività nell’aspetto limitato di una attività produttrice
di denaro. A questo sistema si contrappose il sistema Fisiocratico che pone
come creatrice della ricchezza una determinata forma del lavoro – l’agricoltura
– e concepisce l’oggetto stesso non più sotto il travestimento del denaro, ma
come prodotto in generale, come risultato generale del lavoro. […] Un enorme
progresso compì Adam Smith, rigettando ogni carattere determinato dell’attività
produttrice di ricchezza e considerandola lavoro senz’altro: non lavoro
manifatturiero, ne commerciale, né agricolo, ma tanto l’uno quanto l’altro. Con
l’astratta generalità dell’attività produttrice di ricchezza, noi abbiamo ora
anche la generalità dell’oggetto definito come ricchezza, e cioè il prodotto in
generale, o ancora una volta, lavoro in generale, ma come lavoro passato,
oggettivato. […] L’indifferenza verso un genere determinato di lavoro
presuppone una totalità molto sviluppata di generi reali di lavoro, nessuno dei
quali domini più sull’insieme. […] Il lavoro qui è divenuto non solo nella
categoria, ma anche nella realtà, il mezzo per creare la ricchezza in generale,
e, come determinazione, esso ha cessato di concrescere con gli individui in una
dimensione particolare. […] Così l’astrazione più semplice che l’economia
moderna pone al vertice e che esprime una relazione antichissima e valida per
tutte le forme di società, si presenta tuttavia praticamente vera in questa
astrazione solo come categoria della società moderna.”
Questo salire dal concreto all’astratto, questa operazione di pulitura – di semplificazione ma anche di comparazione – e insieme di oggettivazione delle varie categorie tratte dall’osservazione e dalla ricerca, questo lavoro d’attenta analisi che parte dal dato di fatto dell’oggi fino risalire a ritroso nel corso della storia alle prime forme di comunità, non è che una parte del metodo dialettico, è soltanto il mezzo necessario al teorico dialettico per compiere l’altra, e più importante, fase della ricerca, quella della sintesi di queste astrazioni a sistema che possa dare conto, risalendo dalle generiche astrazioni al concreto dell’attualità, di tutti i passaggi storici, delle casualità, dei perché si sia giunti al nostro mondo attuale.
“Da qui si tratterebbe poi di intraprendere di nuovo il
viaggio all’indietro, fino ad arrivare finalmente di nuovo alla popolazione, ma
questa volta non come a una caotica rappresentazione di un insieme, bensì come
a una totalità ricca, fatta di molte determinazioni e relazioni. […] Il
concreto è concreto perché sintesi di molte determinazioni, quindi unità del
molteplice. Per questo nel pensiero esso si presenta come processo di sintesi,
come risultato e non come punto di partenza, sebbene esso sia il punto di
partenza effettivo e perciò anche il punto di partenza dell’intuizione e della
rappresentazione. Per la prima via la rappresentazione concreta si è
volatilizzata in una astratta determinazione; per la seconda, le determinazioni
astratte conducono alla riproduzione del concreto nel cammino del pensiero. […]
La totalità come essa si presenta nella mente quale totalità del pensiero, è un
prodotto della mente che pensa, la quale si appropria il mondo nella sola
maniera che gli è possibile, maniera che è diversa dalla maniera artistica,
religiosa e pratico-spirituale di appropriarsi il mondo. Il soggetto reale
rimane, sia prima che dopo, saldo nella sua autonomia fuori della mente; fino a
che, almeno, la mente si comporta solo speculativamente, solo teoricamente.
Anche nel metodo teorico, perciò, la società deve essere sempre presente alla
rappresentazione come presupposto.”
Nel §.4 delle sue Lezioni sul diritto naturale e la scienza
dello Stato -conosciute anche come la Filosofia del diritto di Heidelberg, dove
effettivamente furono tenute queste lezioni nel 1817/1818-, Hegel scrive: “Quando
penso un oggetto, lo rendo un pensato e gli tolgo ciò che ha di sensibile; lo
rendo così qualcosa che è immediatamente ed essenzialmente mio: infatti, nel
pensare sono presso di me. Elaborare il concetto significa penetrare l’oggetto,
che non è più qualcosa di contrapposto a me, perché gli ho tolto ciò che, per
sé, a me si oppone... dice lo spirito «questo è spirito del mio spirito» e
l’estraneità è dissolta. Ogni rappresentazione è una generalizzazione e
quest’ultima appartiene al pensare. Pensare qualcosa significa renderlo
generale [...] Questo è l’atteggiamento teoretico”.
Insieme dovrà dare conto della validità dell’ipotesi di
partenza e, confermare allo stesso tempo, la verità e la comprensione, stavolta
reale, fatta propria, sussunta nel pensiero, conosciuta, della realtà del
mondo.
Una realtà che è sempre la stessa dell’inizio della ricerca,
partenza e arrivo di un percorso lungo e difficile che è quello della
comprensione: “La società borghese è la più complessa e sviluppata
organizzazione storica della produzione. Le categorie che esprimono i suoi
rapporti e che fanno comprendere la sua struttura, permettono quindi di
penetrare al tempo stesso nella struttura e nei rapporti di produzione di tutte
le forme di società passate, sulle cui rovine e con i cui elementi essa si è
costruita, e di cui si trascinano in essa ancora residui parzialmente non
superati, mentre ciò che in quelle era appena accennatosi è sviluppato in tutto
il suo significato ecc. […] L’economia borghese fornisce così la chiave per
l’economia antica ecc. […] La cosiddetta evoluzione storica si fonda in
generale sul fatto che l’ultima forma considera le precedenti come semplici
gradini che portano a se stessa […] l’economia borghese è giunta a intendere
quella feudale, antica e orientale, quando è cominciata l’autocritica della
società borghese".
Note:
(1) Al centro del pensiero bullionista (XVI
secolo) si pose la convinzione che la ricchezza fosse rappresentata dalla
moneta a disposizione delle casse statali, ossia dall'oro. L'afflusso di
metalli preziosi dalle Americhe conferiva una grande ricchezza agli Stati
europei che, mediante le casse del governo, potevano così permettersi opere
altrimenti impensabili. Agli occhi di un funzionario di governo la potenza di
uno Stato era misurata dal tesoro a disposizione per comprare navi da guerra o
mercantili, pagare soldati e finanziare opere pubbliche e monumenti, guerre.
Senza l'oro tutto questo non era possibile. L'ottica dei bullionisti era
pressocché simile a quella della precedente economia domestica, l'unica
differenza fu la scala con cui si osservavano i fenomeni economici, non più
della casa ma della nazione.
Letture Marxiste di Hegel - Stefano Garroni -
Questo ultimo lavoro di Stefano Garroni ha il senso di individuare in Hans Heinz Holz colui che ha saputo liberare l'interpretazione di Hegel (e di Kant) da consolidati pregiudizi e diffidenze. Il risultato è che Holz si fa portatore anche di una lettura di Marx, innovatrice, nella stessa misura in cui rimanda ad una "rilettura" della filosofia classica tedesca e ad una corretta, puntuale filologia marxiana. Nato nel 1939, Stefano Garroni, appena laureato svolse attività di assistente presso la Cattedra di Filosofia Teoretica diretta, nell'ordine, dai Proff. U. Spirito, G. Calogero e A. Capizzi. Nel 1973, vinto l'apposito concorso, entrò a far parte del Centro di Pensiero Antico del CNR, diretto dal Prof. G. Gianantoni. Partendo da un clima culturale fortemente segnato da irrazionalismo e soggettivismo, Garroni, nella prospettiva di un recupero rigoroso della problematica dialettica, ha pubblicato - tra l'altro e sempre con le Edizioni "La Città del Sole" di Napoli - Quaderno freudiano, Engels cent'anni dopo, Dialettica e differenza, nonché varie traduzioni di opere del filosofo marxista Hans Heinz Holz.
Stefano Garroni - Letture Marxiste di Hegel -(La citta' del sole edizioni)
lunedì 2 settembre 2013
Collettivo di formazione marxista "Maurizio Franceschini"
Il Collettivo di formazione marxista, ormai non più giovanissimo dato che esiste da una quindicina di anni, può francamente dire di essersi posto, fin dall’’inizio, determinati obiettivi e di non aver mai scartato dalla prospettiva, che si era data.
La quale, in definitiva, consisteva (e consiste) nel mostrare come –se non altro dalla morte di Lenin- il movimento comunista, nella sua parte più significativa, si sia reso responsabile di una interpretazione del marxismo, che ne falsava profondamente sia le essenziali caratteristiche teoriche, sia anche l’effettiva ispirazione politica.
Costituitosi con compagni dalle differenti storie politiche, il Collettivo ha sempre voluto essere un luogo di studio, riflessione e elaborazione, lontano o indipendente dai tanti gruppuscoli comunisti, che si sono andati costituendo dalla Bolognina in poi.
E questo non per aristocratismo, ma perché il Collettivo pretende essere –pur nella sua debolezza- un luogo per l’elaborazione e il rilancio di un marxismo e di una politica comunista, fuori dalle vulgate, che storicamente si sono succedute, e che fosse invece una proposta all’altezza dei tempi nostri.
Nessuno schieramento, dunque, con questo o quel gruppetto, ma ricerca di coinvolgimento di compagni, quale che sia la tessera (o non tessera), che abbiano (o non abbiano) in tasca.
L’attività del Collettivo si è caratterizzata, finora, coll’organizzazione di seminari, di incontri e dibattiti –non necessariamente su temi direttamente legati al pensiero di Marx-, allo scopo di far nascere tra i compagni la consapevolezza che il marxismo è eminentemente dialettica e, dunque, critica, che non conosce santuari da rispettare.
I seminari e i dibattiti hanno avuto un pubblico non esattamente precisabile, ma certo numeroso, dato anche il fatto che il Collettivo gestisce due siti internet., uno dei quali, in particolare, si caratterizza per l’ampiezza dei dibattiti e delle collaborazioni; mentre l’altro per la particolare qualità della documentazione, che presenta..
Il lavoro del Collettivo si è caratterizzato, anche,per la pubblicazione di alcuni libri, dei quali ricordiamo qui gli ultimi due: “Riproposte dialettiche” (2010) e “Ricerche marxiste” (2013), che hanno conosciuto una certa diffusione e suscitato qualche dibattito.
Nell’anno corrente il Collettivo si è fondamentalmente concentrato su un seminario a proposito della critica di Marx ad Adam Smith –anche di questo seminario assicureremo la presentazione dei risultati, in un volume da pubblicare.
A questo punto, dobbiamo riconoscere che l’ampiezza del pubblico, interessato ai lavori del Collettivo, ed il farsi sempre più impegnativo del lavoro di riflessione e scrittura, esigono una modifica organizzativa, la quale consenta una più diretta partecipazione alla sua attività di tutti coloro, che al Collettivo hanno chiesto di aderire.
Lo scopo di questa lettera è, appunto, di promuovere quel più largo dibattito, che possa dare maggiore consistenza al lavoro futuro del Collettivo stesso.
Il quale si proporrebbe 1. di continuare la riflessione sulla critica marxiana all’economia politica, ma anche 2. di assicurare una documentazione, precisa e puntuale, delle tante realtà (e non gruppuscoli) comuniste, che esistono ed operano, certamente in Asia e in Latino America, ma anche in paesi come gli Usa, il Canada, l’Australia e la Germania.
Per far tutto ciò abbiamo bisogno di collaborazione consapevole e non casuale.
E’ per questo che ci rivolgiamo a tutti coloro, i quali hanno espresso la volontà di divenir membri del Collettivo, pregando loro di fornisci notizie circa la loro esperienza culturale e politica, nonché della lingua (non italiana, chiaramente), da cui sanno tradurre.
Il Collettivo di formazione marxista.
La quale, in definitiva, consisteva (e consiste) nel mostrare come –se non altro dalla morte di Lenin- il movimento comunista, nella sua parte più significativa, si sia reso responsabile di una interpretazione del marxismo, che ne falsava profondamente sia le essenziali caratteristiche teoriche, sia anche l’effettiva ispirazione politica.
Costituitosi con compagni dalle differenti storie politiche, il Collettivo ha sempre voluto essere un luogo di studio, riflessione e elaborazione, lontano o indipendente dai tanti gruppuscoli comunisti, che si sono andati costituendo dalla Bolognina in poi.
E questo non per aristocratismo, ma perché il Collettivo pretende essere –pur nella sua debolezza- un luogo per l’elaborazione e il rilancio di un marxismo e di una politica comunista, fuori dalle vulgate, che storicamente si sono succedute, e che fosse invece una proposta all’altezza dei tempi nostri.
Nessuno schieramento, dunque, con questo o quel gruppetto, ma ricerca di coinvolgimento di compagni, quale che sia la tessera (o non tessera), che abbiano (o non abbiano) in tasca.
L’attività del Collettivo si è caratterizzata, finora, coll’organizzazione di seminari, di incontri e dibattiti –non necessariamente su temi direttamente legati al pensiero di Marx-, allo scopo di far nascere tra i compagni la consapevolezza che il marxismo è eminentemente dialettica e, dunque, critica, che non conosce santuari da rispettare.
I seminari e i dibattiti hanno avuto un pubblico non esattamente precisabile, ma certo numeroso, dato anche il fatto che il Collettivo gestisce due siti internet., uno dei quali, in particolare, si caratterizza per l’ampiezza dei dibattiti e delle collaborazioni; mentre l’altro per la particolare qualità della documentazione, che presenta..
Il lavoro del Collettivo si è caratterizzato, anche,per la pubblicazione di alcuni libri, dei quali ricordiamo qui gli ultimi due: “Riproposte dialettiche” (2010) e “Ricerche marxiste” (2013), che hanno conosciuto una certa diffusione e suscitato qualche dibattito.
Nell’anno corrente il Collettivo si è fondamentalmente concentrato su un seminario a proposito della critica di Marx ad Adam Smith –anche di questo seminario assicureremo la presentazione dei risultati, in un volume da pubblicare.
A questo punto, dobbiamo riconoscere che l’ampiezza del pubblico, interessato ai lavori del Collettivo, ed il farsi sempre più impegnativo del lavoro di riflessione e scrittura, esigono una modifica organizzativa, la quale consenta una più diretta partecipazione alla sua attività di tutti coloro, che al Collettivo hanno chiesto di aderire.
Lo scopo di questa lettera è, appunto, di promuovere quel più largo dibattito, che possa dare maggiore consistenza al lavoro futuro del Collettivo stesso.
Il quale si proporrebbe 1. di continuare la riflessione sulla critica marxiana all’economia politica, ma anche 2. di assicurare una documentazione, precisa e puntuale, delle tante realtà (e non gruppuscoli) comuniste, che esistono ed operano, certamente in Asia e in Latino America, ma anche in paesi come gli Usa, il Canada, l’Australia e la Germania.
Per far tutto ciò abbiamo bisogno di collaborazione consapevole e non casuale.
E’ per questo che ci rivolgiamo a tutti coloro, i quali hanno espresso la volontà di divenir membri del Collettivo, pregando loro di fornisci notizie circa la loro esperienza culturale e politica, nonché della lingua (non italiana, chiaramente), da cui sanno tradurre.
Il Collettivo di formazione marxista.
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