mercoledì 15 maggio 2019

LA CINA SPIEGATA BENE - Michele Geraci

Da: byoblu - 
Michele Geraci, economista, ex docente di Economia e Finanza all'Università di New York a Shanghai. E' sottosegretario allo Sviluppo Economico del Governo Conte. 
Leggi anche: La nuova via della seta. Un progetto per molti obiettivi - Vladimiro Giacché

"L'importante e' che si parli di Cina, che si cerchi di comprendere cosa sta succedendo, senza preconcetti.  
Approfitto per aggiungere e chiarire un concetto importante: La Cina ha avuto uno sviluppo economico cosi' impressionante grazie a 5 pilastri: 
1) controllo dei dazi, 
2) controllo della migrazione 
3) controllo demografico, 
4) controllo del cambio  
5) controllo dei tassi d'interesse. 
E ovviamente, batte moneta, il che e' una grande arma se usata bene." 

                                                                     

martedì 14 maggio 2019

Vittoria del capitalismo? - Hyman Minsky

Da: http://www.fondazionezaninoni.org - hyman-philip-minsky è stato un economista statunitense.
Leggi anche: EPITAFFIO PER L’URSS: UN OROLOGIO SENZA MOLLA - Christopher J. Arthur
                     Socialismo di mercato” - Gianfranco Pala


"Il 25 ottobre 1990 il Centro culturale Progetto di Bergamo ha organizzato il convegno Vittoria del capitalismo?, relatore Hyman Minsky. Pochi mesi dopo la caduta del muro di Berlino, quando c’era chi preconizzava la fine della storia con la vittoria finale del capitalismo, Minsky contrapponeva una lucida lettura, anticipando le caratteristiche del nuovo fragile sviluppo capitalistico..."
(PAOLO CRIVELLI)



Vittoria del capitalismo? 

Il collasso delle economie di tipo Sovietico è stato salutato come una vittoria del Capitalismo e il crollo simultaneo dei regimi politici comunisti è stato usato per convalidare l’identificazione del Capitalismo con la democrazia.

Da alcune parti si avanza l’idea che questa vittoria segni la fine della Storia così come noi l’abbiamo conosciuta. Ma le vicende del Golfo, la fragilità della prosperità capitalistica e le pressioni nazionaliste risvegliate dal collasso dell’egemonia Sovietica nell’Europa orientale indicano che la Storia non finisce, ma fluisce come il Mississippi che nella canzone “...continua a scorrere”.

Non c’è dubbio che il Socialismo centralistico autoritario di tipo Sovietico è crollato. Ma questa forma di Socialismo non è la sola possibile. Il modello Sovietico ha sempre avuto la caratteristica di non consentire che le preferenze e i desideri della gente influenzassero la produzione. Segnali effettivi (decisioni) nel Socialismo di tipo Sovietico andavano dall’alto verso il basso, mai dal basso,  dalla popolazione verso coloro che avevano il potere di decidere che cosa e come produrre. Esistono modelli teorici alternativi di Socialismo nei quali regna una sovranità del consumatore più ampia rispetto a quella delle economie di tipo capitalistico.

Questo modello autoritario di economia centralizzata non è cattivo quando i compiti assegnati all’economia sono semplici: quando si deve produrre solo pane o carri armati. Un’economia centralistica ha funzionato bene nella trasformazione da una società di tipo contadino ad una economia di produzione di massa limitata nella varietà di beni – quando acciaio, cemento e macchinari sono tutto ciò che deve essere prodotto: questo tipo di economia funziona altrettanto bene per la produzione di materiale bellico. Gli approvvigionamenti militari negli Stati Uniti e nel Regno Unito durante la Seconda Guerra Mondiale seguivano un modello di economia centralistica. 

domenica 12 maggio 2019

‘Tutto il potere ai soviet’ - Lars T. Lih

Da: https://traduzionimarxiste.wordpress.com - Link al post originale in inglese John Riddell



                      Il seguente articolo è il primo di una serie di sette. 

  La terza parte: lettera-da-lontano-correzioni-da-vicino-censura-o-rimaneggiamento 

    La quarta parte: Tredici a due: i bolscevichi di Pietrogrado discutono le Tesi di aprile 

     La quinta parte: Una questione fondamentale’: le glosse di Lenin alle Tesi di aprile 

       La sesta parte: Il carattere della Rivoluzione russa: il Trotsky del 1917 contro quello del 1924 

          La settima parte: Esigiamo la pubblicazione dei trattati segreti’: biografia di uno slogan gemello


Un’appendice a questa stessa prima parte, “Mandato per le elezioni al soviet”
pubblicata separatamente nel caso dell’originale inglese, viene qui pubblicata in calce. 



Tutto il potere ai soviet!’, parte prima: biografia di uno slogan


Tutto il potere ai soviet!”, senza alcun dubbio uno dei più celebri slogan nella storia delle rivoluzioni. A giusto titolo a fianco di “Liberté, égalité, fraternité” quale simbolo di un’intera epoca rivoluzionaria. Nel presente saggio, e in altri che seguiranno, prenderò in esame la genesi di questo slogan nel suo contesto originario, quello della Russia del 1917.

Il nostro slogan consiste di tre parole: вся власть советам, vsya vlast’ sovetam. “Vsya” = “tutto”, “vlast’ “potere” e “sovetam” = “ai soviet”. La parola russa sovet significa semplicemente “consiglio” (anche nel senso di suggerimento) e, da questo, “consiglio” (nel senso di assemblea). Oramai siamo ben abituati a questo termine russo, poiché evoca tutta una serie di significati specifici derivanti dall’esperienza rivoluzionaria del 1917.

In questa serie di articoli, ricorrerò spesso all’originale russo di una delle parole presenti nello slogan in questione, vlast’ (che d’ora in poi verrà traslitterata senza segnalare il cosiddetto jer molle [Ь] con l’apostrofo). “Potere” non ne dà una traduzione del tutto adeguata; difatti, nel tentativo di coglierne le sfumature, vlast viene spesso tradotto con la locuzione “il potere” (ad esempio da John Reed in I dieci giorni che sconvolsero il mondo). Il russo vlast riguarda un ambito più specifico rispetto al termine “potere”, ovvero quello dell’autorità sovrana di un particolare paese. Perché un soggetto sia ritenuto in possesso del vlast, deve avere il diritto di assumere decisioni definitive, essere dunque in grado di prenderle e vederle eseguite. Il vlast, per essere effettivo, richiede un fermo controllo delle forze armate, un forte senso della legittimità e missione assunte, nonché una base sociale. L’espressione di Max Weber sul “monopolio della violenza legittima” va dritto al cuore della questione. 

sabato 11 maggio 2019

"La teoria critica e Herbert Marcuse" - Antonio Gargano

Da: AccademiaIISF - Antonio Gargano è un filosofo italiano. Docente presso l'Università degli studi "Suor Orsola Benincasa", Scienze della Formazione. 
Vedi anche: Verso un bilancio del Sessantotto "Herbert Marcuse" - Antonio Gargano

                                   "Per l'emancipazione umana..." 

                                                                        

venerdì 10 maggio 2019

Esiste oggi un imperialismo europeo? - Domenico Losurdo

Da: https://www.facebook.com/groups/39260553162/ - http://www.marx21.it - L'Ernesto Rivista
Domenico Losurdo è stato un filosofo, saggista e storico italiano. - http://domenicolosurdo.blogspot.com/


IMPERIALISMO USA, 
CONTRADDIZIONI INTERIMPERIALISTICHE E 
“IL NEMICO PRINCIPALE DEI POPOLI “. (2004)

1. LA RISCOPERTA DI LENIN 

Si può ancora parlare di «imperialismo »? Qualche tempo fa un libro di grande successo, firmato da due autori che si richiamano al movimento comunista, ne ha decretato la fine. Avrebbero ormai perso senso i confini nazionali e statali e i conflitti tra le grandi potenze e il mondo risulterebbe unificato in un unico Impero. La situazione odierna sarebbe radicalmente diversa rispetto a quella analizzata e affrontata da Lenin. Se non che, nello scrivere il suo saggio sull'imperialismo, il grande rivoluzionario si richiama alla «fondamentale opera inglese sull’imperialismo» di Hobson (Lenin, 1955, vol. XXII, p. 189), apparsa in prima edizione nel 1902. Era ancora fresco il ricordo della spedizione congiunta che due anni prima aveva represso nel sangue la rivolta dei Boxer in Cina. Pur costellata di massacri a danno dei «barbari », l’impresa era stata celebrata dai suoi ideologi e da una larga opinione pubblica in Occidente come la realizzazione del «sogno di politici idealisti, gli Stati Uniti del mondo civilizzato». L’impresa non aveva visto unite tutte le grandi potenze del tempo?

Non è qui tanto importante rilevare che, a breve distanza di tempo, l’abbraccio internazionale del capitale avrebbe ceduto il posto alla carneficina della prima guerra mondiale. Conviene invece concentrarsi sul fatto che la categoria di imperialismo comincia ad affermarsi non in riferimento al conflitto tra le grandi potenze (latente o acuto a seconda delle circostanze e dei rapporti forza), ma per rispondere in primo luogo ad un’esigenza diversa. Se Theodore Roosevelt, nel 1904, celebra le imprese coloniali come operazioni di «polizia internazionale», portate avanti dalla «società civilizzata » nel suo complesso, in quello stesso periodo di tempo a parlare di imperialismo sono coloro che denunciano la realtà della guerra, dei massacri, dell’oppressione nazionale e dello sfruttamento economico cui sono sottoposti i popoli delle colonie e semi-colonie. 


giovedì 9 maggio 2019

“Socialismo di mercato” - Gianfranco Pala

Da: http://www.gianfrancopala.tk/ - (http://www.contraddizione.it/quiproquo.htm) -  Gianfranco Pala è un economista italiano.
L’OMBRA DI MARX - estratti da “piccolo dizionario marxista” contro l’uso ideologico delle parole - 

                      Il concetto di «capitalismo di Stato» in Lenin - Vladimiro Giacché (http://ojs.uniurb.it/index.php/materialismostorico/article/view/1306/1206) 


  (valore, classi e pianificazione)

Si sa che Marx – fin dall’inizio dell’analisi del Capitale – ripete tante volte che “produzione delle merci e circolazione delle merci sono fenomeni che appartengono insieme a differentissimi modi di produzione, sia pure in mole e con portata differenti”. Sembra, dunque, inevitabile che una società di produttori associati, la quale voglia iniziare a porre sotto un controllo cosciente e pianificato la produzione stessa non possa fuoriuscire immediatamente da questa forma di merce. Deve, tuttavia, mutarne i caratteri sociali conservandone la base materiale “in quanto forma universalmente necessaria del prodotto” che “si esprime tangibilmente nella produzione su grande scala e nel carattere di massa del prodotto.

Tale carattere può essere conservato – mentre può essere soppressa, insieme alla soppressione della non proprietà del lavoro, l’unilateralità che il capitalismo gli impone – trascendendo così il modo capitalistico stesso di produrre, affinché esso non ripresenti anacronisticamente i caratteri privati (non socializzati) della merce semplice. Si ricordi fin d’ora che la forza-lavoro è l’unica merce che, già nel sistema capitalistico, appare nella sua forma semplice, ovvero non prodotta capitalisticamente, il che dimostra come praticamente possibile l’esistenza immediata di merce semplice con caratteri di massa in antitesi alla forma capitalistica. Dunque, tra i “differentissimi modi di produzione” che presuppongono la merce – ovverosia, lo scambio sul mercato di prodotti del lavoro e forza-lavoro medesima contro denaro – c’è anche, per definizione, la produzione non interamente pianificata della transizione socialista.

Ciò pone tre ordini di problemi: i. la tecnica e la scienza, riducendo il tempo di lavoro vivo socialmente necessario relativamente a quello morto, costituiscono l’oggettivazione che per­mane di contro alla soppressa alienazione delle condizioni materiali del lavoro; ii. la possibile negazione della forma capitalistica della merce ripropone, ma su basi nuove in quanto non solo mediatamente ma immediatamente sociali, quella figura del ciclo della circolazione – vendere per comprare anziché, capitalisticamente, comprare per vendere – che ha al suo inizio e alla sua fine la merce e non il denaro (riconsiderando così il lato “dimenticato” della duplicità della merce, il suo valore d’uso); iii. con il mutamento del carattere storico della merce emerge il mutamento della sua forma valore, fino al significato della sua forma denaro (e del corrispondente prezzo delle merci). 

mercoledì 8 maggio 2019

NATURA, STORIA E LINGUAGGIO. Studi su Marx - Giovanni Sgrò

Da: Giovanni Sgrò, Natura, storia e linguaggio. Studi su Marx, La Città del Sole, Napoli, 2019; br., pp. 142. -
GiovanniSgro  è ricercatore di Storia della filosofia presso la Facoltà di Psicologia dell’Università eCampus di Novedrate (Como) e direttore del Centro di Ricerche Storioss.



Gli studi raccolti nel presente volume ruotano intorno a tre nuclei tematici ben definiti e, come vedremo, strettamente correlati, in quanto sono tutti e tre il risultato della prassi sociale dell’uomo: natura, storia e linguaggio.

Il primo studio è dedicato alla profonda riflessione di Marx sulla relazione e, in particolare, sulla convergenza, compresenza  e complementarietà di natura e storia, che Marx, sulla scorta di Hegel, considera come momenti di una unità dialettica, ovvero come differenze nell’ambito di una unità, in cui si esercita un’azione reciproca.

Il secondo studio offre una ricostruzione della strategia difensiva assunta da Weber e da Marx (ed Engels) nei confronti delle critiche che furono loro rivolte, in particolare in risposta all’accusa di aver offerto una interpretazione spiritualistica  della storia e, più specificamente, una dottrina dell’influsso causale di determinate idee sulla nascita del capitalismo moderno inteso come “forma” economica (Weber) o di aver offerto una interpretazione economicistica della storia, che farebbe derivare ogni evento storico e ogni “epifenomeno sovrastrutturale” dal tipo di economia di volta in volta dominante (Marx ed Engels).

Il terzo studio ricostruisce, invece, le riflessioni di Marx sul linguaggio. Dopo aver delineato i presupposti materiali della storia umana e della nascita del linguaggio, si è proceduto alla definizione del linguaggio come prodotto tipicamente sociale e alla ricostruzione delle critiche che Marx rivolge al carattere astratto e ideologico della terminologia e delle categorie della filosofia e dell’economia borghese. Particolare attenzione è stata dedicata anche al carattere “linguistico” che caratterizza, secondo Marx, il rapporto tra le merci nella relazione di scambio e alla analogia instaurata da Marx tra circolazione di valori-merci e circolazione di segni di valore.Le tre appendici integrano i tre studi principali e ne sviluppano alcuni aspetti.

La prima appendice passa in rassegna i non molti “luoghi” in cui Marx cita la Commedia, al fine di poter fondare e formulare un giudizio sulla sua lettura dell’opera di Dante e, soprattutto, sulla funzione esemplare svolta dall’exul immeritus come modello etico- politico. A partire dalle recenti acquisizioni filologiche della Marx-Forschung, la seconda appendice offre una rivalutazione di Stato e rivoluzione di Lenin alla luce del dibattito italiano degli anni Settanta del Novecento sull’esistenza (o meno) di una concezione marxista dello Stato e presenta anche alcune ipotesi di lavoro per una futura ricerca sulla teoria marxiana dello Stato.La terza appendice offre una sintesi del modo in cui Marx considerava l’Europa negli anni Cinquanta dell’Ottocento, in particolare nel periodo che intercorre tra la fine della Rivoluzione del 1848 e il tramonto delle speranze rivoluzionarie connesse alla prima crisi mondiale di sovrapproduzione del 1857.

Pdf di presentazione: https://www.academia.edu/38553017/Natura_storia_e_linguaggio._Studi_su_Marx_Napoli_Edizioni_La_Citta_del_Sole_2019_141_pp._

martedì 7 maggio 2019

La nuova via della seta. Un progetto per molti obiettivi - Vladimiro Giacché

Da: http://gnosis.aisi.gov.it (2016) - https://www.sinistrainrete.info - Vladimiro Giacché è un economista italiano.
Vedi anche:  OLTRE LA GRANDE MURAGLIA. LA CINA E' DAVVERO UN PERICOLO?
                     L’evoluzione delle vie della seta: un mito passato indenne attraverso le globalizzazioni.- Andrea Dugo 



Il progetto di una Nuova Via della Seta, lanciato negli ultimi anni dalla dirigenza cinese, comprende due diverse rotte, una terrestre e l’altra marittima. La prima è indicata nei documenti ufficiali come Silk Road Economic Belt, la seconda come Maritime Silk Road. L’intero progetto è espresso in forma abbreviata come One belt, one road. Esso è stato annunciato per la prima volta dal presidente cinese Xi Jinping in un discorso ad Astana (Kazakhstan) nel 2013, ribadito a Giacarta (Indonesia) nel novembre dello stesso anno e di nuovo ad Astana nel giugno 2014(1).


I precedenti
L’idea non è del tutto nuova: da alcuni è stata posta in continuità con i tentativi di Jiang Zemin di superare le tradizionali dispute sui confini della Cina (1996), nonché con la politica Go West di Hu Jintao2. Ovviamente il precedente storico cui si richiama è molto più illustre e lontano nel tempo: si tratta dell’antica Via della Seta, rotta commerciale che partendo dalla Cina legava Asia, Africa ed Europa. Essa risale al periodo dell’espansione verso Ovest della dinastia Han (206 a.C.-220 d.C.), che costruì reti commerciali attraverso gli attuali Paesi dell’Asia Centrale (Kyrgyzstan, Tajikistan, Kazakhstan, Uzbekistan, Turkmenistan e Afghanistan), come pure, in direzione sud, attraverso gli attuali Stati di Pakistan e India. Tali rotte si estesero sino al-l’Europa, facendo dell’Asia centrale l’epicentro di una delle prime ondate di ‘globalizzazione’, connettendo mercati, creando ricchezza e contaminazioni culturali e religiose. L’importanza massima di questa rotta di traffico si ebbe nel primo millennio dopo Cristo, ai tempi degli imperi romano, poi bizantino e della dinastia Tang in Cina (618-907). Furono le Crociate e l’avanzata dei mongoli in Asia centrale a determinare la fine di questo percorso e la sua sostituzione con le rotte marittime, più rapide e a buon mercato3
L’antica Via della Seta evoca tuttora l’idea di uno sviluppo pacifico, di un interscambio commerciale e culturale in grado di determinare progresso per tutte le parti coinvolte. In quanto tale, il riferimento a essa è consapevolmente adoperato dall’attuale dirigenza cinese, anche in termini propagandistici e polemici. Lo dimostra il passo tratto da un opuscolo del governo cinese del 2014: «Come una sorta di miracolo nella storia umana, l’antica Via della Seta potenziò il commercio e gli interscambi culturali nella regione eurasiatica. In epoche antiche, differenti nazionalità, differenti culture e differenti religioni a poco a poco entrarono in comunicazione tra loro e si diffusero lungo la Via della Seta al tintinnio dei campanacci dei cammelli. A quell’epoca, le regioni attraverso cui si snodava la Via della Seta erano relativamente pacifiche, e non conoscevano i problemi di ‘geopolitica’, ‘geo-economia’, ‘minacce militari’, né il problema del terrorismo che oggi attanaglia l’Asia centrale, l’Afghanistan e altri Paesi, per non parlare poi del ‘terrorismo internazionale’»4.

lunedì 6 maggio 2019

Venezuela, l’ultima fregatura made in Usa - Alberto Negri

Da: https://ilmanifesto.it - https://www.facebook.com/alberto.negri.9469 - Alberto Negri è un giornalista italiano. 


  Stati uniti dell’amnesia. 

Campioni di un unilateralismo esasperato, senza storia e senza memoria, che riaccende il bloqueo contro Cuba, aumenta le sanzioni contro il Venezuela e spera con l’embargo petrolifero di strangolare l’Iran. Il tutto con l’obiettivo evidente di imporre, da fuori e da dentro, un cambio di regime in questi Paesi.



Tra guerre sbagliate, golpe falliti e colpi di mano, il catalogo è lungo. Con Trump questi sono diventati sempre di più gli «Stati uniti dell’Amnesia», sottolinea sul Financial Times Edward Luce. Campioni di un unilateralismo esasperato, senza storia e senza memoria, che riaccende il bloqueo contro Cuba, aumenta le sanzioni contro il Venezuela e spera con l’embargo petrolifero di strangolare l’Iran. Il tutto con l’obiettivo evidente di imporre, da fuori e da dentro, un cambio di regime in questi Paesi. Ma pure qui abbiamo bisogno di rinfrescarci la memoria sulle fregature degli americani di cui siamo stati alleati e complici.

Sembra che nessuno impari la lezione: credono ancora agli Stati Uniti. Nel 2001 gli Usa, dopo gli attentati a New York e Washington, cominciarono la guerra al terrorismo in Afghanistan e ci siamo ritrovati il terrorismo in casa, nato da quel jihadismo che gli stessi americani alimentarono negli anni Ottanta per far fuori l’Urss. E tutti siamo andati prontamente in Afghanistan a dare una mano contro Al Qaida e il Mullah Omar mentre adesso gli Usa negoziano proprio con i talebani. Ma perché teniamo ancora 800 soldati a Herat che ci costano un occhio nella testa?

domenica 5 maggio 2019

"IL RITORNO DELLA RAZZA - ARGINI E ANTIDOTI DALLA CONOSCENZA"

Da: Scuola Normale Superiore - 9 novembre 2018
                                                                          
Iniziativa promossa dal Coordinamento dei Comitati Unici di Garanzia di SNS, SSSA, UNIPI, Comune e Provincia di Pisa, AOUP in collaborazione con il CISP ed il Laboratorio di cultura costituzionale. 


Programma 
0/3,54 Saluti di Vincenzo Barone, direttore della Scuola Normale Superiore 

3,54/10,10 Coordina Daniele Menozzi 
10,10/43,40 Alberto Burgio Per una storia del razzismo italiano 
43,40/1,13,20 Lino Leonardi Razza, storia di una parola italiana 
1,13,20/1,45,40 Luigi Ferrajoli Civiltà giuridica post-bellica e razzismo 

Pausa 

Coordina Gaetana Morgante 
1,45,40/2,18,26 Oreste Pollicino Costituzione italiana, costituzionalismo europeo e razzismo 
2,18,26/2,50,20 Emanuela Fronza I profili del trattamento penale del razzismo nell’ordinamento italiano 
2,50,20/3,18,00 Marcello Flores Le manifestazioni del razzismo nell’attuale società italiana 

3,18,00 Dibattito

CHE RAZZA DI STORIA! 

sabato 4 maggio 2019

A partire dal sottotitolo del 'Capitale': Critica e metodo della critica dell’economia politica - Tommaso Redolfi Riva

Da: http://www.consecutio.org - Tommaso Redolfi Riva ha studiato filosofia e storia del pensiero economico presso le università di Pisa e Firenze. Attualmente impegnato in una ricerca su marxismo ed economia politica in Italia negli anni Settanta, si occupa di temi afferenti al pensiero marxiano e alla teoria critica. Ha pubblicato saggi e articoli su riviste italiane e straniere.

Una prima versione di questo contributo è stata presentata nel giugno del 2017 al Corso di perfezionamento in Teoria critica della società dell’Università degli Studi di Milano Bicocca. Ringrazio vivamente Vittorio Morfino e gli organizzatori per l’invito.





«Il metodo della dialettica,
che cerca di andare al di là della prospettiva specialistica
e circoscritta della logica e dell’epistemologia,
consisterebbe nel non accontentarsi della semplice individuazione
del punto che richiede di essere criticato e poi affermare:
‘Guarda, qui c’è un errore nel ragionamento, sei caduto in contraddizione –
quindi tutta la cosa non vale nulla’, bensì […]
nell’indicare perché, nella costellazione di questo pensiero,
certi errori e certe contraddizioni sono inevitabili,
che cosa li ha generati nel movimento di tale pensiero e
in che senso quindi essi si mostrano significativi,
nella loro falsità e contraddittorietà, nella totalità del pensiero».

(Adorno 2010, 222-3)


1. Introduzione

Le categorie dell’economia politica rappresentano per Marx il luogo di accesso privilegiato alla realtà del modo di produzione capitalistico, non soltanto in quanto momenti di una teoria che rappresenta «il tentativo di penetrare nell’intima fisiologia della società borghese», ma anche in quanto esse sono una prima «nomenclatura» dei fenomeni «economici» che sono così riprodotti nel «processo di pensiero» (Marx 1993b, 168-169). Se è vero che l’oggetto della teoria di Marx è il modo di produzione capitalistico, l’accesso a tale oggetto passa necessariamente attraverso la mediazione concettuale (cfr. Schmidt 2017 e Fineschi 2006, in particolare 131-136). L’economia politica rappresenta proprio questa mediazione concettuale ed è per questo che il confronto con gli economisti assume una tale centralità nell’opera marxiana. Tuttavia, il rapporto che Marx sviluppa con le categorie dell’economia politica è eminentemente critico. In primo luogo, la critica delle categorie economiche si presenta come il ricondurre le elaborazioni teoriche degli economisti alle condizioni storiche dell’accumulazione capitalistica, mostrando lo sviluppo delle idee nella sua stretta connessione con lo sviluppo reale del modo di produzione: in questo modo Marx riconduce le riflessioni teoriche al «nocciolo terreno» da cui si dipartono. Ma questo ricondurre il condizionato alla condizione, seppur imprescindibile, è ancora soltanto generico: poiché «l’unico metodo materialistico» consiste nello «sviluppare dai rapporti di vita di volta in volta effettivi le loro forme trasposte in cielo» (Marx 2011, 407), la critica dell’economia politica quale «critica delle categorie economiche» (Marx e Engels 1973, 577-578) deve essere in grado di pensare le categorie come «modi d’essere, determinazioni d’esistenza» della «moderna società borghese» (Marx 1997a, 34), deve essere, quindi, critica del sapere dell’economia che si costituisce a partire dall’esposizione dell’oggetto di questo sapere, e, da esso, desumere le categorie come momenti della totalità capitalistica stessa. In questo modo l’insufficienza teorica della riflessione dell’economia politica non è più generica, è bensì un portato specifico dell’oggetto stesso a cui l’economia politica si applica.


2. Le condizioni di possibilità dell’economia politica come sapere autonomo

Per comprendere analiticamente il modo di procedere della critica è necessario, in un primo momento, riferirsi all’oggetto della critica e chiedersi perché per Marx sia necessario, per comprendere la forma di moto della società moderna, rivolgersi all’economia politica. Si tratta cioè di dare profondità concettuale all’asserzione marxiana, presente nella Prefazione a Per la critica dell’economia politica, secondo cui «l’anatomia della società civile è da cercare nell’economia politica» (Marx 1979, 4).

venerdì 3 maggio 2019

EUROPEISTI TRADITI: PERCHÉ QUESTA EUROPA HA DELUSO ANCHE NOI - Franco Cardini

Da: byoblu - Libropolis - Franco Cardini è uno storico, saggista e blogger italiano, specializzato nello studio del Medioevo.
Leggi anche: La dignità e l’orgoglio che ci fanno dire siamo tutti bastardi - Franco Cardini 


                                                                        

giovedì 2 maggio 2019

- La Nuova Era cinese tra declino Usa e debolezze Ue -


Da: https://jacobinitalia.it -
Vedi anche: - OLTRE LA GRANDE MURAGLIA. LA CINA E' DAVVERO UN PERICOLO? -
Leggi anche: Questioni relative allo sviluppo e alla persistenza nel socialismo con caratteristiche cinesi - Xi Jinping 
                       Come usare il capitalismo nell'ottica del socialismo - Deng Xiaoping

Il modello cinese, il dominio della politica sull’economia e la piena sovranità politica spiegati dall'ex ambasciatore Alberto Bradanini

Abbiamo fatto qualche domanda ad Alberto Bradanini, consigliere commerciale all’ambasciata italiana a Pechino tra il 1991 e il 1996 e poi ambasciatore a Pechino nel periodo 2013-2015. Parla del modello cinese, di come dominio della politica sull’economia e piena sovranità siano le condizioni per aspirare allo sviluppo mantenendo come obiettivo finale l’affermarsi del socialismo, per quanto il termine sia oggi mescolato a una forte apertura al capitalismo. «Un insegnamento utile anche all’Italia e l’Unione europea» dice l’ex ambasciatore. Che invita a cogliere l’opportunità di interloquire con la Cina e a un atteggiamento meno subalterno tanto agli Usa quanto al dominio tedesco.

Quali prospettive si aprono per l’Italia e per l’Europa con l’ascesa della Cina come protagonista della politica (e dell’economia) internazionale?

L’Europa è un continente politicamente ed economicamente frammentato. Nell’Ue, dove prevalgono le priorità stabilite dal direttorio franco-tedesco, vige la legge della giungla, e non certo quello spirito di solidarietà che pervade le pagine dei Trattati. Sul piano strategico, la Cina avrebbe interesse a dialogare con un’Europa come soggetto politico non solo economico, alla luce della concezione multipolare delle relazioni internazionali che reputa di sua convenienza. Un percorso questo oggi assai improbabile per ragioni endogene, e comunque indipendente dalle scelte cinesi.