sabato 8 aprile 2017

Cinque risposte su marxismo ed ecologia*- John Bellamy Foster**,

*Da:  http://climateandcapitalism.    https://traduzionimarxiste.wordpress.com/
**John Bellamy Foster è direttore della monthlyreview. e docente di sociologia presso l’Università dell’Oregon.



Il marxismo può rafforzare la nostra comprensione della crisi ecologica? L’autore di Marx’s Ecology, John Bellamy Foster, replica alle critiche su temi quali frattura metabolica, sviluppo umano sostenibile, decrescita, crescita demografica e industrialismo.

Introduzione:
Il sito indiano Ecologize ha recentemente pubblicato la prefazione scritta da John Bellamy Foster al libro di Ian Angus, Facing the Anthropocene. Nel commentare l’articolo di Foster, il giornalista ed attivista Saral Sarkar, il quale definisce il proprio punto di vista come eco-socialista, solleva alcuni interrogativi che sfidano l’utilità dell’analisi marxista ai fini della comprensione della crisi ecologica globale. La replica di Foster è stata pubblicata da Ecologize il 26 marzo.

Lo scambio, qui riproposto, affronta importanti questioni circa le prospettive marxiste sulla crisi ecologica globale.

ALCUNE DOMANDE PER JOHN BELLAMY FOSTER
di Saral Sarkar

Il professor Bellamy Foster è un rinomato studioso. E se il suo lavoro ha anche lo scopo di servire le cause nelle quali è impegnato, di certo vorrà rispondere alle seguenti domande/commenti di un lettore di quest’articolo:

Quale utilità può avere sostituire la nozione comunemente usata e ben comprensibile di “grande crisi ecologica” con quella marxiana, poco conosciuta e di difficile comprensione, di “frattura metabolica nel rapporto tra l’uomo e la terra”?

venerdì 7 aprile 2017

Esiste in Marx una teoria generale e unitaria della crisi?*- Ascanio Bernardeschi

*Da:  http://dialetticaefilosofia.it/



2. La possibilità astratta della crisi

Ai tempi di Marx, secondo l’ortodossia degli economisti borghesi la crisi non doveva esistere. Non solo per l’economia volgare, ma anche per i primi, grandi economisti classici. 

Secondo Adam Smith, per esempio, i meccanismi del mercato sono perfetti: dobbiamo il nostro benessere all’egoismo degli operatori economici e alla mano invisibile del mercato, mentre lo Stato, per non compromettere questo idillio, dovrebbe limitarsi a svolgere alcune funzioni, pur importanti, quale l’istruzione, la difesa ecc. astenendosi dall’interferire nell’economia. 

David Ricardo, da parte sua, aderì alla cosiddetta legge di Say, o legge degli sbocchi, secondo cui le crisi generali di sovrapproduzione sono impossibili in quanto ogni offerta di prodotti crea la propria domanda. Possono esserci quindi solo sovrapproduzioni settoriali, non generali, e per i brevi periodi necessari al raggiungimento di un equilibrio tra domanda e offerta7 . 

Certamente anche a quei tempi non mancarono gli eretici più dubbiosi, quali Sismondi e Malthus. Ma si trattò appunto di eresie contro l’egemonia schiacciante dei negazionisti. Figuriamoci poi cosa poterono dire gli apologeti. Qualcuno ebbe modo perfino di studiare le macchie solari8 , tanto per escludere che le crisi potessero essere causate da contraddizioni insite al modo di produzione capitalistico. 

Insomma la crisi o non esiste, o è il prodotto di cause “esogene”, o frutto di comportamenti di operatori irrazionali, o troppo egoisti (capita a volte di esagerare), oppure è il risultato di politiche sbagliate. Comunque si tratta di uno spiacevole inconveniente, di un evento patologico estraneo alla fisiologia del capitalismo.

Marx ha confutato la legge degli sbocchi, partendo dall’incipit del Capitale: il duplice carattere della merce9 . Questa «cellula elementare» del capitalismo è già in sé una contraddizione in quanto è sia un bene utile a soddisfare bisogni umani che una depositaria di ricchezza sociale astratta, di lavoro umano sociale astratto occorrente per la sua produzione. Per il produttore la sua utilità è solo quella di essere un potenziale involucro di ricchezza sociale ma non ha un valore d’uso immediato, altrimenti non la scambierebbe; è un valore di scambio potenziale che per realizzarsi come effettivo valore di scambio deve incontrare nel mercato qualcuno che le consideri un buon valore d’uso.

Con l’introduzione del denaro il valore si polarizza in quest’ultimo, più appropriato, contenitore, la cui utilità sta solo nel conferire al possessore il potere di acquistare merci utili, mentre al polo opposto, specularmente, le merci sono valori d’uso che possono realizzare il loro valore solo scambiandosi con denaro.

Il denaro separa in due atti distinti la metamorfosi della merce (M-D-M’) a differenza di quanto avviene con lo scambio immediato o baratto (M-M’). Nel baratto colui che vende è nello stesso istante colui che acquista l’altra merce e viceversa, vendita e acquisto coincidono, per cui in questo contesto vale la legge degli sbocchi. Se invece lo scambio viene spezzato in due fasi (vendita e acquisto) esiste la possibilità che, dopo la prima, il venditore preferisca non spendere subito il suo denaro, ma tesaurizzarlo o spenderlo in altri mercati, togliendolo quindi dalla circolazione senza mettere in atto la domanda corrispondente. In tal modo ci sarà da qualche parte un potenziale venditore che non troverà il suo acquirente, che non riuscirà a trasformare la sua merce in denaro10.

lunedì 3 aprile 2017

POTENZIALITÀ E LIMITI DEL REDDITO DI BASE*- Giovanna Vertova**

*Etica & Politica / Ethics & Politics, XIX, 2017, 1.   http://www2.units.it/etica/
**Dipartimento di Scienze Aziendali, Economiche e Metodi Quantitativi Università di Bergamo.
Leggi anche:   https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/05/un-reddito-garantito-ci-vuole-ma-quale.html
                            https://ilcomunista23.blogspot.it/2015/12/salario-minimo-garantito-reddito-di.html

                                                                                                     Quesito 1.
In Italia, nonostante l’assenza di misure universali di sostegno al reddito abbia per molti anni tenuto fuori il paese dal dibattito europeo, ultimamente si sono moltiplicate iniziative regionali (per esempio il reddito di dignitàpugliese o il reddito di autonomia piemontese) o amministrative, proposte di legge (quella del Movimento 5 Stelle e quella di SEL, per esempio), iniziative popolari. Anche il ministro Poletti ha recentemente annunciato l’introduzione di un “reddito di inclusione” a livello nazionale. In molti casi la discussione ha riguardato dispositivi molto distanti, nell’impianto e nella filosofia, dal reddito di base incondizionato, presentando caratteri di familismo ed eccessiva condizionalità. In Svizzera, invece, si è recentemente svolto un referendum per l’introduzione di un reddito di base incondizionato su scala nazionale. A cosa è dovuto, a suo parere, il ritardo italiano – ammesso e non concesso che di “ritardo” effettivamente si tratti? Come è possibile tradurre politicamente un dibattito teorico che dura ormai da decenni? 

G. Vertova:
Trovo abbastanza bizzarro che la prima domanda di un dibattito sul reddito di base (RdB) non riguardi la validità della proposta, quanto il ritardo nella discussione teorica e nella pratica politica italiana. Lo trovo ancora più bizzarro quando si invita al dibatto una persona che, in più di una occasione, ha sollevato critiche, sia teoriche che politiche, al RdB1 . Forse sarebbe stato intellettualmente più stimolante chiedere ai partecipanti una analisi di tale proposta. Mi prendo, quindi, la libertà di riassumere, molto velocemente, le mie perplessità, prima di rispondere.

Prima di tutto è necessario chiarire di cosa si sta parlando, perché il dibattito sia teorico che politico, soprattutto in Italia, è molto confuso: reddito di esistenza, di base, minimo garantito, di dignità, di autonomia, di inclusione, salario sociale, vengono usati come sinonimi delle diverse proposte, come semplici etichette che nascondono, in realtà, cose molto diverse. Il RdB è una proposta molto chiara e specifica: il pagamento regolare di un reddito (in moneta, non in natura, come è, in genere, il welfare), su base individuale (non familiare, come sono spesso i sostegni al reddito in Italia), universale (per tutti, indipendentemente dalla condizione lavorativa) e incondizionato (non vincolato a un requisito lavorativo o alla volontà di offrirsi nel mercato del lavoro)2 . Questa nuova forma di welfare viene presentata dai sostenitori come “la” proposta di politica economica per superare la precarietà e la disoccupazione dilagante, in questa nuova fase di accumulazione capitalistica e, a maggior ragione, oggi, in questo periodo di crisi.

domenica 2 aprile 2017

STACANOVISMO E CONTRORIFORME NEL CAPITALISMO NEOLIBERISTA*- Paolo Massucci**

*Da:   http://contropiano.org/
**collettivo di formazione marxista Stefano Garroni 

Analisi dei messaggi ideologici nella presente fase del capitalismo

In una edificante serata del popolare festival di San Remo di quest’anno abbiamo avuto il piacere di assistere alla presentazione di una “nuova” figura nel panorama ideologico neoliberista: quella dello Stachanov nostrano. Si tratta di un impiegato pubblico modello, il quale, in quarant’anni di lavoro, non ha fatto neppure un giorno di malattia ed inoltre ha accumulato ben 239 giorni di ferie non godute. Ci si potrebbe chiedere -se fosse cosa seria- se la ricerca medica stia studiando il caso, per scoprire i segreti della “salute miracolosa”. Invece, riguardo ai 239 giorni di ferie non godute -se fosse vero-, saremmo curiosi di sentire anche il parere della moglie, se mai ne avesse.

E’ notizia di questi stessi giorni che Boeri, presidente dell’INPS, il quale si è distinto per il tentativo -ad oggi fallito- di sacrificare la pensione di reversibilità per i superstiti, intenderebbe intensificare i controlli medico-fiscali per i dipendenti pubblici assenti per malattia. E, con l’occasione, richiederebbe di aumentare, da quattro a sette, le ore giornaliere di reperibilità per le visite di controllo del medico fiscale per i dipendenti in malattia del settore privato, uniformando così la durata della reperibilità dei dipendenti privati a quella dei dipendenti pubblici. Per questi ultimi infatti detta durata era già stata portata da quattro a sette ore dal ministro Brunetta del governo Berlusconi.

Si tratta, secondo Boeri, la classe dirigente e i giornalisti venditori al dettaglio dell’ideologia neoliberista e repressiva, di semplice ristabilimento di un principio di equità (naturalmente non viene neppure considerata la possibilità di uniformare per tutti la durata delle fasce di controllo alle quattro ore attuali dei dipendenti privati e neppure di stabilire un livello intermedio tra le quattro e le sette ore). Eppure, specularmente, nessuno di loro ha giudicato iniquo il cambiamento effettuato da Brunetta, allorché introduceva l’aumento della fascia oraria di reperibilità esclusivamente per il pubblico impiego: è stata considerata, anzi -quella di Brunetta- una misura “più che sacrosanta!”.

Al principio di equità si è ispirata anche la controriforma delle pensioni Fornero del governo Monti: essa ha innalzato di tanti anni l’età pensionabile (che secondo le stime supererà i 70 anni per i quarantacinquenni di oggi), soprattutto per le donne, le quali prima avevano una pensione anticipata rispetto agli uomini e ora sono state equiparate agli uomini, semplicemente innalzando l’età delle donne a quella degli uomini (con un aumento di ben dieci anni!). Non volevamo la “parità tra sessi”?

lunedì 27 marzo 2017

La Cina nel processo di globalizzazione*- Spartaco A. Puttini



Sotto la guida di Reagan e della Thatcher, Stati Uniti e Gran Bretagna vararono nel corso degli anni Ottanta una serie di politiche che contribuirono a ristrutturare le società dell’Occidente (e non solo dell’Occidente) e l’ordine internazionale. Il processo di globalizzazione neoliberista [1] che ha plasmato il mondo negli ultimi decenni ha il proprio epicentro proprio nella Gran Bretagna e negli Stati Uniti.

Su quest’onda si impose un nuovo ordine mondiale caratterizzato dal “Washington Consensus”.

Oggi, invece, il presidente USA, Donald Trump e la premier britannica Theresa May puntano esplicitamente a sottrarsi, in termini e modalità pur differenti, alla morsa dell’interdipendenza sempre crescente tra le varie regioni del globo che è stata un tratto caratteristico del processo di globalizzazione. Il nuovo presidente statunitense, in particolare, arriva a mettere in discussione alcune delle stelle cardinali seguite dalla politica americana negli ultimi decenni. Lo fa sul dossier messicano, principalmente per porre fine ai processi migratori che scavalcano il Rio Grande, incorrendo nella seria conseguenza di mandare in malora il NAFTA, l’area integrata di libero scambio che riunisce USA, Canada e Messico e che riveste un’importanza strategica essenziale nella politica estera statunitense. Più in generale Trump mette in discussione la bontà dei progetti di integrazione regionale a guida Usa, che erano stati promossi al fine di legare al carro statunitense aree strategiche vitali nella sempre più difficile competizione geopolitica con gli antagonisti dell’unipolarismo americano: Russia e Cina.

Cosa ha spinto Trump, finora, ad assumere posizioni così singolari? In parte, questa postura risponde alla promessa di far rinascere uno stato del benessere che ha caratterizzato il sogno americano, sogno ormai sepolto grazie all’impatto sociale del neoliberismo. E’ questo il significato più profondo dello slogan agitato durante la corsa per la Casa Bianca: “first america great again”. Far tornare grande l’America, significava per lui, ricostruire le basi dello standard di vita statunitense, ormai museo dei ricordi e tornare ad alimentare il mito del self made man di cui lui stesso rappresenta incarnazione evidente. Su questa base ha costruito il suo successo contro chi sosteneva lo status quo di strategie politiche che parte dell’establishment stretto attorno alla Clinton riteneva indiscutibili, al fine di garantire l’egemonia statunitense. Questo non significa che a Washington siano stati abbandonati i sogni di gloria, ma significa che il paese è al suo interno spaccato e che nelle stanze del potere il dibattito sulla strada da intraprendere è serrato.

Forse la strategia di Trump inverte quella precedente: non tenta più di strappare la Cina dalla Russia, come ipotizzato dalla diplomazia del ping-pong di Kissinger in poi, ma di strappare la Russia dalla Cina. Una trappola nella quale la Russia non intende cadere, come ha sottolineato in un discorso alla Duma il ministro degli Esteri russo Lavrov [2].

Se in alcune cerchie si parla (propriamente o meno è un’altra questione) di de-globalizzazione, in discussione ci sono le relazioni troppo stringenti e vincolanti che sono state strette nei decenni scorsi tra Usa e Cina, che hanno dato un loro contributo nel promuovere lo spostamento dell’asse economico del mondo dall’Atlantico all’Asia orientale e nel mirino c’è la Cina. Cina che appare oggi paradossalmente come alfiere delle politiche di interdipendenza. Per capirne i motivi bisogna risalire però alle radici della scelta di Deng Xiaoping di attuare la politica di riforme e apertura che sono state alla base del miracolo cinese.

domenica 26 marzo 2017

Vita quotidiana all'Avana*- Alessandra Ciattini

*Da:   https://www.lacittafutura.it/     

Vedi anche: Il blocco contro Cuba: il genocidio più lungo della Storia  https://www.youtube.com/watch?v=vItDZLwt6Hg 

Cosa ci dice la vita quotidiana a Cuba.

Vita quotidiana all'Avana

Uscendo la mattina ancora fresca da un edificio popolare e periferico ti accoglie la tiepida umidità non incontaminata dell'Avana. I vicini si avvicinano e ti salutano, chiedendoti informazioni sulla tua vita e suoi tuoi famigliari. È difficile liberarsi in pochi minuti tanto i rapporti sono stretti e continui. Trascinando il suo carrettino, qualche venditore ambulante grida offrendo ai passanti pane, frutta e verdura. È anche possibile veder passare un carretto, caricato di materiale vario, tirato da un cavallino docile e mansueto. Le piante lussureggianti che ombreggiano qualche viale danno un senso di vitalità istintuale che può rianimare qualche turista del vecchio mondo. Ora comincia la grande fatica, cui non si sottraggono neppure gli uomini (anzi questa sembra essere una grande conquista delle donne cubane): fare la spesa per sopperire alle necessità quotidiane. Se ti sei fatto la lista delle cose da comprare devi fare parecchi giri, perché non tutto si trova nel medesimo luogo. Ci sono i grandi magazzini dello Stato, che in molti casi hanno più l'aspetto di depositi che di supermercati, e le tiendas particulares. È possibile pagare sia in convertibles (CUC, grosso modo l'equivalente di un euro) o in pesos, tenendo presente che un CUC vale 24 pesos. Per esempio, se si compra una piccola bottiglia di olio di oliva, che non fa certo parte degli alimenti consumati dai cubani, in CUC costa 6,40 in pesos 160.

Vi sono alimenti che per le difficoltà di produzione e di approvvigionamento sono introvabili, altri è possibile trovarli dopo aver fatto alcuni giri e seguendo i consigli dei passanti che ti indicano i possibili luoghi riforniti di quello che cerchi. Senza voler risalire troppo indietro nel tempo, appare evidente che nessun settore dell'economia cubana sia stato colpito come quello agricolo, dopo la dissoluzione del blocco socialista. In particolare la produzione dello zucchero e dei suoi derivati: se alla fine degli anni ‘80 del ventesimo secolo a Cuba si lavoravano circa 8 milioni tonnellate metriche di canna da zucchero, a partire dal 2010 si supera appena un milione di tonnellate. Quasi tre quarti delle industrie di lavorazione della canna sono state chiuse e le terre prima destinate a tale coltivazione sono state abbandonate. Dal 2007 si è cominciato a ridistribuire queste terre sotto varie forme, ma solo nel primo decennio del ventunesimo secolo è cresciuta la produzione dei prodotti più cari nei mercati dei prodotti agricoli. Questa è la ragione per la quale Cuba è diventata fortemente dipendente dall'importazione di alimenti dall'estero (J. I. Domínguez, Introducción, in Desarrollo económico y social en Cuba, 2013: 11). 

sabato 25 marzo 2017

Introduzione a Per la Critica dell'Economia Politica*- Stefano Garroni

Nel primo §. (Individui autonomi. Idee del XVIII secolo), l’argomento di Marx è facilmente riassumibile. L’economia politica ha come oggetto la produzione materiale, la quale è svolta da individui, che lavorano in certe condizioni sociali; è naturale, dunque, (nel senso di “è ovvio”, “va da sé”) che il discorso dell’economia politica prenda le mosse dagli individui, che operano in condizioni socialmente determinate. E’ pur vero che nel Settecento si è andato imponendo un altro modo di procedere, ovvero, si è ritenuto di poter iniziare il discorso dell’economia politica a partire dall’individuo isolato, dal Robinson Crusoe (il personaggio dell’omonimo romanzo settecentesco di Daniel De Foe). ma si tratta di un’illusione dell’epoca (la robinsonata), la quale consegue, per un verso, dal tentativo di legittimare l’individualismo, proprio dell’economia borghese; per un altro, dalla cecità di chi non comprende come anche l’individuo isolato sia possibile, solo, perché esiste una certa maniera di organizzare la società, che appunto esprime se stessa attraverso individui isolati.
Questo è, di primo acchito, il discorso che Marx fa. E’ vero, tuttavia, che guardando le cose più a fondo -per così dire con uno sguardo più sospettoso e scaltrito-, la faccenda si rivela più complessa.

Il fatto stesso che Marx ponga il tema del ‘punto di partenza’ (Ausgangspunkt) significa, implicitamente, richiamare Hegel, il quale aveva iniziato, ad es., la sua Scienza della logica (Wisenschaft der Logik) proprio affrontando la questione dell’Ausgangspunkt. Ed Hegel è richiamato anche nel proseguo. Infatti, quello che Marx, subito, indica come naturalmente il punto di partenza, a ben vedere, corrisponde ad una immediata considerazione, ad un diretto collegamento con l’esperienza: in altre parole, è come se Marx dicesse «basta guardar gli uomini che lavorano, per rendersi conto che lavorano in condizioni socialmente determinate».

Sennonché uno dei punti centrali del ragionamento, che Marx svolgerà in questo testo, è proprio la dimostrazione che cogliere la struttura sociale della produzione è operazione tutt’altro che naturale, perché, al contrario, assai raffinata -un’operazione, che richiederà di far ricorso a complesse procedure sia logiche che epistemologiche. Insomma, come vedremo, l’effettivo Ausgangspunkt, per Marx, richiederà un rapporto tutt’altro che immediato e naturale con l’esperienza.

Giungere all’effettivo punto di partenza, infatti, richiede superare la fase della robinsonata. Ma che cos’è quest’ultima? E’ il momento in cui l’insieme immediato -di uomo e sue condizioni di lavoro- viene rotto: il «tutto» dell’esperienza si scinde e l’individuo si separa dalle condizioni oggettive (sociali e naturali) della sua attività produttiva, ponendosele, per così dire, di fronte, come poteri estranei, dai quali egli è tanto indipendente, quanto essi stessi sono indipendenti da lui. In termini hegeliani, questo è il momento dell’intelletto (Verstand) che, giusta la lezione di Hegel, introduce, appunto, la scissione nella totalità immediata. Solo superando questo momento, sarà possibile -lo vedremo- conquistare l’effettivo punto di partenza.
La conclusione è chiara: il semplice discorso che Marx fa di primo acchito, in realtà, è un richiamo assai preciso ad un fondamentale ritmo del ragionamento hegeliano. Fin da subito, dunque, comprendiamo che sarà possibile intendere effettivamente queste pagine di Marx, solo a condizione di evidenziarne il legame con la riflessione di Hegel.

venerdì 24 marzo 2017

Tesi su Feuerbach* - Karl Marx

*Questo testo tanto breve quanto denso fu scritto da Marx nel marzo del 1845. Rimase tuttavia a lungo inedito finchè non fu pubblicato nella Neue Zeit (1886) da Engels che lo riprodusse in appendice al suo Ludwig Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca (1888). Si è usata qui la traduzione italiana di Palmiro Togliatti, in appendice al vol. Ludwig Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca, Roma, Editori Riuniti, 1950, pp. 77-80.  https://www.marxists.org/
Leggi anche:   https://ilcomunista23.blogspot.it/2015/05/ancora-sulla-dialettica-tesi-su.html
Ascolta anche:     https://www.youtube.com/watch?v=b8MG0OUn4Vo

I

Il difetto principale di ogni materialismo fino ad oggi, compreso quello di Feuerbach, è che l'oggetto, il reale, il sensibile è concepito solo sotto la forma di oggetto o di intuizione; ma non come attività umana sensibile, come attività pratica, non soggettivamente. E' accaduto quindi che il lato attivo è stato sviluppato dall'idealismo in contrasto col materialismo, ma solo in modo astratto, poiché naturalmente l'idealismo ignora l'attività reale, sensibile come tale. Feuerbach vuole oggetti sensibili realmente distinti dagli oggetti del pensiero; ma egli non concepisce l'attività umana stessa come attività oggettiva. Perciò nell'Essenza del cristianesimo egli considera come schiettamente umano solo il modo di procedere teorico, mentre la pratica è concepita e fissata da lui soltanto nella sua raffigurazione sordidamente giudaica. Pertanto egli non concepisce l'importanza dell'attività "rivoluzionaria", dell'attività pratico-critica.

II

La questione se al pensiero umano appartenga una verità oggettiva non è una questione teorica, ma pratica. E' nell'attività pratica che l'uomo deve dimostrare la verità, cioè la realtà e il potere, il carattere terreno del suo pensiero. La disputa sulla realtà o non-realtà di un pensiero che si isoli dalla pratica è una questione puramente scolastica.

mercoledì 22 marzo 2017

Internazionalismo e questione nazionale nel pensiero di Gramsci*- Salvatore Tinè


Quello del rapporto tra internazionalismo e questione nazionale è uno dei temi fondamentali del pensiero gramsciano in tutto l’arco della sua evoluzione. Già in alcuni articoli del 1918, il giovane Gramsci sottolineava la permanente vocazione cosmopolitica del sistema di produzione capitalistica. Una vocazione  che gli appariva particolarmente evidente nei settori più avanzati del capitalismo mondiale, ovvero nei grandi gruppi industriali e finanziari inglesi e americani. Sono questi gruppi infatti a sostenere, secondo Gramsci, il disegno wilsoniano di un nuovo ordine mondiale fondato insieme sul principio della libertà e dell’indipendenza dei popoli  e delle nazioni e su quello della libertà degli scambi internazionali. Libero da ogni residuo di particolarismo feudale così come dalle varie forme di statalismo e di protezionismo burocratico e corporativo, caratteristiche dei grandi paesi dell’Europa continentale, il modello capitalistico anglosassone si presenta come l’espressione più matura della logica internazionalistica e liberoscambista propria della moderna economia borghese. Scrive Gramsci in un articolo intitolato La Lega della Nazioni, pubblicato su Il Grido del popolo, il 19 gennaio 1918.

L’economia borghese ha così suscitato le grandi nazioni moderne. Nei paesi anglosassoni è andata oltre: all’interno la pratica liberale ha creato meravigliose individualità, energie sicure, agguerrite alla lotta e alla concorrenza, ha discentrati gli Stati, li ha sburocratizzati: la produzione, non insidiata continuamente da forze non economiche, si è sviluppata con un respiro d’ampiezza mondiale, ha rovesciato sui mercati mondiali cumuli di merce e di ricchezza. Continua ad operare; si sente soffocata dalla sopravvivenza del protezionismo in molti dei mercati europei e del mondo.[1] 

lunedì 20 marzo 2017

La barbarie dello «specialismo»*- José Ortega y Gasset



La tesi era che la civiltà del secolo XIX ha prodotto automaticamente l’uomo‐ massa. Conviene di non chiudere la sua esposizione generale senza analizzare, in un caso particolare, il meccanismo di questa produzione. In tal modo, nel concretarsi, la tesi guadagna in forza persuasiva. 

Questa civiltà del secolo XIX, dicevamo, può riassumersi in due grandi dimensioni: democrazia liberale e tecnica. Consideriamo adesso soltanto quest’ultima. La tecnica contemporanea nasce dall’accoppiamento del capitalismo con la scienza sperimentale. Non tutta la tecnica è scientifica. 

Chi fabbricò nell’età preistorica le torce con la pietra focaia, mancava di senso scientifico non sospettarlo minimamente l’esistenza della fisica. 

Soltanto la tecnica moderna europea ha una radice scientifica, e da questa radice le deriva il suo carattere specifico, la possibilità di un progresso illimitato. Le altre tecniche ‐mesopotamiche, nilota, greca, romana, orientale‐ tendono fino a un punto di sviluppo che non possono sorpassare, e, appena lo raggiungono, cominciano a retrocedere in una misera involuzione. 

Questa prodigiosa tecnica occidentale ha reso possibile la meravigliosa prolificità della casta europea. Si ricordi il dato statistico da cui è partito questo saggio e che, come facemmo notare, racchiude in germe tutte queste meditazioni. Dal secolo V al 1800, l’Europa non giunge a ottenere una popolazione maggiore di 180 milioni. Dal 1800 al 1914 ascende a più di 460 milioni. Il salto è unico nella storia dell’umanità. Non si può dubitare che la tecnica ‐insieme alla democrazia liberale‐ ha generato l’uomo‐massa nel senso quantitativo di questa espressione. Però queste pagine hanno cercato di mostrare che è anche responsabile dell’esistenza dell’uomo‐massa nel senso qualitativo e peggiorativo del termine. 

Per «massa»  ‐ed è un’avvertenza che facemmo fin dal principio‐ non si intenda specialmente l’operaio; non designa qui una classe sociale, ma un tipo o un modo d’essere dell’uomo che si ritrova oggi in tutte le classi sociali, che per ciò stesso rappresenta il nostro tempo, su cui esso prevale e domina. 

Chi esercita oggi il potere sociale? Chi impone la struttura del proprio spirito all’epoca? Senza dubbio, la borghesia. Chi, in seno a questa borghesia, è considerato come il gruppo superiore, come l’aristocrazia del presente? Senza dubbio, il tecnico: ingegnere, medico, finanziere, professore ecc., ecc. Chi, dentro a questo ambiente tecnico, lo rappresenta con maggiore altezza e purezza? Indubbiamente, l’uomo di scienza. Se un personaggio «astrale» visitasse l’Europa e, con animo di giudicarla, le domandasse attraverso a quale tipo d’uomo, fra quelli che l’abitano, preferisse di essere giudicata, non c’è, dubbio che l’Europa indicherebbe, compiaciuta e sicura di una sentenza favorevole, i suoi uomini di scienza. E, naturalmente, il personaggio «astrale» non domanderebbe di portare il giudizio su individui d’eccezione, ma cercherebbe la norma, il tipo generico dell’uomo di scienza, vertice dell’umanità europea. 

Ebbene, dunque: risulta che l’attuale uomo di scienza è il prototipo dell’uomo‐massa,. E non a caso, né per difetto personale di ciascun uomo di scienza, ma perché la scienza stessa  ‐radice della civiltà- lo tramuta automaticamente nell’uomo‐massa: cioè, fa di lui un primitivo, un barbaro moderno. 

domenica 19 marzo 2017

Sul CAPITALE: Storia e Logica*- Stefano Garroni

*Riproduzione di alcuni passaggi tratti dalla discussione del 11/03/99: Sul Capitale - Storia e Logica https://www.facebook.com/groups/
Qui l'audio dell'incontro:   https://www.youtube.com/playlist?list=PL88CA5CCDE4BD1EAC


[...] La prova induttiva, in definitiva, è questa: il mondo, il mondano, cioè la dimensione dell’esistente, è la dimensione del finito, del particolare; di ciò che per esistere ha bisogno di altro. E’ il mondo degli effetti che hanno bisogno delle cause, ma a loro volta le cause sono effetti di altre cause, quindi ogni esistente rinvia ad altro per giustificare la propria esistenza. In questo continuo rinvio del contingente a una causa che lo spiega, la quale causa a sua volta diventa però un contingente che è effetto di un’altra causa ecc., ; in questo continuo rinvio non si raggiunge mai una stabilità, non si raggiunge mai una ragione dell’esistenza di questo contingente: donde la necessità di postulare una ragione fuori del mondo del contingente, che sia la ragione di tutto il mondo contingente.

[...] E’ molto importante il fatto che quando Hegel affronta questo tipo di prova dell’esistenza di dio, mette in evidenza che accettando queste prove, e quindi accettando quel ragionamento per cui il contingente trova nel necessario la propria causa, si dimostra anche il contrario, e cioè che è proprio il contingente che pone il necessario. Cioè che così come è vero che il particolare, il finito, il contingente, ha bisogno del necessario per esistere, il necessario intanto esiste in quanto è necessario del contingente.

E’ del tutto chiaro che se esiste una legge che vieti qualcosa, esisterà la violazione di quella legge: in quanto la gente ruba c’è una legge che dice “Non rubare”, e quindi la legge del non rubare, intanto può esistere in quanto esiste il contrario del non rubare, cioè il fatto del rubare. Questa legge, intanto può esistere in quanto esiste il contrario di se stessa, cioè la sua violazione, e quindi il mondo della legge, della regola, del diritto, implica l’esistenza del mondo del delitto.

[...] No, no, no, noi diamo per scontato che sia vero. Ma capisci che cosa mostruosa è dire che un evento storico, è quello che è per ragioni logiche? E’ cosa mostruosa perché tu hai fatto della logica, delle leggi logiche, la legge della storia. Il che è la follia più totale. Basta assistere a una seduta del nostro parlamento per vedere che la politica con la logica non ha nulla a che vedere. Spiegare la storia, la politica, l’economia, con le leggi logiche, è il massimo dell’aberrazione nel senso che tu inventi un mondo di sogni. Sembrerebbe allora che nella storia il miglior politico sia il miglior logico matematico, perché è quello che sa fare meglio i conti logici, ed è quindi il miglior politico, e invece non è vero nulla.

E' interessante che Marx molte volte, quando deve spiegare il suo discorso, ricorre proprio a quello schemino che dicevo. Per esempio c’è uno scritto sulla forma di valore, che è tutto costruito in questa maniera: tanto di X è uguale a tanto di Y, perché valgono tutti 10 lire.

sabato 18 marzo 2017

La produzione capitalistica di fabbrica fondata sulle macchine*- Aleksandr A. Kusin

*da Aleksandr A. Kusin, Marx e la tecnica, Gabriele Mazzotta Editore, Milano, 1975   www.resistenze.org  
Leggi anche:   https://traduzionimarxiste.wordpress.com/2016/06/30/limperialismo-nel-xxi-secolo/ 


"La stessa facilità del lavoro diventa un mezzo di tortura, giacché la macchina non libera dal lavoro l'operaio, ma toglie il contenuto al suo lavoro. E' fenomeno comune a tutta la produzione capitalistica in quanto non sia soltanto processo lavorativo, ma anche processo di valorizzazione del capitale, che non è l'operaio ad adoprare la condizione del lavoro ma viceversa, la condizione del lavoro ad adoperare l'operaio; ma questo capovolgimento viene ad avere soltanto con le macchine una realtà tecnicamente evidente. Mediante la sua trasformazione in macchina automatica il mezzo di lavoro si contrappone all'operaio durante lo stesso processo lavorativo quale capitale, quale lavoro morto che domina e succhia la forza-lavoro vivente." (K. Marx, Il Capitale

"Finché il capitale è debole, esso stesso ricerca  ancora le grucce di modi di produzione tramontati… Ma non appena si sente forte, esso getta via le grucce e si muove in accordo con le sue proprie leggi. Non appena comincia a percepirsi come ostacolo allo sviluppo e a essere vissuto come tale, esso cerca rifugio in forme che, mentre sembrano perfezionare il dominio del capitale imbrigliando la libera concorrenza, annunciano al tempo stesso la dissoluzione sua e del modo di produzione su esso fondato."  (Karl Marx, Grundrisse)

“il capitalismo divenne imperialismo capitalistico soltanto a un determinato e assai alto grado del suo sviluppo, allorché alcune qualità fondamentali del capitalismo  cominciarono a mutarsi nel loro opposto, quando pienamente si affermarono e si rivelarono i sintomi del trapasso a un più elevato ordinamento economico e sociale” (Lenin, L’imperialismo, fase suprema del capitalismo) 


1. La necessità tecnica del passaggio dalla manifattura alla produzione meccanizzata di fabbrica

venerdì 17 marzo 2017

Marxismo e femminismo*- Simona De Simoni**

*La conferenza si è tenuta nell'ambito del Corso di perfezionamento in Teoria Critica della Società dell'Università degli studi di Milano-Bicocca.
**   http://operaviva.info/schede/simona-de-simoni/
Leggi anche:   https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/03/la-giornata-internazionale-delle-donne.html#more

Una panoramica storica:


Dalla seconda metà del novecento: 
https://www.youtube.com/watch?v=3KGFH4Ie6kU 

giovedì 16 marzo 2017

Che cosa è il salario? Come viene esso determinato?*- Karl Marx

*Da K. Marx “Lavoro salariato e capitale”   https://ildiariodellatalpa.wordpress.com/
 Tutto il testo:   https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1847/lavcap.htm


Passiamo dunque alla prima questione: Che cosa è il salario? Come viene esso determinato?

Se domandiamo agli operai: “Qual’è l’importo del vostro salario?”, essi risponderanno, l’uno: “Io ricevo un franco [22] al giorno dal mio borghese”, l’altro: “Io ricevo due franchi”, ecc. Secondo le varie branche di lavoro alle quali appartengono, essi indicheranno diverse somme che ricevono dal loro rispettivo padrone per un determinato tempo di lavoro [23] o per fare un determinato lavoro, ad esempio per tessere un braccio di lino, o per comporre un foglio di stampa.

Malgrado la diversità delle loro risposte essi concordano tutti su un punto: il salario è la somma di denaro che il borghese [24] paga per un determinato tempo di lavoro o per una determinata prestazione di lavoro. Il borghese [25] compera, dunque, il loro lavoro con del denaro. Per denaro essi gli vendono il loro lavoro [26]. Con la stessa somma di denaro con la quale il borghese ha comperato il loro lavoro [27], per esempio con due franchi, avrebbe potuto comperare due libbre di zucchero o una determinata quantità di qualsiasi altra merce. I due franchi con i quali egli ha comperato le due libbre di zucchero sono il prezzo delle due libbre di zucchero. I due franchi con i quali egli ha comperato dodici ore di lavoro [28], sono il prezzo del lavoro di dodici ore. Il lavoro [29], dunque, è una merce, né più né meno che lo zucchero. La prima si misura con l’orologio, la seconda con la bilancia.

Gli operai scambiano la loro merce, il lavoro [29], con la merce del capitalista, il denaro, e questo scambio si effettua secondo un rapporto determinato. Tanto denaro per tanto lavoro [30]. Per tessere dodici ore, due franchi. E i due franchi, non rappresentano essi forse tutte le altre merci che posso comperare per due franchi? Di fatto, quindi, l’operaio ha scambiato la sua merce, il lavoro [29], contro altre merci di ogni genere, e secondo un rapporto determinato. Dandogli due franchi il capitalista gli ha dato, in cambio della sua giornata di lavoro, tanto di carne, tanto di abiti, tanto di legna, di luce, ecc. I due franchi esprimono dunque il rapporto in cui il lavoro si scambia con altre merci, il valore di scambio del suo lavoro. Il valore di scambio di una merce, valutato in denaro, si chiama appunto il suo prezzo. Il salario non è quindi che un nome speciale dato al prezzo del lavoro [31]; non è che un nome speciale dato al prezzo di questa merce speciale, che è contenuta soltanto nella carne e nel sangue dell’uomo.