"L'essenza dello Stato è l'universale in sé e per sé,
la razionalità del volere. Ma, come tale che è consapevole di sé e si attua,
essa è senz'altro soggettività; e, come realtà, è un individuo. La sua opera in
genere, - considerata in relazione con l'estremo dell'individualità come
moltitudine degli individui, - consiste in una doppia funzione. Da una parte,
deve mantenerli come persone, e, per conseguenza, fare del diritto una realtà
necessaria; e poi promuovere il loro bene, che dapprima ciascuno cura per sé,
ma che ha un lato universale: proteggere la famiglia e guidare la società
civile. Ma, d'altra parte, deve ricondurre entrambi, - e l'intera disposizione
d'animo e attività dell'individuo, come quello che aspira ad essere un centro
per sé, - nella vita della sostanza universale; e, in questo senso, come potere
libero, deve intervenire nelle sfere subordinate e conservarle in immanenza
sostanziale." (Hegel)
Nella “Critica alla filosofia del
diritto pubblico di Hegel. Introduzione.” Marx, per la prima volta, individua
nel proletariato l’unica classe capace di sovvertire l’intero ordinamento della
società e dello Stato (la
Germania , in quel caso).
Nel linguaggio fortemente dialettico delle sue opere giovanili, Marx
così mette a fuoco la condizione proletaria e le potenzialità che ne derivano:
“Dov’è dunque la possibilità effettiva
della emancipazione tedesca? Risposta: nella formazione di una classe
con catene radicali, una classe della società civile che non sia una classe
della società civile, un ceto che sia la dissoluzione di tutti i ceti.”
Contro questa classe “viene
esercitata non un ‘ingiustizia particolare bensì l’ingiustizia senz’altro”,
essa è “in contrasto universale contro tutte le premesse del sistema politico”
e non può “ emancipare se stessa
senza…emancipare tutte le
rimanenti sfere della società”. Il proletariato è “la perdita completa
dell’uomo, e può dunque guadagnare nuovamente se stessa attraverso il completo recupero dell’uomo”.
Nel momento in cui scrive questo articolo per gli “Annali franco- tedeschi” Marx non ha ancora intrapreso gli studi di economia cui si dedicherà anima e corpo negli anni successivi: non ha ancora messo a fuoco sul piano scientifico la struttura antinomica della società capitalistica né la centralità della contraddizione capitale – lavoro. In più, è da notare come egli, consapevole della condizione di arretratezza economica e sociale della Germania dei suoi tempi, parli di “formazione” di una classe: significa che questa classe ancora non è pienamente sviluppata e che solo il suo sviluppo porrà le condizioni perché essa possa svolgere il ruolo storico che Marx le riconosce.
Voglio dire che il problema
centrale, con cui Marx si confronta qui, non è ancora quello del superamento di
un determinato sistema socio-economico fondato sulla separazione del lavoro dai
mezzi di produzione: il tema dell’assoggettamento umano appare, dunque, non come
conseguenza di particolari
rapporti di produzione, bensì nella forma dell’opposizione fra l’uomo e lo
Stato, fra “società civile” e Stato, fra l’“essenza umana” e la sua negazione nello Stato – qualsiasi
Stato.
E’ nozione di tutti come su questi
temi ( il “giovane Marx”, i suoi
rapporti con l’hegelismo, il suo “umanesimo”, la successiva cosiddetta “rottura
epistemologica ecc.) siano state scritte moltissime pagine – è sufficiente
ricordare Althusser.
Ma è fuor di dubbio, a mio avviso, che in questo breve e difficile testo si possa scorgere un elemento in grado di illuminare un aspetto del pensiero – o meglio, del modo di pensare – di Marx, che non solo non verrà meno nell’opera successiva, ma che ne costituirà, sempre, lo sfondo e il presupposto: mi riferisco all’originaria vocazione etico- morale di Marx, la stessa che lo avvicina, ma anche lo differenzia, ad altri scrittori socialisti o “comunisti” del suo tempo.
Nel parlare di “vocazione etico- morale “, però, non intendo indicare qualcosa di assimilabile a un sentimento o a un “astratto furore” – per dirla col Vittorini di “Conversazione in Sicilia”: c’è sicuramente del sentimento in Marx, e senz’altro anche del furore e una genuina indignazione, che spesso si scaricano in ironia e sarcasmo, ma non sono questi i fondamenti della sua posizione etica.
Piuttosto Marx, a partire dai suoi
primi scritti, si presenta come il più
coerente prosecutore della linea che dall’Illuminismo porta alla
Rivoluzione Francese. Quella linea, cioè,
che riconosce nell’uomo (ma c’era già in Vico) l’unico costruttore della
propria storia e, dunque, anche dello Stato della
società in quanto prodotti storici. La novità di Marx (ma rintracciabile anche
in altri) sta però nel suo scorgere che lo stesso Stato che nasce dalla
Rivoluzione giacobina, lo Stato ispirato dal “Contratto sociale di Rousseau e
portato alle estreme conseguenze dal Robespierrismo di sinistra e dal
radicalismo piccolo- borghese di Saint- Just, una volta rovesciati i tiranni si
rovescia poi a sua volta al punto da diventare egli stesso un nuovo tiranno.
Non per un errore degli uomini: ma per sua intrinseca natura, per una “legge”
storica.
Marx, ovviamente, non nega il grande progresso costituito dalla Rivoluzione francese, al contrario: egli contrappone nettamente lo Stato della Convenzione, e in generale gli Stati a costituzione democratico- rappresentativa, allo Stato prussiano- tedesco“teologico”, autoritario, censore e semi-feudale.
Ma, per usare un’espressione del linguaggio comune, quel progresso “non gli basta”. Un altro passo va compiuto sulla strada della liberazione umana, e questo passo corrisponde al superamento dello Stato in quanto tale, condizione sine qua non perché l’uomo si ritrovi finalmente padrone assoluto di se stesso: non solo nei cieli della teoria ma nella concretezza della sua esistenza effettiva.
Si può parlare di Marx, almeno in
questa fase del suo pensiero, come di
un “anarchico razionale”? Forse a questa
domanda si può rispondere affermativamente a patto di porre l’enfasi sul
termine “razionale”, vale a dire sulla consapevolezza, che in Marx è senz’altro presente, che non si
tratta di distruggere fisicamente un
apparato più o meno oppressivo la cui semplice scomparsa restituirebbe
magicamente agli uomini la completa libertà. Tutt’altro: la libertà umana è
un presupposto, non una conseguenza, del
superamento dello Stato. Infatti, solo attraverso l’esercizio della libertà
questo processo potrà compiersi: ma non della libertà formale, nemmeno di
quella vigente nelle democrazie rappresentative, bensì di quella libertà che Marx vede come propria dell’essenza umana
e che fa degli uomini, in ogni circostanza, dei creatori di se stessi.
Marx, si può dire in anticipo su se stesso, individua nel proletariato l’iniziatore e il catalizzatore di questo processo. Lo fa ancora prima di diventare propriamente “comunista”, il che comunque avverrà da lì a poco. Lo fa perché crede che l’uomo sia qualcosa per cui valga la pena spendersi: in questo è un grande erede dell’Illuminismo e ancora in questo sta la sua originaria ispirazione etica.
Aristide Bellacicco (Collettivo di formazione
marxista Stefano Garroni)
L'audio dell'incontro: https://www.youtube.com/watch?v=-ZEUew5oY3c