martedì 12 giugno 2018

"DEMOCRAZIA" - Norberto Bobbio

Da: https://www.facebook.com/riccardo.bellofiore. - https://www.facebook.com/Economisti-di-classe-Riccardo-Bellofiore-Giovanna-Vertova-
Norberto_Bobbio è stato un filosofo, giurista, politologo, storico e senatore a vita italiano.
Vedi anche: http://www.raiscuola.rai.it/articoli/norberto-bobbio-che-cos%C3%A8-la-democrazia/3851/default.aspx


In tempi di post-democrazia, con un governo di estrema destra, nel giorno che ricorda il referendum che istituì la Repubblica, e aprì il percorso che portò due anni dopo alla Costituzione del 1948, vale la pena di ricordare l’idea di democrazia che maturò allora, con tutto il suo idealismo ma anche tutta la sua grandezza, nelle parole di Norberto Bobbio, che fu uno dei miei Maestri all’Università di Torino. Questo testo comparve nel 1958 su "Risorgimento" che, in occasione del primo decennale della Costituzione, aveva promosso un' inchiesta. Venne poi pubblicato, nello stesso anno, sul bollettino dell' Ateneo di Torino.                  (Riccardo Bellofiore)


'Quando parliamo di democrazia, non ci riferiamo soltanto a un insieme di istituzioni, ma indichiamo anche una generale concezione della vita. Nella democrazia siamo impegnati non soltanto come cittadini aventi certi diritti e certi doveri, ma anche come uomini che debbono ispirarsi a un certo modo di vivere e di comportarsi con se stessi e con gli altri.

Come regime politico la democrazia moderna è fondata sul riconoscimento e la garanzia della libertà sotto tre aspetti fondamentali: la libertà civile, la libertà politica e la libertà sociale. Per libertà civile s' intende la facoltà, attribuita ad ogni cittadino, di fare scelte personali senza ingerenza da parte dei pubblici poteri, in quei campi della vita spirituale ed economica, entro i quali si spiega, si esprime, si rafforza la personalità di ciascuno. Attraverso la libertà politica, che è il diritto di partecipare direttamente o indirettamente alla formazione delle leggi, viene riconosciuto al cittadino il potere di contribuire alle scelte politiche che determinano l' orientamento del governo, e di discutere e magari di modificare le scelte politiche fatte da altri, in modo che il potere politico perda il carattere odioso di oppressione dall' alto. Inoltre, oggi siamo convinti che libertà civile e libertà politica siano nomi vani qualora non vengano integrate dalla libertà sociale, che sola può dare al cittadino un potere effettivo e non solo astratto o formale, e gli consente di soddisfare i propri bisogni fondamentali e di sviluppare le proprie capacità naturali.

Queste tre libertà sono l' espressione di una compiuta concezione della vita e della storia, della più alta e umanamente più ricca concezione della vita e della storia che gli uomini abbiano creato nel corso dei secoli. Dietro la libertà civile c' è il riconoscimento dell' uomo come persona, e quindi il principio che società giusta è soltanto quella in cui il potere dello stato ha dei limiti ben stabiliti e invalicabili, e ogni abuso di potere può essere legittimamente, cioè con mezzi giuridici, respinto, e vi domina lo spirito del dialogo, il metodo della persuasione contro ogni forma di dogmatismo delle idee, di fanatismo, di oppressione spirituale, di violenza fisica e morale. Dietro la libertà politica c' è l' idea della fondamentale eguaglianza degli uomini di fronte al potere politico, il principio che dinanzi al compito di governare, essenziale per la sopravvivenza stessa e per lo sviluppo della società umana, non vi sono eletti e reprobi, governanti e governati per destinazione, potenti incontrollati e servi rassegnati, classi inferiori e classi superiori, ma tutti possono essere, a volta a volta, governanti o governati, e gli uni e gli altri si avvicendano secondo gli eventi, gli interessi, le ideologie. Infine, dietro la libertà sociale c' è il principio, tardi e faticosamente apparso, ma non più rifiutabile, che gli uomini contano, devono contare, non per quello che hanno, ma per quello che fanno, e il lavoro, non la proprietà, il contributo effettivo che ciascuno può dare secondo le proprie capacità allo sviluppo sociale, e non il possesso che ciascuno detiene senza merito o in misura non proporzionata al merito, costituisce la dignità civile dell' uomo in società.

Una democrazia ha bisogno, certo, di istituzioni adatte, ma non vive se queste istituzioni non sono alimentate da saldi principi. Là dove i principi che hanno ispirato le istituzioni perdono vigore negli animi, anche le istituzioni decadono, diventano, prima, vuoti scheletri, e rischiano poi al primo urto di finire in polvere. Se oggi c' è un problema della democrazia in Italia, è più un problema di principi che di istituzioni. A dieci anni dalla promulgazione della costituzione possiamo dire che le principali istituzioni per il funzionamento di uno stato democratico esistono. Ma possiamo dire con altrettanta sicurezza che i principi delle democrazia siano diventati parte viva del nostro costume?

Non posso non esprimere su questo punto qualche apprensione. Il cammino della democrazia non è un cammino facile. Per questo bisogna essere continuamente vigilanti, non rassegnarsi al peggio, ma neppure abbandonarsi ad una tranquilla fiducia nelle sorti fatalmente progressive dell' umanità. Oggi non crediamo, come credevano i liberali, i democratici, i socialisti al principio del secolo, che la democrazia sia un cammino fatale. Io appartengo alla generazione che ha appreso dalla Resistenza europea qual somma di sofferenze sia stata necessaria per restituire l' Europa alla vita civile.

La differenza tra la mia generazione e quella dei nostri padri è che loro erano democratici ottimisti. Noi siamo, dobbiamo essere, democratici sempre in allarme.' 

lunedì 11 giugno 2018

- Julian Assange è un problema solo per l’Ecuador o anche per noi? - Alessandra Ciattini




Da: https://www.lacittafutura.it - Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza.

Quale sarà il destino di Julian Assange e cosa faranno di lui Trump e Moreno? 

Il Venezuela sembra essere il paese latinoamericano che attira più di tutti l’attenzione dei media (soprattutto la TV), che invece ignorano quasi del tutto le vicende dell’Ecuador, in cui al presidente Rafael Correa è successo Lenín Moreno, eletto circa un anno fa, presentandosi come continuatore della Revolución Ciudadana, avviata dal primo. Eppure l’Ecuador costituisce il secondo produttore di petrolio in America Latina, collocandosi proprio alle spalle del Venezuela, ed inoltre continua a tenere nella sua ambasciata di Londra Julian Assange, attivista politico e fondatore di WikiLeaks, che ha svelato al mondo intero documenti militari e diplomatici statunitensi e di altri paesi e che probabilmente solo i nostri nipoti avrebbero potuto leggere.
In particolare, WikiLeaks ha pubblicato documenti relativi a come sono trattati i detenuti del carcere di Guantánamo, che Obama aveva promesso di smantellare, informazioni relative agli aspetti più oscuri della guerra in Afghanistan, come il massacro di civili, documenti connessi alla guerra in Irak, come le famose torture nel carcere di Abu Ghraib e la deliberata uccisione di civili, valutazioni dei più importanti leader politici mondiali, che quindi evidentemente debbono essere costantemente tenuti sotto osservazione. Infine, nel 2017 WikiLeaks ha reso noto che la CIA, affiancata dalla NSA (National Security Agency) spia milioni di cittadini nel mondo utilizzando cellulari, televisori impiegati come microfoni, della cui presenza ovviamente siamo inconsapevoli.
Come è noto, Assange si era rifugiato nel 2012 nell’ambasciata ecuadoriana dopo essere stato accusato di stupro dalle autorità svedesi ed era stato ben accolto con lo scopo dichiarato di difendere la libertà di espressione. Ma l’elezione di Moreno e la sua vittoria al referendum del febbraio 2018, il cui scopo principale era impedire la rielezione indefinita del presidente della Repubblica (Correa era già stato eletto 3 volte) e mettere nelle mani di Moreno l’organismo di controllo delle istituzioni, creato con la costituzione del 2008, rende assai critica la posizione di Assange. Infatti, sembra che il nuovo direttore d’orchestra (Moreno) abbia cambiato musica, togliendo per esempio all’attivista australiano la connessione internet [1] e cercando di rendergli difficile il prosieguo del soggiorno nell’ambasciata londinese.

sabato 9 giugno 2018

- Caduta tendenziale del saggio di profitto, fordismo, postfordismo. - Maria Turchetto

Da: http://www.thomasproject.net - https://www.sinistrainrete.info
Maria Turchetto è ricercatrice Universitaria in quiescenza (http://www.unive.it/data/persone/5591077/curriculum)
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2017/03/levoluzione-della-donna-maria-turchetto.html


(Novembre 1994) [ITA_08_02_2018]

“E così si è visto, in generale, che le medesime cause che determinano la caduta del saggio di profitto, danno origine a forze antagonistiche che ostacolano, rallentano e parzialmente paralizzano questa caduta. E se non fosse per questa azione contrastante non sarebbe la caduta del saggio di profitto ad essere incomprensibile, ma al contrario la relativa lentezza di questa caduta. In tal modo la legge si riduce ad una semplice tendenza, la cui efficacia si manifesta in modo convincente solo in condizioni determinate e nel corso di lunghi periodi di tempo”[1].

Nell’esposizione della legge della caduta tendenziale del saggio di profitto, contenuta nel III libro de Il Capitale, c’è un contrasto tra la struttura dell’argomentazione e il suo contenuto. La struttura argomentativa, distribuita sui due capitoli “La legge in quanto tale” e “Cause antagonistiche”, presenta una legge contrastata da fenomeni perturbatori. Il saggio di profitto è come una piuma lasciata cadere dall’alto, rallentata dalla densità dell’aria, temporaneamente risollevata dal vento: sappiamo che, alla fine, tra le diverse forze in gioco avrà la meglio la forza di gravità; alla lunga, per la legge della caduta dei gravi, la piuma arriverà a terra. Il contenuto dell’argomentazione ci costringe ad abbandonare questa analogia, perché veniamo a sapere che le cause che determinano la caduta del saggio di profitto e quelle che la contrastano sono le medesime. Non abbiamo dunque una forza che prevale su altre forze (per intensità, durata, ecc.), ma una medesima causa che ha effetti contrastanti.

Marx ammette solo parzialmente questa difficoltà, presentandola come indebolimento della legge, o meglio come degradazione della legge a “semplice tendenza”, la quale “si manifesta in modo convincente solo in condizioni determinate e nel corso di lunghi periodi di tempo”. Ma non rinuncia a considerare questa tendenza come principale rispetto alle controtendenze provocate dalle forze antagonistiche. È inoltre piuttosto ambiguo nel descrivere le modalità di manifestazione della tendenza principale: non è chiaro se “nel corso di lunghi periodi di tempo” significhi “raramente”, “secondo cicli lunghi” o “alla lunga”. È noto come il marxismo successivo a Marx abbia variamente seguito queste due ultime possibilità interpretative, collegando la legge della caduta tendenziale del saggio di profitto vuoi alle teorie del crollo del capitalismo, vuoi al tema del ciclo economico e delle crisi.

giovedì 7 giugno 2018

mercoledì 30 maggio 2018

Sui limiti della prospettiva dialettica di Hegel e di Marx - Stefano Garroni

Dal sito Dialegesthai ! (19 luglio 2002).  - Stefano_Garroni è stato un filosofo italiano. - https://www.facebook.com/groups 

Negli anni Venti del nostro secolo, il neopositivista Moritz Schlick sottolineava come conoscere (erkennen) sia propriamente un ri-conoscere (wieder-erkennen). 

Com’è noto, questo tema del conoscere come riconoscere già lo abbiamo incontrato in Hegel; dunque, può destare qualche meraviglia ritrovarlo in un ambiente (quello neo-positivista), che di solito considera Hegel il campione del pensiero speculativo e metafisico, contro cui si indirizza l’analisi linguistica, proposta, a partire dal Wienerkreis (Circolo di Vienna, 1929), quale strumento terapeutico contro gli abusi linguistici [1] e di pensiero.

La stessa puntualizzazione, che chiarisce come per Hegel non si tratti esattamente di erkennen/wiedererkennen (riconoscere), ma sì di erkennen/anerkennen (riconoscere, ma nel senso di legittimare), non ci toglie dall’imbarazzo, dato che M. Schlick usa wiedererkennen, intendendo dire che <conoscere X> equivale a ritrovare in X la possibilità di ricondurlo a una certa forma o regola, nella quale la ragione ritrova o riconosce se stessa; dunque, per Schlick, affermare che la ragione conoscendo, riconosce X, significa dire che la ragione legittima X, testimonia della sua razionalità, lo accetta nel dominio del razionale. 

A questo punto wiedererkennen vale esattamente anerkennen. [2]

Da quanto detto, si possono ricavare due conseguenza: 

(i) comune a due grandi momenti del razionalismo moderno (pensiero di Hegel e Wienerkreis [3]) è la concezione del conoscere (che ha nella scienza la sua espressione più compiuta [4]) come riconoscere/legittimare; 

(ii) ciò posto, possiamo esaminare il tema nel solo Hegel, pur avendo lo scopo di mettere in evidenza come conoscere/riconoscere implichi certe condizioni, che valgono probabilmente per qualunque razionalismo moderno.

In Hegel, anerkennen (riconoscere/legittimare) gioca -non per caso- un ruolo importante sia in ambito epistemologico [5], sia in ambito etico-politico. 

Perché? Rispondere ci obbliga ad un breve détour. 

lunedì 28 maggio 2018

"La multinazionale ecumenica" - Eugenio Cefis

E' proprio vero... Oggi in rete si può trovare di tutto. Dalle più insignificanti banalità a qualche notiziola niente male e molto poco conosciuta. Quando, un po' per fortuna e un po' per cocciutaggine, ci si incappa nella notiziola, si rimane stupiti del fatto che nessuno ne abbia parlato in modo adeguato e per così lungo tempo...   E' il caso di questo scritto, datato 1972 eppure così attuale, che riporta fedelmente, con qualche breve commento, il discorso ufficiale tenuto alla Accademia Militare di Modena da un grande burocrate/imprenditore/e altro ancora dell'epoca, sicuramente tra i maggiori in importanza: Eugenio Cefis. Dell'importanza delle parole e delle idee enunciate non c'è bisogno di aggiungere alcunchè in più di quello che si legge. Piuttosto c'è da chiedersi come mai gli eventi seguenti fino ai nostri giorni abbiano rigorosamente rispettato le aspettative e le certezze di chi parlava e, nonostante fosse cosa di dominio pubblico, nessuno abbia saputo (o voluto?) contrastarne gli esiti. La lettura di questo stupefacente discorso, che potrebbe essere affiancato, per la grandiosità del processo tratteggiato se non per gli effettivi contenuti, all’orwelliano “1984”, apre il campo a una domanda che non può essere elusa: qual era, in quegli anni, la consapevolezza che le organizzazioni storiche del movimento operaio avevano della grande trasformazione in atto? O meglio: poiché è impossibile pensare che il PCI o la CGIL non si rendessero conto di ciò che stava avvenendo, quali furono le conseguenze politiche e strategiche che ne trassero? Chi ha vissuto quegli anni - che per molti di noi coincidono con la terribile vicenda cilena e, successivamente, con la sconfitta dei minatori in Inghilterra- ricorda senz’altro le due principali parole d’ordine che ispiravano la politica comunista di allora: la difesa della democrazia e la strategia del compromesso storico, strettamente e reciprocamente connesse. Da parte sindacale, CGIL in testa, furono gli anni della politica dei sacrifici e della cosiddetta “svolta dell’EUR”(https://ilcomunista23.blogspot.it/2018/04/1978-la-svolta-delleur.html), che insieme censì e rafforzò l’ideologia del salario come variabile dipendente dal profitto e quella dell’”impresa al primo posto”, di cui il “patto fra i produttori” fu la trascrizione nel linguaggio neo-corporativo che in quell’epoca prese ad affermarsi. Oggi, dopo quasi un cinquantennio, è fin troppo facile prendere atto dell’inveramento della lucida e spaventosa profezia di Cefis; e, sciaguratamente, è altrettanto facile comprendere come i tentativi di governare “da sinistra” il capitalismo italiano abbiano portato, in ultima analisi, ad uno spietato e totalitario governo “da destra” dei processi produttivi e del destino stesso della classe operaia. 
Riprendendo il commento finale di Giorgio Radice: "...quando in un gioco (nella lotta di classe) si cambiano le poste, si rialzano, cambiano anche tutte le regole: inevitabilmente. Cefis, ai suoi amici militari, ha cominciato a spiegare quali possano essere le nuove". 
Ai lavoratori d'allora e a quelli di oggi nessuno ha mai spiegato nulla... (Il collettivo) 

venerdì 25 maggio 2018

Riflessioni 14... - Stefano Garroni



Hegel e Feuerbach.


Nelle parti fin qui svolte della nostra ricerca, ci siamo imbattuti in alcune difficoltà, in qualche punto, che abbisognano di maggior chiarezza. Ad es., abbiamo visto accostare la critica, che Marx muove allo Hegel a quella, che lo stesso muove a Feuerbach, in relazione al tema (religione e) feticismo. Il risultato di ciò è che rischia di falsarsi il senso di quelle pagine giovanili, in cui Marx fa i conti sia con la Fenomenologia hegeliana, che col pensiero di Feuerbach appunto. Entriamo nel merito.

L’impegno con i contenuti del vecchio mondo ci distrae dal porci la domanda – solo apparentemente formale, ma in realtà essenziale: <che rapporto stabiliamo con la dialettica hegeliana?>

Feuerbach – nelle sue Tesi e nella Filosofia dell’avvenire - ha rovesciato dalla radice la vecchia dialettica e la vecchia filosofia (Marx, 1702: 108).(1) Feuerbach è l’unico, che abbia un serio rapporto critico con la dialettica hegeliana e che, in questo ambito, abbia fatto autentiche scoperte: Feuerbach è l’autentico trionfatore sulla vecchia filosofia. (Marx, 1702: 109). 

In proposito, è interessante richiamare una pagina di Gramsci(2):

“Nelle Lezioni di filosofia della storia, Hegel spiega che il principio della volontà formale, della libertà astratta, secondo cui <la semplice unità dell’autocoscienza, l’Io, è la libertà assolutamente indipendente e la fonte di tutte le determinazioni universali>, <rimane presso i Tedeschi una tranquilla teoria, ma i Francesi vollero eseguirlo praticamente>. Il passo di Hegel pare assai … importante come ‘fonte’ del pensiero espresso nelle tesi su Feuerbach che “i filosofi hanno spiegato il mondo e di tratta ora di mutarlo”.

Come si vede, anche Gramsci è ben convinto che, nelle Tesi, il nucleo teorico fondamentale (se si vuole, il messaggio filosofico da accogliere) è quel nesso filosofia-praxis(3). 

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(1) - E’ “talmente privo di coscienza il rapporto del nuovo movimento critico con la dialettica e filosofia di Hegel, che critici suoi, come Strauss e B. Bauer, in realtà restano del tutto prigionieri della logica hegeliana.” (Kritik der Hegelschen dialektik und Philosophie überhaupt, in K. Marx, „Texte zu Methode und Praxis II. Pariser Manuskripte 1844, Rororo 1966: 107). La si noti bene questa osservazione, perché in realtà gran parte della critica di Marx sarà rivolta, appunto, contro l’hegelismo’ – in particolare ‚di sinistra’ -, più che contro Hegel propriamente.

(2) - A. Gramsci, Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce, Torino 1952: 66.

(3) - Nel senso non di un generico <fare>, ma di un agire capace di modificare il rapporto dell’ uomo con la società e la natura. Uno dei presupposti essenziali della hegeliana <realizzazione della filosofia> è che esteriorizzarsi è essenziale alla realtà - … “Lo spirito/Geist è attività nel senso, in cui gli Scolastici dicevano di dio che è assoluta attuosità. Ma poiché lo spirito è attivo, allora si esteriorizza. Non bisogna, dunque, esaminare lo spirito come un ente senza processo, come avveniva nella metafisica antica, la quale divideva l’interiorità di dio aprocessuale dalla sua processualità. Lo spirito/Geist va esaminato essenzialmente nella sua concreta realtà, nella sua energia e le sue esteriorizzazioni vanno riconosciute come determinate dalla sua interiorità.” (Hegel,Enzyklopödie der philosophischen Wissenschaften.1: 101). L’attività (Tätigkeit), scrive Hegel in Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie.2 Suhrkamp 1971), è anche cambiamento, ma cambiamento che resta identico a sé; è cambiamento, ma posto all’interno dell’universale, come il cambiamento che è uguale a sé; è, insomma, un determinare che è un determinar se stesso.”; “nel semplice cambiamento non è contenuto il fatto di mantenersi nel movimento. L’universale è attivo, si determina; e lo scopo è l’autodeterminarsi e, così, realizzarsi. Questa è la determinazione fondamentale, che l’universale si vede riconosciuta con Aristotele.” (op.cit..2). A questo proposito torna utile anche richiamare un altro testo: “Marx non è stato mai rigorosamente feuerbachiano – leggiamo in L. Goldmann: l’evoluzione del suo pensiero si è compiuta tuttavia all'interno di una corrente intellettuale precisa ed abbastanza ben definita: i radicali tedeschi, per la maggior parte neo-hegeliani, movimento per la cui evoluzione l'apporto feuerbachiano ha costituito una delle svolte più importanti. Questo contributo potrebbe essere schematizzato in due idee fondamentali: I. La critica del pensiero religioso e della speculazione filosofica, e l'esigenza di ricondurre queste due forme di coscienza e di rappresentazione del mondo alla loro essenza reale e terrena: la sensibilità, il bisogno e le aspirazioni dell'uomo concreto. 2. La definizione di quest'uomo concreto come avente bisogno dell'Altro e non esistente che nella relazione tra l'I0 e il Tu, relazione che Feuerbach concepiva fondamentalmente sul modello familiare, basata sull'amore nella sua autenticità.” (Goldmann, L'Ideologia tedesca e le Tesi su Feuerbach. 1969: 16).

venerdì 18 maggio 2018

GLI INIZI DELLA "NUOVA LETTURA" DI KARL MARX - R. Bellofiore, M. Cingoli, V. Morfino, F. Ranchetti

Da: Casa della Cultura Via Borgogna 3 Milano - GLI INIZI DELLA "NUOVA LETTURA" DI KARL MARX IN GERMANIA: HANS-GEORG BACKAUS E ALFRED SCHMIDT
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/02/sulla-nuova-lettura-di-marx-riccardo.html

Presentazione dei volumi:
Hans-Georg Backhaus, Ricerche sulla critica marxiana dell'economia a cura di Riccardo Bellofiore e Tommaso Redolfi Riva, (Punto Rosso, 2018).
e
Alfred Schmidt, Sul concetto di natura in Marx a cura di Riccardo Bellofiore, (Punto Rosso, 2018)

giovedì 17 maggio 2018

Il Partito comunista del Venezuela e le prossime elezioni - Alessandra Ciattini


Da: https://www.lacittafutura.it - Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza.




Il Partito comunista del Venezuela e il Partito socialista unito del Venezuela hanno stipulato un patto per rispondere alla crisi del paese.


I nostri media dedicano spazio alla crisi venezuelana demonizzando il successore di Chávez, Nicolás Maduro, e descrivendo l’attuale situazione sociale come catastrofica e provocata dalle misure prese dal chavismo. Eppure, se si prestasse attenzione a quello che sostengono alcuni tra i fautori della Rivoluzione bolivariana, come il Partito comunista del Venezuela, si avrebbero idee più chiare sul paese che è stato dichiarato da Obama una minaccia per la sicurezza degli Stati Uniti e che continua ad essere la bestia nera per il potente vicino. E ciò forse perché – come ricorda sempre nei suoi programmi televisivi Walter Martínez – le sue riserve petrolifere sono molto vicine agli Stati Uniti.

Si potrebbe certo affermare che i nostri media non si preoccupano di approfondire e si limitano a seguire ossequiosamente e a divulgare le opinioni di Washington al riguardo, dal momento che mai metteranno in discussione – come Di Maio insegna – il filo doppio che ci lega all'Alleanza atlantica, anche se in questo modo finiremo prima o poi con lo strozzarci.

martedì 15 maggio 2018

Riflessioni 13... - Stefano Garroni

Da: Da: mirko.bertasi Stefano_Garroni è stato un filosofo italiano. - https://www.facebook.com/groups
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/05/riflessioni-12-stefano-garroni.html


ANALOGIA TRA RUSSELL E MARX

Così leggiamo nella Introduzione alla filosofia matematica di Betrand Russell:

“La matematica è una disciplina che può essere sviluppata, partendo dai suoi aspetti più familiari in due opposte direzioni. La direzione più comune è costruttiva e procede verso una complessità gradualmente crescente: dai numeri interi alle frazioni, ai numeri reali e ai numeri complessi; dall’addizione e dalla moltiplicazione al  calcolo differenziale e integrale, e avanti ancora verso l’alta matematica.

L’altra direzione, che è meno comune, procede per analisi verso una sempre maggiore astrazione e semplicità logica; invece di chiederci cosa possiamo stabilire e dedurre servendoci dei concetti iniziali, ci chiediamo quali idee e principi più generali possiamo trovare basandoci su quello che era il nostro punto di partenza  La filosofia della matematica segue la seconda strada.”

Dunque, il primo metodo matematico è quello che costruisce ‘edifici’ complessi avendo alla base gli elementi più conosciuti e famigliari.

Il secondo metodo – che è quello dell’alta matematica - assume gli elementi più comuni e conosciuti quali oggetto di una analisi logica sempre più sottile, fino ad arrivare ad elementi semplicissimi, da cui ripartire.

Nell’Introduzione del 1857 alla sua “Critica dell’economia politica” (Marx) critica la procedura tipicamente illuministica di iniziare l’analisi economica, partendo del dato immediato dell’individuo che,  novello Robinson Crosuè, costruisce mano a mano la propria vita economica.
L’economia politica borghese, dunque, prende le mosse dal dato semplice e famigliare dell’individuo  che, con le sue scelte, si costruisce una vita economica, un sistema complessivo di rapporti economici (per es. assoggettando Venerdì).

L’analogia con il primo metodo della matematica sembra lampante, indubbia anche nel caso dell’economia politica, infatti, il dato di partenza è il più comune e famigliare e funge da base per indirizzarsi verso complessità crescenti.

Senonché Marx critica questo metodo, proponendo al suo posto l’analisi del dato famigliare e comune, fino a arrivare ad astrazioni sempre più semplici che, riannodandosi tra loro, non solo costruiscono l’intero edificio economico, ma anche permettono di coglierne la determinatezza, il suo esser quell’ edificio economico e non un altro (storicamente).

E’ questo un caso di analogia tra Russell  e Marx (mediato da Hegel, autore, che Russell riconobbe di aver equivocato a prima lettura)?

giugno 2012 

giovedì 10 maggio 2018

Karl Marx: Il capitalismo e la crisi - Vladimiro Giacchè

Da: https://independent.academia.edu/VladimiroGiacch%C3%A9 - vladimiro-giacche è un filosofo ed economista italiano.


Premessa

Immaginiamo di incontrare un tipo che fa discorsi strani. Che dice che la crisi non è un’eccezione, ma la norma. Che questa crisi non è stata causata né da qualche speculatore troppo avido, né da qualche proprietario di casa troppo credulone. E neppure dalla nuova casta dei banchieri, dai governatori delle banche centrali e dagli analisti delle società di rating. E non perché tutti costoro siano innocenti,ma per un motivo più profondo. Perché la crisi non è un infortunio del nostro sistema economico, ma il prodotto delle sue leggi di funzionamento più elementari. Del modo in cui nella nostra società sono ripartite la proprietà e la ricchezza, si scambiano le merci e si adopera il denaro. 

Immaginiamo che questo tizio, sfruttando il nostro sconcerto,si faccia sempre più insolente. E affermi che la crisi non solo non è un problema per il sistema, ma è il solo modo attraverso cui il sistema può risolvere i propri problemi, e riprendere a funzionare senza intoppi. Anche se comunque il suo funzionamento regolare è soltanto una tregua, più o meno breve, prima della prossima crisi. 

Immaginiamo di superare il fastidio e l’imbarazzo, e di chiedergli chi gli dia il diritto di raccontarci tutte queste sciocchezze. E che lui ci risponda che tutto questo l’ha inteso, dimostrato e scritto in prima persona. Osservando le crisi di 150 anni fa e scrivendone su un quotidiano degli Stati Uniti, dopo essere stato espulso per attività sovversive da Germania, Belgio e Francia. E poi chiuso a studiare nella British Library di Londra, o a scrivere nella sua casa traboccante di libri e assediata dai creditori. 

Chiunque non dia per scontato che questo tipo sia un folle potrà trovare qualcosa di interessante in questo libro.


Karl Marx e le crisi del XXI secolo

A quanto pare non è proprio possibile liberarsi di Marx. E dire che sembrava fatta. Appena venti anni fa, con il crollo dei regimi dell’est europeo e la vittoria del capitalismo in salsa thatcheriano-rea-ganiana, anche su Marx e le sue teorie sembrava calato definitivamente il sipario. L’ennesima «crisi del marxismo» era in scena già dai primi anni Ottanta, ma ora, con la fine ingloriosa dell’Unione Sovietica, sembrava che non sarebbe andata come tutte le altre volte. La pagina del marxismo sembrava definitivamente voltata, egli scritti di Marx destinati agli storici e a un pugno di nostalgici fuori dal tempo. I volumi dell’edizione delle opere di Marx ed Engels che nella ex Berlino Est dei primi anni Novanta affollavano le bancarelle dei libri usati tra il disinteresse dei passanti sembravano la riprova più chiara di questo destino.Purtroppo, però, per risolvere ed eliminare le contraddizioni del reale non basta sostenere che esse non esistono. E questo vale per gli individui come per le società. La società capitalistica dei nostri tempi non fa eccezione.

E così, nel 2007, è arrivata la crisi: la peggiore dal 1929 in avanti. Il capitalismo tronfio e trionfante degli ultimi decenni, con il suo sano egoismo generatore e dispensatore di ricchezza per tutti, con le sue capacità auto regolative superiori a ogni goffa imposizione di regole dall’esterno, ha così ceduto il passo a un insieme di meccanismi inceppati, che hanno bisogno di fiumi di denaro degli Stati per tornare malamente a funzionare. Risultato: l’immagine che oggi il capitalismo dà di sé è quella di un sistema in cui ingiustizie intollerabili vanno di pari passo con una drammatica inefficienza nell’allocazione delle risorse.Si capisce, quindi, il disorientamento nelle folte schiere dei suoi seguaci, sia nel mondo dell’economia che in quello della politica e dell’informazione. Ma quanto sta accadendo non è un fatto che riguardi soltanto le cerchie ristrette degli addetti ai lavori.

Molte delle certezze su cui erano state edificate la visione del mondo e la filosofia della storia diffuse a livello di massa negli ultimi decenni sembrano oggi – se non proprio in frantumi – quantomeno incrinate. Per capire i motivi del rinnovato interesse nei confronti di Marx bi-sogna partire da qui: da queste certezze che non sono più tali. [...]

Leggi tutto: https://www.academia.edu/36567619/Karl_Marx_Il_capitalismo_e_la_crisi._Scritti_scelti_a_cura_di_Vladimiro_Giacch%C3%A9_Roma_DeriveApprodi_2009.pdf

mercoledì 9 maggio 2018

Riflessioni 12... - Stefano Garroni

Da: Da: mirko.bertasi Stefano_Garroni è stato un filosofo italiano. - https://www.facebook.com/groups 
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/04/riflessioni-11-stefano-garroni.html


La nazionalizzazione delle banche, secondo Lenin.

Nel 1917, ma prima dell’ottobre, in un articolo Lenin illustra la sua proposta di nazionalizzazione delle banche. Esaminare la ‘logica’ di tale proposta serve, pare a me, per comprendere la natura degli obiettivi politici, delle parole d’ordine, che Lenin propone al proletariato ed ai suoi alleati (contadini e piccola borghesia).

In primo luogo, Lenin  sottolinea che la nazionalizzazione delle banche – ovvero la loro espropriazione e unificazione in un’unica banca di Stato - consentirebbe a quest’ultimo effettivamente di regolare e controllare la vita economica, sapere esattamente quali sono le risorse del paese e come e quanti profitti vengono ottenuti.

Ottenuti da chi?

E qui la parola d’ordine della nazionalizzazione delle banche comincia ad apparire tutt’affatto diversa da una proposta neutra, interclassistica.

Certamente, infatti, la nazionalizzazione delle banche renderebbe più fluida la vita economica, pur non togliendo “neanche un copeco” ai capitalisti (ed in questo senso potrebbe anche non essere avversata da questi ultimi); ma appunto consentirebbe allo Stato un controllo dell’attività bancaria (anche attraverso i soviet degli impiegati e dei funzionari di Banca) e, dunque, sarebbe uno strumento essenziale per un’economia pianificata e non orientata verso il profitto individuale.

La ‘logica’, dunque, di questa parola d’ordine, a tutta prima motivata da semplici motivi di efficienza, si mostra legata all’ottenimento di un altro obiettivo, ovvero, il centrale ruolo dello Stato in sede economico-sociale; se dunque la nazionalizzazione di cui parliamo sarebbe una riforma, profonda ma che non costerebbe “neanche un copeco”, avrebbe tuttavia in sé la necessità di ampliarsi, ad es. richiedendo la nazionalizzazione degli istituti assicurativi e perfino delle coalizioni ed intrecci fra grandi gruppi economici.

Dunque, nazionalizzazione delle banche come obiettivo, immediatamente accettabile anche da parte borghese (per motivi di efficienza), ma che, per sua stessa natura, ha la necessità di invadere altri campi – appunto, la nazionalizzazione degli istituti assicurativi ed il ruolo decisivo dello Stato nell’organizzazione, regolamentazione e controllo della vita economica.

Dunque la parola d’ordine leninista, per un verso corrisponde a una necessità obiettiva, ad un bisogno reale di tutti coloro che hanno a che fare con le banche (in questo senso non è una parola d’ordine immediatamente anticapitalistica), per un altro verso, si tratta di una parola d’ordine, che è sollecitata dalla sua stessa natura ad allargarsi ad altri ambiti, fino ad assumere un carattere certamente anticapitalistico.

E’ proprio questo tipo di parola d’ordine, che riceve il nome di obiettivo transitorio e non di obiettivo intermedio.

novembre 2012 

lunedì 7 maggio 2018

Ma il “popolo” ha sempre ragione? - Alessandra Ciattini

Da: https://www.lacittafutura.it - Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza.



Non è sufficiente affidarci alle opinioni del “popolo” per intraprendere una politica trasformatrice. 


Credo che si debba rispondere in maniera negativa a questa domanda e cercherò di argomentare brevemente le mie ragioni.
Prima di tutto tentiamo di chiarire cos’è il “popolo”, concetto i cui contenuti non sono mai indicati da chi si riempie la bocca di questa parola e che invece bisogna specificare, se non vogliamo proclamare soltanto degli slogan, magari ad effetto ma assai poco incisivi sullo stato delle cose.
Nella tradizione marxista classica il popolo è sempre stato considerato un conglomerato di gruppi sociali assai differenti tra loro (operai, contadini, piccoli borghesi, intellettuali etc.) e talvolta addirittura in contrasto, che tuttavia, in talune occasioni, si è potuto agglutinare ed orientare verso obiettivi unificanti. Ma per essere tali, questi ultimi sono spesso risultati vaghi e non specificati, altrimenti come si potrebbero unire gruppi così disparati, se non con una complessa operazione che individui un decisivo tratto unificante? In questa direzione andava la determinazione di classe.
Non è un caso che il termine “popolo” è ampiamente usato in maniera retorica da uomini politici che hanno idee assai diverse sul come organizzare la vita sociale, o da coloro che si rifiutano di specificare il loro orientamento [1], dichiarandosi estranei sia alla destra che alla sinistra. In effetti, in quest’ultimo caso, quanto mai attuale, il popolo si presenta e viene presentato come un’entità interclassista, che mette insieme i sottomessi, gli scontenti, gli underdog(perdenti), come li chiama Ernesto Laclau, il più celebre teorico del populismo. Anche quest’ultimo ritiene che il popolo abbia alle sue spalle gruppi diversi (lavoratori, disoccupati, donne, omosessuali etc.), portatori di domandeinsoddisfatte, che vengono raccolte in un insieme senza che una di queste sia determinante e che, per questa ragione, è complicato concretare in maniera dettagliata. A suo parere da questo processo di congiunzione – direi posticcia scaturirebbe il popolo che si troverebbe immediatamente collocato in posizione antagonistica rispetto ai detentori dell’ordine vigente, i quali non danno risposta alle domande dei sottomessi. 

mercoledì 2 maggio 2018

Le realtà imperialiste e i miti di David Harvey - John Smith

Da: https://traduzionimarxiste.wordpress.com - Link al post originale in inglese roape.net
John Smith insegna politica economica internazionale alla Kingston University di Londra. 
David Harvey è  Distinguished Professor di antropologia e geografia presso il  Graduate Center della City University of New York.


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John Smith

Quando David Harvey afferma “Lo storico drenaggio di ricchezza dall’oriente verso l’Occidente, protrattosi per oltre due secoli, ad esempio, è stato in larga parte invertito negli ultimi trent’anni”, i suoi lettori supporranno ragionevolmente che egli si riferisca ad un tratto caratteristico dell’imperialismo, vale a dire il saccheggio del lavoro vivo, nonché delle ricchezze naturali, nelle colonie e semicolonie da parte delle potenze capitaliste in ascesa in Nord America ed Europa. In effetti, egli non lascia dubbi in merito, dato che fa precedere a queste parole il riferimento alle “vecchie categorie dell’imperialismo”. Ma qui incontriamo il primo di tanti offuscamenti. Per oltre due secoli, l’Europa ed il Nord America imperialisti hanno drenato anche ricchezze dall’America Latina e dall’Africa, così come da tutte le parti dell’Asia… eccetto il Giappone, il quale a sua volta è emerso come potenza imperialista durante il XIX secolo. “Oriente-Occidente”, dunque, costituisce un sostituto imperfetto per “Nord-Sud”, ed è per questo che ho osato adeguare i punti della bussola di Harvey, attirandomi una risposta petulante
David Harvey


Come David Harvey ben sa, tutte le parti coinvolte nel dibattito su imperialismo, modernizzazione e sviluppo capitalistico riconoscono una divisione primaria tra paesi definiti, variamente, come “sviluppati e in via di sviluppo”, “imperialisti e oppressi”, “del centro e della periferia”, ecc., persino laddove non vi è accordo su come tale divisione si stia evolvendo. Inoltre, i criteri per determinare l’appartenenza a questi gruppi di paesi possono validamente includere politica, economia, storia, cultura e molto altro, ma non la collocazione geografica – “Nord-Sud” non essendo altro che una scorciatoia descrittiva per altri criteri, come indicato dal fatto, generalmente riconosciuto, che il “Nord” comprende Australia e Nuova Zelanda. Eppure, nella sua replica alla mia critica, Harvey eleva la geografia al di sopra di tutto, gettando la Cina, il cui PIL pro capite nel 2017 era situato tra Thailandia e Repubblica Dominicana, nello stesso calderone di Corea del Sud, Taiwan e Giappone imperialista, all’interno di uno specifico “potente blocco [sic] nel contesto dell’economia globale”, relativo all’Asia orientale. Considerato lo stato moribondo dell’economa giapponese, con un PIL cresciuto in media meno dell’1% all’anno dal 1990, e nella consapevolezza dell’esplosiva rivalità economica, politica e militare del Giappone con la Cina, interrogarsi se tale “blocco” stia ora drenando ricchezza da Europa e Nord America capitalisti significa porsi la domanda sbagliata. 

martedì 1 maggio 2018

ECONOMIA PER I CITTADINI - RICCARDO BELLOFIORE

Da: M Epici - riccardo.bellofiore è docente di "Analisi Economica", "Economia Monetaria" e "International Monetary Economics" e "Dimensione Storica in Economia: le Teorie" presso il Dipartimento di Scienze Economiche "Hyman P. Minsky" dell'Università di Bergamo. (Economisti-di-classe-Riccardo-Bellofiore-Giovanna-Vertova)

1. - Come è nata la sua Passione per l'Economia?


2. - Su Karl Marx e Rosa Luxemburghttps://www.youtube.com/watch?v=NMHl2XZ3DSg
3. - Sulla Scuola Austriaca: Schumpeter, Mises e Hayek: https://www.youtube.com/watch?v=cNiEB23NLQs
4. - Augusto Graziani e la Teoria Monetaria della Produzionehttps://www.youtube.com/watch?v=oBksvfN7WKY
5. - Hyman Minsky e il Datore di Lavoro di Ultima Istanza (ELR)https://www.youtube.com/watch?v=WGMzu3M4b4U
6. - Neo-Liberismo e Social-Liberismohttps://www.youtube.com/watch?v=FV2ibIKW2Gs
7. - Capitalismo e Finanziarizzazionehttps://www.youtube.com/watch?v=EPJ03woJ5jk
8. - Neo-Mercantilismo e Moneta Unica Europeahttps://www.youtube.com/watch?v=42NPfSdNs5A
9. - Crisi Economica e Teoria Marxianahttps://www.youtube.com/watch?v=pqVe6ftt8as
10. - Ambiente, Genere e Tradizione Economica Italianahttps://www.youtube.com/watch?v=8FgIeCoY4WE