Morale vs pratica. -
“ Alle due di notte del 16 agosto 1867, anche
quest'ultimo foglio di stampa è corretto. E dunque -scrive Marx -questo
volume è pronto. Ai primi di settembre esce presso l'editore Meissner di
Amburgo, anch'esso in mille esemplari. «Perché dunque non vi ho risposto?
Perché ero sull'orlo della tomba, continuamente. Per questo dovevo utilizzare
ogni momento che potevo dedicare al lavoro, per terminare la mia opera cui ho
sacrificato la salute, la felicità della vita e la famiglia. Spero che a questa
spiegazione non occorra aggiungere altro. Mi fanno ridere i cosiddetti uomini
"pratici" e la loro saggezza. Se uno sceglie di essere bue, allora
può naturalmente voltare le spalle alle sofferenze dell'umanità e occuparsi
solo dei fatti propri. Ma io mi considererei veramente ben poco pratico se
fossi crepato senza avere completamente finito il mio libro, almeno in
manoscritto.»” (Marx).
Questo breve testo ci serve a sottolineare
quanto Marx sentisse l’impegno morale, nel senso della responsabilità di ognuno
verso la comunità di cui è parte, e di quanto egli concepisse l’impresa
scientifica legata intimamente a quell’impegno. In questo senso, anche se il
nostro obiettivo è esaminare certi temi di Das Kapital.1, conviene richiamare subito uno scritto giovanile dal
significativo titolo “Entfremdete
Arbeit” (1844). Di questo lavoro giovanile traduco una gran parte, con lo scopo
di mostrare, appunto, il nesso –qui già
contenuto e non mai smentito da
Marx-, fra analisi dialettica e costruirsi della critica marxiana
dall’interno stesso della elaborazione economica classica. Ciò significa che se
il punto di vista di Marx non è un’elaborazione solo individuale, per quanto
geniale, lo si deve proprio al suo profondo legame con l’oggettiva storia della
teoria economica. E’ partendo, infatti, dalla prospettiva, dal linguaggio e
dalla grammatica della esistente riflessione economica, che Marx può mostrarne
le difficoltà, le insufficienze ed il carattere ideologico (ovvero di
coscienza, che sorge per santificare determinati interessi di classe,
spacciandoli per espressione oggettiva di una condizione, sostanzialmente non
modificabile). In altri termini, è l’impostazione dialettica della sua critica,
che consente a Marx di prospettare il superamento della prospettiva (nazional-)
economica –il che ribadisce il carattere ‘scandaloso’ della dialettica, in
quanto rivoluzionaria per la sua stessa essenza.
Per
il testo tedesco di Entfremdete Arbeit mi servo di K. Marx, Texte zu Methode und Praxis II. Pariser Manuskripte 1844, Rowohlt 1966.
La
NE non
ci dà alcun chiarimento (Aufschluβ)
circa la separazione di lavoro e capitale e di capitale e terra; quando la NE definisce il rapporto tra
lavoro salariato e profitto di capitale, per essa vale come fondamento ultimo
l’interesse dei capitalisti – il che significa che essa presuppone ciò che
dovrebbe sviluppare; la NE
ripete l’errore anche rispetto alla concorrenza, la quale fa semplicemente la
sua comparsa ad un certo punto, senza che ne venga mostrata la necessità, dato
il contesto storico capitalistico –di nuovo, dunque, si dà un fatto, senza
averne costruito il concetto, ovvero la necessità, posta una certa legge di sviluppo/svolgimento
(Entwicklung): ciò che mette in
movimento la NE è
l’avidità e la concorrenza, ovvero la guerra tra gli avidi.[3]
La
NE
nasconde l’estraniazione nell’essenza del lavoro (54) col non analizzare
l’immediato rapporto del lavoratore (del lavoro) con la produzione. Tuttavia.
Il lavoro produce cose meravigliose per i ricchi, ma spoglia (entblöβen) il lavoratore. Il lavoro produce
palazzi, ma tane per i lavoratori. Il lavoro produce bellezza, ma per i
lavoratori catapecchie (Verkrüppelung).
La NE sostituisce
il lavoro con le macchine, ma riconsegna una parte dei lavoratori ad un lavoro
barbarico e riduce l’altra parte a macchina. La NE produce spirito (Geist), ma anche idiozia e cretinismo per i lavoratori. L’immediato
rapporto del lavoratore con i suoi prodotti è il rapporto del lavoratore con
gli oggetti della sua produzione.[7]
Il rapporto del ricco [letteralmente, des
Vermögenden]
con gli oggetti della produzione e con questa stessa è solo una
conseguenza di quel primo rapporto – e così lo conferma. Quando ci chiediamo
quale sia il rapporto essenziale del lavoro, ciò che ci chiediamo è quale sia
il rapporto del lavoratore con la produzione.
Siamo partiti –così inizia Marx il suo
scritto-- dai presupposti della Nationalökonomie (wir
haben ihre Sprache und ihre Gesetze akzeptiert); ciò significa che Marx ha
accolto questi presupposti e questo vocabolario, cioè: la proprietà privata, la
separazione (Trennung) di lavoro, capitale e terra, così come la divisione del lavoro, la
concorrenza, il concetto di valore di scambio, ecc.
Servendoci –prosegue Marx- delle stesse
parole della Economia Nazionale (d’ora in avanti NE), abbiamo mostrato che il
lavoratore si abbrutisce nella condizione di merce e, perfino, della merce più
povera; abbiamo mostrato inoltre che la miseria dei lavoratori è in rapporto
inverso con il potere e l’ammontare della loro produzione. Abbiamo mostrato che
necessario risultato della concorrenza è l’accumulazione del capitale in poche
mani, dunque, la più spaventosa restaurazione del monopolio. Altra necessaria
conseguenza è che le diverse forme di proprietà e di lavoro dipendente si
riducono alla polarità proprietari/lavoratori privi di proprietà[1]
(51)
Die Nationalökonomie geht vom Faktum des Privateigentums aus. Sie
erklärt dasselbe nicht. Sie faβt den materiellen Prozeβ des Privateigentums, den es in der Wirklichkeit duchmacht, in
allgemeine, abstrakte Formeln, die ihr dann als Gesetze gelten. Sie begreift diese Gesetze nicht,
d.h. sie weist nicht nach, wie sie aus dem Wesen des Privateigentrums
hervorgehn.[2]
(51).
Proprio perché non concettualizza la
connessione, propria del movimento, per la NE , concorrenza, libertà di impresa, divisione proprietaria
del suolo sono conseguenze casuali, arbitrarie e violente, non vengono dunque concettualizzare e svolte (sott. mia,
SG)[4]
come necessarie, inevitabili, naturali conseguenze del monopolio, della
corporazione e della proprietà feudale.
Le varie forme di estraniazione (Entfremdung) vanno concettualizzare come
conseguenze del sistema monetario (Geldsystem).
(51s). A p. 52, Marx già usa la critica alla robinsonata la quale è, anche, una
forma di entificazione –un problema, che non viene né posto né risolto, ma
trasformato in una situazione originaria (Urzustand)
– anche la robinsonata, dunque, rientra nella denuncia della Entfremdung. Il nazional economista
sottende nella forma di cosa, di un evento, ciò che dovrebbe dedurre,
precisamente il rapporto tra due cose, per es. il rapporto tra divisione del
lavoro e scambio (unterstellt in der Form
der Tatsache, des Ereignisses, was er deduzieren soll, nämlich das notwendige
Verhältnis zwischen zwei Dingen, z. B. zwischen Teilung der Arbeit und
Austausch): analogia con l’uso,
che la teologia fa del peccato originario (una storia, un evento dato come
spiegazione di un problema)[5]
Prendiamo le mosse da un attuale fatto
nazionaleconomico. Il lavoratore diventa di tanto più povero, di quanto più
ricchezza produce, di quanto la sua produzione acquista in potere ed in
estensione. Tanto più il lavoratore diviene una merce a basso costo, quanta più
merce egli produce. Stanno in rapporto diretto la valorizzazione (Verwertung) del mondo delle cose e la
svalorizzazione (Entwertung) del
mondo umano; la produzione di merci non produce solo queste ultime, ma anche la
figura del lavoratore salariato. Il risultato di questo fatto non esprime altro
che questo: l’oggetto, che il lavoro produce, il suo prodotto, gli appare come ein fremdes
Wesen, come un potere indipendente, contrapposto ai lavoratori. Das Produkt der Arbeit ist die Arbeit, die sich in
einem Gegenstand fixiert, sachtlich gemacht hat, es ist die Vergegenständlichung der Arbeit. Diese Verwirklichung der Arbeit
erscheint in dem nationalökonomischen
Zustand als Entwicklung des
Arbeiters, die Vergegenständlichung als Verlust und Knechtschaft des
Gegenstandes, die Aneignung als Entfremdung, als Entäβerung. (Il prodotto del lavoro è il lavoro,
che si è fissato in un oggetto, che si è fatto ‘cosa’: esso è l’oggettivazione
del lavoro. Questa realizzazione del lavoro appare nella condizione
nazionaleconomica come sviluppo del lavoratore, l’oggettivazione come perdita e
schiavitù dell’oggetto, l’appropriazione come estraniazione, come alienazione). La realizzazione del lavoro appare
altrettanto derealizzazione dell’operaio, che si sviluppa fino alla morte per
fame. L’oggettivazione appare di tanto perdita dell’oggetto, che il lavoratore
è derubato degli oggetti necessari non
solo per vivere, ma anche per il
lavoro. (52)
Nella destinazione, secondo cui il
lavoratore si rapporta al prodotto del suo
lavoro come ad un oggetto, che gli è estraneo,
sono implicite tutte queste conseguenze. Infatti da questo presupposto risulta
con chiarezza che quanto più il lavoratore si perfeziona (sich arbeitern), d’altrettanto cresce la potenza del mondo
reificato (gegenständliche),[6]
estraneo ed ostile (fremde), che egli
stesso si pone di contro; d’altrettanto diviene più povero egli stesso e il suo
mondo interno, che sempre meno gli appartiene. Lo stesso capita con la
religione: tanto più l’uomo pone in dio, tanto meno conserva in se stesso. Il
lavoratore pone la sua vita nell’oggetto; ma con ciò egli non appartiene più a
se stesso, ma sì all’oggetto. Tanto più grande è, dunque, questa attività,
tanto più il lavoratore è privo di oggetto. Ciò che è il suo prodotto, non lo è
per lui stesso: tanto più è grande il suo prodotto, tanto meno lo è egli
stesso. L’alienazione (Entäuβerung)
del lavoratore nel suo prodotto ha il significato non solo che il suo lavoro
diviene un oggetto, cioè un’esistenza esterna; ma che il lavoro esiste al di fuori di lui, indipendentemente e
come qualcosa di estraneo/nemico da lui e l’autonomo potere del lavoro gli si
contrappone, perché la vita, che egli ha dato all’oggetto, gli si oppone come
un che di estraneo (fremd) e nemico (feindlich). (52s)
Analizziamo più da vicino
l’oggettivazione, il prodotto del lavoratore e la sua estraniazione, la perdita
dell’oggetto, del suo prodotto. (53) Il lavoratore non può far nulla senza la
natura, senza l’esterno mondo sensibile. Questo mondo è la materia, in cui il
lavoro si realizza, nella quale esso è attivo, da cui e attraverso cui il
lavoro produce. Ma come la natura offre al lavoro il mezzo di vita, nel senso
che il lavoro non può vivere senza oggetti, sui quali si eserciti, d’altro lato
essa offre anche gli strumenti di vita in senso stretto, ovvero i mezzi per la
sussistenza fisica del lavoratore stesso. Sotto
questo duplice rispetto, dunque, il lavoratore diviene schiavo del suo
oggetto: in primo luogo, perché egli è un oggetto
del lavoro, cioè egli contiene lavoro,
in secondo luogo, perché egli può esistere come oggetto fisico. Il culmine di
questa schiavitù è che egli solo come lavoratore può conservarsi come soggetto
fisico e che egli è lavoratore solo in quanto soggetto fisico. (53).
L’estraniazione del lavoratore nel suo
oggetto, secondo le leggi della NE, si esprime nel fatto che tanto più il
lavoratore produce, tanto meno ha da consumare; maggior valore egli produce,
tanto più si svuota di valore e perde in dignità; di tanto dà forma al suo
prodotto, d’altrettanto il lavoratore si deforma; di tanto civilizza il proprio
oggetto, d’altrettanto il lavoratore si imbarbarisce, di tanto si fa potente il
lavoro, d’altrettanto si fa impotente il lavoratore; di tanto si arricchisce di
cultura il lavoro, d’altrettanto si priva di cultura il lavoratore e lo si fa
schiavo della natura.
L’Entfremdung non si mostra solo nel
rapporto fra l’operaio e il risultato della produzione, ma anche nell’atto
della produzione … Il prodotto è solo il risultato dell’attività di produzione.
Se dunque il prodotto del lavoro è l’Entäuβerung,
allora la stessa produzione deve essere la pratica Entäuβerung dell’attività, l’attività dell’Entäuβerung … In cosa consiste la Entäuβerung
del lavoro? In primo luogo, che il lavoro è esterno
al lavoratore, cioè non appartiene alla sua essenza (Wesen), nel fatto cioè che nel suo lavoro egli non si afferma, ma
si nega, non si sente soddisfatto ma infelice, non sviluppa alcuna energia
libera e culturale (geistig), ma
piuttosto si abbrutisce fisicamente e rovina culturalmente. Il lavoratore si
sente presso di sé al di fuori (auβer) del lavoro, mentre nel lavoro si
sente estraneo a sé. (55)
Zu
Hause ist er, wenn er nicht arbeitet, und wenn er arbeitet ist er nicht zu
Hause (Il lavoratore è
presso di sé quando non lavora, mentre quando lavora è estraneo a sé).
Non vi è dunque lavoro libero, ma
lavoro coatto, obbligato. Così il lavoro non è la soddisfazione di un bisogno,
ma solo un mezzo per soddisfare bisogni esterni al lavoro stesso. La sua (del
lavoro) estraneità (Fremdheit) si
mostra in questo, che non appena venga a mancare una qualche costrizione fisica
o di altro tipo, il lavoro viene evitato come la peste… In fine, l’esteriorità
del lavoro per il lavoratore si mostra in questo, che il lavoro non è suo
proprio, ma di un altro, che non gli appartiene, ma appartiene ad un altro.
Come nella religione l’attività propria
della fantasia umana, del cervello e del cuore umani opera indipendentemente
dall’individuo, dunque, come una attività estranea, divina o diabolica,
analogamente l’attività del lavoratore non opera come la sua stessa attività.
La sua attività appartiene ad un altro e, per il lavoratore è la perdita di se
stesso.
Il risultato di ciò è che l’uomo (il
lavoratore) si sente fonte di libera attività solo nelle sue funzioni animali,
nel mangiare, nel bere, nel procreare, nell’abitare, vestirsi, ecc.; nelle sue
funzioni umane, invece, si sente nulla più che un animale. L’animalesco diviene
l’umano e l’umano diviene l’animalesco.
I due lati dell’Entfremdung: 1) dell’attività pratica umana, cioè il lavoro,
dunque l’Entfremdung del lavoratore
rispetto al risultato del suo lavoro, che gli diviene un’estranea e dominante (mächtig) oggettività: dieses Verhältnis
ist zugleich das Verhältnis zur sinnlichen Auβenwelt, zu den
Naturgegenstänstehenden als einer fremden, ihm feindlich gegenüberstehenden
Welt (questo rapporto è parimenti il rapporto con l’esterno mondo sensibile,
con gli oggetti naturali, come mondo contrapposto estraneo e nemico).
2)
il rapporto del lavoro con l’atto della produzione, all’interno del lavoro: si
tratta del rapporto del lavoratore con la sua stessa attività, che non gli
appartiene, dunque l’attività come sofferenza, la forza come mancanza di forza,
la generazione come svilimento (Entmannung);
l’autoestraneazione.
Da
questi due lati dell’estraniazione se ne ricava un terzo (56): l’uomo è
un’essenza generica (Gattungswesen),
non solo in quanto egli fa, praticamente e teoreticamente, del genere –sia
proprio che delle altre cose- un suo oggetto, ma anche … perché egli si rapporta
a se stesso come al genere vivente e attuale, dunque a se stesso come essenza
universale e, per questo, libera.[8]
Abbiamo
preso le mosse da un fatto nazionaleconomico, dall’estraniazione del lavoratore
e della sua produzione; abbiamo esplicitato il concetto di questo fatto: il
lavoro alienato, estraniato; abbiamo analizzato questo concetto, dunque,
abbiamo analizzato un fatto nazionaleconomico.[9]
Andiamo più avanti ora nel vedere come il concetto di lavoro estraniato,
alienato nella realtà debba esprimersi e rappresentarsi.
Quando
il prodotto del mio lavoro mi diviene una realtà estranea, nemica, a chi allora
appartiene? (59)
Il
rapporto estraniato dell’uomo col suo prodotto, proviene dal rapporto che
l’uomo ha con l’altro uomo.
Il
lavoro estraniato è il risultato del movimento, che porta alla proprietà
privata. (60)
Già
nelle pagine che abbiamo visto, la critica alla NE, in quanto teoria del modo
capitalistico di produzione (d’ora in avanti, KPW), non si arresta al terreno
economico-sociale, perché è anche critica del modo di costruire un teoria
scientifica (in particolare, il modo di costruire quello strumento fondamentale
che è l’astrazione), nonché critica
dell’implicito morale, che il modo di analisi sottende ed espone (Marx
parla spesso del cinismo della NE.
A riprova di questo intreccio di temi,
presente in Marx, volgiamoci alle sue pagine, raccolte in Scritti inediti di economia politica, pubblicato a Roma nel 1963-
Ci interesseranno particolarmente certe osservazioni a proposito di J, Mill e
di Ricardo: la critica di Marx si volge al modo di costruire astrazioni, dalla
pretesa scientifica, che è proprio della NE.
Questo modo incorre in due difficoltà
fondamentali: la prima, tradizionalmente parte dell’approccio empiristico,
consiste nell’ impegno a guadagnare l’essenza di un certo campo d’oggetti,scartando
ciò che specifica ognuno di essi, con il risultato di non riuscire poi a
mostrare come dall’essenza si possa ridiscendere a quel particolare specifico.
La seconda difficoltà, che discende certamente
dalla prima, è di giungere ad un essenza o legge, che non tanto si sviluppa (si ricordi l’identità fra spiegare e svolgere, che troviamo nella
tradizione dialettica di Hegel e di Marx)) a partire dai fenomeni, quanto
piuttosto si solleva –nella sua irraggiungibilità- al di sopra di essi; tanto
che l’economista è costretto a riconoscere che i caratteri da lui raccolti
nella legge o essenza, in realtà sono arbitrari ed avrebbero potuto esser
altri.
L’essenza dell’errore degli economisti
è ben espressa da J. Mill, quando indica il denaro come intermediario dello
scambio. L’obiezione di Marx consiste nel puntualizzare che l’essenza del
denaro è il fatto che in esso viene alienato il movimento e l’attività
mediatrice, l’atto umano, sociale, in cui i prodotti dell’uomo si integrano scambievolmente,
il fatto che la proprietà di una cosa materiale esterna all’uomo diventa
proprietà del denaro (…) Dovrebbe essere l’uomo stesso l’intermediario per
l’uomo e invece, attraverso quell’intermediario esterno, l’uomo guarda alla sua
volontà, alla sua attività, al su rapporto con altri, come ad una potenza
indipendente da lui e dagli altri (…) questo intermediario diventa un vero dio
poiché l’intermediario è la vera potenza su ciò con cui egli mi media.
Gli oggetti una volta separati da
questo intermediario hanno perduto il loro valore.
[1] - Non necessariamente
questo significa che scompaiono le differenti forme e tipi di proprietà e di
lavoro dipendente, ma sì che, quali che siano quelle diversità, non fanno che
sostanzialmente riproporre la polarità, di cui sopra: Insomma, tutto si riduce
alla separazione capitale/lavoro.
[2] - “L’Economia
Nazionale procede dal fatto della proprietà privata, ma non lo spiega;
l’Economia Nazionale coglie il processo materiale, che la proprietà privata in
realtà percorre, sotto l’aspetto di formule generali, astratte, che per essa
valgono come leggi. L’Economia Nazionale non concettualizza queste leggi,
ovvero, essa non sa come derivino dall’essenza della proprietà privata”. Se
confronti questo brano con la distinzione tra Gesetz (legge) e Wesen
(essenza), che il recensore russo della seconda edizione di Das Kapital.I. giustamente sottolinea,
hai il segno di un linguaggio di Marx, che nel 1844 non è ancora ben chiaro
allo stesso Marx. Ecco la sostanza della recensione russa del primo libro di Das Kapital: il recensore russo
giudica strettamene realistico il metodo di ricerca di Marx, mentre il suo
metodo di esposizione è infelicemente tedesco-dialettico: di primo acchito,
l’esposizione marxiana è quella del più grande filosofo idealista (Idealphilosoph) –e tale nel senso
tedesco del termine; ciò non toglie che Marx sia ben più realistico dei suoi
predecessori e non certamente un idealista (Idealist)
(MEGA, Band 23: 25). Marx dichiara di aver esposto i tratti fondamentali del
suo metodo nell’Introduzione alla sua
“Critica dell’economia politica”. Così prosegue il recensore russo: per Marx
conta solo trovare la legge (Gesetz), che domina i fenomeni fino a quando hanno
una certa forma e sono in una certa connessione; ma non solo questo, dacchè a
Marx interessa la legge del mutamento, dello sviluppo dei fenomeni, del loro
passaggio da una forma ad un’altra, dall’ordinamento di un insieme ad un altro
(MEGA, op. cit.: 25s). Non appena ha
scoperto tale legge, Marx ne studia in dettaglio le conseguenze, che si
manifestano nella vita sociale, scoprire la legge significa, anche, scoprire il
processo, che conduce alla fine di un ordinamento dato ed al sorgere di un
altro, lo vogliano gli uomini o no (MEGA, op.cit.:
26). Marx studia il movimento sociale come un processo di storia naturale:
necessità dell’ordinamento esistente, ma anche del suo superamento in un altro,
quale che sia la volontà e la coscienza umana. Il punto di partenza del
movimento storico non è l’idea, ma sono piuttosto le manifestazioni esteriori.
Va notato come Marx commenti lo scritto del recensore russo: questi non ha fatto
altro che esporre il metodo dialettico. (MEGA, op.cit.: 27).
[3] - Marx usa il verbo entwickeln, dunque, per lui
<spiegare> significa <ricavare da uno svolgimento storico>. Pagina di Hegel, che mi pare utile per
comprendere in che senso la storia sia la Entwicklung
dello spirito, nel senso di svolgimento/costruzione
: "lo sono attitudine, facoltà, dapprima solo naturale; questa attitudine
non è dunque identica a me in quanto soggetto, in quanto pura soggettività, e
così ciò che in me è dapprima solo in quanto natura, poiché non è identico con
me, col mio sapere e col mio volere, non è in mio potere; io non ne sono in
possesso, si tratta di qualcosa di esterno di cui devo ancora prendere
possesso. E’qualcosa che debbo addomesticare, in modo da poterlo usare, da
poterlo padroneggiare. Perché le mie
dita, il mio braccio, mi obbediscano, devo prima addomesticare tali forze, in
modo che l'obbedienza diventi la loro propria natura. Lo stesso vale per le
capacità spirituali: la memoria, l'immaginazione, persino il pensiero deve
essere educato, mi deve diventare famigliare, spedito, in modo che mi sia
presente quando voglio che venga eseguita una determinata attività. Questa è una presa di possesso di
determinazioni inizialmente estranee a me, alla mia volontà, alla mia libertà.”
(Hegel, Le filosofie del diritto:
82-3).
[4] - A conferma del nesso tra begreifen ed entwickeln.
[5] - “So erklärt die theologie den Urspung des Bösen durch den Sündenfall, d. h. er unterstelt als ein
Faktum,in der Form der Geschichte, was er erklären soll.” (Così la teologia
spiega l’origine del male mediante il peccato originale, vale a dire che essa
sottende come un fatto, nella forma di una storia, ciò che dovrebbe spiegare).
[6] - Traduco così il
termine, perché da tutta la pagina si ricava la differenza tra il farsi oggetto (alienazione, Entäuβerung) e il divenire una potenza autonoma, estranea e feindlich
(Entfremdung).
[7] - Il senso di questa
affermazione è che sfugge al lavoratore il sistema di relazioni sociali, che rende possibile quel suo
rapporto con l’oggetto,ovvero con la sua attività, ma sotto forma di oggetto, di cosa e non di <attività produttiva. Di
nuovo l’Entfremdung.
[8] - Sottolinea come solo
uscendo dal limite della individualità, della particolarità escludente, dunque,
solo ponendosi dal punto di vista della universalità, l’uomo è libero.
[9] - La strada da Marx
seguita è dichiaratamente hegeliana, nel senso che dapprima l’empirico è stato
ricondotto al suo concetto; in secondo luogo, questo concetto è stato
analizzato, secondo un senso di <analizzare> che non è puramente formale,
ma si identifica piuttosto coll’ enucleare le proprietà del concetto, che sono
proprietà logico-storiche o formali-oggettive. E’ solo tenendo presente questa
precisazione, che si può comprendere come l’analisi di un fatto
nazionaleconomico, sia l’analisi di una oggettiva realtà o situazione
economica.
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