venerdì 14 dicembre 2018

IL CARATTERE DELLA GUERRA NEL XXI SECOLO: RUSSIA E CINA SONO UN BERSAGLIO O UNA PARTE DELLA GUERRA? - Levent Dölek

Da: https://prospettivaoperaia.wordpress.com - versione leggermente abbreviata dello stesso articolo in turco, pubblicato su Devrimci Marksizm, numero 35, estate 2018. -
Levent Dölek è vicepresidente del DIP (Partito dei lavoratori rivoluzionari) ed ex docente alla Facoltà di Economia dell’Università di Istanbul prima di essere espulso con uno dei primi decreti legge sullo stato di emergenza in Turchia nel 2016 a causa della sua lotta politica. È uno scrittore di Devrimci Marksizm (Marxismo Rivoluzionario) e la sua edizione annuale in inglese Revolutionary Marxism, e il giornale Gerçek (Verità).


La promessa di uno sviluppo capitalistico pacifico dietro la maschera della “globalizzazione”, che è stata la componente più significativa dell’attacco ideologico del capitalismo, è svanita [1]. Il mondo intero si rende conto che siamo sull’orlo di una nuova guerra. È ormai ampiamente accettato che gli Stati Uniti costituiranno una parte delle forze combattenti, mentre la Russia e la Cina, in una forma o nell’altra, si porranno contro gli Stati Uniti. Il nuovo attacco ideologico in queste circostanze si concentra sulla diffusione della convinzione che la Russia e la Cina, in quanto potenze mondiali in ascesa, rappresentino una minaccia per la pace nel mondo. Per circa due decenni, i media imperialisti, come Newsweek Time o The Economist, hanno costantemente predicato che il XXI secolo sarà il secolo della Cina. Putin, come “il nuovo zar russo in ascesa”, è recentemente sulle copertine degli stessi media. Non c’è motivo di credere che questi media abbiano buone intenzioni dietro la loro “propaganda” riguardo la Russia e la Cina. Lo scopo di questa propaganda è quello di oscurare l’aggressione imperialista degli Stati Uniti, presentando la Russia e la Cina come più forti e più aggressivi di quanto non siano realmente.

Il riflesso di questa propaganda imperialista nella sinistra, consapevolmente o meno, è quello di descrivere la Russia e la Cina come potenze imperialiste. Tradotto dalla sfera teorica alla pratica politica, questo si traduce in gravi errori, compresa la posizione estremamente reazionaria di difendere le organizzazioni settarie in Siria in nome di un appello a combattere contro “l’imperialismo russo”, e in errori relativamente riparabili, come nel caso di adottare un atteggiamento indeciso nei confronti dell’imperialismo statunitense. Crediamo che potremmo avviare un dibattito significativo e progressivo con coloro che adottino una posizione inconciliabile nei confronti dell’imperialismo statunitense e dei suoi alleati, adottando al contempo un atteggiamento prudente sulla possibilità che la Russia e la Cina diventino potenze imperialiste. 

Pertanto, è di grande importanza analizzare la struttura socio-economica della Russia e della Cina per discutere il carattere dell’imperialismo e della guerra nel XXI secolo. Questo articolo esamina i principi generali dell’approccio marxista alla questione della guerra, come questi principi sono stati formulati durante le varie fasi dello sviluppo capitalista, e quale dovrebbe essere la posizione dei marxisti nelle attuali circostanze. Abbiamo già presentato un’analisi completa dell’approccio marxista alla questione della guerra in un dossier in Devrimci Marksizm, numero 25 [la rivista teorica del DIP, Partito Operaio Rivoluzionario di Turchia, n.d.t.]. In questo articolo, ci limitiamo a una spiegazione generale di quale dovrebbe essere la posizione dei marxisti di fronte alla guerra che si avvicina rapidamente. Non entreremo in un dibattito esaustivo sulla questione della strategia e della tattica. Certamente assumiamo che gli Stati Uniti siano parte della guerra insieme all’Unione Europea, alla Gran Bretagna e al Giappone, che sono in una posizione subordinata nei confronti degli Stati Uniti, ma che hanno un carattere imperialista. Nell’analizzare il carattere di Russia e Cina, ci concentriamo in particolare sulle caratteristiche distintive dell’imperialismo che esistono in questi paesi, piuttosto che offrire una spiegazione esaustiva della loro struttura socio-economica. Tra i due, siamo interessati soprattutto alla Cina. Questo perché il nostro punto di partenza essenziale, che è la teoria leninista dell’imperialismo, pone l’economia al centro della sua analisi. Egli concepisce la lotta imperialista per dividere il mondo come uno dei risultati della fase imperialista del capitalismo. La Cina è molto più avanti della Russia in termini di sviluppo economico, tanto che non è nemmeno paragonabile a quest’ultima. Pertanto, se la Cina non può essere caratterizzata come potenza imperialista, sarà possibile dire lo stesso anche per la Russia. Poiché la potenza e la capacità militare della Cina e della Russia, così come il loro posizionamento in Medio Oriente e nel Pacifico, meritano di essere esaminati da soli, non saranno al centro del nostro dibattito in questo articolo. Presenteremo la nostra posizione su questi temi sotto il sottotitolo del carattere della guerra, dove faremo riferimento alle decisioni prese dal IV Congresso del Partito dei Lavoratori Rivoluzionari (DIP).

La posizione marxista sulle guerre in generale

giovedì 13 dicembre 2018

Esistono ancora destra e sinistra? - Stefano G. Azzarà

DA: MATERIALISMOSTORICO - Stefano G. Azzarà  insegna Storia della filosofia politica presso il Dipartimento di studi umanistici dell'Università di Urbino ed è direttore della rivista "Materialismo Storico".-  

Esistono ancora destra e sinistra? 
Il confronto tra Domenico Losurdo e Costanzo Preve:
                                                                                 

Intervento al convegno su Domenico Losurdo organizzato dal PCI a Roma, 1 dicembre 2018. L'intervento è solo una piccola parte di un più ampio saggio che verrà pubblicato negli atti del convegno.

martedì 11 dicembre 2018

La guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina - Alessandra Ciattini



Da: https://www.lacittafutura.it - Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza, 
Leggi anche: La trappola di Tucidide - Andrea Muratore



 Mentre la classe dirigente italiana si diletta in giochetti politici insulsi e pericolosi che ci prospetta il futuro?

I telegiornali della Rai del 20 novembre hanno dato come prima notizia lo sgombero delle ville abusive del cosiddetto clan dei Casamonica, gruppo di origine sinti portato spesso alla ribalta per varie attività criminali e per il famoso funerale di uno dei loro capi; notizia il cui scopo evidente è convincere i telespettatori che il “governo del cambiamento”, autore della “manovra del popolo”, sotto la vigile guida della sindaca Raggi, alzatasi all’alba, colpisce spietatamente i criminali, i corrotti, i non rispettosi dell’ordine. Non contenti di tale protagonismo, poco dopo i 5 Stelle mandano sulla scena dell’evento il presidente della commissione parlamentare antimafia Nicola Marra; successivamente si presenta Salvini che addirittura promette di guidare lui la ruspa per abbattere gli edifici, seguito da Giuseppe Conte, che si fa riprendere mentre visita le abitazioni e osserva meravigliato “Quanto sfarzo, quanto lusso”. In verità, dalle immagini che ho potuto vedere, mi sembra si tratti soprattutto di paccottiglia e oggetti kitsch, e credo che il vero lusso si trovi nelle abitazioni di quei miliardari che governano il mondo. I giornali rimarcano che tale spettacolo fa emergere solo il conflitto tra Lega e 5 stelle, desiderosi entrambi di apparire come gli strenui difensori del popolo.
Allo stesso tempo, quello stesso giorno, i telegiornali non hanno fatto menzione del vero problema destinato ad avere una serie di gravissime ripercussioni sulla nostra vita, cui si sono fatti alcuni accenni nei giorni precedenti, ma che meriterebbe di essere approfondito. Ovviamente mi sto riferendo a quanto contenuto nel titolo dell’articolo. 
Mi si perdonerà il lungo giro che ho fatto per giungere in medias res, ma mi sembrava importante rilevare che questa mancanza di interesse per eventi cruciali mostra l’inesistenza economica, politica, culturale dell’Italia nello scenario internazionale

lunedì 10 dicembre 2018

GRAMSCI E LA DIALETTICA - Stefano Garroni

Da: mirkobe79 Collettivo di Formazione Marxista "Stefano Garroni" Stefano_Garroni è stato un filosofo italiano. 

                                                                             

98 - GRAMSCI E LA DIALETTICA 28-03-2002

Le radici hegeliane di Marx. Contro Della Volpe.

PREAMBOLO: I titoli degli incontri seminariali non sono mai rigorosamente indicativi dell’argomento trattato, poiché il tono colloquiale delle lezioni di Stefano Garroni e la stessa natura degli incontri (una serie di seminari collettivamente autogestiti miranti alla formazione marxista di quadri comunisti) fanno sì che la sua esposizione, fatta a braccio e sovente improvvisata, non sia mai sistematica (come sarebbe stata in un intervento scritto), né circoscritta all’argomento richiamato dal titolo, ma sempre aperta ad allargarsi verso ulteriori tematiche, inizialmente non previste; spesso suggerite dagli interventi degli altri compagni che lo seguivano nei seminari.

NOTA: fra parentesi quadre il Redattore fa delle aggiunte per rendere più semplice la comprensione degli interventi e la stessa esposizione. 

1/10
DOMANDA[…] La critica che viene fatta a Karl Marx da Max Weber [parte dalla tesi weberiana della presunta avalutatività che deve caratterizzare le scienze, lo statuto di scientificità di ogni scienza particolare, e si può riassumere in questi termini], cioè: tu [Marx] hai preso una posizione [la critica economica, nonché morale e politica, del capitalismo], ed è giusta fintanto che tu espliciti il tuo riferimento. Cioè tu hai concettualizzato un sistema che non ha nessuna pretesa di essere lo specchio del reale. Però ecco: come si concilia questa cosa con l’idea della totalità?

Stefano Garroni: Certamente. Quello che dici è interessante perché poi è uno dei temi fondamentali. Intanto dico, en passant, [vediamo]che cosa significa idea per Hegel: dire che la filosofia è idealismo non è una proposizione idealistica, perché [significa dire] esattamente che la filosofia produce il modello, ma il modello è sia il modello e sia la cosa. Affermare che “La filosofia è idealismo” non è idealismo. Perché? Perché il presupposto è sempre l’Uomo: il pensiero sta dentro il mondo, quindi il movimento del mondo e del pensiero sono lo stesso movimento, perché [sono il risultato] dell’esperienza stessa che si svolge. D’accordo? 

domenica 9 dicembre 2018

Cosa diceva Berlinguer: discorso al "Convegno degli intellettuali" (1977)

Da: https://www.ilpost.it - Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/04/7-aprile-una-interpretazione-degli-anni.html 
                                                                      https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/11/storia-del-sessantotto-michele-brambilla.html 
                                                                                LA "MARCIA DEI 40000": uno dei momenti di caduta



Una cosa è certa... In questo paese (e non solo) nei momenti di crisi economica i sacrifici (austerità o rigore comunque li si voglia chiamare) vengono sempre prima chiesti ai lavoratori. E in genere, si può ben dire sempre, la storia ce lo insegna, a loro rimangono confinati. Oggi come allora a richiederli sono i loro rappresentanti più (o meno) importanti. Questo è il guaio della "sinistra"... 


Sono passati 31 anni da questo discorso di Berlinguer, ed oggi la società, gli stessi lavoratori sono ancora più polarizzati, tra pochi con redditi elevatissimi che costituiscono un insulto verso la massa dei lavoratori con bassi salari e una parte che addirittura non ha di che vivere pur lavorando. E poi i disoccupati: che cosa possono dire se si chiede loro austerità?


Noi ricordiamo quel tempo: se l'intenzione di Berlinguer era quella di opporsi al neo-capitalismo (peraltro già al declino in quegli anni) sarebbe arrivata tardi, come in effetti è stato. Il cosiddetto "consumismo", vale a dire la sussunzione reale al modo di produzione capitalistico della produzione di massa di beni di consumo, collegata alla piena occupazione e agli alti salari (in occidente) era già da un pezzo nella sua fase di riflusso. Iniziava la fase di recupero, da parte del capitale, del potere nelle fabbriche e nella società nel suo complesso. L'obiettivo di ridurre il salario si stava già affermando attraverso la perdita di centralità dei contratti collettivi a favore della contrattazione decentrata, che introduceva elementi di frammentazione all'interno dei diversi comparti della classe operaia con la inevitabile perdita di vitalità e capacità egemonica delle lotte. 

Ricordiamoci della "svolta dell'EUR"(https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/04/1978-la-svolta-delleur.html). Il salario stava ricadendo sotto la categoria di "variabile dipendente" in sintonia con l'affermarsi dell'ideologia interclassista del "patto dei produttori", vale a dire dell'aggancio dei salari alla produttività in accordo con i sindacati e, segnatamente, con la stessa CGIL. 

E' chiaro che il PCI  tentava ancora, in una direzione tattica e strategica che può farsi risalire alla politica togliattiana che ispirò la "svolta di Salerno", di candidarsi come l'unica forza politica in grado di guidare il paese in un momento in cui cominciava a profilarsi la crisi del trentennio d'oro del capitalismo in Europa occidentale e che, per il grande capitale imperialista e finanziario internazionale, coincideva con l'inizio di una rivincita, di pieno carattere strategico, i cui effetti, nel loro crescente svilupparsi e inverarsi, misuriamo oggi nella precarizzazione del lavoro, nelle delocalizzazioni, nella assoluta libertà di movimento dei capitali su scala globale e così via. 

La lotta interna al PCI fra le sue diverse tendenze trova espressione nella onesta retorica berlingueriana che, per quanto animata da buone intenzioni, non fu in grado di impedirne lo sviluppo fino agli esiti che tutti conosciamo. Il capitale si stava liberando (ricordiamoci il discorso di Cefis - https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/05/la-multinazionale-ecumenica-eugenio.html) dal bisogno stesso di avere partiti che gli garantissero le condizioni del proprio sviluppo. 

Un'intera fase storica in cui le classi operaie avevano giocato un ruolo importante era al tramonto. E il tentativo bernsteiniano di Berliguer e della parte autenticamente "riformista" del PCI  ne ha pagato, e fino in fondo, tutte le conseguenze. 

Ovviamente c'è nel discorso di Berlinguer anche un concetto alto: quello secondo cui, da una parte, appena accennata, lo spreco e il consumismo producono ingiustizia e devastazioni ambientali, dall'altra sono il risultato e rinnovano a loro volta una cultura del piacere a breve termine (lontano da una visione del futuro pianificato), un individualismo competitivo opposto alla solidarietà umana alla base di una cooperazione essenziale per qualsiasi costruzione di un mondo socialista.

(collettivo di formazione marxista Stefano Garroni)
                                                         

“Convegno degli intellettuali sulla politica di austerità e rigore”
  Roma, gennaio 1977.

sabato 8 dicembre 2018

La trappola di Tucidide - Andrea Muratore

Da: http://www.occhidellaguerra.it - ANDREA MURATORE collabora con “Gli Occhi della Guerra” e con il sito di Aldo Giannuli (http://www.aldogiannuli.it).
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/11/la-fedelta-ai-principi-dei-comunisti.html
                      https://www.lincmagazine.it/2018/03/22/asia-istruzione
 https://www.repubblica.it/esteri/2018/12/06/news/huawei_arrestata_in_canada_meng_wanzhou_direttrice_finanziaria_e_figlia_del_fondatore


La relazione tra Cina e Stati Uniti modella, oggigiorno, la linea di tendenza delle relazioni internazionali: le due principali potenze planetarie, infatti, sono inevitabilmente attratte l’una dall’altra, si vedono reciprocamente come partner imprescindibile e principale avversario potenziale.

Per la prima volta dopo il crollo dell’Unione Sovietica la Cina, non a caso definita “potenza revisionista” nella prima National Security Strategy firmata Donald J. Trump, si è consolidata nel rango di potenza capace di intaccare l’egemonia politica, economica e militare detenuta dagli Stati Uniti su scala globale. La rivalità sino-americana corre di pari passo all’attrazione fatale che avvolge i sistemi economici dei due Paesi e si manifesta in diversi scenari di crisi (dalla faglia indo-pakistana al Mar Cinese Meridionale), oltre che nelle reiterate schermaglie commerciali, rendendo necessaria una domanda: un conflitto militare diretto tra Pechino e Washington è da ritenersi possibile? 

La trappola di Tucidide 

A tale domanda ha provato a rispondere Graham T. Allison, professore alla John F. Kennedy School of Government di Harvard, nel suo testo fondamentale Destined for War, pubblicato nel 2017 e subito entrato nelle librerie personali di tutti gli alti decisori strategici statunitensi, primo fra tutti il National Security Advisor H. R. McMaster
Allison ha coniato l’espressione “trappola di Tucidide” per definire i rischi che possono essere causati dall’esacerbazione della rivalità tra due Paesi in forte competizione tra loro. 

Come scritto da Massimo Ciullo su Tempi: “Citando lo storico delle guerre peloponnesiache, considerato il padre del realismo classico, Allison sostiene che la sfida di una potenza emergente a una potenza egemone, pone una grave minaccia alla stabilità e alla pace. Iniziare a riconoscere i fattori di rischio diventa imprescindibile per evitare che il confronto tra i due contendenti finisca per farli cadere nella trappola di Tucidide”.

Cosa insegna Tucidide a Cina e Stati Uniti

Nella sua opera sulla Guerra del  Peloponneso, Tucidide scrive: “Ciò che rese la guerra inevitabile fu l’ascesa della potenza di Atene e la paura che questa causò a Sparta”. Dal conflitto che devastò la Grecia classica alla Guerra Fredda, Allison cita sedici esempi di rivalità simili, nella loro caratterizzazione, a quella sino-americana, dodici dei quali si sono conclusi con un diretto conflitto militare. 
Emblematico, in tal senso è il paragone con la forte contrapposizione che coinvolse Germania e Regno Unito prima della Grande Guerra: i due Paesi, tanto economicamente interdipendenti quanto atavicamente rivali, si lanciarono nella colossale corsa al riarmo navale motivata dalla volontà di Berlino di sfidare l’egemonia planetaria della flotta britannica, fatto che evoca alcuni paragoni con l’attuale situazione che vede la Cina intenta a ristrutturare il suo apparato militare partendo proprio dall’irrobustimento della flotta. 
Se il paragone con la crisi di inizio XX secolo tra le due principali potenze europee può risultare inquietante, Allison cita anche elementi di parallelismo con la contemporanea rivalità tra Londra e Washington segnata dal forte attivismo di Theodore Roosevelt, paragonato dall’autore a Xi Jinping in quanto leader fondamentale per la costituzione di una solida consapevolezza di potenza mondiale da parte del proprio Paese. Tale sfida non si risolse in un conflitto diretto tra la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, e non sarebbe impossibile ritenere che la Cina punti, in ultima istanza, a conseguire per l’Asia ciò che Roosevelt ottenne per il continente americano nel corso della sua presidenza, ovvero il riconoscimento di una primazia indiscutibile e sovrana in ambito politico-economico.

Il monito di Tucidide

Simbolo, prima ancora che legame concreto, delle caratteristiche che accomunano epoche storiche lontane tra loro, la “trappola di Tucidide” descritta in Destined for War è prima di tutto un monito ai governanti, ai leader politici, militari ed economici di Cina e Stati Uniti a considerare in un’ottica di lungo termine la relazione tra i due Paesi. “The farther backward you can look, the farther forward you can see”, ha detto Winston Churchill in un’indimenticabile sentenza che testimonia l’importanza e il valore di una solida conoscenza della storia, premessa fondamentale per la comprensione del presente. 

Le chiavi di interpretazione della rivalità sino-americana, insomma, sono tutte già a disposizione, ed è compito dei decisori politici afferrarle, ricordando, in presente come in futuro, che la guerra non è mai un’eventualità completamente ineluttabile e che essa va prevenuta e scongiurata nella maniera più decisa. La grande lezione del padre della storiografia segnalata da Allison, il monito di Tucidide alle generazioni presenti, è un invito a impegnarsi per evitare che, in futuro, qualche storico si ritrovi a scrivere delle motivazioni che resero la guerra tra Cina e Stati Uniti “inevitabile”.


giovedì 6 dicembre 2018

Le illusioni del postmodernismo (3) - Alessandra Ciattini

Da: Università Popolare Antonio Gramsci https://www.unigramsci.it https://www.facebook.com/unigramsci -
Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza, collabora con https://www.lacittafutura.it

Le illusioni del postmodernismo - a cura di Alessandra Ciattini
Gli incontri saranno dedicati a un noto pamphlet del filosofo britannico Terry Eagleton intitolato appunto “Le illusioni del postmodernismo”, in cui si mette in evidenza come i principi cui si richiama questa corrente sono diventati una sorta di senso comune, con cui amano civettare intellettuali, giornalisti di varia estrazione.
Inoltre, Eagleton sottolinea anche come sia difficile parlare di postmodernismo come di una visione sistematica e coerente, limitandosi a puntare il dito su alcuni temi agitati per mettere all’indice alcune nozioni classiche cui è giunto il pensiero classico (quali verità, obiettività, ragione etc,). E tutto ciò per rimarcare che siamo al trapasso da un’epoca all’altra, quest’ultima apportatrice di nuove libertà.

I° incontro: Caratteri della società cosiddetta postmoderna. Siamo fuori o dentro il capitalismo? Le profezie di Brezinski (1968) e di E. Cefis (1972). (
https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/11/le-illusioni-del-postmodernismo-1.html)

II° Incontro: Postmodernismo costituisce una temperie trasversale rispetto alle varie discipline, tocca l’architettura, la letteratura, la storia, le scienze sociali, la filosofia. È anche uno stile di vita. Passaggio ad una nuova forma sociale necessita di un cambiamento di paradigma. Nel 1979 J. F. Lyotard pubblica “La condizione postmoderna”, con cui si batte contro le “metanarrazioni”, il progressismo, la razionalità moderna che rispecchia l’organizzazione culturale occidentale. Contraddizione: una filosofia della storia contro altre filosofie della storia. (https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/12/le-illusioni-del-postmodernismo-2.html

III° Incontro: Con il poststrutturalismo (post sta sempre ad indicare un cambiamento epocale) si afferma il decostruzionismo (Derrida, Guattari), presente nella filosofia europea almeno dall’empirismo, ma appare ai più una scoperta. Smantellamento della metafisica occidentale. L’Essere non è comprensibile con il Logos, è una entità irraggiungibile e non rappresentabile. Misticismo. Ansia dell’assoluto:
                                                                                     

IV° Incontro: Crisi del concetto di verità e di quello di corrispondenza enunciato / fatto. Falsificazione. Criterio pragmatico della verità. Impossibilità di distinguere tra oggetto e soggetto. Ogni esistenza ha la sua verità. Varie sfumature di relativismo. Ruolo costitutivo del linguaggio e della cultura.

V° Incontro: I problemi posti dal postmodernismo hanno un senso? Come dobbiamo rispondergli? Riproponendo lo scientismo e il dogmatismo positivista? Sicuramente esprimono una grave crisi della nostra civiltà, cui dobbiamo trovare il modo di uscire, evitando passi indietro ed avventurosi passi avanti.

Bibliografia

Ciattini A., 
Il radicamento del pensiero antropologico postmoderno nella società contemporanea (http://www.marxismo-oggi.it/%E2%80%A6/197-il-radicamento-del-pensie%E2%80%A6).

Eagleton T., 
Le illusioni del postmodernismo, Editori Riuniti, Roma 1998.

mercoledì 5 dicembre 2018

La parabola di Buddha sulla casa in fiamme - Bertolt Brecht

Da: Poesie di Svendborg - Das Gleichnis des Buddha vom brennenden Haus -
Bertolt Brecht, Poesie e canzoni, a cura di Ruth Leiser e Franco Fortini, Torino, Einaudi, 1971, pp. 87-88 - http://nozionicomuni.blogspot.com

Gotama, il Buddha, insegnava

la dottrina della Ruota dei Desideri, cui siamo legati e ammoniva 
di spogliarsi di ogni passione e così
senza brame entrare nel nulla che chiamava Nirvana.
Un giorno allora i suoi discepoli gli chiesero:
«Com’è questo Nulla, Maestro? Noi tutti vorremmo
liberarci da ogni passione, come ammonisci; ma spiegaci
se questo Nulla in cui noi entreremo
è qualcosa di simile a quella unità col creato
di quando si è immersi nell’acqua, al meriggio, col corpo leggero
quasi senza pensiero, pigri nell’acqua; o quando nel sonno si cade
sapendo appena di avvolgersi nella coperta
e subito affondando; se questo Nulla dunque
è così, lieto, un buon Nulla, o se invece quel tuo
Nulla è soltanto un nulla, vuoto, freddo, senza significato».
A lungo tacque il Buddha, poi disse con indifferenza:
«Non c’è, alla vostra domanda, nessuna risposta» 

Ma a sera, quando furono partiti,
sedette ancora sotto l’albero del pane il Buddha e disse agli altri,
a coloro che nulla avevano chiesto, questa parabola:
«Non molto tempo fa vidi una casa. Bruciava. Il tetto
era lambito dalle fiamme. Mi avvicinai e m’avvidi
che c’era ancora gente, là dentro. Dalla soglia
li chiamai, ché ardeva il tetto, incitandoli
ad uscire, e presto. Ma quelli
parevano non avere fretta. Uno mi chiese,
mentre la vampa già gli strinava le sopracciglia,
che tempo facesse, se non piovesse per caso,
se non tirasse vento, se un’altra casa ci fosse,
e così via. Senza dare risposta
uscii di là. Quella gente, pensai,
deve bruciare prima di smettere con le domande. Amici, davvero,
a chi sotto i piedi la terra non gli brucia al punto che paia
meglio qualunque cosa piuttosto che rimanere, a colui
io non ho nulla da dire». Così Gotama, il Buddha.
                                                                                                   
Ma anche noi, che non più ci occupiamo dell’arte della pazienza
ma piuttosto dell’arte dell’impazienza, noi che tante proposte
di natura terrena formuliamo, gli uomini scongiurando
a scuoter da sé i propri carnefici dal viso d’uomo, pensiamo che a quanti,
di fronte ai bombardieri del capitale, già in volo, domandano,
e troppo a lungo, che ne pensiamo, come immaginiamo il futuro,
e che ne sarà dei loro salvadanai e calzoni della domenica, dopo
tanto sconvolgimento, noi
non molto abbiamo da dire. 

lunedì 3 dicembre 2018

Il tragico destino del cristianesimo - Renato Caputo 


Da: https://www.lacittafutura.it - Università Popolare Antonio Gramsci - 

https://www.unigramsci.it - https://www.facebook.com/unigramsci - 

APPROFONDIMENTI TEORICI (UNIGRAMSCI) - renatocaputo insegna storia e filosofia


Il destino tragico di un atteso liberatore storico e politico che tradisce le aspettative che aveva suscitato demandandole a una liberazione tutta interiore. 


La religione cristiana storica quale tradimento dell’ideale universalistico del Vangelo 

Nel 1796 Hegel abbozza uno scritto, cui sarà dato in seguito il titolo di la Positività della religione cristiana, in cui mostra di aver fatto propria a pieno titolo la lezione del più grande e radicale illuminista tedesco, Gotthold Ephraim Lessing, la cui opera aveva già divorato in gran segreto nel seminario teologico di Tubinga. Sulle orme di Lessing, Hegel distingue nelle tradizioni religiose e, in particolare, in quella giudaico-cristiana, gli elementi progressivi da quelli regressivi, sulla base del contributo che hanno dato alla progressiva auto-educazione del genere umano, nelle differenti epoche storiche, in tempi in cui ancora dominava la visione mitologico-religiosa del mondo, non essendosi ancora affermata a livello di massa la concezione filosofico-scientifica. In tal modo Hegel contrappone gli elementi progressivi e addirittura rivoluzionari presenti nel messaggio evangelico – che mette minuziosamente in rilievo – non solo alla più arcaica e, dunque, meno evoluta religione ebraica, ma anche rispetto alla più moderna religione cristiana, la quale ha finito con il sacrificare, scendendo a patti con lo spirito del tempo, gli aspetti più innovatori e di rottura presenti nella predicazione del Cristo. 

Gesù, infatti, ha predicato una religione dell’amore (interiore, fondata sulla fratellanza universale, intersoggettiva) di contro alla esteriore e intellettualistica religione ebraica fondata sulla potenza astratta della legge. Gesù, inoltre, ha sostituito ai dogmi positivi, ossia privi di spirito, dei farisei, l’imperativo categorico che ingiunge di amare l’altro come se stessi. Una concezione quella di Gesù, dunque, tutta volta all’azione pratica, morale, e non a fondare – come faranno subito dopo la sua morte i discepoli tradendone lo spirito rivoluzionario – la struttura istituzionale e dogmatica di una chiesa storica, culturale e positiva, che non può che riprodurre un’attitudine intollerante verso altre credenze o convinzioni. Da qui la critica di Hegel ai discepoli e, di conseguenza, alla chiesa cristiana che ha perso di vista proprio l’aspetto più progressivo e “moderno” della predicazione del Cristo, il piano morale, razionale e, dunque, universalistico del messaggio evangelico, per fondare una nuova religione positiva, che non rompe più in modo radicale con l’impostazione culturale della religione ebraica, ma si limita a una sua riforma

domenica 2 dicembre 2018

Le illusioni del postmodernismo (2) - Alessandra Ciattini


Le illusioni del postmodernismo - a cura di Alessandra Ciattini
Gli incontri saranno dedicati a un noto pamphlet del filosofo britannico Terry Eagleton intitolato appunto “Le illusioni del postmodernismo”, in cui si mette in evidenza come i principi cui si richiama questa corrente sono diventati una sorta di senso comune, con cui amano civettare intellettuali, giornalisti di varia estrazione.
Inoltre, Eagleton sottolinea anche come sia difficile parlare di postmodernismo come di una visione sistematica e coerente, limitandosi a puntare il dito su alcuni temi agitati per mettere all’indice alcune nozioni classiche cui è giunto il pensiero classico (quali verità, obiettività, ragione etc,). E tutto ciò per rimarcare che siamo al trapasso da un’epoca all’altra, quest’ultima apportatrice di nuove libertà.

I° incontro: Caratteri della società cosiddetta postmoderna. Siamo fuori o dentro il capitalismo? Le profezie di Brezinski (1968) e di E. Cefis (1972). (https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/11/le-illusioni-del-postmodernismo-1.html)

II° Incontro: Postmodernismo costituisce una temperie trasversale rispetto alle varie discipline, tocca l’architettura, la letteratura, la storia, le scienze sociali, la filosofia. È anche uno stile di vita. Passaggio ad una nuova forma sociale necessita di un cambiamento di paradigma. Nel 1979 J. F. Lyotard pubblica “La condizione postmoderna”, con cui si batte contro le “metanarrazioni”, il progressismo, la razionalità moderna che rispecchia l’organizzazione culturale occidentale. Contraddizione: una filosofia della storia contro altre filosofie della storia:
                                                     

III° Incontro: Con il poststrutturalismo (post sta sempre ad indicare un cambiamento epocale) si afferma il decostruzionismo (Derrida, Guattari), presente nella filosofia europea almeno dall’empirismo, ma appare ai più una scoperta. Smantellamento della metafisica occidentale. L’Essere non è comprensibile con il Logos, è una entità irraggiungibile e non rappresentabile. Misticismo. Ansia dell’assoluto.

IV° Incontro: Crisi del concetto di verità e di quello di corrispondenza enunciato / fatto. Falsificazione. Criterio pragmatico della verità. Impossibilità di distinguere tra oggetto e soggetto. Ogni esistenza ha la sua verità. Varie sfumature di relativismo. Ruolo costitutivo del linguaggio e della cultura.

V° Incontro: I problemi posti dal postmodernismo hanno un senso? Come dobbiamo rispondergli? Riproponendo lo scientismo e il dogmatismo positivista? Sicuramente esprimono una grave crisi della nostra civiltà, cui dobbiamo trovare il modo di uscire, evitando passi indietro ed avventurosi passi avanti.

Bibliografia

Ciattini A., Il radicamento del pensiero antropologico postmoderno nella società contemporanea (http://www.marxismo-oggi.it/%E2%80%A6/197-il-radicamento-del-pensie%E2%80%A6).

Eagleton T., Le illusioni del postmodernismo, Editori Riuniti, Roma 1998.