*(Collettivo di formazione marxista "Stefano Garroni")
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2013/12/contributo-una-discussione-aristide.html
Insomma, è vero o no che il capitale non riesce più a valorizzarsi attraverso la vendita delle merci? E che questo è il primum movens della crisi che colpisce la maggioranza di noi tutti? E' vero o no, in altri termini, che la cosiddetta "crisi finanziaria" è in realtà l'effetto di una crisi di sovrapproduzione? Sì, è vero: e non tanto e non solo perchè "ce lo insegna Marx" ma perchè chiunque si sottoponga allo sforzo di un minimo approfondimento della letteratura economica internazionale (un fiume di parole) può constatare che tale consapevolezza giace nell'inconscio del capitale allo stesso modo di un ricordo o di una scena primaria vittima della rimozione nell'inconscio freudiano.
Dunque, il capitale "sa" - ma nella maniera vile e ipocrita che gli è solita - che l'economia da esso generata poggia sulla sabbia. Spesso, nei periodi di crisi, tale consapevolezza è affiorata: la soluzione roosveltiana del '29 e il pensiero economico di Keynes ne costituiscono, credo, due delle maggiori testimonianze nel ventesimo secolo.Ma il capitale è il capitale: non ci si può aspettare che si superi o si neghi da sè, così come non si può chiedere a un nevrotico di prendere coscienza, senza, appunto, l'intervento di un altra "coscienza", dei problemi che lo affliggono.Allora viene la tentazione di prendere per buona la seguente domanda: chi è, o chi può essere, "l'analista" del capitale? Chi può "aiutarlo"?Ma è una domanda sbagliata e, dunque, non prevede risposte. Tutti coloro, PD in testa, che hanno votato le norme sulla stabilizzazione del bilancio pubblico (orribilmente denominate fiscal compact) sono caduti, consapevolmente o meno, in una sorta di trappola logica o psicologica. Qualsiasi tentativo, infatti, di ripristinare condizioni favorevoli alla ripresa della vendita di merci non farebbe altro che riprodurre, nel caso improbabile di un esito positivo, lo stesso meccansimo che genera le crisi.
So perfettamente che si tratta di un'analisi estremamente semplificata e addirittura rozza: ma non più rozza e superficiale della maniera in cui il capitale pensa se stesso - ammesso che lo faccia. Non si può aiutare il capitalismo: l'unica via è abbatterlo. E' il compito principale che il genere umano si trova davanti. Ma è qui e ora, in modo determinato, che questo problema si pone, non in astratto o in generale. E' "questo" capitalismo che deve essere abbattuto; siamo nel punto più basso di uno dei cicli periodici di cui parlava Trockij, e la determinatezza della situazione storica richiede risposte altrettanto determinate. La classe operaia (Italia, Spagna, Grecia) è in condizioni di estrema difficoltà: quando scende in campo, come nel caso dell'Illva è solo per difendersi, per salvare posti di lavoro e salari.E anche le forme più di "sinistra" del sindacalismo italiano (FIOM) giocano partite in difesa.Sul fronte dell' intellighenzia ufficiale c'è il più assoluto silenzio o il puro e semplice servaggio ideologico.E'come in uno di quei sogni dove ti sembra di non poterti muovere benchè il mostro sia lì a due passi e stia per sbranarti: ma tu sei fermo e provi solo angoscia.
Se le persone - tutte - non impareranno nulla da questa crisi - e tutto ciò che c'è da imparare è che il capitalismo deve essere rovesciato - allora sarà il capitale a prevalere: e la sua vittoria di Pirro trascinerà tutti con sé nella sconfitta, le cui dimensioni sono difficilmente immaginabili.E' necessario che i comunisti abbandonino slogan e parole d'ordine che oscillano fra la nostalgia e il velleitarismo e che si dedichino seriamente allo studio e al'analisi del reale. I comunisti non possono fare tutto da soli, è evidente: ma appare sempre più chiaro che l'assenza di un Partito Comunista degno di questo nome è, insieme, una delle cause e uno degli effetti della situazione che si sta attraversando.Mai come oggi il socialismo è all'ordine del giorno come unica soluzione razionale e ragionevole: mai come oggi sembra lontano il momento di una ripresa di un pensiero critico che sappia farsi largo fra le masse.
E una delle ragioni di ciò, a mio avviso sta in questo:noi tutti, comunisti compresi, ci siamo abituati a vivere nel capitalismo e per tanti anni la deriva riformistica del PCI - pur riconoscendo l'importanza di quell'esperienza - ha contribuito a questo processo. Bisogna uscire dal sogno e dall'incubo. E' vero che le teorie da sole non cambiano magicamente la storia, ma è altrettanto vero che le teorie fanno parte integrante della storia. La ricostituzione di un'avanguardia politica e culturale è il primo dei nostri compiti: la frase di Marx che dice "le società si pongono solo i problemi che hanno la capacità di risolvere" non è una profezia ma un'indicazione di lavoro.
La teoria Marxista poggia la sua forza sulla scienza... che ne valida la verità, e la rende disponibile al confronto con qualunque altra teoria che ponga se stessa alla prova del rigoroso riscontro scientifico... il collettivo di formazione Marxista Stefano Garroni propone una serie di incontri teorici partendo da punti di vista alternativi e apparentemente lontani che mostrano, invece, punti fortissimi di convergenza...
martedì 1 agosto 2017
lunedì 31 luglio 2017
La lotta di classe nell’antichità greca e romana*- Geoffrey de Ste. Croix**
*Da: https://traduzionimarxiste.wordpress.com L’articolo è apparso inizialmente sotto il titolo «Class in Marx’s conception of history, ancient and modern» in New Left Review I/146, luglio-agosto 1984. La traduzione francese, sulla base della quale è stata effettuata quella italiana, si trova in Période.
**Un breve ritratto biografico di de Ste. Croix, insieme ad un riassunto delle tesi sostenute nella sua opera principale, The Class Struggle in the Ancient Greek World (purtroppo mai tradotta in italiano), sono reperibili in questo stesso blog, Traduzioni marxiste.
Lo statuto teorico delle classi sociali nel pensiero di Marx ha suscitato numerose interpretazioni. Al fine di comprenderne il senso, G. E. M. de Ste. Croix propone di ritornare sulle difficoltà specifiche della sua pratica di storico, nonché dell’oggetto fortemente problematico di quest’ultima: le lotte di classe nell’antichità. Gli schiavi costituivano una classe nell’antica Grecia? A detta di altri storici marxisti come Vidal-Naquet e Vernant, la risposta non può che essere negativa. Di fronte a tali società, così lontane dal capitalismo contemporaneo, il solo modo per restituire senso al corso della storia, per de Ste. Croix, consiste nel ristabilire la prospettiva marxiana nella sua forma più rigorosa e coerente: le classi sono l’altra faccia del rapporto sociale di sfruttamento. L’intervento dello storico dell’antichità mostra dunque come un decentramento radicale, uno sguardo rivolto al lontano passato, possa chiarire la complessità dei rapporti sociali odierni.
È allo stesso tempo un onore ed un piacere prendere la parola qui oggi (1). È un onore che mi sia stato chiesto di tenere la conferenza annuale in memoria di Isaac Deutscher, un uomo che ha sempre seguito il proprio pensiero con grande coraggio, il quale ha cercato per tutta la vita di dire la verità, così come egli la vedeva, senza lasciarsi intimidire dagli attacchi, da qualsiasi parte provenissero. (Non posso che rimpiangere vivamente di non aver avuto occasione di conoscerlo personalmente). Ed è un piacere tenere questa conferenza alla London School of Econmics [d’ora in poi abbreviato come LSE, n.dt.]. Infatti, e la cosa potrebbe forse sorprendervi, è proprio qui che ebbi il mio primo incarico accademico, insegnandovi per tre anni all’inizio degli anni Cinquanta. «Insegnato», tuttavia, è probabilmente un termine eufemistico, poiché i miei interessi, in quanto assistente in Storia economica dell’antichità, erano assai lontani da quanto previsto dal programma del corso; e in effetti, alcuni dei miei colleghi del Dipartimento di storia economica mi hanno talvolta fatto capire – molto educatamente, sia ben chiaro – di essere un po’ infastiditi dal mio occupare un posto che, altrimenti, sarebbe stato appannaggi di qualcuno realmente utile, capace, a differenza di me, di farsi carico di parte del programma. Allora iniziai a far del mio meglio per trovar qualcuno interessato a quanto avevo da offrire; ma quando facevo il giro dei dipartimenti, chiedendo se potevo tenere delle conferenze suscettibili di riscuotere un qualche interesse fra i loro studenti, le mie proposte venivano prudentemente rifiutate. Poi, improvvisamente, con mia grande gioia, venni inserito nel programma, per quanto ad un livello marginale. Ricevetti una lettera del professore di contabilità, Will Baxter (un’autorità riconosciuta in materia nel mondo anglofono), il quale mi chiedeva di tenere dei corsi nel suo dipartimento. «Sarebbe un grande piacere per noi, era scritto nella lettera, sapere di più a proposito della contabilità dei greci e dei romani, in particolare se conoscevano il sistema della partita doppia – insomma, cose del genere». Ovviamente, io non sapevo niente in merito alla contabilità antica, non più della maggior parte degli altri antichisti, ma mi sono immerso nello studio della questione. Si rendeva necessario un enorme lavoro sulle fonti originali, poiché mi ero reso conto che non vi era praticamente niente di buono nei libri moderni. Viceversa, trovai una quantità sorprendente di testimonianze di prima mano, non solo nelle fonti letterarie e giuridiche, ma anche nelle iscrizioni e sopratutto nei papiri. Quello che scrissi rappresenta, che io sappia, l’unico studio generale sull’argomento ad aver impiegato tutte le differenti tipologie di fonte (2). (Credo venga ancora citato come riferimento). Tenni anche alcuni corsi alla LSE, tanto sulla contabilità antica quanto su argomenti correlati, come il prestito a cambio marittimo (un precursore dell’assicurazione marittima) (3): l’uditorio era costituito dal professore, dalla sua squadra e da storici dell’antichità provenienti da altre facoltà, ma non, per quanto mi era dato sapere, da studenti della LSE stessa. E persino dopo aver lasciato Londra per Oxford, ormai trent’anni fa, sono stato invitato ogni anno a ritornarvi per tenere una conferenza sulla contabilità antica e medioevale, sino alla fine degli anni Settanta.
domenica 30 luglio 2017
1867: Buon compleanno "Das Kapital"!*- Roberto Fineschi**
*Da: Maggio Filosofico **Roberto_Fineschi è un filosofo italiano
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/12/epoca-fasi-storiche-capitalismi-forme-e.html
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/12/epoca-fasi-storiche-capitalismi-forme-e.html
sabato 29 luglio 2017
Quando le latrine saranno d’oro*- Luca Cangianti
*Lenin, Economia della rivoluzione, a cura di Vladimiro Giacché, il Saggiatore, 2017, pp. 521, € 29,00. https://www.carmillaonline.com/
Vladimiro Giacché limita il suo lavoro di selezione agli scritti economici posteriori alla Rivoluzione d’Ottobre suddividendoli in tre periodi: quello riguardante i primi sei mesi di potere sovietico, il comunismo di guerra e la Nuova politica economica (Nep). Il pensiero di Lenin nel corso di queste tre fasi subisce evoluzioni, sia a causa delle emergenze del momento che per gli esiti delle sperimentazioni cui i singoli provvedimenti economici venivano sottoposti. Nei primi scritti si affrontano: i problemi sollevati dalla legge sulla socializzazione della terra che aboliva il latifondo distribuendo i campi ai contadini; il decreto sul controllo operaio che non intaccava né il diritto di proprietà né la funzione direttiva del capitalista; la nazionalizzazione del settore bancario. Gli scritti del periodo della guerra civile si focalizzano invece sulla crisi alimentare e sulle requisizioni delle eccedenze cerealicole. Nella primavera del 1918 fu infatti vietato il commercio privato del grano e istituito il monopolio statale con acquisto a prezzo fisso. Infine i contributi che vanno dal marzo 1921 allo stesso mese del 1923 sono dedicati alla Nep che sostituì le requisizioni emergenziali – volte al sostentamento degli operai e dei soldati a danno dei contadini – con un’imposta in natura, pagata la quale si riacquistava la libertà di vendere localmente i cereali.
L’intera periodizzazione è tuttavia attraversata da un filo rosso ben definito: secondo Lenin senza lo sviluppo delle forze produttive e la conseguente crescita culturale delle masse il comunismo è impossibile.
venerdì 28 luglio 2017
martedì 25 luglio 2017
domenica 23 luglio 2017
L’ingannevole abbaglio della libertà sessuale*- Alessandra Ciattini**
*Da: https://www.lacittafutura.it **Sapienza Università di Roma
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2015/06/linferiorita-della-donna-tra-natura-e.html
La libertà sessuale non costituisce l’unico obiettivo degli esseri umani, anche se così ci vogliono far credere.
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2015/06/linferiorita-della-donna-tra-natura-e.html
La libertà sessuale non costituisce l’unico obiettivo degli esseri umani, anche se così ci vogliono far credere.
Sebbene
siamo ormai del tutto assuefatti ai contenuti surrettiziamente o
esplicitamente sessuali della pubblicità, degli spettacoli che i
mass media propongono a chi, estenuato dal lavoro, cerca
semplicemente qualcosa che lo distragga dai problemi angosciosi da
cui siamo circondati, non possiamo non distanziarci da questa
ubriacatura, cercando di elaborare una qualche riflessione critica.
Come
scrive Luciano Canfora la libertà
sessuale costituisce
“il
valore assoluto”
nella società contemporanea (La
schiavitù del capitale,
2017: 90) e sarebbe opportuno chiederci perché, dal momento che gli
esseri umani hanno tante altre potenzialità che li potrebbero
stimolare al raggiungimento di gratificazioni assai diverse tra loro.
Sono
ben consapevole che scrivendo queste righe andrò incontro a numerose
critiche e sarò etichettata come moralista (come se anche l’attuale
edonismo fondato sulla ricerca del piacere sessuale non fosse una
scelta morale). Ciò nonostante, seguo per la mia strada e «lascio
dir le genti», convinta che, per affrontare gli immani problemi del
mondo contemporaneo, ci vogliano uomini e donne di una tempra morale
ben diversa da quella di coloro che sono alla continua ricerca della
soddisfazione momentanea (non a caso un film di vari anni fa, di
notevole successo, che contrapponeva romanticamente la poesia al
mondo degli affari e della tecnica, era intitolato L’attimo
fuggente).
mercoledì 19 luglio 2017
INTRODUZIONE AL «CAPITALE»* - Karl Korsch
*Da: http://www.palermo-grad.com - Si tratta dell’Introduzione ad un’edizione del Capitale uscita nel 1932 a Berlino presso la Verlagsgesellschaft des Allgemeinen Deutschen Gewerkschaftsbundes. Porta la data del 28 aprile 1932. Nel testo qui tradotto abbiamo omesso buona parte del quinto paragrafo dedicato ai problemi e criteri specifici dell’edizione in questione.
Si ringraziano Gian Enrico Rusconi per aver concesso la riproduzione della sua traduzione, Valerio Valerio per averla trasferita in Word, Riccardo Bellofiore per alcune minime correzioni al testo e Matteo Di Figlia per la preparazione del pdf del testo.
I. Come l’opera di Platone sullo Stato, il libro di Machiavelli sul Principe, il Contratto sociale di Rousseau, anche l’opera di Marx, Il capitale deve la sua grande e duratura efficacia al fatto che ad una svolta storica ha colto ed espresso in tutta la sua pienezza e profondità il nuovo principio irrompente nell’antica configurazione del mondo. Tutti i problemi economici, politici e sociali, attorno ai quali si muove teoricamente l’analisi marxiana del Capitale, sono oggi problemi pratici che muovono il mondo e intorno ai quali viene condotta in tutti i paesi la lotta reale delle grandi potenze sociali, gli Stati e le classi. Per aver compreso a tempo che questi problemi costituivano la problematica determinante per la svolta mondiale allora imminente, Karl Marx si è rivelato ai posteri come il grande spirito preveggente del suo tempo. Ma neppure come massimo spirito del suo tempo egli avrebbe potuto cogliere teoricamente questi problemi e incorporarli nella sua opera, se essi non fossero già stati nello stesso tempo posti in qualche modo anche nella realtà di allora, come problemi reali. Il destino singolare di questo tedesco del Quarantotto fece sì che egli, scagliato fuori dalla sua sfera d’azione pratica dai governi assoluti e repubblicani d’Europa, grazie a questo tempestivo allontanamento dalla retriva e limitata situazione tedesca, venisse inserito proprio nel suo autentico peculiare spazio storico d’azione. Proprio in seguito a questi molteplici spostamenti violenti del suo campo d’attività, prima e dopo la fallita rivoluzione tedesca del 1848, l’allora appena trentenne pensatore e ricercatore Marx, che attraverso la discussione teorica della filosofia hegeliana aveva già elaborato un sapere vasto e profondo di respiro mondiale in forma filosofica prettamente tedesca, nei suoi due periodi successivi di emigrazione, prima in Francia e in Belgio, poi in Inghilterra, poté entrare nel rapporto più diretto, pratico e teorico, anche con le due nuove forme del mondo di allora più gravide di conseguenze per il futuro. Queste erano, da un lato, il socialismo e comunismo francese, che al di là delle conquiste della grande rivoluzione borghese giacobina spingevano verso nuove mete proletarie; dall’altro, la forma avanzata della moderna produzione capitalistica, e dei rapporti di produzione e di scambio corrispondenti, nata in Inghilterra dalla rivoluzione industriale degli anni 1770 - 1830.
sabato 15 luglio 2017
Capitalismo come forma di vita* - Paolo Vinci**
*Da: http://www.filosofiaroccella.it/
**Università “La Sapienza” di Roma.
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/07/la-via-hegeliana-alla-psicoanalisi.html
Il dibattito: https://www.youtube.com/watch?v=LVnK0BiI9FY
**Università “La Sapienza” di Roma.
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/07/la-via-hegeliana-alla-psicoanalisi.html
Il dibattito: https://www.youtube.com/watch?v=LVnK0BiI9FY
giovedì 13 luglio 2017
A PROPOSITO DI FANTOZZI E DI MR. SMITH - Paolo Massucci*
*(Collettivo di formazione marxista "Stefano Garroni")
Il
“grottesco” smaschera il fallimento dell’uomo contemporaneo
omologato ai valori della cultura borghese
Nei
messaggi e nelle scene dei popolari film di Fantozzi (regista Luciano
Salce), interpretati da Paolo Villaggio, attore da poco scomparso, la
parte migliore non è da rintracciarsi nell’aver saputo
rappresentare virtù e debolezze degli Italiani, come hanno affermato
le televisioni ed i giornali, né, tanto meno, nell’evidenziare la
stoltezza dell’attaccamento al posto fisso di lavoro, come asserito
da Il Corriere della
Sera. Queste sono
solo banali affermazioni ideologiche per nascondere una realtà
inammissibile della nostra società: il completo fallimento
dell’individuo moderno e contemporaneo e delle sue aspirazioni
borghesi a cui l’intera società (non solo quella italiana)
aderisce acriticamente.
L’amara
comicità dei film di Fantozzi infatti si basa sulla distanza,
ovviamente estremizzata, tra gli sforzi per ottenere quanto
desiderato (successo individuale, conquista di status sociale) e i
risultati effettivamente conseguiti. Ma c’è di più: in tutti i
personaggi traspare un’aperta scissione tra aspirazioni del
soggetto e auto narrazione, cioè tra come si è e come si vorrebbe
apparire. Si tratta di quella falsa coscienza che è il riflesso di
una società, appunto, scissa come quella nostra capitalistica. Essa
infatti necessita di una potente e pervasiva ideologia per poter
garantire l’adesione, o almeno la passiva accettazione, ad un modo
di produzione che, al di là delle apparenze, anziché benessere ed
autorealizzazione individuale per tutti, produce (e presuppone)
divisione della società in classi, miseria, guerre e devastazione
ecologica planetaria. Il comico-grottesco e la sensazione di disagio
che prova lo spettatore in questi film scaturiscono proprio dallo
smascheramento di questa falsa coscienza del soggetto omologato ai
valori della società borghese. Tutto ciò è oggi più attuale che
mai: è imbarazzante -e disarmante-, osservare, ad esempio, come mi è
capitato in questi giorni durante un viaggio, nella famosa ed
“elegante” via Montenapoleone a Milano (in realtà semplicemente
una via di shopping per ricchi portafogli), comuni passanti
fotografare con ammirazione e servile devozione Ferrari ed altre
lussuose auto posteggiate.
Il
concetto di inautenticità dei rapporti umani, anche se non
identificato in questi termini, viene da molto lontano -sin
dall’antichità- nella storia del pensiero e della letteratura.
Tuttavia è solo con la modernità, cioè con lo sviluppo del sistema
capitalistico tra la fine del settecento e l’ottocento, che il
problema della falsa coscienza dell’individuo e dell’inautenticità
delle relazioni diventa tanto rilevante. La ragione di ciò è da
rintracciarsi nella contraddizione tra i valori di Liberté,
Egalité
e Fraternité
della
rivoluzione francese assunti a fondamento della nascente ideologia
borghese e la realtà della condizione effettiva dell’individuo
all’interno della stessa società capitalistica. Si pensi a quanto
poco l’universalismo (fraternité)
possa essere compatibile con l’individualismo della privatizzazione
del profitto o a quanto la libertà possa esserlo con il lavoro
salariato del proletario, che per sopravvivere deve accettare quel
dato livello di sfruttamento stabilito e, giocoforza, limitare le
possibilità di scelta personale, come pure di partecipazione allo
sviluppo della vita collettiva e politica, mortificando pertanto
qualsiasi aspettativa di libera scelta ed autorealizzazione; per non
parlare dell’uguaglianza, allorché, come è drammaticamente
evidente in questo tempo, si accentuano sempre più le differenze di
reddito (è quanto ci si deve aspettare in un sistema, quello
capitalistico, il quale si basa, per poter funzionare, sulla
separazione tra individuo possessore di capitale ed individuo
possessore di sola forza lavoro). Poiché tuttavia i suddetti valori
post-rivoluzionati di libertà, uguaglianza e fraternità sono
essenziali per garantire il consenso al sistema capitalistico, essi,
pur privati di sostanza, rimangono ancora vivi all’interno
dell’ideologia della società capitalistica. Ma questa ideologia
allo stesso tempo “strizza l’occhio” anche all’individuo che
“meritocraticamente” compete sempre con gli altri per arricchirsi
ed accrescere il proprio status. Tale contraddizione è alla base
della crisi identitaria e morale dell’uomo moderno.
Nella
grande letteratura, e nell’arte in genere, del Novecento, il tema
della falsa coscienza e della crisi dell’uomo contemporaneo, nelle
sue diverse modalità espressive, è quindi uno dei motivi più
ricorrenti. In tale ambito si può certamente collocare il drammatico
ma brillante romanzo “Mr. Smith” di Luis Bromefield, scritto a
metà Novecento, forse non abbastanza conosciuto, il cui protagonista
racconta la propria storia personale e, alla ricerca di se stesso e
del senso della vita, riflette con lucida schiettezza
sull’inautenticità delle relazioni umane nella nostra società,
conformate alla cultura borghese. La società in cui vive Mr. Smith
non è semplicemente collocata sullo sfondo delle vicende narrate,
ma, nella sua pervasività ideologica, condiziona la maggior parte
dei rapporti umani, omologandoli, falsificandoli e in definitiva
disumanizzandoli. E’ interessante che lo svolgimento del romanzo,
pur partendo dal punto di vista di un uomo, Mr. Smith, appartenente
all’alta borghesia, mostri, nelle riflessioni dello stesso
protagonista, quanto il conformismo borghese eserciti una
irrecuperabile inibizione dello sviluppo della libera personalità ed
un inaridimento devastante di ogni relazione umana.
mercoledì 12 luglio 2017
Hegel e il mondo dell’astratto*- Carla Maria Fabiani**
*Da: http://www.dialetticaefilosofia.it
**Università del Salento
Leggi anche; https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/03/francesco-valentini-soluzioni-hegeliane.html
Note a margine ad alcuni saggi di Roberto Finelli 1
Nel lungo corso della storia del pensiero filosofico politico, Finelli attribuisce piena originalità alla distinzione hegeliana fra società civile e Stato politico. La societas civilis, prima di Hegel, era contrapposta sostanzialmente a societas naturalis. Hegel, nel 1821 e poi nel 1827, concettualizza la bürgerliche Gesellschaft, come parte autonoma del sistema, in cui il principio dell’individualità (particolarità) si trova essenzialmente coniugato a quello dell’universalità.
**Università del Salento
Leggi anche; https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/03/francesco-valentini-soluzioni-hegeliane.html
Note a margine ad alcuni saggi di Roberto Finelli 1
Nel lungo corso della storia del pensiero filosofico politico, Finelli attribuisce piena originalità alla distinzione hegeliana fra società civile e Stato politico. La societas civilis, prima di Hegel, era contrapposta sostanzialmente a societas naturalis. Hegel, nel 1821 e poi nel 1827, concettualizza la bürgerliche Gesellschaft, come parte autonoma del sistema, in cui il principio dell’individualità (particolarità) si trova essenzialmente coniugato a quello dell’universalità.
Anche a Jena Hegel aveva meditato a lungo sul mondo dell’economia e dell’economia politica, ma, a ben vedere, appare originale, nei Lineamenti, la teorizzazione della capacità, da parte della società civile, di autoriprodursi e di autoregolarsi (come un organismo) indipendentemente dall’intervento del mondo della politica. Ed è soprattutto in questo senso che la società civile hegeliana si presenta, nei riguardi dello spirito (del fare consapevole dell’uomo moderno o del suo agire etico-intenzionale), come seconda natura (automatismo naturalistico-inintenzionale), o come riproporsi di elementi e dinamiche naturali in ambito strettamente spirituale. Degno di nota perciò, in Hegel, nel quadro di un progredire apparentemente senza ostacoli dalla natura allo spirito, questa permanenza di natura o addirittura questo regresso alla natura in ambito etico. Ma, bisogna fare attenzione a cosa esattamente si intenda per natura in quest’ambito.
lunedì 10 luglio 2017
La crisi marxista del Novecento: un’ipotesi d’interpretazione*- Stefano Garroni**
*Da: http://www.marxismo-oggi.it **Stefano_Garroni è stato un filosofo italiano.
Quelle che qui seguono sono schematiche osservazioni, spero raccolte con una certa logica e sistematicità, il cui scopo è prospettare una possibilità di lettura d’un groviglio di eventi, quanto mai complicato e dalle molte sfaccettature, che – nonostante certa uggiosa retorica <novista> – costituiscono tuttora la nostra contemporaneità. Che si tratti di una possibilità di lettura significa non solo il limite della mia cultura (ad es., non sono un economista, né uno storico), ma anche che la cosa stessa si dispone secondo diverse prospettive e angolazioni (aspetto questo che certamente non meraviglia chi abbia qualche familiarità con la dialetticità della storia). Come che sia, non è dubbio che quanto andrò scrivendo non solo è unilaterale, ma anche passibile di revisioni (anche profonde) per me stesso – se lo studio ulteriore portasse a conclusioni non compatibili con l’ipotesi, che qui schematicamente espongo.
domenica 9 luglio 2017
"La Metafisica" di Aristotele - Francesco Fronterotta*
*francesco-fronterotta, titolare della cattedra di Storia della Filosofia antica presso l'Università "La Sapienza" di Roma
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/04/aristotele-etica-nicomachea-francesco.html
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/04/aristotele-etica-nicomachea-francesco.html
venerdì 7 luglio 2017
Il radicamento del pensiero antropologico post-moderno nella società contemporanea*- Alessandra Ciattini**
** Sapienza – Università di Roma - Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/10/usamerica-nellepoca-tecnetronica.html
Introduzione
Negli ultimi decenni numerose sono state le opere di più o meno grande diffusione, nelle quali si sono analizzate e sono state ampiamente confutate le tesi sostenute dai cosiddetti autori post-moderni, sia pure nella consapevolezza che tale corrente di pensiero non costituisce un filone omogeneo, giacché contiene in sé varianti, sfumature e tendenze non omologabili in uno stesso cliché. Sono convinta, tuttavia, che il noto pamphet di Terry Eagleton (Le illusioni del post-modernismo, 1998) colga nel segno quando individua le debolezze di questo pensiero, soprattutto quando denuncia con vigore la sua incapacità di dare una risposta seria ai drammatici problemi, con cui si confronta la società contemporanea.
D'altra parte, in opere di tutt'altro spessore (v. per es. Ideologia. Storia e critica di un'idea pericolosa, 2007), lo stesso Eagleton approfondisce tali tematiche, indicando il difficile percorso da intraprendere per rilanciare una visione complessiva e critica della società contemporanea, che sia però schierata dalla parte dei lavoratori, nel senso di tutti coloro che vendono la loro forza-lavoro in un processo, il cui fine ultimo è rappresentato dalla valorizzazione del capitale1.
Un filosofo italiano, Roberto Finelli, è ugualmente critico, sia pure in senso diverso, giacché a suo parere i temi centrali del pensiero postmoderno, dominanti da circa 40 anni, quali: “I miti della fine della storia e dei conflitti, del valore del frammento in opposizione alla totalità e al sistema, del primato del linguaggio e dell'interpretazione, della cancellazione della realtà ad opera del virtuale, sono crollati ad opera della realtà stessa e della sua lezione che ha intensificato la modernità del capitalismo nell'ipermodernità di un capitalismo globale che si propone come unica forma possibile di vita, pur nella dilatazione a <mondo> delle sue scissure, depredazioni e contraddizioni” (http://www.sinistrainrete.info/filosofia/2737-roberto-finelli-dal-postmoderno-allipermoderno.html, p. 2).
giovedì 6 luglio 2017
La Germania incantata*- Collettivo Clash City Workers**
*Da: http://www.rivistapaginauno.it https://sinistrainrete.info
** http://clashcityworkers.org/
Leggi anche: Vaterland http://gondrano.blogspot.it/
** http://clashcityworkers.org/
Leggi anche: Vaterland http://gondrano.blogspot.it/
Il ruolo svolto dalla Germania a livello politico ed economico all'intemo del contesto europeo - e, più in generale, di quello mondiale - è sotto gli occhi di tutti e nelle parole di molti di più.
Il
nesso che si è affermato tra le sue performance economiche e la sua
preminenza politica ha, inoltre, posto la Germania alternativamente
come nemico da combattere o come modello da imitare.
La
luce del 'miracolo' tedesco non dovrebbe però impedirci di
ricostruirne la genesi, considerarne i fondamenti e, così facendo,
cogliere la vasta zona d'ombra che, come vedremo, lo avvolge se si
guarda alla realtà sociale. Così facendo emergono delle linee di
frattura assai diverse: non tanto lungo i confini geografici bensì
interne alla società tedesca stessa, che la accomuna a una
situazione presente in tutta Europa.
Due
eventi possono essere considerati al contempo come spartiacque della
recente storia tedesca e come snodi nel processo di edificazione
della sua egemonia: da un lato, la riunificazione del Paese, avvenuta
nel 1990 e condotta come una vera e propria colonizzazione dell'Est
da parte dell'Ovest, e dall'altro l'operazione politica condotta
sotto il secondo governo del cancelliere socialdemocratico Schroder,
in carica dal 2002 al 2005, meglio nota come "Agenda 2010"
e concretizzatasi nel "Piano Hartz", il tutto nel quadro
della costruzione dell'eurozona. Libertà, democrazia, spirito
umanitario, lotta alla disoccupazione e alla povertà, queste sono le
parole chiave con cui sono stati caratterizzate queste fasi e
provvedimenti. Qualche dubbio sulla loro correttezza però può
sorgere e in questo testo proveremo a leggere nelle pieghe dei numeri
del mercato del lavoro tedesco e capire meglio come è fatto.
Il
Piano Hartz prende il nome da Peter Hartz (1), importante manager
della Volkswagen divenuto consigliere di Schroder proprio per la
riforma del mercato del lavoro con il fine di "risollevare
l'economia tedesca".
In
un discorso divenuto poi celebre (2), però, Schroder dichiarò
quello che forse era il vero obiettivo della legge: "Abbiamo
costruito il migliore Niedriglohnsektor che c'è in Europa". La
parola tedesca è traducibile come "settore a basso salario",
ovvero una porzione del mercato del lavoro strutturalmente
caratterizzata da salari più bassi, e deliberatamente creata per
giocare questo ruolo. Negli ultimi anni, dal 2010 in poi, in Germania
tale settore risulta stabilmente costituito da una porzione degli
occupati oscillante tra il 20 e il 25%. Poco oltre, Schroder,
rivendica come il programma dell'Agenda 2010, "imposto contro
una rilevante opposizione sociale", stia cominciando a
funzionare, producendo tra le altre cose una stagnazione del costo
unitario del lavoro, ovvero del rapporto tra costo di un'ora di
lavoro e sua produttività. In un contesto, come quello tedesco, dove
la produttività è aumentata dal 1995 lentamente ma costantemente,
ciò vuol dire che la retribuzione del lavoro ha subito un
abbassamento, si guadagna uguale producendo di più. Questi due
passaggi, in sostanza, ci restituiscono plasticamente il vero senso
delle riforme Hartz, e per giunta per bocca del loro massimo
sostenitore: abbattere il costo del lavoro.
mercoledì 5 luglio 2017
La via hegeliana alla psicoanalisi. L'antropologia come genealogia della coscienza - Paolo Vinci*
*Filosofo italiano, docente di Filosofia pratica (Filosofia morale) presso la Facoltà di Filosofia dell’Università “La Sapienza” di Roma.
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/08/la-logica-di-hegel-una-grottesca.html
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/06/al-di-la-del-terrore-per-una-nuova.html
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/08/la-logica-di-hegel-una-grottesca.html
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/06/al-di-la-del-terrore-per-una-nuova.html
domenica 2 luglio 2017
Scetticismo, volontarismo o dialettica? Con Gramsci, per orientarsi nel mondo*- Emiliano Alessandroni**
*Da: http://www.marxismo-oggi.it (Relazione al convegno “Antropologia applicata e approccio interdisciplinare”. Prato, 17-19 dicembre 2015). **Urbino
"Carlo Bo", Studi
Internazionali. Lingue, Storia, Culture
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/05/liberta-e-necessita-hegel-sartre.html
La produzione intellettuale gramsciana mantiene la coerenza di una critica, a volte implicita a volte esplicita, a due particolari modi di rapportarsi al mondo, che si ripresentano spesso nel corso dei processi storici e che ritroviamo anche nel nostro presente.
Il primo è quello dello scettico: di colui, vale a dire, che «tende a togliere ai fatti economici ogni valore di sviluppo e di progresso»[1]; di coloro che amano «parlare di fallimenti di ideali, di programmi definitivamente crollati e di altre simili piacevolezze» seguitando a vivere «nel loro scetticismo»[2] privo di responsabilità. Il secondo è quello del volontarista: atteggiamento, afferma Gramsci, «sguaiato e triviale»[3] che tende a rimuovere le condizioni, il quadro complessivo, l'equilibrio di forze oggettive entro cui l'azione si trova a operare, sicché «si immagina che il meccanismo della necessità sia stato capovolto»: ora «la propria iniziativa è divenuta libera. Tutto è facile» e «si può ciò che si vuole»[4].
A tale volontà astratta che conduce all'utopia e al velleitarismo, Gramsci contrappone la volontà razionale: questa sorge quando si comprende che «la libertà coincide con la necessità»[5], quando il volere è «coscienza operosa della necessità storica»[6].
La razionalità di cui sopra, tuttavia, è data soltanto dalla struttura dialettica del reale, dal fatto che questo non costituisce un manto piatto e uniforme, privo di fratture interne, bensì «un rapporto di forze in continuo mutamento di equilibrio»[7].
Il concetto di dialettica percorre e contraddistingue l'intero corpo dei Quaderni. La stessa categoria di egemonia risulta strettamente legata a questo concetto. Egemonia (culturale) significa invero che l'universo ideale e sentimentale di una delle forze che compongono la realtà, occupa la maggior parte dello spazio totale. Ma questo non equivale a dire che lo spazio totale venga occupato, da una di queste forze, nella sua completa estensione. Resta pur sempre, invero, una superficie residua, ancorché ridotta, ricoperta dalle antitesi.
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/05/liberta-e-necessita-hegel-sartre.html
La produzione intellettuale gramsciana mantiene la coerenza di una critica, a volte implicita a volte esplicita, a due particolari modi di rapportarsi al mondo, che si ripresentano spesso nel corso dei processi storici e che ritroviamo anche nel nostro presente.
Il primo è quello dello scettico: di colui, vale a dire, che «tende a togliere ai fatti economici ogni valore di sviluppo e di progresso»[1]; di coloro che amano «parlare di fallimenti di ideali, di programmi definitivamente crollati e di altre simili piacevolezze» seguitando a vivere «nel loro scetticismo»[2] privo di responsabilità. Il secondo è quello del volontarista: atteggiamento, afferma Gramsci, «sguaiato e triviale»[3] che tende a rimuovere le condizioni, il quadro complessivo, l'equilibrio di forze oggettive entro cui l'azione si trova a operare, sicché «si immagina che il meccanismo della necessità sia stato capovolto»: ora «la propria iniziativa è divenuta libera. Tutto è facile» e «si può ciò che si vuole»[4].
A tale volontà astratta che conduce all'utopia e al velleitarismo, Gramsci contrappone la volontà razionale: questa sorge quando si comprende che «la libertà coincide con la necessità»[5], quando il volere è «coscienza operosa della necessità storica»[6].
La razionalità di cui sopra, tuttavia, è data soltanto dalla struttura dialettica del reale, dal fatto che questo non costituisce un manto piatto e uniforme, privo di fratture interne, bensì «un rapporto di forze in continuo mutamento di equilibrio»[7].
Il concetto di dialettica percorre e contraddistingue l'intero corpo dei Quaderni. La stessa categoria di egemonia risulta strettamente legata a questo concetto. Egemonia (culturale) significa invero che l'universo ideale e sentimentale di una delle forze che compongono la realtà, occupa la maggior parte dello spazio totale. Ma questo non equivale a dire che lo spazio totale venga occupato, da una di queste forze, nella sua completa estensione. Resta pur sempre, invero, una superficie residua, ancorché ridotta, ricoperta dalle antitesi.
sabato 1 luglio 2017
CAPIRE L'ECONOMIA CONTEMPORANEA. NODI FONDAMENTALI*- Riccardo Bellofiore**
Il conflitto delle idee nella teoria economica - parte1:
Il conflitto delle idee nella teoria economica - parte 2: https://www.youtube.com/watch?v=g5GYUi0BnUw#t=10.686104
venerdì 30 giugno 2017
mercoledì 28 giugno 2017
Un “ponte sull’abisso”. Lenin dopo l’Ottobre*- Alexander Höbel**
*Da: https://www.lacittafutura.it
**Università di Napoli "Federico II"
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/01/edward-hallett-carr-storia-e.html
**Università di Napoli "Federico II"
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/01/edward-hallett-carr-storia-e.html
In
occasione del Centenario
della Rivoluzione d’Ottobre,
si sta opportunamente riaprendo la discussione sul significato e il
valore storico di quella straordinaria svolta che ha segnato di sé
l’intero XX secolo e che si riflette, per alcuni aspetti, a partire
dal mutamento dei rapporti di forza tra aree del mondo, sulla nostra
stessa contemporaneità. In questo quadro è essenziale approfondire
il significato ma anche i problemi di quella esperienza.
Se l’obiettivo della Rivoluzione socialista era quello
di sottomettere
i meccanismi dell’economia alla volontà cosciente e organizzata
delle masse,
in vista del benessere collettivo, Lenin fu sempre consapevole della
difficoltà di tale sfida, in particolare in un paese arretrato come
la Russia del 1917. La consapevolezza di tale difficoltà andò
crescendo nei mesi e negli anni successivi alla presa del potere,
senza però trasformarsi mai in una diversa valutazione sulla svolta
dell’Ottobre, anzi sempre ribadendo la giustezza della scelta
fatta, l’opportunità di aver colto il momento, di aver sfruttato
al meglio le possibilità offerte da una eccezionale contingenza
storica.
All’indomani
dell’Ottobre,
Lenin individua come “uno dei compiti più importanti” quello di
“sviluppare il più largamente possibile questa libera iniziativa
degli operai [...] e di tutti gli sfruttati [...] nel
campo dell’organizzazione.
Bisogna distruggere ad ogni costo – dice – il
pregiudizio assurdo [...]
secondo il quale soltanto le cosiddette ‘classi superiori’ [...]
possono dirigere lo Stato [...]. No, gli
operai non
dimenticheranno nemmeno per un istante di aver bisogno della forza
del sapere. [...] Ma il lavoro di organizzazione è
anche alla portata di un comune operaio
o contadino che sa leggere e scrivere, conosce gli uomini ed è
provvisto di un’esperienza pratica”. E “ciò che precisamente
fa la forza [...] della rivoluzione d’Ottobre [...] è che
essa suscita queste
qualità, abbatte tutte le vecchie barriere [...] fa
entrare i lavoratori nella via dove creano essi stessi la
nuova vita”,
in modo diversificato e vario. “Dopo secoli di lavoro per altri
[...] per la prima volta appare la possibilità di lavorare
per sé [...]
approfittando di tutte le conquiste della tecnica e della cultura
moderne”[1].
lunedì 26 giugno 2017
Discorso sul colonialismo*- Aimé Césaire**
** Aimé
Césaire è stato un poeta, scrittore e politico francese, originario
della Martinica. wikipedia
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/06/storia-religiosa-dellamerica-latina-
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/06/storia-religiosa-dellamerica-latina-
Una
civiltà che sceglie di chiudere gli occhi di fronte ai suoi problemi
più impellenti è una civiltà ferita.
Una
civiltà che gioca con i propri principi è una civiltà moribonda.
Fatto
sta che la civiltà così detta «europea», la civiltà occidentale,
così come si è costituita in due secoli di regime borghese è
incapace di risolvere i due maggiori problemi generati dalla sua
stessa esistenza: il problema del proletariato e il problema
coloniale; che deferita alla sbarra della «ragione» come a quella
della «coscienza», quella stessa Europa è incapace di
giustificarsi; che, quanto più, si rifugia in una ipocrisia sempre
più odiosa, tanto più diminuiscono le sue possibilità di
ingannare.
L'Europa
è indifendibile.
Questa
sembra essere la constatazione che scambiano a bassa voce gli
strateghi americani.
La
cosa in sé non sarebbe grave.
Grave
è il fatto che «l'Europa» è moralmente e spiritualmente
indifendibile.
domenica 25 giugno 2017
Storia religiosa dell'America Latina e del Caribe (III° Lezione)* - Alessandra Ciattini
*Da: https://www.unigramsci.it/
Nella terza lezione si cercheranno di ricostruire i diversi processi culturali attraverso i quali gli amerindiani interpretano il cattolicesimo e i suoi simboli introdotti in America dagli spagnoli; al contempo, si analizzerà anche l'altra prospettiva, ossia il modo in cui questi ultimi decifrano la religiosità indigena, mostrando di fatto una totale incapacità di comprensione. Tali modalità interpretative sono oggetto ancora oggi di un intenso dibattito e sono ancora operanti nei contesti rituali, che costituiscono i momenti più intesi di espressione della religiosità popolare.
Dall'analisi di tali processi storici scaturisce l'ipotesi che essi siano all'origine del cosiddetto sincretismo religioso; fenomeno che si esprime in vari gradi e che riguarda sia le religioni autoctone che quelle di origine africana, importate con gli schiavi, e che nel corso del tempo ha visto l'incorporarsi di altre tendenze religiose, come lo spiritismo. Il sincretismo non è un fenomeno appartenente al passato; esso è vivo e vegeto, e caratterizzato da uno straordinario dinamismo che gli permette di arricchirsi anche grazie all'incremento degli scambi sociali e culturali. In tale contesto saranno analizzati nel dettaglio due processi di triplice sincretizzazione di due madonne cubane.
Prima lezione: https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/06/storia-religiosa-dellamerica-latina
Seconda lezione: https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/06/storia-religiosa-dellamerica-latina
Nella terza lezione si cercheranno di ricostruire i diversi processi culturali attraverso i quali gli amerindiani interpretano il cattolicesimo e i suoi simboli introdotti in America dagli spagnoli; al contempo, si analizzerà anche l'altra prospettiva, ossia il modo in cui questi ultimi decifrano la religiosità indigena, mostrando di fatto una totale incapacità di comprensione. Tali modalità interpretative sono oggetto ancora oggi di un intenso dibattito e sono ancora operanti nei contesti rituali, che costituiscono i momenti più intesi di espressione della religiosità popolare.
Dall'analisi di tali processi storici scaturisce l'ipotesi che essi siano all'origine del cosiddetto sincretismo religioso; fenomeno che si esprime in vari gradi e che riguarda sia le religioni autoctone che quelle di origine africana, importate con gli schiavi, e che nel corso del tempo ha visto l'incorporarsi di altre tendenze religiose, come lo spiritismo. Il sincretismo non è un fenomeno appartenente al passato; esso è vivo e vegeto, e caratterizzato da uno straordinario dinamismo che gli permette di arricchirsi anche grazie all'incremento degli scambi sociali e culturali. In tale contesto saranno analizzati nel dettaglio due processi di triplice sincretizzazione di due madonne cubane.
Prima lezione: https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/06/storia-religiosa-dellamerica-latina
Seconda lezione: https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/06/storia-religiosa-dellamerica-latina
sabato 24 giugno 2017
PENSARE LA RIVOLUZIONE RUSSA* - Luciano Canfora**
*Da: Passepartout
Asti
**Luciano_Canfora è un filologo classico, storico e saggista italiano.
Leggi anche: https://www.marxists.org/italiano/lenin/1923/3/megliomenomameglio.htm
**Luciano_Canfora è un filologo classico, storico e saggista italiano.
Leggi anche: https://www.marxists.org/italiano/lenin/1923/3/megliomenomameglio.htm
venerdì 23 giugno 2017
LENIN: L'ESTREMISMO - Stefano Garroni
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/12/lenin-opere-complete.html
Stefano Garroni: A me pare che, escluse tre o quattro opere di Lenin, la grandissima maggioranza di quello che lui ha scritto, riproduce lo schema compositivo di quest’opera qua. Voglio dire: l’opera del dirigente politico, che parla di questioni politiche, a militanti politici. Quindi una scrittura molto compatta, che può essere compresa da un qualunque militante che abbia curiosità e che abbia un’esperienza politica. In questo senso la grande maggioranza delle opere di Lenin, non fanno nascere nel lettore la richiesta di un intervento della teoria per risolvere punti, per chiarire aspetti. Il lettore ha sicuramente la possibilità di capire il discorso a prescindere dall’intervento del teorico.
Siccome son passati diversi anni da quando lui ha scritto, quello che può essere utile è l’intervento di uno storico, che ricostruisca nei dettagli le situazioni, che ci consenta di metter carne a certe formule linguistiche che corrisponda un nome: Bordiga chi è? C’è lo storico che ce lo spiega ecc. Ma alla lettura del testo, nella grande maggioranza delle opere di Lenin, non segue il bisogno di un intervento del teorico che chiarisca, che aggiunga informazioni, riflessioni, per risolvere dei punti dubbi del testo di Lenin. Questo con l’eccezione di alcuni scritti come Materialismo ed empiriocriticismo, il Che fare?, la Critica agli amici del popolo, i Quaderni filosofici ecc.
Stefano Garroni: A me pare che, escluse tre o quattro opere di Lenin, la grandissima maggioranza di quello che lui ha scritto, riproduce lo schema compositivo di quest’opera qua. Voglio dire: l’opera del dirigente politico, che parla di questioni politiche, a militanti politici. Quindi una scrittura molto compatta, che può essere compresa da un qualunque militante che abbia curiosità e che abbia un’esperienza politica. In questo senso la grande maggioranza delle opere di Lenin, non fanno nascere nel lettore la richiesta di un intervento della teoria per risolvere punti, per chiarire aspetti. Il lettore ha sicuramente la possibilità di capire il discorso a prescindere dall’intervento del teorico.
Siccome son passati diversi anni da quando lui ha scritto, quello che può essere utile è l’intervento di uno storico, che ricostruisca nei dettagli le situazioni, che ci consenta di metter carne a certe formule linguistiche che corrisponda un nome: Bordiga chi è? C’è lo storico che ce lo spiega ecc. Ma alla lettura del testo, nella grande maggioranza delle opere di Lenin, non segue il bisogno di un intervento del teorico che chiarisca, che aggiunga informazioni, riflessioni, per risolvere dei punti dubbi del testo di Lenin. Questo con l’eccezione di alcuni scritti come Materialismo ed empiriocriticismo, il Che fare?, la Critica agli amici del popolo, i Quaderni filosofici ecc.
Ora, questa descrizione della pagina di Lenin, in realtà è abbastanza equivoca, nel senso che un’opera così compatta, scritta da un politico, su temi politici, che il militante politico comprende, sembra delineare una struttura chiusa. Quasi che nasca e muoia dentro l’orizzonte politico.
In realtà è vero questo: se noi superiamo il punto di vista di chi, fate conto, si chiede: “Cosa pensava Lenin dei sindacati?”, e allora, ecco, questa opera ti dice che cosa Lenin pensava. “Cosa pensava dello Stato?”, quest’altra ti dice cosa pensava dello Stato ecc. Quindi, se evitiamo la mentalità evidentemente dogmatica delle opere scelte in due volumi – ovviamente non abbiamo bisogno di leggere tutti e 40 e rotti volumi dell’opera di Lenin -, però abbiamo bisogno senza meno di leggere varie opere, di vari periodi, in cui Lenin si confronta con vari problemi (ognuna di queste opere potremo capirla perfettamente, discuterla, farla operare dentro di noi), però se le leggiamo in una rappresentanza ampia, a quel punto viene fuori la necessità della chiarificazione teorica. Perché?
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