giovedì 3 ottobre 2013

Marxiana - Stefano Garroni -


Morale vs pratica. -  “ Alle due di notte del 16 agosto 1867, anche quest'ultimo foglio di stampa è corretto. E dunque -scrive Marx -questo volume è pronto. Ai primi di settembre esce presso l'editore Meissner di Amburgo, anch'esso in mille esemplari. «Perché dunque non vi ho risposto? Perché ero sull'orlo della tomba, continuamente. Per questo dovevo utilizzare ogni momento che potevo dedicare al lavoro, per terminare la mia opera cui ho sacrificato la salute, la felicità della vita e la famiglia. Spero che a questa spiegazione non occorra aggiungere altro. Mi fanno ridere i cosiddetti uomini "pratici" e la loro saggezza. Se uno sceglie di essere bue, allora può naturalmente voltare le spalle alle sofferenze dell'umanità e occuparsi solo dei fatti propri. Ma io mi considererei veramente ben poco pratico se fossi crepato senza avere completamente finito il mio libro, almeno in manoscritto.»” (Marx).                            

         Questo breve testo ci serve a sottolineare quanto Marx sentisse l’impegno morale, nel senso della responsabilità di ognuno verso la comunità di cui è parte, e di quanto egli concepisse l’impresa scientifica legata intimamente a quell’impegno. In questo senso, anche se il nostro obiettivo è esaminare certi temi di Das Kapital.1, conviene richiamare subito uno scritto giovanile dal significativo titolo “Entfremdete Arbeit” (1844). Di questo lavoro giovanile traduco una gran parte, con lo scopo di mostrare, appunto, il nesso –qui già  contenuto  e non mai smentito da Marx-, fra analisi dialettica e costruirsi della critica marxiana dall’interno stesso della elaborazione economica classica. Ciò significa che se il punto di vista di Marx non è un’elaborazione solo individuale, per quanto geniale, lo si deve proprio al suo profondo legame con l’oggettiva storia della teoria economica. E’ partendo, infatti, dalla prospettiva, dal linguaggio e dalla grammatica della esistente riflessione economica, che Marx può mostrarne le difficoltà, le insufficienze ed il carattere ideologico (ovvero di coscienza, che sorge per santificare determinati interessi di classe, spacciandoli per espressione oggettiva di una condizione, sostanzialmente non modificabile). In altri termini, è l’impostazione dialettica della sua critica, che consente a Marx di prospettare il superamento della prospettiva (nazional-) economica –il che ribadisce il carattere ‘scandaloso’ della dialettica, in quanto rivoluzionaria per la sua stessa essenza.

Per il testo tedesco di Entfremdete Arbeit mi servo di K. Marx, Texte zu Methode und Praxis II. Pariser Manuskripte 1844, Rowohlt 1966.

 

Siamo partiti –così inizia Marx il suo scritto-- dai presupposti della Nationalökonomie (wir haben ihre Sprache und ihre Gesetze akzeptiert); ciò significa che Marx ha accolto questi presupposti e questo vocabolario, cioè: la proprietà privata, la separazione (Trennung)  di lavoro, capitale e terra,  così come la divisione del lavoro, la concorrenza, il concetto di valore di scambio, ecc.

Servendoci –prosegue Marx- delle stesse parole della Economia Nazionale (d’ora in avanti NE), abbiamo mostrato che il lavoratore si abbrutisce nella condizione di merce e, perfino, della merce più povera; abbiamo mostrato inoltre che la miseria dei lavoratori è in rapporto inverso con il potere e l’ammontare della loro produzione. Abbiamo mostrato che necessario risultato della concorrenza è l’accumulazione del capitale in poche mani, dunque, la più spaventosa restaurazione del monopolio. Altra necessaria conseguenza è che le diverse forme di proprietà e di lavoro dipendente si riducono alla polarità proprietari/lavoratori privi di proprietà[1] (51)

Die Nationalökonomie geht vom Faktum des Privateigentums aus. Sie erklärt dasselbe nicht. Sie faβt den materiellen Prozeβ des Privateigentums, den es in der Wirklichkeit duchmacht, in allgemeine, abstrakte Formeln, die ihr dann als Gesetze gelten. Sie begreift diese Gesetze nicht, d.h. sie weist nicht nach, wie sie aus dem Wesen des Privateigentrums hervorgehn.[2] (51).

La NE non ci dà alcun chiarimento (Aufschluβ) circa la separazione di lavoro e capitale e di capitale e terra; quando la NE definisce il rapporto tra lavoro salariato e profitto di capitale, per essa vale come fondamento ultimo l’interesse dei capitalisti – il che significa che essa presuppone ciò che dovrebbe sviluppare; la NE ripete l’errore anche rispetto alla concorrenza, la quale fa semplicemente la sua comparsa ad un certo punto, senza che ne venga mostrata la necessità, dato il contesto storico capitalistico –di nuovo, dunque, si dà un fatto, senza averne costruito il concetto, ovvero la necessità, posta una certa legge di sviluppo/svolgimento (Entwicklung): ciò che mette in movimento la NE è l’avidità e la concorrenza, ovvero la guerra tra gli avidi.[3]

Proprio perché non concettualizza la connessione, propria del movimento, per la NE, concorrenza, libertà di impresa, divisione proprietaria del suolo sono conseguenze casuali, arbitrarie e violente, non vengono dunque concettualizzare e svolte (sott. mia, SG)[4] come necessarie, inevitabili, naturali conseguenze del monopolio, della corporazione e della proprietà feudale.

Le varie forme di estraniazione (Entfremdung) vanno concettualizzare come conseguenze del sistema monetario (Geldsystem). (51s). A p. 52, Marx già usa la critica alla robinsonata la quale è, anche, una forma di entificazione –un problema, che non viene né posto né risolto, ma trasformato in una situazione originaria (Urzustand) – anche la robinsonata, dunque, rientra nella denuncia della Entfremdung. Il nazional economista sottende nella forma di cosa, di un evento, ciò che dovrebbe dedurre, precisamente il rapporto tra due cose, per es. il rapporto tra divisione del lavoro e scambio (unterstellt in der Form der Tatsache, des Ereignisses, was er deduzieren soll, nämlich das notwendige Verhältnis zwischen zwei Dingen, z. B. zwischen Teilung der Arbeit und Austausch): analogia con l’uso, che la teologia fa del peccato originario (una storia, un evento dato come spiegazione di un problema)[5]

Prendiamo le mosse da un attuale fatto nazionaleconomico. Il lavoratore diventa di tanto più povero, di quanto più ricchezza produce, di quanto la sua produzione acquista in potere ed in estensione. Tanto più il lavoratore diviene una merce a basso costo, quanta più merce egli produce. Stanno in rapporto diretto la valorizzazione (Verwertung) del mondo delle cose e la svalorizzazione (Entwertung) del mondo umano; la produzione di merci non produce solo queste ultime, ma anche la figura del lavoratore salariato. Il risultato di questo fatto non esprime altro che questo: l’oggetto, che il lavoro produce, il suo prodotto, gli appare come ein  fremdes Wesen, come un potere indipendente, contrapposto ai lavoratori. Das Produkt der Arbeit ist die Arbeit, die sich in einem Gegenstand fixiert, sachtlich gemacht hat, es ist die Vergegenständlichung der Arbeit. Diese Verwirklichung der Arbeit erscheint in dem nationalökonomischen Zustand als Entwicklung des Arbeiters, die Vergegenständlichung als Verlust und Knechtschaft des Gegenstandes, die Aneignung als Entfremdung, als Entäβerung. (Il prodotto del lavoro è il lavoro, che si è fissato in un oggetto, che si è fatto ‘cosa’: esso è l’oggettivazione del lavoro. Questa realizzazione del lavoro appare nella condizione nazionaleconomica come sviluppo del lavoratore, l’oggettivazione come perdita e schiavitù dell’oggetto, l’appropriazione come estraniazione, come alienazione). La realizzazione del lavoro appare altrettanto derealizzazione dell’operaio, che si sviluppa fino alla morte per fame. L’oggettivazione appare di tanto perdita dell’oggetto, che il lavoratore è derubato degli oggetti necessari non  solo per vivere,  ma anche per il lavoro.  (52)

Nella destinazione, secondo cui il lavoratore si rapporta al prodotto del suo lavoro come ad un oggetto, che gli è estraneo, sono implicite tutte queste conseguenze. Infatti da questo presupposto risulta con chiarezza che quanto più il lavoratore si perfeziona (sich arbeitern), d’altrettanto cresce la potenza del mondo reificato (gegenständliche),[6] estraneo ed ostile (fremde), che egli stesso si pone di contro; d’altrettanto diviene più povero egli stesso e il suo mondo interno, che sempre meno gli appartiene. Lo stesso capita con la religione: tanto più l’uomo pone in dio, tanto meno conserva in se stesso. Il lavoratore pone la sua vita nell’oggetto; ma con ciò egli non appartiene più a se stesso, ma sì all’oggetto. Tanto più grande è, dunque, questa attività, tanto più il lavoratore è privo di oggetto. Ciò che è il suo prodotto, non lo è per lui stesso: tanto più è grande il suo prodotto, tanto meno lo è egli stesso. L’alienazione (Entäuβerung) del lavoratore nel suo prodotto ha il significato non solo che il suo lavoro diviene un oggetto, cioè un’esistenza esterna; ma che il lavoro esiste al di fuori di lui, indipendentemente e come qualcosa di estraneo/nemico da lui e l’autonomo potere del lavoro gli si contrappone, perché la vita, che egli ha dato all’oggetto, gli si oppone come un che di estraneo (fremd) e nemico (feindlich). (52s)

Analizziamo più da vicino l’oggettivazione, il prodotto del lavoratore e la sua estraniazione, la perdita dell’oggetto, del suo prodotto. (53) Il lavoratore non può far nulla senza la natura, senza l’esterno mondo sensibile. Questo mondo è la materia, in cui il lavoro si realizza, nella quale esso è attivo, da cui e attraverso cui il lavoro produce. Ma come la natura offre al lavoro il mezzo di vita, nel senso che il lavoro non può vivere senza oggetti, sui quali si eserciti, d’altro lato essa offre anche gli strumenti di vita in senso stretto, ovvero i mezzi per la sussistenza fisica del lavoratore stesso. Sotto  questo duplice rispetto, dunque, il lavoratore diviene schiavo del suo oggetto: in primo luogo, perché egli è un oggetto del lavoro, cioè egli contiene lavoro, in secondo luogo, perché egli può esistere come oggetto fisico. Il culmine di questa schiavitù è che egli solo come lavoratore può conservarsi come soggetto fisico e che egli è lavoratore solo in quanto soggetto fisico. (53).

L’estraniazione del lavoratore nel suo oggetto, secondo le leggi della NE, si esprime nel fatto che tanto più il lavoratore produce, tanto meno ha da consumare; maggior valore egli produce, tanto più si svuota di valore e perde in dignità; di tanto dà forma al suo prodotto, d’altrettanto il lavoratore si deforma; di tanto civilizza il proprio oggetto, d’altrettanto il lavoratore si imbarbarisce, di tanto si fa potente il lavoro, d’altrettanto si fa impotente il lavoratore; di tanto si arricchisce di cultura il lavoro, d’altrettanto si priva di cultura il lavoratore e lo si fa schiavo della natura.

La NE nasconde l’estraniazione nell’essenza del lavoro (54) col non analizzare l’immediato rapporto del lavoratore (del lavoro) con la produzione. Tuttavia. Il lavoro produce cose meravigliose per i ricchi, ma spoglia (entblöβen) il lavoratore. Il lavoro produce palazzi, ma tane per i lavoratori. Il lavoro produce bellezza, ma per i lavoratori catapecchie (Verkrüppelung). La NE sostituisce il lavoro con le macchine, ma riconsegna una parte dei lavoratori ad un lavoro barbarico e riduce l’altra parte a macchina. La NE produce spirito (Geist), ma anche idiozia e cretinismo per i lavoratori. L’immediato rapporto del lavoratore con i suoi prodotti è il rapporto del lavoratore con gli oggetti della sua produzione.[7] Il rapporto del ricco [letteralmente, des Vermögenden]  con gli oggetti della produzione e con questa stessa è solo una conseguenza di quel primo rapporto – e così lo conferma. Quando ci chiediamo quale sia il rapporto essenziale del lavoro, ciò che ci chiediamo è quale sia il rapporto del lavoratore con la produzione.

L’Entfremdung non si mostra solo nel rapporto fra l’operaio e il risultato della produzione, ma anche nell’atto della produzione … Il prodotto è solo il risultato dell’attività di produzione. Se dunque il prodotto del lavoro è l’Entäuβerung, allora la stessa produzione deve essere la pratica Entäuβerung dell’attività, l’attività dell’Entäuβerung … In cosa consiste la Entäuβerung del lavoro? In primo luogo, che il lavoro è esterno al lavoratore, cioè non appartiene alla sua essenza (Wesen), nel fatto cioè che nel suo lavoro egli non si afferma, ma si nega, non si sente soddisfatto ma infelice, non sviluppa alcuna energia libera e culturale (geistig), ma piuttosto si abbrutisce fisicamente e rovina culturalmente. Il lavoratore si sente presso di sé al di fuori  (auβer) del lavoro, mentre nel lavoro si sente estraneo a sé. (55)

Zu Hause ist er, wenn er nicht arbeitet, und wenn er arbeitet ist er nicht zu Hause (Il lavoratore è presso di sé quando non lavora, mentre quando lavora è estraneo a sé).

Non vi è dunque lavoro libero, ma lavoro coatto, obbligato. Così il lavoro non è la soddisfazione di un bisogno, ma solo un mezzo per soddisfare bisogni esterni al lavoro stesso. La sua (del lavoro) estraneità (Fremdheit) si mostra in questo, che non appena venga a mancare una qualche costrizione fisica o di altro tipo, il lavoro viene evitato come la peste… In fine, l’esteriorità del lavoro per il lavoratore si mostra in questo, che il lavoro non è suo proprio, ma di un altro, che non gli appartiene, ma appartiene ad un altro.

Come nella religione l’attività propria della fantasia umana, del cervello e del cuore umani opera indipendentemente dall’individuo, dunque, come una attività estranea, divina o diabolica, analogamente l’attività del lavoratore non opera come la sua stessa attività. La sua attività appartiene ad un altro e, per il lavoratore è la perdita di se stesso.

Il risultato di ciò è che l’uomo (il lavoratore) si sente fonte di libera attività solo nelle sue funzioni animali, nel mangiare, nel bere, nel procreare, nell’abitare, vestirsi, ecc.; nelle sue funzioni umane, invece, si sente nulla più che un animale. L’animalesco diviene l’umano e l’umano diviene l’animalesco.

I due lati dell’Entfremdung: 1) dell’attività pratica umana, cioè il lavoro, dunque l’Entfremdung del lavoratore rispetto al risultato del suo lavoro, che gli diviene un’estranea e dominante (mächtig) oggettività: dieses Verhältnis ist zugleich das Verhältnis zur sinnlichen Auβenwelt, zu den Naturgegenstänstehenden als einer fremden, ihm feindlich gegenüberstehenden Welt (questo rapporto è parimenti il rapporto con l’esterno mondo sensibile, con gli oggetti naturali, come mondo contrapposto estraneo e nemico).

2) il rapporto del lavoro con l’atto della produzione, all’interno del lavoro: si tratta del rapporto del lavoratore con la sua stessa attività, che non gli appartiene, dunque l’attività come sofferenza, la forza come mancanza di forza, la generazione come svilimento (Entmannung); l’autoestraneazione.

Da questi due lati dell’estraniazione se ne ricava un terzo (56): l’uomo è un’essenza generica (Gattungswesen), non solo in quanto egli fa, praticamente e teoreticamente, del genere –sia proprio che delle altre cose- un suo oggetto, ma anche … perché egli si rapporta a se stesso come al genere vivente e attuale, dunque a se stesso come essenza universale e, per questo, libera.[8]

Abbiamo preso le mosse da un fatto nazionaleconomico, dall’estraniazione del lavoratore e della sua produzione; abbiamo esplicitato il concetto di questo fatto: il lavoro alienato, estraniato; abbiamo analizzato questo concetto, dunque, abbiamo analizzato un fatto nazionaleconomico.[9] Andiamo più avanti ora nel vedere come il concetto di lavoro estraniato, alienato nella realtà debba esprimersi e rappresentarsi.

Quando il prodotto del mio lavoro mi diviene una realtà estranea, nemica, a chi allora appartiene? (59)

Il rapporto estraniato dell’uomo col suo prodotto, proviene dal rapporto che l’uomo ha con l’altro uomo.

Il lavoro estraniato è il risultato del movimento, che porta alla proprietà privata. (60)

 

Già nelle pagine che abbiamo visto, la critica alla NE, in quanto teoria del modo capitalistico di produzione (d’ora in avanti, KPW), non si arresta al terreno economico-sociale, perché è anche critica del modo di costruire un teoria scientifica (in particolare, il modo di costruire quello strumento fondamentale che è l’astrazione), nonché critica dell’implicito morale, che il modo di analisi sottende ed espone  (Marx parla spesso del cinismo della NE.

A riprova di questo intreccio di temi, presente in Marx, volgiamoci alle sue pagine, raccolte in Scritti inediti di economia politica, pubblicato a Roma nel 1963- Ci interesseranno particolarmente certe osservazioni a proposito di J, Mill e di Ricardo: la critica di Marx si volge al modo di costruire astrazioni, dalla pretesa scientifica, che è proprio della NE.

Questo modo incorre in due difficoltà fondamentali: la prima, tradizionalmente parte dell’approccio empiristico, consiste nell’ impegno a guadagnare l’essenza di un certo campo d’oggetti,scartando ciò che specifica ognuno di essi, con il risultato di non riuscire poi a mostrare come dall’essenza si possa ridiscendere a quel particolare specifico.

La seconda difficoltà, che discende certamente dalla prima, è di giungere ad un essenza o legge, che non tanto si sviluppa (si ricordi l’identità fra spiegare e svolgere, che troviamo nella tradizione dialettica di Hegel e di Marx)) a partire dai fenomeni, quanto piuttosto si solleva –nella sua irraggiungibilità- al di sopra di essi; tanto che l’economista è costretto a riconoscere che i caratteri da lui raccolti nella legge o essenza, in realtà sono arbitrari ed avrebbero potuto esser altri.

L’essenza dell’errore degli economisti è ben espressa da J. Mill, quando indica il denaro come intermediario dello scambio. L’obiezione di Marx consiste nel puntualizzare che l’essenza del denaro è il fatto che in esso viene alienato il movimento e l’attività mediatrice, l’atto umano, sociale, in cui i prodotti dell’uomo si integrano scambievolmente, il fatto che la proprietà di una cosa materiale esterna all’uomo diventa proprietà del denaro (…) Dovrebbe essere l’uomo stesso l’intermediario per l’uomo e invece, attraverso quell’intermediario esterno, l’uomo guarda alla sua volontà, alla sua attività, al su rapporto con altri, come ad una potenza indipendente da lui e dagli altri (…) questo intermediario diventa un vero dio poiché l’intermediario è la vera potenza su ciò con cui egli mi media.

Gli oggetti una volta separati da questo intermediario hanno perduto il loro valore.

 



[1] - Non necessariamente questo significa che scompaiono le differenti forme e tipi di proprietà e di lavoro dipendente, ma sì che, quali che siano quelle diversità, non fanno che sostanzialmente riproporre la polarità, di cui sopra: Insomma, tutto si riduce alla separazione capitale/lavoro.
[2] - “L’Economia Nazionale procede dal fatto della proprietà privata, ma non lo spiega; l’Economia Nazionale coglie il processo materiale, che la proprietà privata in realtà percorre, sotto l’aspetto di formule generali, astratte, che per essa valgono come leggi. L’Economia Nazionale non concettualizza queste leggi, ovvero, essa non sa come derivino dall’essenza della proprietà privata”. Se confronti questo brano con la distinzione tra Gesetz (legge) e Wesen (essenza), che il recensore russo della seconda edizione di Das Kapital.I. giustamente sottolinea, hai il segno di un linguaggio di Marx, che nel 1844 non è ancora ben chiaro allo stesso Marx. Ecco la sostanza della recensione russa del primo libro di Das Kapital: il recensore russo giudica strettamene realistico il metodo di ricerca di Marx, mentre il suo metodo di esposizione è infelicemente tedesco-dialettico: di primo acchito, l’esposizione marxiana è quella del più grande filosofo idealista (Idealphilosoph) –e tale nel senso tedesco del termine; ciò non toglie che Marx sia ben più realistico dei suoi predecessori e non certamente un idealista (Idealist) (MEGA, Band 23: 25). Marx dichiara di aver esposto i tratti fondamentali del suo metodo nell’Introduzione alla sua “Critica dell’economia politica”. Così prosegue il recensore russo: per Marx conta solo trovare la legge (Gesetz), che domina i fenomeni fino a quando hanno una certa forma e sono in una certa connessione; ma non solo questo, dacchè a Marx interessa la legge del mutamento, dello sviluppo dei fenomeni, del loro passaggio da una forma ad un’altra, dall’ordinamento di un insieme ad un altro (MEGA, op. cit.: 25s). Non appena ha scoperto tale legge, Marx ne studia in dettaglio le conseguenze, che si manifestano nella vita sociale, scoprire la legge significa, anche, scoprire il processo, che conduce alla fine di un ordinamento dato ed al sorgere di un altro, lo vogliano gli uomini o no (MEGA, op.cit.: 26). Marx studia il movimento sociale come un processo di storia naturale: necessità dell’ordinamento esistente, ma anche del suo superamento in un altro, quale che sia la volontà e la coscienza umana. Il punto di partenza del movimento storico non è l’idea, ma sono piuttosto le manifestazioni esteriori. Va notato come Marx commenti lo scritto del recensore russo: questi non ha fatto altro che esporre il metodo dialettico. (MEGA, op.cit.: 27).
 
[3] - Marx usa il verbo entwickeln, dunque, per lui <spiegare> significa <ricavare da uno svolgimento storico>. Pagina di Hegel, che mi pare utile per comprendere in che senso la storia sia la Entwicklung dello spirito, nel senso di svolgimento/costruzione : "lo sono attitudine, facoltà, dapprima solo naturale; questa attitudine non è dunque identica a me in quanto soggetto, in quanto pura soggettività, e così ciò che in me è dapprima solo in quanto natura, poiché non è identico con me, col mio sapere e col mio volere, non è in mio potere; io non ne sono in possesso, si tratta di qualcosa di esterno di cui devo ancora prendere possesso. E’qualcosa che debbo addomesticare, in modo da poterlo usare, da poterlo padroneggiare.  Perché le mie dita, il mio braccio, mi obbediscano, devo prima addomesticare tali forze, in modo che l'obbedienza diventi la loro propria natura. Lo stesso vale per le capacità spirituali: la memoria, l'immaginazione, persino il pensiero deve essere educato, mi deve diventare famigliare, spedito, in modo che mi sia presente quando voglio che venga eseguita una determinata attività.  Questa è una presa di possesso di determinazioni inizialmente estranee a me, alla mia volontà, alla mia libertà.” (Hegel, Le filosofie del diritto: 82-3). 
[4] -  A conferma del nesso tra begreifen ed entwickeln.
[5] - “So erklärt die theologie den Urspung des Bösen durch den Sündenfall, d. h. er unterstelt als ein Faktum,in der Form der Geschichte, was er erklären soll.” (Così la teologia spiega l’origine del male mediante il peccato originale, vale a dire che essa sottende come un fatto, nella forma di una storia, ciò che dovrebbe spiegare).
[6] - Traduco così il termine, perché da tutta la pagina si ricava la differenza tra il farsi  oggetto (alienazione, Entäuβerung) e il divenire una potenza autonoma, estranea e feindlich (Entfremdung).
[7] - Il senso di questa affermazione è che sfugge al lavoratore il sistema di relazioni  sociali, che rende possibile quel suo rapporto con l’oggetto,ovvero con la sua attività,  ma sotto forma di oggetto, di  cosa e non di <attività produttiva. Di nuovo l’Entfremdung.
[8] - Sottolinea come solo uscendo dal limite della individualità, della particolarità escludente, dunque, solo ponendosi dal punto di vista della universalità, l’uomo è libero.
[9] - La strada da Marx seguita è dichiaratamente hegeliana, nel senso che dapprima l’empirico è stato ricondotto al suo concetto; in secondo luogo, questo concetto è stato analizzato, secondo un senso di <analizzare> che non è puramente formale, ma si identifica piuttosto coll’ enucleare le proprietà del concetto, che sono proprietà logico-storiche o formali-oggettive. E’ solo tenendo presente questa precisazione, che si può comprendere come l’analisi di un fatto nazionaleconomico, sia l’analisi di una oggettiva realtà o situazione economica.

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