giovedì 13 luglio 2017

A PROPOSITO DI FANTOZZI E DI MR. SMITH - Paolo Massucci*

*(Collettivo di formazione marxista "Stefano Garroni"


Il “grottesco” smaschera il fallimento dell’uomo contemporaneo omologato ai valori della cultura borghese

Nei messaggi e nelle scene dei popolari film di Fantozzi (regista Luciano Salce), interpretati da Paolo Villaggio, attore da poco scomparso, la parte migliore non è da rintracciarsi nell’aver saputo rappresentare virtù e debolezze degli Italiani, come hanno affermato le televisioni ed i giornali, né, tanto meno, nell’evidenziare la stoltezza dell’attaccamento al posto fisso di lavoro, come asserito da Il Corriere della Sera. Queste sono solo banali affermazioni ideologiche per nascondere una realtà inammissibile della nostra società: il completo fallimento dell’individuo moderno e contemporaneo e delle sue aspirazioni borghesi a cui l’intera società (non solo quella italiana) aderisce acriticamente.

L’amara comicità dei film di Fantozzi infatti si basa sulla distanza, ovviamente estremizzata, tra gli sforzi per ottenere quanto desiderato (successo individuale, conquista di status sociale) e i risultati effettivamente conseguiti. Ma c’è di più: in tutti i personaggi traspare un’aperta scissione tra aspirazioni del soggetto e auto narrazione, cioè tra come si è e come si vorrebbe apparire. Si tratta di quella falsa coscienza che è il riflesso di una società, appunto, scissa come quella nostra capitalistica. Essa infatti necessita di una potente e pervasiva ideologia per poter garantire l’adesione, o almeno la passiva accettazione, ad un modo di produzione che, al di là delle apparenze, anziché benessere ed autorealizzazione individuale per tutti, produce (e presuppone) divisione della società in classi, miseria, guerre e devastazione ecologica planetaria. Il comico-grottesco e la sensazione di disagio che prova lo spettatore in questi film scaturiscono proprio dallo smascheramento di questa falsa coscienza del soggetto omologato ai valori della società borghese. Tutto ciò è oggi più attuale che mai: è imbarazzante -e disarmante-, osservare, ad esempio, come mi è capitato in questi giorni durante un viaggio, nella famosa ed “elegante” via Montenapoleone a Milano (in realtà semplicemente una via di shopping per ricchi portafogli), comuni passanti fotografare con ammirazione e servile devozione Ferrari ed altre lussuose auto posteggiate.

Il concetto di inautenticità dei rapporti umani, anche se non identificato in questi termini, viene da molto lontano -sin dall’antichità- nella storia del pensiero e della letteratura. Tuttavia è solo con la modernità, cioè con lo sviluppo del sistema capitalistico tra la fine del settecento e l’ottocento, che il problema della falsa coscienza dell’individuo e dell’inautenticità delle relazioni diventa tanto rilevante. La ragione di ciò è da rintracciarsi nella contraddizione tra i valori di Liberté, Egalité e Fraternité della rivoluzione francese assunti a fondamento della nascente ideologia borghese e la realtà della condizione effettiva dell’individuo all’interno della stessa società capitalistica. Si pensi a quanto poco l’universalismo (fraternité) possa essere compatibile con l’individualismo della privatizzazione del profitto o a quanto la libertà possa esserlo con il lavoro salariato del proletario, che per sopravvivere deve accettare quel dato livello di sfruttamento stabilito e, giocoforza, limitare le possibilità di scelta personale, come pure di partecipazione allo sviluppo della vita collettiva e politica, mortificando pertanto qualsiasi aspettativa di libera scelta ed autorealizzazione; per non parlare dell’uguaglianza, allorché, come è drammaticamente evidente in questo tempo, si accentuano sempre più le differenze di reddito (è quanto ci si deve aspettare in un sistema, quello capitalistico, il quale si basa, per poter funzionare, sulla separazione tra individuo possessore di capitale ed individuo possessore di sola forza lavoro). Poiché tuttavia i suddetti valori post-rivoluzionati di libertà, uguaglianza e fraternità sono essenziali per garantire il consenso al sistema capitalistico, essi, pur privati di sostanza, rimangono ancora vivi all’interno dell’ideologia della società capitalistica. Ma questa ideologia allo stesso tempo “strizza l’occhio” anche all’individuo che “meritocraticamente” compete sempre con gli altri per arricchirsi ed accrescere il proprio status. Tale contraddizione è alla base della crisi identitaria e morale dell’uomo moderno.

Nella grande letteratura, e nell’arte in genere, del Novecento, il tema della falsa coscienza e della crisi dell’uomo contemporaneo, nelle sue diverse modalità espressive, è quindi uno dei motivi più ricorrenti. In tale ambito si può certamente collocare il drammatico ma brillante romanzo “Mr. Smith” di Luis Bromefield, scritto a metà Novecento, forse non abbastanza conosciuto, il cui protagonista racconta la propria storia personale e, alla ricerca di se stesso e del senso della vita, riflette con lucida schiettezza sull’inautenticità delle relazioni umane nella nostra società, conformate alla cultura borghese. La società in cui vive Mr. Smith non è semplicemente collocata sullo sfondo delle vicende narrate, ma, nella sua pervasività ideologica, condiziona la maggior parte dei rapporti umani, omologandoli, falsificandoli e in definitiva disumanizzandoli. E’ interessante che lo svolgimento del romanzo, pur partendo dal punto di vista di un uomo, Mr. Smith, appartenente all’alta borghesia, mostri, nelle riflessioni dello stesso protagonista, quanto il conformismo borghese eserciti una irrecuperabile inibizione dello sviluppo della libera personalità ed un inaridimento devastante di ogni relazione umana.

In “Mr. Smith”, come nei popolari film di Fantozzi, pur nelle loro forme espressive totalmente differenti e ovviamente non paragonabili, si presenta pertanto una potente critica dell’ideologia borghese, sempre più dominante e ben caratterizzata nella nostra attuale società, a dispetto della falsa affermazione della “fine delle ideologie”. Fantozzi e Mr. Smith dunque possono e devono far riflettere, ben oltre quanto supinamente dichiarato dai mass media in occasione della scomparsa del noto Attore. 

mercoledì 12 luglio 2017

Hegel e il mondo dell’astratto*- Carla Maria Fabiani**

*Da:  http://www.dialetticaefilosofia.it
**Università del Salento
Leggi anche;   https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/03/francesco-valentini-soluzioni-hegeliane.html


Note a margine ad alcuni saggi di Roberto Finelli 1


Nel lungo corso della storia del pensiero filosofico politico, Finelli attribuisce piena originalità alla distinzione hegeliana fra società civile e Stato politico. La societas civilis, prima di Hegel, era contrapposta sostanzialmente a societas naturalis. Hegel, nel 1821 e poi nel 1827, concettualizza la bürgerliche Gesellschaft, come parte autonoma del sistema, in cui il principio dell’individualità (particolarità) si trova essenzialmente coniugato a quello dell’universalità. 

Anche a Jena Hegel aveva meditato a lungo sul mondo dell’economia e dell’economia politica, ma, a ben vedere, appare originale, nei Lineamenti, la teorizzazione della capacità, da parte della società civile, di autoriprodursi e di autoregolarsi (come un organismo) indipendentemente dall’intervento del mondo della politica. Ed è soprattutto in questo senso che la società civile hegeliana si presenta, nei riguardi dello spirito (del fare consapevole dell’uomo moderno o del suo agire etico-intenzionale), come seconda natura (automatismo naturalistico-inintenzionale), o come riproporsi di elementi e dinamiche naturali in ambito strettamente spirituale. Degno di nota perciò, in Hegel, nel quadro di un progredire apparentemente senza ostacoli dalla natura allo spirito, questa permanenza di natura o addirittura questo regresso alla natura in ambito etico. Ma, bisogna fare attenzione a cosa esattamente si intenda per natura in quest’ambito. 

lunedì 10 luglio 2017

La crisi marxista del Novecento: un’ipotesi d’interpretazione*- Stefano Garroni**



*Da:   http://www.marxismo-oggi.it     **Stefano_Garroni è stato un filosofo italiano.

Quelle che qui seguono sono schematiche osservazioni, spero raccolte con una certa logica e sistematicità, il cui scopo è prospettare una possibilità di lettura d’un groviglio di eventi, quanto mai complicato e dalle molte sfaccettature, che – nonostante certa uggiosa retorica <novista> – costituiscono tuttora la nostra contemporaneità. Che si tratti di una possibilità di lettura significa non solo il limite della mia cultura (ad es., non sono un economista, né uno storico), ma anche che la cosa stessa si dispone secondo diverse prospettive e angolazioni (aspetto questo che certamente non meraviglia chi abbia qualche familiarità con la dialetticità della storia). Come che sia, non è dubbio che quanto andrò scrivendo non solo è unilaterale, ma anche passibile di revisioni (anche profonde) per me stesso – se lo studio ulteriore portasse a conclusioni non compatibili con l’ipotesi, che qui schematicamente espongo. 

venerdì 7 luglio 2017

Il radicamento del pensiero antropologico post-moderno nella società contemporanea*- Alessandra Ciattini**



** Sapienza – Università di Roma - Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/10/usamerica-nellepoca-tecnetronica.html 

Introduzione
Negli ultimi decenni numerose sono state le opere di più o meno grande diffusione, nelle quali si sono analizzate e sono state ampiamente confutate le tesi sostenute dai cosiddetti autori post-moderni, sia pure nella consapevolezza che tale corrente di pensiero non costituisce un filone omogeneo, giacché contiene in sé varianti, sfumature e tendenze non omologabili in uno stesso cliché. Sono convinta, tuttavia, che il noto pamphet di Terry Eagleton (Le illusioni del post-modernismo, 1998) colga nel segno quando individua le debolezze di questo pensiero, soprattutto quando denuncia con vigore la sua incapacità di dare una risposta seria ai drammatici problemi, con cui si confronta la società contemporanea.
D'altra parte, in opere di tutt'altro spessore (v. per es. Ideologia. Storia e critica di un'idea pericolosa, 2007), lo stesso Eagleton approfondisce tali tematiche, indicando il difficile percorso da intraprendere per rilanciare una visione complessiva e critica della società contemporanea, che sia però schierata dalla parte dei lavoratori, nel senso di tutti coloro che vendono la loro forza-lavoro in un processo, il cui fine ultimo è rappresentato dalla valorizzazione del                                                                                  capitale1.
Un filosofo italiano, Roberto Finelli, è ugualmente critico, sia pure in senso diverso, giacché a suo parere i temi centrali del pensiero postmoderno, dominanti da circa 40 anni, quali: “I miti della fine della storia e dei conflitti, del valore del frammento in opposizione alla totalità e al sistema, del primato del linguaggio e dell'interpretazione, della cancellazione della realtà ad opera del virtuale, sono crollati ad opera della realtà stessa e della sua lezione che ha intensificato la modernità del capitalismo nell'ipermodernità di un capitalismo globale che si propone come unica forma possibile di vita, pur nella dilatazione a <mondo> delle sue scissure, depredazioni e contraddizioni” (http://www.sinistrainrete.info/filosofia/2737-roberto-finelli-dal-postmoderno-allipermoderno.html, p. 2). 

giovedì 6 luglio 2017

La Germania incantata*- Collettivo Clash City Workers**


Il ruolo svolto dalla Germania a livello politico ed economico all'intemo del contesto europeo - e, più in generale, di quello mondiale - è sotto gli occhi di tutti e nelle parole di molti di più.
Il nesso che si è affermato tra le sue performance economiche e la sua preminenza politica ha, inoltre, posto la Germania alternativamente come nemico da combattere o come modello da imitare.
La luce del 'miracolo' tedesco non dovrebbe però impedirci di ricostruirne la genesi, considerarne i fondamenti e, così facendo, cogliere la vasta zona d'ombra che, come vedremo, lo avvolge se si guarda alla realtà sociale. Così facendo emergono delle linee di frattura assai diverse: non tanto lungo i confini geografici bensì interne alla società tedesca stessa, che la accomuna a una situazione presente in tutta Europa.
Due eventi possono essere considerati al contempo come spartiacque della recente storia tedesca e come snodi nel processo di edificazione della sua egemonia: da un lato, la riunificazione del Paese, avvenuta nel 1990 e condotta come una vera e propria colonizzazione dell'Est da parte dell'Ovest, e dall'altro l'operazione politica condotta sotto il secondo governo del cancelliere socialdemocratico Schroder, in carica dal 2002 al 2005, meglio nota come "Agenda 2010" e concretizzatasi nel "Piano Hartz", il tutto nel quadro della costruzione dell'eurozona. Libertà, democrazia, spirito umanitario, lotta alla disoccupazione e alla povertà, queste sono le parole chiave con cui sono stati caratterizzate queste fasi e provvedimenti. Qualche dubbio sulla loro correttezza però può sorgere e in questo testo proveremo a leggere nelle pieghe dei numeri del mercato del lavoro tedesco e capire meglio come è fatto.
Il Piano Hartz prende il nome da Peter Hartz (1), importante manager della Volkswagen divenuto consigliere di Schroder proprio per la riforma del mercato del lavoro con il fine di "risollevare l'economia tedesca". 
In un discorso divenuto poi celebre (2), però, Schroder dichiarò quello che forse era il vero obiettivo della legge: "Abbiamo costruito il migliore Niedriglohnsektor che c'è in Europa". La parola tedesca è traducibile come "settore a basso salario", ovvero una porzione del mercato del lavoro strutturalmente caratterizzata da salari più bassi, e deliberatamente creata per giocare questo ruolo. Negli ultimi anni, dal 2010 in poi, in Germania tale settore risulta stabilmente costituito da una porzione degli occupati oscillante tra il 20 e il 25%. Poco oltre, Schroder, rivendica come il programma dell'Agenda 2010, "imposto contro una rilevante opposizione sociale", stia cominciando a funzionare, producendo tra le altre cose una stagnazione del costo unitario del lavoro, ovvero del rapporto tra costo di un'ora di lavoro e sua produttività. In un contesto, come quello tedesco, dove la produttività è aumentata dal 1995 lentamente ma costantemente, ciò vuol dire che la retribuzione del lavoro ha subito un abbassamento, si guadagna uguale producendo di più. Questi due passaggi, in sostanza, ci restituiscono plasticamente il vero senso delle riforme Hartz, e per giunta per bocca del loro massimo sostenitore: abbattere il costo del lavoro. 

domenica 2 luglio 2017

Scetticismo, volontarismo o dialettica? Con Gramsci, per orientarsi nel mondo*- Emiliano Alessandroni**

*Da:   http://www.marxismo-oggi.it  (Relazione al convegno “Antropologia applicata e approccio interdisciplinare”. Prato, 17-19 dicembre 2015). **Urbino "Carlo Bo"Studi Internazionali. Lingue, Storia, Culture 
Vedi anche:   https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/05/liberta-e-necessita-hegel-sartre.html 

La produzione intellettuale gramsciana mantiene la coerenza di una critica, a volte implicita a volte esplicita, a due particolari modi di rapportarsi al mondo, che si ripresentano spesso nel corso dei processi storici e che ritroviamo anche nel nostro presente.

Il primo è quello dello scettico: di colui, vale a dire, che «tende a togliere ai fatti economici ogni valore di sviluppo e di progresso»[1]; di coloro che amano «parlare di fallimenti di ideali, di programmi definitivamente crollati e di altre simili piacevolezze» seguitando a vivere «nel loro scetticismo»[2] privo di responsabilità. Il secondo è quello del volontarista: atteggiamento, afferma Gramsci, «sguaiato e triviale»[3] che tende a rimuovere le condizioni, il quadro complessivo, l'equilibrio di forze oggettive entro cui l'azione si trova a operare, sicché «si immagina che il meccanismo della necessità sia stato capovolto»: ora «la propria iniziativa è divenuta libera. Tutto è facile» e «si può ciò che si vuole»[4].

A tale volontà astratta che conduce all'utopia e al velleitarismo, Gramsci contrappone la volontà razionale: questa sorge quando si comprende che «la libertà coincide con la necessità»[5], quando il volere è «coscienza operosa della necessità storica»[6].

La razionalità di cui sopra, tuttavia, è data soltanto dalla struttura dialettica del reale, dal fatto che questo non costituisce un manto piatto e uniforme, privo di fratture interne, bensì «un rapporto di forze in continuo mutamento di equilibrio»[7].

Il concetto di dialettica percorre e contraddistingue l'intero corpo dei Quaderni. La stessa categoria di egemonia risulta strettamente legata a questo concetto. Egemonia (culturale) significa invero che l'universo ideale e sentimentale di una delle forze che compongono la realtà, occupa la maggior parte dello spazio totale. Ma questo non equivale a dire che lo spazio totale venga occupato, da una di queste forze, nella sua completa estensione. Resta pur sempre, invero, una superficie residua, ancorché ridotta, ricoperta dalle antitesi.

sabato 1 luglio 2017

CAPIRE L'ECONOMIA CONTEMPORANEA. NODI FONDAMENTALI*- Riccardo Bellofiore**


Il conflitto delle idee nella teoria economica - parte1: 


Il conflitto delle idee nella teoria economica - parte 2: https://www.youtube.com/watch?v=g5GYUi0BnUw#t=10.686104 

mercoledì 28 giugno 2017

Un “ponte sull’abisso”. Lenin dopo l’Ottobre*- Alexander Höbel**

*Da:   https://www.lacittafutura.it 
**Università di Napoli "Federico II"
Leggi anche:  https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/01/edward-hallett-carr-storia-e.html

In occasione del Centenario della Rivoluzione d’Ottobre, si sta opportunamente riaprendo la discussione sul significato e il valore storico di quella straordinaria svolta che ha segnato di sé l’intero XX secolo e che si riflette, per alcuni aspetti, a partire dal mutamento dei rapporti di forza tra aree del mondo, sulla nostra stessa contemporaneità. In questo quadro è essenziale approfondire il significato ma anche i problemi di quella esperienza. Se l’obiettivo della Rivoluzione socialista era quello di sottomettere i meccanismi dell’economia alla volontà cosciente e organizzata delle masse, in vista del benessere collettivo, Lenin fu sempre consapevole della difficoltà di tale sfida, in particolare in un paese arretrato come la Russia del 1917. La consapevolezza di tale difficoltà andò crescendo nei mesi e negli anni successivi alla presa del potere, senza però trasformarsi mai in una diversa valutazione sulla svolta dell’Ottobre, anzi sempre ribadendo la giustezza della scelta fatta, l’opportunità di aver colto il momento, di aver sfruttato al meglio le possibilità offerte da una eccezionale contingenza storica. 

All’indomani dell’Ottobre, Lenin individua come “uno dei compiti più importanti” quello di “sviluppare il più largamente possibile questa libera iniziativa degli operai [...] e di tutti gli sfruttati [...] nel campo dell’organizzazione. Bisogna distruggere ad ogni costo – dice – il pregiudizio assurdo [...] secondo il quale soltanto le cosiddette ‘classi superiori’ [...] possono dirigere lo Stato [...]. No, gli operai non dimenticheranno nemmeno per un istante di aver bisogno della forza del sapere. [...] Ma il lavoro di organizzazione è anche alla portata di un comune operaio o contadino che sa leggere e scrivere, conosce gli uomini ed è provvisto di un’esperienza pratica”. E “ciò che precisamente fa la forza [...] della rivoluzione d’Ottobre [...] è che essa suscita queste qualità, abbatte tutte le vecchie barriere [...] fa entrare i lavoratori nella via dove creano essi stessi la nuova vita”, in modo diversificato e vario. “Dopo secoli di lavoro per altri [...] per la prima volta appare la possibilità di lavorare per sé [...] approfittando di tutte le conquiste della tecnica e della cultura moderne”[1]. 

lunedì 26 giugno 2017

Discorso sul colonialismo*- Aimé Césaire**

** Aimé Césaire è stato un poeta, scrittore e politico francese, originario della Martinica. wikipedia
Vedi anche:   https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/06/storia-religiosa-dellamerica-latina- 


Una civiltà che si dimostri incapace di risolvere i problemi che produce il suo stesso funzionamento è una civiltà in decadenza.

Una civiltà che sceglie di chiudere gli occhi di fronte ai suoi problemi più impellenti è una civiltà ferita.

Una civiltà che gioca con i propri principi è una civiltà moribonda.

Fatto sta che la civiltà così detta «europea», la civiltà occidentale, così come si è costituita in due secoli di regime borghese è incapace di risolvere i due maggiori problemi generati dalla sua stessa esistenza: il problema del proletariato e il problema coloniale; che deferita alla sbarra della «ragione» come a quella della «coscienza», quella stessa Europa è incapace di giustificarsi; che, quanto più, si rifugia in una ipocrisia sempre più odiosa, tanto più diminuiscono le sue possibilità di ingannare.

L'Europa è indifendibile.

Questa sembra essere la constatazione che scambiano a bassa voce gli strateghi americani.
La cosa in sé non sarebbe grave.

Grave è il fatto che «l'Europa» è moralmente e spiritualmente indifendibile.

domenica 25 giugno 2017

Storia religiosa dell'America Latina e del Caribe (III° Lezione)* - Alessandra Ciattini

*Da:   https://www.unigramsci.it/

Nella terza lezione si cercheranno di ricostruire i diversi processi culturali attraverso i quali gli amerindiani interpretano il cattolicesimo e i suoi simboli introdotti in America dagli spagnoli; al contempo, si analizzerà anche l'altra prospettiva, ossia il modo in cui questi ultimi decifrano la religiosità indigena, mostrando di fatto una totale incapacità di comprensione. Tali modalità interpretative sono oggetto ancora oggi di un intenso dibattito e sono ancora operanti nei contesti rituali, che costituiscono i momenti più intesi di espressione della religiosità popolare.



Dall'analisi di tali processi storici scaturisce l'ipotesi che essi siano all'origine del cosiddetto sincretismo religioso; fenomeno che si esprime in vari gradi e che riguarda sia le religioni autoctone che quelle di origine africana, importate con gli schiavi, e che nel corso del tempo ha visto l'incorporarsi di altre tendenze religiose, come lo spiritismo. Il sincretismo non è un fenomeno appartenente al passato; esso è vivo e vegeto, e caratterizzato da uno straordinario dinamismo che gli permette di arricchirsi anche grazie all'incremento degli scambi sociali e culturali. In tale contesto saranno analizzati nel dettaglio due processi di triplice sincretizzazione di due madonne cubane.

Prima lezione:  https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/06/storia-religiosa-dellamerica-latina 
Seconda lezione:  https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/06/storia-religiosa-dellamerica-latina


sabato 24 giugno 2017

PENSARE LA RIVOLUZIONE RUSSA* - Luciano Canfora**

*Da:  Passepartout Asti   
**Luciano_Canfora è un filologo classico, storico e saggista italiano. 
Leggi anche:   https://www.marxists.org/italiano/lenin/1923/3/megliomenomameglio.htm


venerdì 23 giugno 2017

LENIN: L'ESTREMISMO - Stefano Garroni

Vedi anche:  https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/12/lenin-opere-complete.html



Stefano Garroni: A me pare che, escluse tre o quattro opere di Lenin, la grandissima maggioranza di quello che lui ha scritto, riproduce lo schema compositivo di quest’opera qua. Voglio dire: l’opera del dirigente politico, che parla di questioni politiche, a militanti politici. Quindi una scrittura molto compatta, che può essere compresa da un qualunque militante che abbia curiosità e che abbia un’esperienza politica. In questo senso la grande maggioranza delle opere di Lenin, non fanno nascere nel lettore la richiesta di un intervento della teoria per risolvere punti, per chiarire aspetti. Il lettore ha sicuramente la possibilità di capire il discorso a prescindere dall’intervento del teorico. 

Siccome son passati diversi anni da quando lui ha scritto, quello che può essere utile è l’intervento di uno storico, che ricostruisca nei dettagli le situazioni, che ci consenta di metter carne a certe formule linguistiche che corrisponda un nome: Bordiga chi è? C’è lo storico che ce lo spiega ecc. Ma alla lettura del testo, nella grande maggioranza delle opere di Lenin, non segue il bisogno di un intervento del teorico che chiarisca, che aggiunga informazioni, riflessioni, per risolvere dei punti dubbi del testo di Lenin. Questo con l’eccezione di alcuni scritti come Materialismo ed empiriocriticismo, il Che fare?, la Critica agli amici del popolo, i Quaderni filosofici ecc.

Ora, questa descrizione della pagina di Lenin, in realtà è abbastanza equivoca, nel senso che un’opera così compatta, scritta da un politico, su temi politici, che il militante politico comprende, sembra delineare una struttura chiusa. Quasi che nasca e muoia dentro l’orizzonte politico. 

In realtà è vero questo: se noi superiamo il punto di vista di chi, fate conto, si chiede: “Cosa pensava Lenin dei sindacati?”, e allora, ecco, questa opera ti dice che cosa Lenin pensava. “Cosa pensava dello Stato?”, quest’altra ti dice cosa pensava dello Stato ecc. Quindi, se evitiamo la mentalità evidentemente dogmatica delle opere scelte in due volumi – ovviamente non abbiamo bisogno di leggere tutti e 40 e rotti volumi dell’opera di Lenin -, però abbiamo bisogno senza meno di leggere varie opere, di vari periodi, in cui Lenin si confronta con vari problemi (ognuna di queste opere potremo capirla perfettamente, discuterla, farla operare dentro di noi), però se le leggiamo in una rappresentanza ampia, a quel punto viene fuori la necessità della chiarificazione teorica. Perché?

giovedì 22 giugno 2017

Prima di andare oltre, leggiamolo*- Marco Palazzotto


È una “grande costruzione letteraria”, piena di citazioni e battute di spirito? È “sociologia dell’Ottocento”? È teoria astratta? È un libro di storia? Il Capitale di Carlo Marx è un po’ tutte queste cose insieme e, soprattutto, 150 anni dopo la pubblicazione del Primo Libro, rimane il testo da cui partire per comprendere il presente e immaginare il futuro del capitalismo. Un contributo di Marco Palazzotto.

Quest’anno ricorrono i 150 anni della pubblicazione (1867) del Primo Libro del testo che avrebbe poi cambiato la storia del Novecento, ovvero la principale opera di Karl Marx: Das Kapital.
Dopo un secolo e mezzo dalla prima edizione tedesca, ci si chiede se un’opera che ha influenzato la politica mondiale del secolo scorso sia oggi ancora utile ad offrire strumenti di analisi a chi si pone come obiettivo la trasformazione della società in senso più egualitario.
Il Capitale, per il livello di astrazione utilizzato da Marx, non poteva fornire dei consigli politici pratici, mentre è parere consolidato che la teoria del testo più importante del filosofo di Treviri non abbia eguali, ancora oggi, quanto a capacità di comprensione e analisi del modo di produzione capitalistico. Molte delle teorie allora presentate possono essere ancora applicate all’interpretazione di svariati fenomeni sociali.
Parlo ad esempio della crisi quale elemento strutturale del capitalismo, o della scienza e l’automazione come cause di diminuzione del lavoro necessario, tendenza che crea una disoccupazione endemica, ma che allo stesso tempo deve creare le condizioni per l’accumulazione.
Questa tendenza del lavoro necessario (attività utile al lavoratore per riprodurre i suoi mezzi di sussistenza) verso l’azzeramento deve essere contrastata da controtendenze, per evitare il calo dei consumi legati al calo dei salari reali. Pertanto, si verificheranno delle crisi cicliche dovute alla presenza di queste tendenze opposte. E tutt’oggi le teorizzazioni marxiane della crisi dimostrano grande validità. 
Anche la teoria del valore affrontata nei primi capitoli del Capitale è fondamentale per capire la teoria della merce, ovvero la teoria dello sfruttamento e delle relazioni delle classi antagoniste nella produzione moderna. Teoria ancora più pregnante se consideriamo quanto il marginalismo – e le sue formulazioni aggiornate – sia incapace a spiegare i comportamenti degli operatori economici contemporanei. 

martedì 20 giugno 2017

LA FORMA DI MERCE DELLA FORZA-LAVORO*- Gianfranco Pala**

*Bandiera rossa, 49, Milano 1995   http://www.contraddizione.it/scritti.htm   **gianfrancopala economista in pensione...  
                                                 


La capacità di lavoro, se non è venduta, non è niente.
(Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi)


la comprensione della sola “ricchezza” del proletariato

1. “La ricchezza delle società nelle quali predomina il modo di produzione capitalistico si presenta come una "immane raccolta di merci" e la merce singola si presenta come sua forma elementare. Perciò la nostra indagine comincia con l’analisi della merce”.

2. “All’inizio la merce ci si è presentata come qualcosa di duplice, valore d’uso e valore di scambio. In un secondo tempo s’è visto che anche il lavoro, in quanto espresso nel valore, non possiede più le stesse caratteristiche che gli sono proprie come generatore di valori d’uso. Tale duplice natura del lavoro contenuto nella merce è stata dimostrata criticamente da me per la prima volta. E poiché questo punto è il perno intorno al quale ruota la com­prensione dell’economia politica, occorre esaminarlo più da vicino”.

3. “Il cambiamento di valore del denaro che si deve trasformare in capitale non può avvenire in questo stesso denaro, poiché esso, come mezzo di acquisto e come mezzo di pagamento, non fa che realizzare il prezzo della merce che compera o paga ... Il cambiamento deve verificarsi nella merce che viene comprata ..., ma non nel valore di essa, poiché vengono scambiati equivalenti, cioè la merce vien pagata al suo valore. Il cambiamento può derivare dunque soltanto dal valore d’uso della merce come tale, cioè dal suo consumo. Per estrarre valore dal con­sumo d’una merce, il possessore di denaro dovrebbe esser tanto fortunato da scoprire, all’interno della sfera della circolazione, cioè sul mercato, una merce il cui valore d’uso stesso possedesse la peculiare qualità d’esser fonte di valore; tale dunque che il suo consumo reale fosse, esso stesso, oggettivazione di lavoro, e quindi creazione di valo­re. E il possessore di denaro trova sul mercato tale merce specifica: è la capacità di lavoro, ossia la forza-lavoro”.

4. “Per forza-lavoro o capacità di lavoro intendiamo l’insieme delle attitudini fisiche e intellettuali che esi­stono nella corporeità, ossia nella personalità vivente d’un uomo, e che egli mette in movimento ogni volta che pro­duce valori d’uso di qualsiasi genere... La forza-lavoro come merce può apparire sul mercato soltanto in quanto e perché viene offerta o venduta come merce dal proprio possessore, dalla persona della quale essa è la forza-lavoro. Affinché il possessore della forza-lavoro la venda come merce, egli deve poterne disporre, quindi essere libero pro­prietario della propria capacità di lavoro, della propria persona. Egli si incontra sul mercato con il possessore di de­naro e i due entrano in rapporto reciproco come possessori di merci, di pari diritti, distinti solo per essere l’uno compratore, l’altro venditore, persone dunque giuridicamente eguali... Il proprietario di forza-lavoro, quale persona, deve riferirsi costantemente alla propria forza-lavoro come a sua proprietà, quindi come a sua propria merce”.

5. “Una cosa è evidente, però. La natura non produce da una parte possessori di denaro o di merci e dall’al­tra puri e semplici possessori della propria forza lavorativa. Questo rapporto non è un rapporto risultante dalla storia naturale e neppure un rapporto sociale che sia comune a tutti i periodi della storia. Esso stesso è evidentemente il ri­sultato d’uno svolgimento storico precedente, il prodotto di molti rivolgimenti economici ... Esso nasce soltanto do­ve il possessore di mezzi di produzione e di sussistenza trova sul mercato il libero lavoratore come venditore della sua forza-lavoro e questa sola condizione storica comprende tutta una storia universale”.

6. “Ormai dobbiamo considerare più da vicino quella merce peculiare che è la forza-lavoro. Essa ha un va­lore, come tutte le altre merci... determinato dal tempo di lavoro necessario alla produzione e, quindi anche alla ri­produzione, di questo articolo specifico ... ossia: il valore della forza-lavoro è il valore dei mezzi di sussistenza ne­cessari per la conservazione del possessore della forza-lavoro ... la somma dei mezzi di sussistenza necessari alla produzione della forza-lavoro include i mezzi di sussistenza delle forze di ricambio, cioè dei figli dei lavoratori, in modo che questa razza di peculiari possessori di merci si perpetui sul mercato... È un sentimentalismo troppo a buon mercato il trovare brutale queste determinazioni del valore della forza-lavoro, la quale deriva dalla natura stessa del­la cosa”.

7. “La natura peculiare di questa merce specifica, la forza-lavoro, ha per conseguenza che, quando è con­cluso il contratto fra compratore e venditore, il suo valore d’uso non è ancor passato realmente nelle mani del com­pratore, ... ma il suo valore d’uso consiste soltanto nella successiva estrinsecazione della sua forza... Il valore d’uso che il possessore del denaro riceve, per parte sua, nello scambio, si mostra soltanto nel consumo reale, nel processo di consumo della forza-lavoro. Il processo di consumo della forza-lavoro è allo stesso tempo processo di produzione di merce e di plusvalore. Il consumo della forza-lavoro, come il consumo di ogni altra merce, si compie fuori del mercato ossia della sfera della circolazione. Quindi, assieme al possessore di denaro e al possessore di forza-lavoro, lasciamo questa sfera rumorosa che sta alla superficie ed è accessibile a tutti gli sguardi, per seguire l’uno e l’altro nel segreto laboratorio della produzione sulla cui soglia sta scritto: Vietato l’ingresso agli estranei - No admittance except on business. Qui si vedrà non solo come produce il capitale, ma anche come lo si produce, il capitale. Final­mente ci si dovrà svelare l’arcano della fattura del plusvalore”.

8. “Tutti i termini del problema sono risolti e le leggi dello scambio delle merci non sono state affatto vio­late. Si è scambiato equivalente con equivalente ... La trasformazione del denaro in capitale deve essere spiegata sulla base di leggi immanenti allo scambio di merci, cosicché come punto di partenza valga lo scambio di equiva­lenti ... deve avvenire entro la sfera della circolazione e non deve avvenire entro la sfera della circolazione... Tutto questo svolgimento, la trasformazione in capitale del denaro ... avviene e non avviene nella sfera della circolazione. Avviene attraverso la mediazione della circolazione, perché ha la sua condizione nella compera della forza-lavoro sul mercato delle merci; non avviene nella circolazione, perché questa non fa altro che dare inizio al processo di va­lorizzazione, il quale avviene nella sfera della produzione. E così tout est pour le mieux, dans le meilleur des mon­des possibles”.

Queste sono le condizioni del problema. Hic Rhodus, hic salta!”.

lunedì 19 giugno 2017

Natura, lavoro e ascesa del capitalismo*- Martin Empson**

*Da:  Monthly Review     traduzionimarxiste.wordpress 
**Martin Empson è autore del volume Land and labour (Bookmarks, 2014). 


Il capitalismo intrattiene un rapporto peculiare, per usare un eufemismo, col mondo naturale. (1) Karl Marx lo ha riassunto al meglio nei Grundrisse, dove ha scritto che con l’ascesa del modo di produzione capitalistico, “la natura diviene puro oggetto per l’uomo, puro oggetto dell’utilità; cessa di essere riconosciuta come potenza per sé; e la stessa conoscenza teoretica delle sue leggi autonome appare soltanto come un’astuzia per assoggettarla ai bisogni umani sia come oggetto del consumo sia come mezzo della produzione”. (2) Nella stessa sezione, egli nota come “il capitale crea dunque la società borghese e l’appropriazione universale tanto della natura quanto della connessione sociale stessa da parte dei membri della società”.

Questo rapporto strumentale col mondo naturale contrasta bruscamente con le modalità attraverso le quali la natura è stata considerata, ed usata, dalle precedenti società umane. Un’interazione inedita con la natura emersa dalle violente trasformazioni sociali che hanno accompagnato lo sviluppo del capitalismo in Europa occidentale, estendendosi con la diffusione di tale sistema al resto dl mondo. Marx ha catalogato le molteplici forme di saccheggio e distruzione perpetuate dal primo capitalismo, nel suo rifare il mondo a propria immagine: “La scoperta delle terre aurifere e argentifere in America, lo sterminio e la riduzione in schiavitù della popolazione aborigena, seppellita nelle miniere, l’incipiente conquista e saccheggio delle Indie Orientali, la trasformazione dell’Africa in una riserva di caccia commerciale delle pelli nere, sono i segni che contraddistinguono l’aurora dell’era della produzione capitalistica. Questi procedimenti idillici sono momenti fondamentali dell’accumulazione originaria“. (3) Il capitale, conclude egli in un celebre passo, fa il suo ingresso nel mondo “grondante sangue e sporcizia dalla testa ai piedi, da ogni poro”, nel momento in cui la natura stessa viene subordinata alle esigenze del sistema. (4)

domenica 18 giugno 2017

Al di là del terrore. Per una nuova antropologia*- Roberto Finelli**

*Da:  http://dialetticaefilosofia.it/
**Filosofo italiano   http://host.uniroma3.it/docenti/finelli/
Leggi anche:   https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/10/per-unetica-del-riconoscimento-paolo.html

1. Una smaterializzazione della vita 

 Com’è noto, uno dei testi più arcaici e fondativi della nostra modernità – nel senso di ciò che concerne l’αρχή, il principio – descrive la nostra società come una «immane raccolta di merci».

 Ebbene io credo che oggi la merce più rara, e di conseguenza più preziosa, sia divenuta, non una merce materiale, come il petrolio o come l’oro depositato nei caveaux delle banche centrali, bensì una merce immateriale e psichica, qual è la capacità di approfondimento interiore e di autoriflessione. E’ la capacità cioè di sentirsi - e di ritrovare nel proprio sentire emozionale il senso-guida della propria vita e il luogo ultimo, non confutabile da altri, della verità - che è venuta, a mio avviso, fondamentalmente meno, lasciando generalizzarsi e farsi coscienza comune un’attitudine alla superficie, al frammento, al percuotimento e alla seduzione dell’esteriore, che impedisce e vieta il darsi di eco e sonorità interiori, fino alla profondità corporea del nostro sentire.

 Come a dire che nell’ultimo trentennio della nostra epoca s’è vissuto, in particolare nei paesi del ricco Occidente, un enorme processo di smaterializzazione e di decorporeizzazione emozionale del nostro vivere, che altri hanno voluto chiamare anche, con termini ritengo meno adeguati, di «umanità liquida». Giacché il farsi liquidi e senza centro non coglie bene quanto e come l’esperienza dello svuotamento emozionale, ch’è divenuta configurazione psichica di massa, si sia accompagnata e dissimulata, nello stesso tempo, con l’investimento isterico e compensatorio della superficie, con la sopravalutazione eterodiretta delle paillettes e dei lustrini che spesso incorniciano il frammento, con la seduzione di una silhouette visiva, che nel contorno di una bellezza senza contenuto, cattura e mortifica lo sguardo di chi la subisce.