Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2014/05/tra-cartesio-e-hume-stefano-garroni.html
https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/09/il-dualismo-mente-corpo-un-dilemma.html
La teoria Marxista poggia la sua forza sulla scienza... che ne valida la verità, e la rende disponibile al confronto con qualunque altra teoria che ponga se stessa alla prova del rigoroso riscontro scientifico... il collettivo di formazione Marxista Stefano Garroni propone una serie di incontri teorici partendo da punti di vista alternativi e apparentemente lontani che mostrano, invece, punti fortissimi di convergenza...
mercoledì 14 settembre 2016
martedì 13 settembre 2016
intervista a Emiliano Brancaccio*- Giacomo Russo Spena
*Da: http://temi.repubblica.it/
“Mettiamocelo bene in testa: in Europa non c’è nessuna
svolta, nessun vento federalista di cambiamento. La sostanza delle politiche
economiche non è cambiata. L’eurozona resta sull’orlo della deflazione, con
effetti tremendi per le economie più fragili e per i lavoratori di tutto il
continente. Il sentiero che stiamo percorrendo è palesemente insostenibile”.
L’economista Emiliano Brancaccio non ha mai aderito allostorytelling renziano
sulle possibilità di rilancio del progetto di unificazione europea. Anzi, nel
commentare le recenti decisioni di politica monetaria e le proposte di gestione
del post-Brexit, Brancaccio mette in luce l’affiorare di crepe sempre più
profonde nell’assetto istituzionale e politico dell’Unione.
Professore, la settimana scorsa Mario Draghi ha dichiarato che per i prossimi mesi la BCE non immetterà ulteriori dosi di liquidità nell’economia europea. Possiamo affermare che nel direttorio di Francoforte questa volta Draghi ha perso, e che hanno vinto i “falchi” dell’austerity guidati dal tedesco Weidmann?
Il problema non riguarda solo la quantità totale di liquidità erogata, ma anche l’impossibilità di indirizzarla verso i soggetti maggiormente in difficoltà. Le regole attuali impongono alla BCE di acquistare titoli secondo quote pressoché fisse tra i vari Paesi, il che significa che larga parte delle erogazioni della banca centrale finisce in Germania anziché nelle economie che ne avrebbero più bisogno. Per iniziare ad affrontare i problemi di solvibilità dei Paesi più fragili bisognerebbe almeno superare questi aspetti così regressivi della politica monetaria europea. Ma i conservatori, tedeschi e non solo, ormai bloccano anche le più modeste istanze di rinnovamento.
Questo significa che la BCE non riuscirà a perseguire l’obiettivo d’inflazione che si era data?
Le banche centrali non hanno mai avuto il potere di controllare l’inflazione. Il loro vero compito è di definire le condizioni generali di solvibilità delle unità economiche. Con le attuali regole, la solvibilità è del tutto compromessa in Grecia, e in prospettiva non è garantita nemmeno in Italia e negli altri Paesi del Sud Europa.
lunedì 12 settembre 2016
NEO-AMERICANISMO, marxismo ed esercito di miseria di riserva* - Aurelio Macchioro

Il fenomeno più saliente su cui vorrei richiamare la
vostra attenzione è la coesistenza di sviluppo o sottosviluppo tanto nel suo
significato originariamente marxiano (il capitalismo ha per sua intrinseca
dialettica la formazione di eserciti di disoccupazione di riserva),
quanto sotto forma di scambio ineguale, quanto nelle sue “odierne” specificità
di riscoperta della miseria.
domenica 11 settembre 2016
La filosofia del “limite” nel secolo del nichilismo. Intervista a Remo Bodei di Francesco Postorino*

Il concetto del «limite» come è stato interpretato nelle diverse epoche
e, in particolare, nella modernità?
Diversamente dal mondo antico, dove l’andare oltre i confini
stabiliti dalla divinità è hybris che viene punita, la modernità è un andare al
di là dei limiti, un plus ultra, un navigare verso l’ignoto. Nelle sue
avventure spirituali e nello slancio verso la scoperta di terre incognite, il
pensiero moderno ha infranto i divieti di indagare sui misteri della natura,
del potere e di Dio, rivalutando così la curiosità prima condannata come
“concupiscenza degli occhi”. Sebbene non si debba avere una concezione
trionfalistica della modernità, come innovazione pura, completa rottura dei
ponti con il passato, essa certamente ha sfidato molti tabù imposti dalla
tradizione, specie quelli segnati dalla religione cristiana.
Il lungo, ma oggi accelerato processo della cosiddetta
globalizzazione ha ovviamente portato mutamenti radicali all’idea di limite. I
confini degli Stati sono diventati “porosi”, civiltà prima lontane o
indifferenti si intersecano, si incontrano e si scontrano. I mezzi di
comunicazione di massa e le migrazioni mutano il panorama. Ma le principali
civiltà contemporanee hanno davvero cancellato tutti i limiti? O non è meglio
sostenere che alcuni li hanno addirittura riproposti e perfino violentemente
rafforzati mediante la restaurazione dogmatica di fedi, mentalità e
comportamenti del passato (come nel caso dell’applicazione letterale della
sharia, che significa, appunto, ritorno alla “strada battuta”)? Ci sono limiti
da rifiutare e limiti da conservare. Per distinguerli occorre coltivare l’arte
del distinguere, lasciandosi guidare, nello stesso tempo, da un’adeguata
conoscenza delle specifiche situazioni, da un ponderato giudizio critico e da
un vigile senso di responsabilità.
Se guardiamo specificamente alla filosofia, nel periodo da
Locke a Kant, la filosofia moderna si è interrogata a lungo sui limiti
dell’intelletto umano. Fin dove può giungere una solida conoscenza basata
sull’esperienza o sul sapere matematico prima di lasciare spazio alla fede o
alla metafisica, ossia a questioni indecidibili e a convinzioni non
razionalmente argomentabili? Se per Locke ogni idea trae il suo materiale
unicamente dall’esperienza dei sensi, è chiaro che non si può attribuire valore
di verità a quanto si pone al di fuori di essa. Kant, a sua volta, delimita la
sfera di validità dell’esperienza paragonando l’intelletto a un’isola dai
confini ben precisi, circondata da un mare di apparenze, verso il quale gli
uomini si sentono però irresistibilmente attratti.
La tentazione da evitare è quella di lasciarsi attirare
dalle Sirene della metafisica, che invitano allo scriteriato viaggio
nell’oceano dell’apparenza, di lasciarsi sedurre da ciò che è inverificabile e
contrario all’unica verità alla nostra portata, quella dettata dall’esperienza.
Non bisogna quindi abbandonare il solido terreno di quest’isola dai “confini
immutabili” per affrontare un’impresa che è, comunque, destinata al naufragio.
Sul terreno della dialettica, ossia dell’illusione di poter risolvere problemi
insolubili (ad esempio, se l’anima è mortale o immortale o se l’universo è
finito o meno), non ci sono altro che “antinomie”, soluzioni in contraddizione
tra loro.
sabato 10 settembre 2016
Un discorso di Hegel*
*Da: http://www.badiale-tringali.it/
(Nel 1808 Hegel assunse l'incarico di rettore del
Ginnasio di Norimberga. Nel settembre del 1809, a conclusione del primo anno
scolastico, tenne il seguente discorso sul significato degli studi classici.
Paolo Di Remigio ci propone questa traduzione commentata. Leggendola siamo
stati colpiti dalla lucidità e dall'attualità delle parole di Hegel su cosa
siano cultura ed educazione. Per questo ci sembra interessante proporvelo.
Ringraziamo l'amico Di Remigio per questa opportunità. Il testo appare anche su
"Appello al popolo". M.Badiale)
In occasione del conferimento solenne dei premi che l'Autorità
Suprema conferisce agli alunni distintisi per i loro progressi al fine
di gratificarli e ancor più di spronarli, sono incaricato da Graziosissimo
Ordine di illustrare in un pubblico discorso la storia del Ginnasio nell'anno
passato, e di toccare quegli argomenti di cui può essere utile parlare per la
loro relazione al pubblico. L'invito alla deferenza con cui ho da compiere
questo incarico è proprio della natura dell'oggetto e del contenuto, che
consiste in una serie di liberalità del Re o di loro
conseguenze, e la cui illustrazione implica la necessità di esprimere la più
profonda gratitudine per esse –una gratitudine che, insieme al pubblico,
mostriamo alla cura sublime che l'Autorità dedica agli Istituti pubblici di
istruzione1. –
Ci sono due rami dell'amministrazione pubblica per il cui buon ordinamento i
popoli usano essere più di ogni altra cosa riconoscenti: buona amministrazione
della giustizia e buoni istituti di istruzione; infatti soprattutto di questi
due rami, dei quali uno tocca la sua proprietà privata in generale, l'altro la
sua proprietà più cara, i suoi figli, il privato comprende e sente i vantaggi e
gli effetti immediati, vicini e individualizzati.
Questa città ha riconosciuto il bene di un nuovo ordinamento scolastico con
tanta più vivacità quanto maggiore e più universalmente sentito era il bisogno
di un cambiamento2.
Il nuovo Istituto ha poi avuto il vantaggio di seguire
Istituti non nuovi, ma antichi, durati più secoli; così
gli è si potuta connettere la pronta rappresentazione di una lunga durata, di
una permanenza, e la fiducia corrispondente non è stata disturbata dal pensiero
opposto che il nuovo ordinamento sia qualcosa di soltanto fuggevole, di
sperimentale, – un pensiero che spesso, in particolare quando si fissa negli
animi di coloro ai quali è affidata l'esecuzione immediata, finisce con lo
svilire di fatto un ordinamento a un mero esperimento3.
Un motivo interno di fiducia è però che, nel migliorare ed estendere
essenzialmente il tutto, il nuovo Istituto ha conservato il principio
dell'antico e ne è soltanto una prosecuzione. Ed è notevole che questa
circostanza costituisca il caratteristico e l'eccellenza del nuovo ordinamento4.
venerdì 9 settembre 2016
CULTURA O IDEOLOGIA?*- Alessandra Ciattini
Ascoltando con atteggiamento critico il linguaggio politico
e quello massmediatico, assai spesso coincidenti, si può cogliere questa
paradossale contraddizione: da un lato, le ideologie sono finite ed è quindi
opportuno fare costantemente riferimento ai “fatti”; dall’altro, formulando
qualche considerazione, ci si appresta a sottolineare che essa è esclusivamente
frutto della propria personale opinione, ovviamente sempre rispettabile perché
viviamo in un “sistema democratico”.
Sembrerebbe, quindi, che per un verso, si è del tutto
convinti che esistano “fatti” osservabili e identificabili indipendentemente
dal punto di vista di chi esprime una valutazione; e, infatti, a proposito ad
esempio di una certa misura economica da prendere, si ripete ciò non è
né di destra né di sinistra, perché sta nelle cose. Per l’altro
verso, con una vena relativistica, assai antipatica alla Chiesa cattolica, si
ribadisce che ognuno ha legittimamente le proprie opinioni, in cui si esprimono
scelte culturali differenti, tutte accettabili.
Nel primo caso si identifica l’ideologia con un insieme di
preconcetti, appartenenti ad un passato ormai superato, e applicati in maniera
dottrinaria e semplificatoria. Nel secondo caso il richiamo implicito è,
invece, alla nozione di cultura, che a sua volta rimanda alla convinzione che
l’uomo contemporaneo abbia di fronte a sé una miriade di opzioni culturali, tra
le quali potrà individuare quella che gli consentirà una più piena
realizzazione di sé. Per verificare il carattere mistificante di quest’ultima
affermazione, basta fare un’operazione assai semplice: esaminare i diversi
programmi televisivi, offerti dai numerosissimi canali che abbiamo a
disposizione, cercando di cogliere punti di vista differenti a proposito di
questioni che non siano la scelta tra mode effimere ed evanescenti. Insomma,
sostanzialmente ci viene servita sempre la stessa salsa, anche se si cerca di
presentarla come innovatrice o addirittura trasgressiva. Quindi,
contraddittoriamente, talvolta, ci si richiama alla “positività immutabile dei
fatti”, talaltra, invece si mette in luce la possibilità del pluralismo
culturale, in realtà praticato assai superficialmente e certamente non in
ambiti di cruciale rilevanza (come per esempio il carattere effettivamente
democratico dei nostri sistemi politici). Pluralismo culturale che ha anche
prodotto la bizzarra equiparazione tra cultura quotidiana e cultura alta,
concepite come forme semplicemente diverse, ma ugualmente profonde, di
attribuire significati al momento storico, cui appartengono.
giovedì 8 settembre 2016
Il concetto marxiano di bisogno[1]*- Agnes Heller

Riassumendo le proprie scoperte economiche, rispetto
all’economia politica classica, Marx elenca i seguenti punti:
1. Elaborazione della teoria secondo la quale il lavoratore vende al capitalista non il suo lavoro, ma la sua forza-lavoro.
2. Elaborazione della categoria generale del plusvalore e sua dimostrazione (profitto, salario e rendita fondiaria sono soltanto forme fenomeniche del plusvalore).
3. Scoperta del significato del valore d’uso (Marx scrive che le categorie valore e valore di scambio non sono nuove, ma sono riprese dall’economia politica classica).
Se si analizzano le tre scoperte che Marx si attribuisce, non è difficile dimostrare che in qualche modo sono costruite tutte sul concetto di bisogno.
Esaminiamo dapprima il valore d’uso. Marx definisce la merce come valore d’uso nel modo seguente: “La merce è [...] una cosa che mediante le sue qualità soddisfa bisogni umani di un qualsiasi tipo.”[2] È irrilevante a questo proposito se si tratti di bisogni dello stomaco o della fantasia. La soddisfazione del bisogno è la conditio sine qua non per qualunque merce. Non esiste alcun valore (valore di scambio) senza valore d’uso (soddisfazione di bisogni), ma possono ben esistere valori d’uso (beni) senza valore (valore di scambio), sebbene soddisfino bisogni (secondo la loro definizione). Sia fin d’ora chiaro che Marx è solito definire attraverso il concetto di bisogno, ma non definisce mai il concetto di bisogno, anzi non descrive nemmeno cosa si debba intendere con tale termine.
1. Elaborazione della teoria secondo la quale il lavoratore vende al capitalista non il suo lavoro, ma la sua forza-lavoro.
2. Elaborazione della categoria generale del plusvalore e sua dimostrazione (profitto, salario e rendita fondiaria sono soltanto forme fenomeniche del plusvalore).
3. Scoperta del significato del valore d’uso (Marx scrive che le categorie valore e valore di scambio non sono nuove, ma sono riprese dall’economia politica classica).
Se si analizzano le tre scoperte che Marx si attribuisce, non è difficile dimostrare che in qualche modo sono costruite tutte sul concetto di bisogno.
Esaminiamo dapprima il valore d’uso. Marx definisce la merce come valore d’uso nel modo seguente: “La merce è [...] una cosa che mediante le sue qualità soddisfa bisogni umani di un qualsiasi tipo.”[2] È irrilevante a questo proposito se si tratti di bisogni dello stomaco o della fantasia. La soddisfazione del bisogno è la conditio sine qua non per qualunque merce. Non esiste alcun valore (valore di scambio) senza valore d’uso (soddisfazione di bisogni), ma possono ben esistere valori d’uso (beni) senza valore (valore di scambio), sebbene soddisfino bisogni (secondo la loro definizione). Sia fin d’ora chiaro che Marx è solito definire attraverso il concetto di bisogno, ma non definisce mai il concetto di bisogno, anzi non descrive nemmeno cosa si debba intendere con tale termine.
mercoledì 7 settembre 2016
KANT - Maurizio Ferraris
« L'Illuminismo è l'uscita dell'uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l'incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stesso è questa minorità, se la causa di essa non dipende da difetto d'intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! È questo il motto dell'Illuminismo.»
(Immanuel Kant da Risposta alla domanda: che cos'è l'Illuminismo?, 1784)
martedì 6 settembre 2016
Il neoliberismo è un progetto politico*- B. S. Risager intervista David Harvey

Undici anni fa, David Harvey pubblicava “Breve
storia del Neoliberismo” (in Italia edito da Il Saggiatore, ndt), ad oggi
uno dei libri più citati sull’argomento.
Gli anni passati da allora hanno visto nuove crisi economiche
e finanziarie, ma anche nuove ondate di resistenza, che di per se spesso
mettono nel mirino proprio il “neoliberismo” nella loro critica della società
contemporanea.
Cornell West parla del
movimento “Black Lives Matter” (il movimento originatosi nella comunità
afro-americana contro le continue violenze della polizia contro le persone di
colore, ndt) come di “un’accusa verso il potere neoliberale”; Hugo Chavez
chiamava il neoliberismo un “percorso verso l’inferno”;
e i leader sindacali stanno usando in maniera crescente il termine per
descrivere il tipo di struttura più ampia in cui avvengono le lotte per il
lavoro. Anche la stampa mainstream ha iniziato ad usare il termine, se non
altro per argomentare che il
neoliberismo non esiste.
Ma di che cosa parliamo esattamente quando parliamo di
neoliberismo? È un bersaglio utile per dei militanti socialisti? E come è
cambiato dalla sua genesi avvenuta nel tardo ventesimo secolo?
Bjarke Skærlund Risager, un dottorando presso il
Dipartimento di Storia delle Idee dell’Università di Aarhus, si è seduto al
tavolo con David Harvey per discutere la natura politica del neoliberismo, come
esso ha trasformato le modalità di resistenza, e perché la sinistra deve ancora
essere seria riguardo all’obbiettivo di terminare il capitalismo.
lunedì 5 settembre 2016
Hannah Arendt*- Simona Forti**
*Da: BCT Biblioteche Civiche Torinesi **Simona_Forti è una filosofa italiana.
Leggi anche: http://www.pansofia.it/files/2014/11/06/396-vita-activa_Arendt.pdf
http://isematadellessere.blogspot.it/2010/03/hannah-arendt-la-vita-della-mente.html
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/08/le-passioni-tra-heidegger-e-aristotele.html
Leggi anche: http://www.pansofia.it/files/2014/11/06/396-vita-activa_Arendt.pdf
http://isematadellessere.blogspot.it/2010/03/hannah-arendt-la-vita-della-mente.html

domenica 4 settembre 2016
sabato 3 settembre 2016
Simone Weil* - Riccardo Bellofiore
*in "Nuvole", n. 2, dicembre 1991-gennaio
1992)(seguita da breve antologia, stesso numero)
La democrazia, il potere della maggioranza, non sono un bene. Sono mezzi in vista del bene, stimati a torto o a ragione efficaci. Se la repubblica di Weimar, invece che Hitler, avesse deciso per le vie più rigorosamente parlamentari e legali di mettere gli ebrei nei campi di concentramento e di torturarli raffinatamente fino alla morte, le torture non avrebbero per questo un atomo di legittimità in più di quanto non ne abbiano attualmente. E una cosa simile non è affatto inconcepibile.
(Simone Weil, Diario, n. 6, p.4, 1943)
Scrive di lei Georges Bataille in L'azzurro del
cielo: "Sentivo che una simile esistenza non poteva avere senso se non
per uomini e per un mondo votato alla sventura." E ancora: "Pensai: è
macabra, ma è l'unica che capisca." Eccessiva e irritante. Ma anche:
un'intelligenza affilata come una lama, un'inesausta volontà di capire e
trasformare. La sua inquietudine, e in certo senso anche la sua
autodistruttività, si accompagnano a quella domanda tutt'ora inevasa che ci
viene da un'esperienza al tempo stesso radicale e razionale. Di chi non ha
rimosso, né si è acquietata, nell'impotenza e nella sconfitta. Di chi ha
lottato con il cuore caldo e la mente lucida. Di chi ha saputo tenere alti,
insieme, i valori dell'individuo e quelli di una liberazione collettiva. Di chi
ha saputo, insomma, essere di parte senza mai essere di partito - fosse una
qualche Internazionale, o una qualche Chiesa.
Nasce a Parigi nel 1909, da una famiglia ebraica ma non
confessante. Si dichiara bolscevica a dieci anni: ma il suo sarà sempre un
comunismo libertario, con tratti anarchici. Allieva al liceo di Alain, si
laurea con una tesi su Descartes, autore che non cesserà di amare. Insegnante,
sindacalista rivoluzionaria, va in Germania nell'agosto del 1932, e vi vede
l'impotenza del proletariato tedesco e del movimento rivoluzionario, la
competizione tra le burocrazie socialdemocratica e comunista, la divisione e la
cecità della sinistra che preparano la disfatta. Ne cerca le cause dapprima in
una analisi non compiacente della crisi sociale ed economica, e poi in un
ripensamento radicale del marxismo, della forma e dell'origine dello
sfruttamento. Consegnerà le sue tesi ad uno scritto pubblicato postumo, quelle Riflessioni
sulle cause della libertà e dell'oppressione sociale (1934) a cui premette
una frase di Spinoza: "Riguardo alle cose umane non ridere, non piangere,
non indignarsi, ma capire." Un atteggiamento stoico che la avvicina a Rosa
Luxemburg, cui dedicherà una recensione breve ed appassionata.
venerdì 2 settembre 2016
giovedì 1 settembre 2016
Studio su Hegel: LA LOGICA - Stefano Garroni
Quarta parte: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/10/studio-su-hegel-filosofia-storia-etica_13.html
[1] - Hegel,
1130.1, §. 19 - La logica è la scienza (Wissenschaft)
della pura (reine) idea, cioè dell’idea
nell’ astratto elemento del pensare (Denken)... La logica è la scienza del
pensare, delle sue determinazioni e leggi, ma il pensare in quanto tale
definisce solo la determinatezza generale
o l’ elemento, in cui l’idea è in
quanto logica. L’idea non è il pensiero formale, ma (il pensare) in quanto la
totalità sviluppantesi delle sue (del pensiero) proprie determinatezze e leggi,
che esso stesso si dà -non che ha o trova già in sé.[1]
La logica può esser detta la scienza più
difficile, in quanto non ha a che fare con intuizioni (Anschauung) e neppure con astratte rappresentazioni sensibili come
la geometria; essa ha invece a che fare con le pure astrazioni e richiede la
capacità e la forza di districarsi nel puro pensiero, di muoversi con sicurezza
entro di esso, in quanto puro pensiero. (67). La differenza tra logica e
matematica -l’argomento è lo stesso fatto per la geometria-, in pp. 70s (cf.
Cingoli, 7464: 22).
[Quindi,
la logica studia l’idea, ma nell’ astratto elemento del pensare non nel Dasein; la logica studia l’astratto pensare, come una totalità, che produce
le sue stesse leggi e determinazioni. Il
tutto avviene entro lo spazio del puro pensiero astratto; qui non compare
affatto il Dasein].
Ma la logica può anche esser detta la scienza più
facile, in quanto il suo oggetto è il pensare e le sue famigliari (geläufig) determinazioni. -[Si può dire, in questo senso, che Hegel
stabilisce una relazione fra logica e conoscenza ordinaria? Per come prosegue il testo di Hegel, per
come sottolinea che nelle mani della logica
la Bekanntschaft
diventa tale in un senso diverso da quello della quotidianità, direi che è
legittima la tesi seguente: l’elaborazione hegeliana si applica sul
<comune>, sull’<abituale> -in questo senso, sul <quotidiano>,
ovviamente riplasmandolo.]
La logica è utile in quanto apprende a pensare, ad
avere in testa il pensieri in quanto pensieri; ma la logica è anche la forma
assoluta della verità, dunque, la verità stessa: la logica è utile in quanto
assicura il formale uso del pensare.
mercoledì 31 agosto 2016
La logica di Hegel "una grottesca melodia rupestre"- Paolo Vinci
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/09/hegel-scienza-della-logica-1812.html
[...] In filosofia conta il procedimento e il risultato. L'uno determina l'altro. Cioè la via che determina il risultato è costitutiva. E' quello che Hegel chiama il 'presupposto posto'. Questo fatto che un risultato e la via che porta al risultato è altrettanto necessario come il risultato. Questo per Hegel, e lo dice nella prefazione alla Fenomenologia, è la ragione fondamentale della differenza tra matematica e filosofia.
La logica del Concetto. Che cos'è il concetto hegeliano?
Begriff
Questa sezione chiamata Concetto, terza parte della Scienza
della Logica, è un concetto dei concetti. Questa è la prima cosa da capire.
Cioè in questa sezione della logica noi abbiamo una teoria del concetto. Una
teoria del concetto che poi ci può far vedere come funzionano i concetti
filosofici.
Quando diciamo concetto, per Hegel, diciamo lo strumento
fondamentale del conoscere filosofico. Però Hegel non è un costruttivista puro. Spesso usa l'espressione 'un semplice concetto'. Perché il concetto da
se è vuoto. Anche per Hegel, come dice Kant, il concetto si deve riempire.
Soltanto che Hegel ha una idea di una qualche omogeneità tra la forma e il
contenuto.
I concetti hanno bisogno di contenuto. Il concetto hegeliano
è un modello di rapporto tra universale e particolare. Questo rapporto non è quello classico che
c'è tra universale e particolare per cui l'universale sussume il particolare.
Un modello non sussuntivo di rapporto tra universale e particolare, questo è il
concetto hegeliano.
Cosa vuol dire rapporto sussuntivo tra universale e
particolare?
martedì 30 agosto 2016
COSÌ VENT’ANNI FA L’ULIVO CONSEGNÒ L’ITALIA ALLA DOMINAZIONE GERMANICA*- Giulio Sapelli
Leggi anche: http://www.eguaglianzaeliberta.it/articolo.asp?id=1880
https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/08/il-ruolo-della-germania-nella-crisi.html
https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/08/il-ruolo-della-germania-nella-crisi.html

Son vent’anni dalla nascita de L’Ulivo, e forse non è inutile
fare il punto su quella che fu la sua politica economico-monetaria. Una
politica che si inserisce nel grande percorso di trasformazione mondiale
capitalistica ancora in corso, ma che iniziò ad apparire visibile esattamente
negli anni di cui si parla in queste pagine, ossia alla metà degli anni novanta
del Novecento.
È ormai diffusa la quasi stucchevole affermazione per
cui dalla crisi economica mondiale in corso stia emergendo una nuova formazione
economico-sociale capitalista. In questo in verità non vi è nulla di nuovo, gli
andamenti delle forze produttive sono sempre intimamente legati alle forme
della produzione e quindi ai rapporti sociali e istituzionali. Anzi, molto
spesso nella storia capitalistica questi ultimi hanno avuto un ruolo
determinante nel pre-formare le stesse forze produttive, che ben poco hanno di
meccanico e deterministico.
Il sismografo più sensibile e rilevante che segnala i
mutamenti tra forme dell’accumulazione e rapporti sociali di produzione è il
lavoro. Parlo naturalmente del lavoro vivo, incorporato in quel reticolo di
rapporti contrattuali che rinserrano la forza di lavoro, ossia quella parte del
tempo di lavoro che configura il rapporto capitalistico. In esso, vivaddio, a
essere venduto o sottoposto al lavoro comandato, non è tutto il lavoro della
persona lavoratrice, come è nei rapporti di schiavitù, ma solo il tempo durante
il quale la persona è sottoposta ai rapporti sociali di lavoro. Per capire cosa
è cambiato in questi ultimi, bisogna risalire non alla crisi in corso ma alle
sue origini.
Si tratta di vari fenomeni solo apparentemente distinti ma
l’un con l’altro legati. L’uno risale al crollo del sistema di Bretton Woods
tra il 1971 e il 1973, quando il dollaro smise di essere moneta di riferimento
e ci si avventurò in un sistema mondiale di alti tassi di interesse e di
profonda volatilità dei rapporti tra le valute. L’eccesso di liquidità che si
creò, grazie all’intensificazione dei rapporti oligopolistici sul fronte del
commercio mondiale delle materie prime, generò un profondo spostamento tra
valore della produzione e del pluslavoro che ne derivava e valore della
circolazione monetaria che iniziò a valorizzarsi a tassi molto più forti di
crescita di quanto non fosse in passato di per se stessa e con se stessa.
domenica 28 agosto 2016
Husserl - Roberta De Monticelli
Il nostro Marx*- Antonio Gramsci
*Antonio Gramsci, Scritti
politici I, a cura di Paolo Spriano, Editori Riuniti, Roma 1973
Siamo noi marxisti? Esistono marxisti? Buaggine, tu sola sei
immortale. La questione sarà probabilmente ripresa in questi giorni, per la
ricorrenza del centenario, e farà versare fiumi d'inchiostro e di stoltezze. Il
vaniloquio e il bizantinismo sono retaggio immarcescibile degli uomini. Marx
non ha scritto una dottrinetta, non è un messia che abbia lasciato una filza di
parabole gravide di imperativi categorici, di norme indiscutibili, assolute,
fuori delle categorie di tempo e di spazio. Unico imperativo categorico, unica
norma: «Proletari di tutto il mondo unitevi». Il dovere dell'organizzazione, la
propaganda del dovere di organizzarsi e associarsi, dovrebbe dunque essere
discriminante tra marxisti e non marxisti. Troppo poco e troppo: chi non
sarebbe marxista?
Eppure cosí è: tutti sono marxisti, un po',
inconsapevolmente. Marx è stato grande, la sua azione è stata feconda, non
perché abbia inventato dal nulla, non perché abbia estratto dalla sua fantasia
una visione originale della storia, ma, perché il frammentario, l'incompiuto
l'immaturo è in lui diventato maturità, sistema, consapevolezza. La
consapevolezza sua personale può diventare di tutti, è già diventata di molti:
per questo fatto egli non è solo uno studioso, è un uomo d'azione; è grande e
fecondo nell'azione come nel pensiero, i suoi libri hanno trasformato il mondo,
cosí come hanno trasformato il pensiero.
Marx significa ingresso dell'intelligenza nella storia
dell'umanità, regno della consapevolezza.
sabato 27 agosto 2016
Marx, Hegel ed il metodo. Note introduttive - Roberto Fineschi
"La teoria della critica si limita a dichiarare che tutto ciò che è determinato è un'opposizione rispetto all'universalità illimitata dell'autocoscienza, e che quindi è un nulla; così per esempio lo Stato, la proprietà privata, eccetera. E' necessario all'opposto dimostrare che Stato, proprietà privata, eccetera, trasformano gli uomini in astrazioni, o che sono prodotti dell'uomo astratto, anziché essere la realtà degli uomini individuali, concreti.
E' chiaro di per sé infine che, se la "Fenomenologia" di Hegel, nonostante il suo peccato originale speculativo, dà in molti punti gli elementi per una reale caratterizzazione dei rapporti umani, il signor Bruno e soci forniscono invece solo la caricatura priva di contenuto, una caricatura che si accontenta di estrarre da un prodotto spirituale, o anche da rapporti e movimenti reali, una qualsiasi determinatezza, di trasformare questa determinatezza in una determinatezza del pensiero, in una categoria, e di far passare questa categoria come il punto di vista del prodotto, del rapporto e del movimento, per potere quindi, con sapienza presuntuosa, dal punto di vista dell'astrazione, della categoria universale, dell'autocoscienza universale, guardare giù trionfalmente verso questa determinatezza." (Friedrich Engels – Karl Marx, LA SACRA FAMIGLIA)
E' chiaro di per sé infine che, se la "Fenomenologia" di Hegel, nonostante il suo peccato originale speculativo, dà in molti punti gli elementi per una reale caratterizzazione dei rapporti umani, il signor Bruno e soci forniscono invece solo la caricatura priva di contenuto, una caricatura che si accontenta di estrarre da un prodotto spirituale, o anche da rapporti e movimenti reali, una qualsiasi determinatezza, di trasformare questa determinatezza in una determinatezza del pensiero, in una categoria, e di far passare questa categoria come il punto di vista del prodotto, del rapporto e del movimento, per potere quindi, con sapienza presuntuosa, dal punto di vista dell'astrazione, della categoria universale, dell'autocoscienza universale, guardare giù trionfalmente verso questa determinatezza."
Video del sesto incontro del ciclo "Ripartire da Marx" organizzato da Rete dei Comunisti-Torino e da Noi Restiamo-Torino.
“Quando penso un
oggetto, lo rendo un pensato e gli tolgo ciò che ha di sensibile; lo rendo così
qualcosa che è immediatamente ed essenzialmente mio: infatti, nel pensare sono
presso di me. Elaborare il concetto significa penetrare l’oggetto, che non è
più qualcosa di contrapposto a me, perché gli ho tolto ciò che, per sé, a me si
oppone... dice lo spirito «questo è spirito del mio spirito» e l’estraneità è
dissolta. Ogni rappresentazione è una generalizzazione e quest’ultima
appartiene al pensare. Pensare qualcosa significa renderlo generale [...]
Questo è l’atteggiamento teoretico”. (Hegel, Lezioni sul diritto naturale e la scienza dello Stato -conosciute
anche come la Filosofia del diritto di Heidelberg, §.4)
Lezioni precedenti: https://www.youtube.com/watch?v=DwwxpzyGi5Q&list=PL5P5MP2SvtGiqKXQvveS3yainnuKowi9P&index=1
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