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giovedì 7 marzo 2024

La porta delle lacrime, le risa del capitale e l'inflazione. Riflessioni amare sulla crisi del Mar Rosso - Andrea Pannone

 Da: https://www.machina-deriveapprodi.com - Andrea Pannone, economista esperto nell'analisi dei processi di innovazione tecnologica e dei suoi riflessi a livello microeconomico e macroeconomico. Attualmente è ricercatore senior alla Fondazione Ugo Bordoni, ente in cui lavora dal 1993. Si è laureato con lode in Scienze Statistiche ed Economiche all’Università di Roma La Sapienza presso cui ha conseguito anche il Dottorato in Scienze Economiche. È stato docente di economia politica e di economia dei nuovi media in diversi master organizzati in Università pubbliche e private. È autore di pubblicazioni nazionali e internazionali. Ha pubblicato per DeriveApprodi «Che cos'è la guerra? La logica dei conflitti capitalistici tra XX e XXI secolo».

crisi del Mar Rosso

Nel testo odierno, Andrea Pannone riflette sulle conseguenze economiche del conflitto in Medio Oriente e delle azioni del gruppo yemenita Houthi.

È un testo molto utile perché spiega i maggiori beneficiari delle tensioni belliche, gli interessi materiali sul campo e dunque le contraddizioni tra gli attori della guerra.



La guerra nello stretto e le conseguenze sul commercio mondiale

 Come ci ricorda il National Geographic Magazine, Bab el-Mandeb, in arabo la Porta delle lacrime, è una piccola strozzatura geografica nel Mar Rosso che ha un'influenza enorme sull’economia mondiale: è un punto chiave per il controllo di quasi tutte le spedizioni tra l'Oceano Indiano e il Mar Mediterraneo attraverso il Canale di Suez[1]. Da lì, come ormai noto, passa quasi il 15% del commercio marittimo globale, compreso l’8% del commercio mondiale di cereali, il 12% del petrolio commercializzato via mare e l’8% del commercio totale di gas naturale liquefatto.

Da circa due mesi alcune navi che transitano in quel tratto sono prese di mira dai droni e dai missili del movimento yemenita Houthi, da anni sostenuto dall’Iran. Alcune navi, non tutte però. Solo le navi mercantili che navigano al largo delle coste dello Yemen e che hanno collegamenti con Israele. Gli stessi Houthi presentano gli attacchi come una risposta alla mancata condanna da parte dell’occidente al massacro che il governo di Netanyahu sta compiendo a Gaza. In realtà, si potrebbe a buon diritto sostenere (come fa ad esempio Emiliano Brancaccio nell’articolo Lo stretto necessario, il Manifesto, 23 gennaio 2024) che le azioni degli Houthi, sicuramente ben note a Teheran, vadano a vantaggio di un progetto antitetico a quello dell’Occidente che mira a contrastare, anche con l’imposizione di barriere commerciali e finanziarie, la crescente sfida dei competitor cinesi e russi al dominio economico degli Stati Uniti e al loro storico ruolo guida delle relazioni geopolitiche. Qualunque sia la loro effettiva motivazione, gli scontri armati hanno avuto come conseguenza l’aumento delle tensioni belliche in Medio Oriente e l'arrivo di navi da guerra di diversi paesi occidentali (in particolare statunitensi e britanniche, ma anche le navi italiane dovrebbero rivestire un ruolo) allo scopo di pattugliare l'area, mentre molte compagnie internazionali di shipping (ad esempio Maersk Line, Hapag Lloyd e Mediterranean Shipping Company)  stanno decidendo di tornare a percorrere come in passato la rotta più lunga e più costosa per raggiungere il Mediterraneo: quella che obbliga alla circumnavigazione dell'Africa. Difficile prevedere in prospettiva l’esito di questo nuovo scenario di guerra. Questo scritto si prefigge, coerentemente all’approccio già seguito in Pannone 2023(a) e 2023(b), di focalizzare l’attenzione non già sulle finalità  geopolitiche degli Stati o dei gruppi armati coinvolti nel gioco delle parti, quanto sugli interessi materiali dei gruppi economico-finanziari che possono trarre maggiore beneficio da un’escalation controllata del conflitto in Medio Oriente – di cui la guerra con gli Houthi è solo l’ultimo atto – e che oggi hanno il potere di plasmare le politiche dei governi e il destino dei popoli.


I maggiori beneficiari delle nuove tensioni belliche

venerdì 16 febbraio 2024

La giungla contro il giardino. A proposito di “La guerra capitalista” - Giorgio Gattei

Da: contropiano.org - Giorgio Gattei è uno storico del pensiero economico ed economista marxista italiano. Professore di Storia del Pensiero Economico presso la Facoltà di Economia dell'Università di Bologna. 

Leggi anche: Pane e tulipani, ovvero così non parlò Piero Sraffa. Cronache marXZiane n. 8 - Giorgio Gattei


1) Mi sembra doveroso partire dalla preoccupata constatazione di Papa Bergoglio, espressa il 10.3.2023 in occasione del decimo anniversario del suo pontificato, che «in poco più di cent’anni ci sono state tre guerre mondali: 1914-1918, 1939-1945, e la nostra; che è anch’essa una guerra mondiale. È cominciata a pezzetti ma adesso nessuno può dire che non è mondiale. Le grandi potenze vi sono tutte invischiate. Il campo di battaglia è l’Ucraina, ma lì lottano tutti».

E bravo il nostro Papa nel riconoscere che la guerra russo-ucraina non è affatto “locale”, come quelle precedenti in Jugoslavia, Afghanistan, Iraq, Siria o Libia, bensì planetaria!

Però bisognerebbe sforzarsi di indicare anche in maniera esplicita quali sono le effettive parti in lotta, che solo superficialmente sono la Russia e l’Ucraina. Infatti, tutti sappiamo che dietro l’Ucraina c’è la NATO a guida americana con l’Unione Europea al traino e che la Russia di Putin, nell’immaginario occidentale, altro non è se non la prosecuzione di quella Unione Sovietica che aveva dato del filo da torcere agli Stati Uniti lungo tutto il periodo della c.d. “guerra fredda”.

Per questo il conflitto in corso è “mondiale”, potendosi anche considerare come quel “finale caldo di partita” che finora era stato scansato per la minaccia di Mutua Distruzione Atomica Assicurata, ma che adesso potrebbe anche non essere più evitabile.

Proprio questo gli Stati Uniti ci vanno dentro con mano leggera senza inviare “scarponi sul terreno” (come hanno fatto in Vietnam, Afghanistan e Iraq) e senza applicare la “no fly zone” (come nel caso della Serbia e della Libia) per il pericolo che Putin finisca per utilizzare (come ha minacciato), se aggredito sul territorio nazionale, anche armi atomiche “tattiche”, dove però non si sa bene dove il “tattico” finisca.

Così Biden, che ha riportato a casa i soldati americani dall’Afghanistan, non sembra avere nessuna voglia di passare alla storia come il presidente che ha fatto entrare gli USA nella Terza guerra mondiale, ben consapevole (come ha detto in televisione il 10 febbraio 2022) che «se russi e americani iniziano a spararsi addosso, quella è una guerra mondiale» (cit. in “Limes“, 2022, n. 2).

mercoledì 18 ottobre 2023

Guerra capitalista e condizioni economiche per la pace - Emiliano Brancaccio

Da: transformitalia - Emiliano Brancaccio è professore di Politica economica presso l'Università del Sannio - www.emilianobrancaccio.it 

                                                                              

venerdì 14 luglio 2023

“La ragione capitalistica genera i mostri della guerra” - Frida Nacinovich intervista Emiliano Brancaccio

Da: https://www.sinistrasindacale.it - Emiliano Brancaccio è professore di Politica economica presso l'Università del Sannio - www.emilianobrancaccio.it 

Professore di Politica economica e docente di Economia politica ed Economia internazionale all’Università del Sannio a Benevento, Emiliano Brancaccio è diventato negli ultimi vent’anni uno dei più influenti studiosi del pensiero economico cosiddetto critico, o meglio eterodosso. Lo stesso, confindustriale Sole24ore lo fotografa come un economista di “impostazione marxista, ma aperto a innovazioni ispirate dai contributi di John Maynard Keynes e Piero Sraffa”. Sulla guerra, sul conflitto armato fra Russia e Ucraina (più Occidente), in corso da un anno e mezzo, Brancaccio ha un’idea chiara: “Questo non è uno scontro di civiltà. È uno scontro fra capitalismi. È necessario esaminare le basi economiche di questi conflitti per comprenderli e per cercare di interromperli. Se non ci soffermiamo sui fattori economici, non ci capiremo niente dei venti di guerra di questo tempo”. Nel secolo del finanz-capitalismo, dominante sul pianeta da quarant’anni e passa, anche i conflitti armati devono essere letti con le lenti del pensiero economico. Altrimenti c’è il rischio di perdersi nella propaganda di un’informazione a senso unico, da entrambe le parti, o di riflessioni antropologiche incapaci di cogliere le ragioni alla base non solo di questa guerra ma delle guerre in generale. Allora ringraziamo il professor Brancaccio per avere risposto ad alcune nostre domande.


Il suo ultimo libro si intitola ‘La guerra capitalista’, scritto assieme ai colleghi Stefano Lucarelli e Raffaele Giammetti (Mimesis 2022). Può spiegarcene la genesi?

Nel dibattito prevalente sulla guerra c’è una grave lacuna: manca un’interpretazione economica dei conflitti militari. I commentatori di grido assecondano le narrazioni dei comandanti in capo, che richiamano alti valori e nobili principii per tentare di giustificare i massacri in corso. Da un lato, gli atlantisti insistono sull’esigenza di difendere la libertà dell’Ucraina aggredita. Dall’altro lato, gli avversari dell’imperialismo occidentale avallano l’interpretazione putiniana, secondo cui la guerra si è resa necessaria per tutelare la sicurezza territoriale della Russia contro l’avanzata della Nato a est. In questo tipo di spiegazioni c’è qualcosa di vero, beninteso. Ma nel complesso tali narrazioni sono essenzialmente “idealistiche”, perché non prendono in considerazione le basi economiche, “materiali”, dello scontro in atto. La conseguenza è un dibattito sulla guerra assolutamente ingenuo e fuorviante. Il nostro libro nasce dall’urgenza di rilanciare un’interpretazione più smaliziata, diciamo pure “materialista”, della guerra moderna.  

venerdì 17 marzo 2023

La riforma del MES



Iniziativa politica sulla riforma del Meccanismo europeo di stabilità MES e le sue ricadute sociali. 
Interventi di Emiliano Brancaccio, Gianmario Cesarini e Marco Veronese Passarella
Introduzione di Pasquale Vecchiarelli. 
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                              

venerdì 9 settembre 2022

La dittatura della finanza e il mercato del gas – Andrea Fumagalli

 Da: http://effimera.org - Andrea Fumagalli è un economista e accademico italiano. 

Leggi anche: Le speculazioni sul gas che stanno creando il caro-bollette. E le Authority stanno a guardare… - Mario Menichella

Bolletta energetica alle stelle… e se la guerra non c’entrasse (quasi) niente? - Antonio Minaldi 

Speculatori e guerrafondai. Così restiamo prigionieri sul gas - Emiliano Brancaccio



Prefazione

Il 12 e 13 settembre 2008, nel pieno del crollo finanziario dei subprime negli Usa, due giorni prima del fallimento della Lehmann Brother (15 settembre 2008), a Bologna si svolgeva un convegno organizzato da UniNomade sui mercati finanziari e la crisi dei mercati globali. Gli atti di quel convegno (e molto di più) verranno pubblicati l’anno successivo da Ombre Corte a cura di Andrea Fumagalli e Sandro Mezzadra con il titolo Crisi dell’economia globale. Mercati finanziari, lotte sociali e nuovi scenari politici[1]. All’interno di quella raccolta di saggi, compariva un testo di Stefano Lucarelli: “Il biopotere della finanza”. All’epoca, tale titolo ci pareva più che mai azzeccato per descrivere il dominio delle oligarchie finanziare nel definire le traiettorie di accumulazione del nuovo capitalismo delle piattaforme, che da lì a poco sarebbe emerso dalle ceneri di quella crisi.

Oggi a quasi 15 anni da quegli eventi, possiamo dire di aver sottovalutato il problema. Certo, la nostra analisi si era rivelata più che corretta nel sottolineare il ruolo centrale e dominante della finanza speculativa nel nuovo (dis)ordine monetario internazionale e il tendenziale declino del dollaro come moneta di riserva internazionale. Ma nel frattempo, il biopotere (che poteva dare origine anche a qualche forma di contropotere, come illusoriamente ha fatto credere la parabola del bitcoin) si è trasformato in una vera e propria dittatura.

La finanziarizzazione delle materie prime

Ciò che sta succedendo nella determinazione del prezzo del gas nel mercato di Amsterdam lo conferma ampiamente. Già nel passato c’erano state avvisaglie della capacità della speculazione finanziaria, oggi sempre più essenza e anima dei mercati finanziari, di stravolgere in modo quasi irreversibile le stesse regole di funzionamento di un mercato neo-liberista. Nel 2008, ad esempio, il prezzo del petrolio aveva registrato un’impennata dai 70$/barile del dicembre 2007 ai 142$/barile dell’estate 2008, per poi calare entro la fine dell’anno a quota 33$: una bolla speculativa che si era sgonfiata, però, molto rapidamente.

Ma ciò che sta succedendo al mercato del gas presenta novità che devono essere sottolineate. Fino a pochi anni fa, le dinamiche di mercato e il prezzo che si determinava nello scambio reale tra domanda e offerta delle commodities erano la base sulle quali si formavano le aspettative sui prodotti derivati (di solito i futures) che alimentano l’attività speculativa. Il prezzo sui mercati reali era la base delle dinamiche speculative e delle convenzioni finanziarie che di volta in volta alimentavano le decisioni speculative.

martedì 6 settembre 2022

Speculatori e guerrafondai. Così restiamo prigionieri sul gas - Emiliano Brancaccio

Da: https://www.lanotiziagiornale.it - Emiliano Brancaccio è docente di Politica economica all’Università degli Studi del Sannio di Benevento.

Leggi anche: Oltre l’Ucraina, le segrete cause materiali della guerra - Emiliano Brancaccio 

La battaglia del gas. Con la mossa russa in gioco la nostra sopravvivenza - Alberto Negri 




L’aumento del prezzo del gas? Brancaccio: “La causa principale può essere sintetizzata così: gli speculatori scommettono sui guerrafondai” 


L’aumento del prezzo del gas? “La causa principale può essere sintetizzata così: gli speculatori stanno scommettendo sui guerrafondai”. È chiaro sul punto Emiliano Brancaccio, docente di politica economica presso l’Università del Sannio e protagonista di dibattiti con alcuni tra i massimi esponenti della teoria e della politica economica internazionale, tra cui Mario Monti, Olivier Blanchard, Daron Acemoglu.

“I professionisti della finanza – continua il professore ed intellettuale ora in libreria con “Democrazia sotto assedio (Piemme) – giocano sulla previsione che i venti di guerra non si placheranno, e che il conflitto con la Russia sia destinato a durare. L’idea prevalente è che i paesi europei della NATO sono pronti a sostenere i costi della transizione necessaria per fare a meno dell’energia russa in tempi relativamente brevi”.

Cosa comporta tutto questo? 

Questa politica europea, così avventurista e forzata, suscita forti aspettative di aumento dei prezzi dell’energia e quindi crea enormi occasioni di guadagno speculativo: i professionisti sui mercati si fanno prestare denaro, comprano gas, attendono che il prezzo salga, lo rivendono, restituiscono i prestiti e si tengono i guadagni netti. Il risultato è che il prezzo esplode, a livelli anche superiori rispetto a quelli causati dalla sola guerra.

Il governo Draghi spinge per un tetto europeo al prezzo del gas. Per quale motivo non si riesce ad attuare? 

martedì 19 luglio 2022

"Crisi, catastrofe, rivoluzione". Una conversazione con Emiliano Brancaccio.

Da: https://www.iltascabile.com - Emiliano Brancaccio è docente di Politica economica all’Università degli Studi del Sannio di Benevento. Autore di saggi pubblicati da riviste accademiche internazionali, ha promosso il “monito degli economisti” contro le politiche europee di austerity e l’appello per un ”piano anti-virus”, pubblicati sul ”Financial Times”. Sua è la rubrica Eresie su RAI Radio 1. Tra le sue pubblicazioni, L'austerità è di destra (2012); Il discorso del potere (2019); Il manuale Anti-Blanchard Macroeconomics (2020); Non sarà un pranzo di gala. Crisi, catastrofe, rivoluzione, Meltemi edizioni; Democrazia sotto assedio. La politica economica del nuovo capitalismo oligarchico, PIEMME edizioni; www.emilianobrancaccio.it - https://www.facebook.com/emiliano.brancaccio.3

Vedi anche: Catastrofe o Rivoluzione - Incontro con Emiliano Brancaccio autore di "Non sarà un pranzo di gala"

There is (no) alternative: pensare un’alternativa. Dibattito con Olivier Blanchard e Emiliano Brancaccio

Regolamentare il mercato - Daron Acemoglu, Emiliano Brancaccio 


Continuano le conversazioni della redazione con intellettuali capaci di aiutarci a leggere la guerra in corso, alla ricerca di uno scambio con punti di vista che possano restituire la complessità e la portata di quanto sta accadendo. L’intervista di oggi è con l’economista Emiliano Brancaccio, Professore di politica economica presso l’Università degli Studi del Sannio, a Benevento, tra i principali esponenti delle scuole di pensiero economico critico. Seguiamo Brancaccio da quando siamo venuti a conoscenza dei suoi lavori più recenti: Democrazia sotto assedio. La politica economica del nuovo capitalismo oligarchico (Piemme, 2022) e Non sarà un pranzo di gala. Crisi, catastrofe, rivoluzione (Meltemi, 2020), due saggi capaci di individuare le tendenze generali della fase storica che stiamo attraversando: su scala globale, una centralizzazione del potere in sempre meno mani che conduce inevitabilmente a una contrazione dello spazio democratico.

Ci interessava in particolare la sua capacità di portare un punto di vista radicale in sedi istituzionali che, da profani, immaginiamo restie alla critica che invece Brancaccio sa esercitare. Siamo partiti allora dalla guerra in Ucraina, come abbiamo già fatto con Marco D’EramoAlfonso Desiderio e Maria Chiara Franceschelli, ma siamo arrivati a toccare un’ampia rete di aspetti macroeconomici e politici della contemporaneità, e ne abbiamo approfittato per farci chiarire alcuni punti delle sue analisi. Il risultato è una conversazione ambiziosa, dallo sguardo ampio, ma che speriamo possa servire a orientarci, in modo molto pragmatico, a capire se e come possiamo sperare di avere voce in capitolo sul nostro futuro. (https://www.iltascabile.com)

lunedì 11 luglio 2022

Il governo della guerra attacca la scuola - Luca Cangemi

 Da: https://agoraxxisecolo.blogspot.com - Luca Antonio Cangemi Docente di Filosofia e Storia, dottore di ricerca in Scienze Politiche, fa parte della segreteria nazionale del Partito Comunista Italiano.

Leggi anche: Un blocco imperialista digitale? - Luca Cangemi

L’ALTERNANZA SCUOLA-LAVORO NEL PROCESSO DI RISTRUTTURAZIONE DEL CAPITALISMO ITALIANO - Franceco Spedicato

Le «competenze cognitive» che snaturano la scuola - Ernesto Galli della Loggia

Scuola, non mercato - Teachers For Future Italia

Vedi anche: Però c’è un problema... - Emiliano Brancaccio 

Alessandro Barbero s'infiamma contro la "Buona Scuola"

Critica economica della riforma della scuola - Emiliano Brancaccio 

"Avete reso l'Università un'azienda...". Il discorso di tre neodiplomate alla Scuola Normale di Pisa 


Studi, ministro, studi…. il grido (inascoltato) di Romano Luperini, uno dei maggiori studiosi della Letteratura Italiana , dopo un’altra manifestazione d’approssimazione del ministero dell’istruzione (in questo caso la “traccia” su Verga alla maturità), stigmatizza significativamente un’atmosfera cialtronesca e confusa che avvolge il dicastero guidato da Patrizio Bianchi. Impossibile citare tutto: dal disastro culturale e organizzativo dei concorsi alle mille inadempienze anche gravissime, basti pensare alle questioni della sicurezza (e non solo rispetto al Covid …). E poi un’insopportabile e quotidiana pratica della menzogna propagandistica su ogni capitolo della vita della scuola; tanto per dirne una ancora aspettiamo le scuse per l’annuncio settembrino “tutte le cattedre sono coperte” dopo un anno scolastico tormentato dalla ricerca spasmodica di supplenti…


Questi aspetti vergognosi sono significativi di caratteristiche consolidate delle classi dirigenti italiane (anche quelle che in ogni frase pronunciano almeno tre volte la parola innovazione ...) eppure non ci devono distrarre rispetto al cuore del disegno politico che il governo Draghi sta realizzando, senza annunci, contro la scuola pubblica nel nostro paese. Un disegno coerentemente ed efficacemente reazionario.

Questo disegno era chiarissimo sin dall’insediamento di Draghi ma dopo l’inizio della guerra ha avuto una fortissima accelerazione, anche a costo di forzature istituzionali pesantissime (decreto e doppia fiducia su materie tra l’altro tipicamente contrattuali).

In che cosa consiste questo disegno? 

Sostanzialmente si tratta di portare a compimento un’organica controriforma della scuola in pista da più di due decenni ma rallentata dalla resistenza (e dalla complessità) del mondo dell’istruzione. Una controriforma delineata nei pensatoi padronali (Fondazione Agnelli, Fondazione scuola della compagnia San Paolo, Associazione TreLLLE, servizio studi di Confindustria...) che si pone tre obiettivi fondamentali : il ridimensionamento della scuola statale come parte essenziale dell’attacco al welfare residuo ma soprattutto al lavoro pubblico, una funzionalizzazione totalizzante del ruolo dell’istruzione alle esigenze del sistema delle imprese, la neutralizzazione di ogni istanza critica di quello che, con tutti i suoi limiti e le sue ferite, è lo spazio pubblico più importante del paese (che cosa è rimasto di pubblico o anche solamente di sociale in tante periferie o in tanti piccoli centri, in tutto il territorio nazionale, se non la scuola?). 

Questo disegno controriformatore ha trovato nel PNRR il suo ariete principale. Tutti i provvedimenti di intervento del mondo della scuola vengono imposti come strumentali all’utilizzo dei fondi del PNRR e neanche lo scandalo dei bandi per gli asili nido ha bloccato questo meccanismo infernale, che dovrebbe suggerire un’analisi critica assai più radicale dello stesso strumento del PNRR che sta svolgendo il medesimo ruolo dei vecchi fondi di aggiustamento strutturale del FMI nell’imporre politiche neoliberali estreme. E' così nel disegno di legge sugli ITS (Istituti Tecnici Superiori, la formazione post-diploma) che appalta direttamente a imprese e fondazioni un pezzo di istruzione pubblica (persino nel reclutamento del personale!). 

E' così -soprattutto- nel decreto-legge 36/2022 (denominato appunto “Ulteriori misure urgenti per l'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza”), a cui si faceva riferimento prima: passano contro gli insegnanti interventi pesantissimi massacrando il contratto (senza alcun confronto con le organizzazioni sindacali e con il plauso del centrosinistra) in materie come orario di lavoro, formazione, reclutamento. Sono interventi che destrutturano e umiliano la funzione docente (basti pensare alla formazione a premi), limitano la libertà d’insegnamento, colpiscono le condizioni concrete di lavoro, prefigurano una scuola del (prossimo) futuro pronta a sfornare la manodopera flessibile e acritica che desiderano gli industriali. 

A chiarire ulteriormente il quadro Bianchi parla di “ri-addestrare” gli insegnanti. Infine, con il decreto si tagliano migliaia di cattedre, in aggiunta a quelle che il ministro (nelle pause dei congressi in cui parla di centralità dell’istruzione…) ordina ai suoi uffici di tagliare in via amministrativa, in silenzio. E così le risorse della scuola possono essere destinate alle spese militari. 

Quest’attacco alla scuola si incrocia-significativamente- nei tempi, nei contenuti e negli obiettivi con altre iniziative del governo dello stesso segno, in particolare con la proposta dell’”autonomia differenziata “ che anch’essa tende a destrutturare lo stato e in particolare ogni intervento pubblico sul piano economico-sociale e a colpire il contratto nazionale di lavoro. 

Che cosa fare di fronte a quest’attacco? Alcune risposte di mobilitazione vi sono state, nonostante il periodo conclusivo dell’anno scolastico, a febbraio avevamo assistito a un’importante ripresa di mobilitazione studentesca, in particolare sulla questione dell’alternanza scuola /lavoro (di straordinaria rilevanza anche simbolica). Tra chi lavora e studia nella scuola italiana vi sono ancora energie significative che possono dare vita, alla ripresa delle lezioni, a lotte importanti. 

Decisivo è però lo sforzo di mettere in campo un collegamento tra la difesa della scuola pubblica e una battaglia più generale contro la guerra e contro le politiche di massacro sociale. Dobbiamo lavorare a questa connessione, capace di dare profondità e respiro alla mobilitazione, di allargarne i confini e di rafforzarne l’impatto, di rompere la cappa bellicista che grava anche sul dibattito politico e sul conflitto sociale. È un compito senz’altro difficile e faticoso, ma possibile e necessario. 

giovedì 2 giugno 2022

Oltre l’Ucraina, le segrete cause materiali della guerra - Emiliano Brancaccio

 Da: https://www.econopoly.ilsole24ore.com - Emiliano Brancaccio è professore di Politica economica presso l'Università del Sannio - www.emilianobrancaccio.it 

Leggi anche: Guerra in Ucraina, intervista a Emiliano Brancaccio - Daniele Nalbone

La narrazione della guerra è ormai polarizzata su due opposte retoriche. Putin e i suoi giustificano l’aggressione all’Ucraina con l’urgenza di denazificare il paese e salvaguardare il diritto di autodeterminazione delle popolazioni filo-russe. Il governo USA e gli alleati NATO, invece, sostengono sia doveroso partecipare più o meno direttamente alle operazioni belliche per tutelare la sovranità di un paese libero e democratico aggredito. Queste due propagande, pur contrapposte, risultano dunque uguali nel richiamarsi continuamente ai diritti, alla lealtà, all’ideologia, all’integrità delle nazioni, alla protezione dei popoli. Come se nelle stanze del potere si discutesse solo di tali nobili argomenti. Mai d’affari. 

Che in un tale bagno di idealismo affondino i rozzi propagandisti che vanno per la maggiore non suscita meraviglia. Più sorprendente è il fatto che nel medesimo stagno si siano calati anche studiosi interpellati dai media: filosofi, storici, esperti di geopolitica e di relazioni internazionali, economisti mainstream. La ragione di fondo, a ben guardare, è di ordine epistemologico. I più sembrano infatti accontentarsi di una metodologia di tipo aneddotico. Ossia, una serie di fatti giustapposti, una concezione della storia come fosse banalmente costituita dalle decisioni individuali dei suoi protagonisti, una sopravvalutazione delle spiegazioni ufficiali di quelle decisioni. E sopra ogni cosa, una espressa rinuncia: mai pretendere di ricercare “leggi di tendenza” alla base dei conflitti militari. Da Allison Graham a Etienne Balibar, nessuno osa oggi parlare delle “tendenze” su cui invece indagavano i loro grandi ispiratori, da Tucidide ad Althusser. [1]

La conseguenza di questo involuto metodo di analisi è che nel dibattito prevalente si avverte la pressoché totale assenza di indagini dedicate agli interessi materiali sottesi ai movimenti di truppe e cannoni. Manca cioè un esame delle tendenze strutturali che alimentano i venti di guerra di questo tempo.

venerdì 20 maggio 2022

I salari nel Belpaese, più in basso di così si muore - Andrea Ciarini

Da: https://ilmanifesto.it - Andrea Ciarini è Professore associato di Sociologia dei processi economici, organizzativi e del lavoro presso il Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche della Sapienza Università di Roma, dove insegna Sociologia Economica e Sociologia del Welfare. 

Leggi anche: Grosso guaio a Wall Street di Claudio Conti - https://contropiano.org/news/news-economia 

Vedi anche: Emiliano Brancaccio:DISATTENDERE LE 'IPOTESI' ANTI-SINDACALI DELLA BCE - https://www.youtube.com/watch?v=6W8lhNvj9q4


Mentre negli altri paesi, nonostante l’impatto della recessione, il lavoro qualificato cresceva, in Italia c’è stato un costante restringimento che ha avuto come effetto diretto il significativo aumento dell’emigrazione dei giovani qualificati, oppure, come unica alternativa, l’accettazione di lavori sottopagati. 



Basse retribuzioni, rimaste stagnanti dagli anni Novanta, a fronte di una crescita media europea del 30%, cattiva occupazione, con tanto lavoro precario e un part-time involontario femminile arrivato nel 2020 al 61,2% (contro una media europea del 21,6%).

E per ultimo, ma non meno importante, un numero di occupati più basso rispetto a quando è iniziata la pandemia, e una ripresa dell’inflazione che rischia di ridurre ulteriormente il potere d’acquisto di salari e pensioni.

L’ELENCO DELLE CRITICITÀ del mercato del lavoro italiano potrebbe continuare con il persistente dualismo tra Nord e Sud che non è solo produttivo ma anche relativo al rischio povertà e ai livelli retributivi. Se nelle regioni meridionali l’incidenza della povertà assoluta tra le persone è al 12,1% (control’8,2% del Nord) il divario nelle retribuzioni è ancora più macroscopico.
Come ha di recente sottolineato la Svimez al Sud i livelli retributivi sono più bassi del 75% rispetto al Nord.
Dietro questi dati si celano problemi di lungo periodo trasversali a tutti i segmenti del mercato del lavoro.

NON RIGUARDANO cioè, come è in genere per la gran parte dei Paesi europei, i settori meno qualificati o a bassa produttività. In Italia i salari bassi riguardano tanto le componenti più qualificate, quanto i segmenti meno qualificati del mercato del lavoro, specie nelle regioni meridionali, dove alla bassa crescita si associa una strutturale sotto-qualificazione della domanda di lavoro. In alto il problema ha a che fare con una struttura produttiva attardata su produzioni a basso valore aggiunto, un problema questo che riguarda soprattutto il terziario avanzato, in Italia non solo di piccole dimensioni rispetto alla media europea ma addirittura andato diminuendo a cavallo della crisi del 2008-2009.

Mentre negli altri paesi, nonostante l’impatto della recessione, il lavoro qualificato cresceva, in Italia c’è stato un costante restringimento che ha avuto come effetto diretto il significativo aumento dell’emigrazione dei giovani qualificati, oppure, come unica alternativa, l’accettazione di lavori sottopagati. In basso, prima della pandemia, il problema è stato la crescita enorme del lavoro poco qualificato nei settori ad alta intensità di lavoro e con un problema strutturale di bassi salari. I segnali di ripresa emersi nel 2021 avevano fatto sperare in una ripresa sostenuta. Ancora una volta, tuttavia, la crescita dell’occupazione (+ 0,8%) è stata trainata dai settori a bassa produttività, con un aumento significativo del lavoro a termine e del part-time.

LA LUNGA CRISI DEI salari italiani è prima di tutto il riflesso di un’endemica stagnazione della produttività, con punte drammatiche nel Mezzogiorno, che non ha eguali in Europa. Se questa è la diagnosi (e ormai c’è un consenso unanime sul punto) la ricerca di soluzioni ai bassi salari non va affidata a uno strumento soltanto. Abbiamo bisogno di politiche industriali per qualificare il tessuto produttivo verso l’alto e la crescita della produttività, così da assorbire l’eccesso di offerta di lavoro qualificata. Abbiamo bisogno però anche di sgravi contributivi per sostenere i redditi medi e medio bassi (che hanno perso potere d’acquisto) e non ultimo interventi pensati per intervenire su chi, per varie ragioni (strutturali e non), rischia di rimanere intrappolato in condizioni di lavoro pagato poco o a rischio povertà.

Qui come mostra l’esempio di altri paesi europei è il combinato disposto di salario minimo legale e in-work benefits per i lavoratori a basso reddito, cioè integrazioni che crescono al crescere del reddito fino ad annullarsi in prossimità dello stesso salario minimo, che può offrire una risposta al problema delle basse retribuzioni, facendo crescere il rendimento del lavoro attraverso l’integrazione salariale. Certo va evitato anche il rischio opposto, ovvero che livelli troppo generosi di queste integrazioni finiscano per incentivare i datori di lavoro a pagare poco il lavoro perché comunque integrato da un trasferimento pubblico. Non può essere tuttavia questo l’argomento per posticipare la ricerca di alternative che vanno trovate oggi, non domani.

IN ULTIMO C’È BISOGNO di consistenti aumenti salariali, tanto più considerando quanto sta avvenendo in altri paesi europei, dalla Germania, alla Francia, all’Olanda, fino alla Spagna, dove non solo si iniziano a porre limiti più stringenti alle assunzioni a termine (in Spagna anche retroattivi), ma, pressati dall’inflazione, i governi aumentano i salari minimi e le parti sociali contrattano rinnovi su percentuali di incremento quasi sconosciute alle latitudini italiane.

In Italia circa la metà dei lavoratori è ancora in attesa di rinnovi. Ora se per le imprese è indubbio il vantaggio, non così è per chi attende adeguamenti non più rimandabili. Per quanto ancora è sostenibile una situazione di questo genere in Italia?