La teoria Marxista poggia la sua forza sulla scienza... che ne valida la verità, e la rende disponibile al confronto con qualunque altra teoria che ponga se stessa alla prova del rigoroso riscontro scientifico... il collettivo di formazione Marxista Stefano Garroni propone una serie di incontri teorici partendo da punti di vista alternativi e apparentemente lontani che mostrano, invece, punti fortissimi di convergenza...
martedì 15 novembre 2016
domenica 13 novembre 2016
Europa. Competizione globale e lavoratori poveri*- Lucia Pradella**
** King’s College, London
Leggi anche: http://contropiano.org/interventi/2016/06/30/generazione-erasmus-working-poor-generation-081084
Leggi anche: http://contropiano.org/interventi/2016/06/30/generazione-erasmus-working-poor-generation-081084
La disoccupazione ha raggiunto livelli senza precedenti in
Europa occidentale. I salari sono in discesa e si intensificano gli attacchi
all’organizzazione dei lavoratori. Nel 2013 quasi un quarto della popolazione
europea, circa 92 milioni di persone, era a rischio povertà o di esclusione
sociale. Si tratta di quasi 8,5 milioni di persone in più rispetto al periodo
precedente la crisi.
La povertà, la deprivazione materiale e il
super-sfruttamento tradizionalmente associati al Sud del mondo stanno
ritornando anche nei paesi ricchi d’Europa.
La crisi sta minando il “modello sociale europeo”, e con
esso l’assunto che l’impiego protegge dalla povertà. Il numero di lavoratori
poveri – lavoratori occupati in famiglie con un reddito annuo al di sotto della
soglia di povertà – è oggi in aumento, e l’austerità peggiorerà di molto la
situazione in futuro.
Alcuni critici sostengono che l’austerità è assurda e
contro-producente, ma i leader europei non sono d’accordo. Durante l’ultima
tornata di negoziati con la Grecia l’estate scorsa, Angela Merkel ha
dichiarato: “Il punto non sono alcuni miliardi di euro – la questione di fondo
è come l’Europa può restare competitiva nel mondo.” C’è del vero in tutto
questo. Quello che la Merkel non dice è che i lavoratori in Europa, nel Sud
dell’Europa in particolare, competono sempre di più con i lavoratori del Sud
del mondo. L’impoverimento e l’austerità in Europa sono le due facce della
stessa medaglia, e riflettono una tendenza strutturale all’impoverimento e
profondi cambiamenti dell’economia globale.
Lenin lettore di Hegel*- Stathis Kouvélakis
*Da: https://traduzionimarxiste.wordpress.com/ Link all’articolo in francese Période
Come spiegare il fatto che al cospetto del disastro
della Prima guerra mondiale Lenin si sia ritirato per dedicarsi allo studio
della Logica di Hegel? Si tratta di un interrogativo che non
ha cessato di turbare il marxismo del primo dopoguerra. Secondo Stathis
Kouvelakis, svelare l’enigma dei Quaderni filosofici di Lenin,
manoscritti frammentari ed eterogenei, equivale a pensare questo testo come una
rettifica del pensiero del movimento operaio europeo. Vero e proprio
presupposto alla sua riflessione strategica, la quale condurrà all’Ottobre
1917, il lavoro di Lenin segna un rigetto del positivismo, del meccanicismo e
del materialismo volgare della Seconda internazionale. Tale ritorno a Hegel
implica una rinnovata istanza rispetto alla dimensione pratica della
conoscenza, alla dialettica di salti e inversioni, o ancora, all’attività in
quanto processo sociale. Di fronte al crollo della socialdemocrazia, alla
necessità di una ripresa, una deviazione nel campo della teoria si rende
talvolta indispensabile al fine di poter ricominciare.
Il disastro
Irruzione del massacro di massa nel cuore dei paesi
imperialisti dopo un secolo di relativa «pace» interna, il momento della prima
guerra mondiale è anche quello del crollo del suo oppositore storico, il
movimento operaio europeo, essenzialmente organizzato nella Seconda
internazionale. In questo senso, appare adeguata la definizione di «disastro»,
termine utilizzato da Badiou per significare l’esaurimento della verità di una
forma della politica emancipatrice testimoniata da un altro crollo, più
recente, ossia quello dei regimi «comunisti» dell’Europa dell’est (1).
Considerando che questo secondo disastro va a colpire quella stessa verità
politica nata come risposta al primo, e nota come «Ottobre 1917», nonché:
«Lenin», è stato allora il ciclo del «secolo breve» ad essersi chiuso su questa
disastrosa ripetizione. Paradossalmente, quindi, non si tratta del momento
sbagliato da scegliere, per ritornare là dove tutto ciò ha avuto inizio,
nell’istante in cui, nel fango e nel sangue che sommergevano l’Europa in
quell’estate del 1914, il secolo è sorto.
Catturate dal vortice del conflitto, le società europee e
extra-europee (2) sperimentano per la prima volta la «guerra totale».
L’insieme della società, combattenti e non combattenti, economia e politica,
stato e «società civile» (sindacati, chiesa, media) partecipano integralmente a
questa mobilitazione generale assolutamente straordinaria nell’intera storia
mondiale. La dimensione traumatica dell’avvenimento non è
comparabile con alcun confronto armato precedente. È la sensazione
generalizzata della fine di un’intera «civilizzazione» ad emergere dalla
carneficina delle trincee, vera e propria industria del massacro, altamente
tecnologizzata, dispiegata nei campi di battaglia e ben al di là di questi
ultimi (bombardamenti di civili, spostamenti di popolazione, distruzione mirata
di aree situate al di fuori del fronte). L’industria della morte di massa
stessa si aggroviglia strettamente ai dispositivi di controllo della vita
sociale e delle popolazioni, direttamente o indirettamente esposte ai
combattimenti. Una tale atmosfera apocalittica, la cui eco risuonerà con forza
in tutta la cultura dell’immediato dopoguerra (la quale nasce nel conflitto stesso:
Dada, poi il surrealismo e le altre avanguardie degli anni Venti e Tenta),
permea tutti i contemporanei. È possibile, ancora oggi, farsene un’idea
attraverso la lettura della Juniusbroschure di Rosa Luxemburg (3), uno dei
testi più straordinari della letteratura socialista, ogni pagina del quale
porta testimonianza del carattere inedito della barbarie in corso.
giovedì 10 novembre 2016
le 7 proposte di Donald Trump che i media hanno censurato e spiegano la sua vittoria*- Ignacio Ramonet
Il successo di Donald Trump (come la Brexit nel Regno Unito,
o la vittoria del ‘no’ in Colombia) significa innanzitutto una nuova clamorosa
sconfitta dei grandi mezzi di comunicazione e degli istituti di
sondaggio. Ma significa anche che tutta l’architettura mondiale, stabilita alla
fine della Seconda Guerra Mondiale, viene adesso travolta e si sfalda. Le carte
della geopolitica sono completamente da rifare. Comincia un’altra partita.
entriamo in un’era sconosciuta. Adesso tutto può accadere.
Come è riuscito Trump ha invertire una tendenza che lo
vedeva sconfitto e riuscire a imporsi nel finale di campagna? Questo
personaggio atipico, con le sue idee grottesche e sensazionalistiche, aveva già
sovvertito tutti i pronostici. Contro pesi massimi come Jeb Bush, Marco Rubio o
Ted Cruz, che potevano anche contare sul sostegno dell’establishment
repubblicano, pochissimi lo vedevano imporsi alle primarie del Partito
Repubblicano, tuttavia ha carbonizzato i suoi avversari, riducendoli in
cenere.
Bisogna capire che dalla crisi finanziaria del 2008 (dalla
quale non siamo ancora usciti) nulla è uguale a prima. I cittadini sono
profondamente delusi. La democrazia stessa, come modello, ha perso credibilità.
I sistemi politici sono stati scossi fin dalle fondamenta. In Europa, per
esempio, si sono moltiplicati i terremoti elettorali (tra cui la Brexit). I
grandi partiti tradizionali sono in crisi. Ovunque rileviamo una crescita delle
formazioni di estrema destra (in Francia, in Austria e nei paesi nordici) o di
partiti antisistema e anticorruzione (Italia e Spagna). Il panorama politico è
radicalmente trasformato.
mercoledì 9 novembre 2016
domenica 6 novembre 2016
sabato 5 novembre 2016
CONTROSTORIA DEL SECOLO BREVE, dalla rivoluzione d'ottobre alla NEP - Renato Caputo
4 LEZIONE. La Rivoluzione d’Ottobre; la Pace di Brest-Litovsk; la
guerra civile e la Terza Internazionale; il comunismo di guerra e la NEP:
guerra civile e la Terza Internazionale; il comunismo di guerra e la NEP:
3 LEZIONE. CAUSE DELLA RIVOLUZIONE D’OTTOBRE: Le cause della
rivoluzione russa; la Rivoluzione di Febbraio; le Tesi d’Aprile di Lenin: https://www.youtube.com/watch?v=8FrXzV6-gFw
rivoluzione russa; la Rivoluzione di Febbraio; le Tesi d’Aprile di Lenin: https://www.youtube.com/watch?v=8FrXzV6-gFw
Lezioni precedenti (1/2): https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/10/controstoria-del-secolo-breve-dalla.html
venerdì 4 novembre 2016
Theodor W. Adorno: Dialettica negativa - Vincenzo Rosito
Da: Grandi
opere filosofiche - Vincenzo Rosito, Docente Ordinario di “Storia e cultura delle istituzioni familiari” presso il Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II. Insegna Filosofia teoretica alla Pontificia Facoltà Teologica San Bonaventura (Roma).
Leggi anche: DIALETTICA DELL'ILLUMINISMO di Adorno e Horkheimer - Carla Maria Fabiani
Vedi anche: La scuola di Francoforte - Antonio Gargano
"La teoria critica e Herbert Marcuse" - Antonio Gargano
Leggi anche: DIALETTICA DELL'ILLUMINISMO di Adorno e Horkheimer - Carla Maria Fabiani
Vedi anche: La scuola di Francoforte - Antonio Gargano
"La teoria critica e Herbert Marcuse" - Antonio Gargano
giovedì 3 novembre 2016
Le basi statunitensi in America Latina*- Alessandra Ciattini
Il fondamento
militare del potere statunitense in America Latina
Alcuni analisti politici hanno sostenuto che i vari i governi progressisti – diversi tra loro - che si sono impiantati in alcuni paesi dell’America Latina, lo hanno potuto fare perché gli Stati Uniti erano impegnati fortemente in altre regioni dello scenario internazionale, che si va facendo sempre più complicato e conflittuale. A ciò bisogna aggiungere che negli anni ’90 del Novecento sono sorti movimenti sociali e forze politiche che hanno messo in discussione in forme diverse le feroci politiche neoliberali, imposte dalle dittature militari brutali (come quelle del Cile e dell’Argentina) o da governi formalmente democratici. Basti citare, per esempio, il movimento indigeno dell’ Inti Raymi sviluppatosi in Ecuador e la forte resistenza delle masse popolari, che nel primo decennio del 2000 ha sconfitto la coalizione neoliberale in Bolivia.
Da sinistra questi governi sono accusati di non aver
promosso riforme profonde che abbiano alterato la struttura del potere
economico, giacché la proprietà delle risorse materiali continua ad essere
concentrata, come il controllo del commercio estero e delle istituzioni
finanziarie, ancora non si è raggiunta nemmeno la sovranità
alimentare. Da destra, invece, si è posto l’accento sui caratteri
autoritari e clientelari del sistema politico. Quanto al primo quesito,
dovremmo chiederci: esistevano le condizioni oggettive per rendere operative
tali trasformazioni radicali o non si è voluto procedere in questa direzione?
Per rispondere, sia pure parzialmente, a questa domanda
penso sia utile fare riferimento a un evento importante realizzatosi a Lima in
Perù alla fine del passato mese di agosto. Intendo riferirmi alla Riunione
dei Partiti comunisti e rivoluzionari dell’America Latina e del Caribe, del
tutto trascurata dai mass media nostrani, nel contesto della quale il sociologo
argentino Atilio Borón, noto anche in Italia, ha fatto presente che gli
Stati Uniti hanno nel subcontinente almeno 80 basi militari, stanziate in
maggior numero in Perù e in Colombia. Fatto che
rende alquanto complicato, se non addirittura arduo, il processo di
trasformazione radicale auspicato da molti [1].
mercoledì 2 novembre 2016
John Locke – Remo Bodei
"L'unica difesa contro il mondo è conoscerlo bene." (J. Locke)
http://www.filosofia.rai.it/articoli/zettel-presenta-locke-e-l%E2%80%99empirismo-%E2%80%93-remo-bodei/32626/default.aspx
martedì 1 novembre 2016
Carovana solidale (per la fine del mondo)*- Panagiotis Grigoriou
*Da: http://comedonchisciotte.org/ Fonte: www.greekcrisis.fr Link: http://www.greekcrisis.fr/2016/10/Fr0539.html#deb
La Grecia è ormai un paese dimenticato nel resto di
Europa. I reporter da Atene non riescono a vendere i propri pezzi ai media
occidentali. L’unica forma di attenzione rimasta è quella di singoli o
associazioni che, ad esempio in Francia, raccolgono medicinali e aiuti per la
popolazione e li portano fin lì (come si faceva con le zone più povere del
terzo mondo). Chi resta, se ha un mestiere, prova a sopravvivere chiudendo i
negozi e le attività per passare alle prestazioni a domicilio, ovviamente in
nero. Chi non evade, del resto, paga fino al 75% di tasse sul fatturato, e deve
pure versarle con un anno di anticipo. L’odio è grande, ma i politici non
sembrano accorgersene, e pensano a reimpasti di governo, dove peraltro l’ultima
parola spetta alla Troika, mentre il 40% della popolazione – tra cui molti
bambini – è povera e oltre 4 milioni di greci vivono in case inagibili o in
famiglie che non hanno alcun reddito, scontando gli effetti di un progetto (la
UE) che non è affatto “degenerato” rispetto a quanto previsto, ma è sempre
stato totalitario fin dall’inizio.
Attenzioni ed apprensioni.
Sulle montagne della Grecia la
prima neve è attesa per la fine della settimana, secondo i meteorologi, e
allora lungo tutto il paese ci si prepara, si compra all’ingrosso la legna, come
accade ogni anno da quando è iniziata la “crisi”. Ad Atene, davanti alle
edicole, i Greci scrutano, o piuttosto commentano molto acidamente ciò che la
stampa crede di potergli raccontare. “Tutti bugiardi”. Buona, questa!
La così detta “crisi” in realtà è una forma di guerra
(economica, culturale, e simbolica che mina la società e distrugge la sovranità
popolare e nazionale così come la … rara democrazia ancora in essere), dati i
cambiamenti, ormai … largamente fatti propri tra i Greci.
Costituzione e sistema elettorale: dalla Costituente proporzionalista al maggioritario.*- Aldo Giannuli
Sul finire dei suoi lavori l’Assemblea Costituente
affrontò il tema della legge elettorale proporzionale che, in seno
alla seconda commissione, il grande giurista Costantino Mortati (Dc)
propose di costituzionalizzare. La proposta di inserire la legge nella carta
non venne accolta, ma l’orientamento pressoché unanime fu quello di adottare la
proporzionale per l’elezione della Camera nel 1948. In aula, la proposta venne
ripresa dal comunista Antonio Giolitti, sotto forma di emendamento all’articolo
53, ma venne obiettato che questo era stato escluso in commissione, per cui
l’emendamento venne trasformato in ordine del giorno, poi approvato.
Probabilmente i Costituenti avrebbero fatto meglio ad inserire la norma nel
testo della Costituzione, ma tanto non sembrò necessario perché l’orientamento
era generalmente favorevole al sistema proporzionale e, d’altro canto, l’intera
architettura costituzionale aveva come presupposto quel sistema elettorale.
E, per convincersene, bastino poche osservazioni. Ad
esempio, nessun sistema a sistema maggioritario affida al Parlamento la
funzione di revisione costituzionale o, per lo meno, non solo ad esso,
prevedendosi o referendum popolari preventivi, o un ruolo determinante del Capo
dello Stato oppure delle regioni o stati federati o anche di un Senato
altrimenti eletto.
Di fatto, tanto la Costituzione formale quanto quella
materiale hanno avuto il sistema proporzionale come pietra angolare su cui
basarsi. La costituzione materiale perché in questo sistema elettorale
valorizzava il ruolo dei partiti come organizzatori della democrazia, la
Costituzione formale perché esso garantiva tanto la rigidità del testo,
quanto l’accentuato pluralismo del sistema, che induceva a forme di governo di
coalizione e ad intese più ampie della maggioranza di governo per decisioni
delicate come l’elezione del Presidente, dei membri della Corte Costituzionale
e del Csm. Tutto questo realizzava un equilibrio fra poteri di maggioranza e
diritti delle opposizioni che, anche se mai perfetto, tuttavia garantiva un
ruolo dinamico del Parlamento.
Dagli anni settanta, tuttavia, si manifestò una crescente
degenerazione della vita interna dei partiti che produsse la
sclerotizzazione del sistema istituzionale nel suo complesso. Di ciò venne data
indebitamente la colpa al sistema proporzionale e, invece di procedere ad una
regolamentazione per legge dei partiti, in modo da consentire l’intervento del
giudice ordinario nei molti casi delle vere e proprie frodi (a cominciare dai
tesseramenti truccati) e contrastare la degenerazione partitocratica, si
preferì la strada del tutto controproducente del passaggio al sistema
maggioritario, lasciando pericolosamente non mutate le norme più delicate
(art.138, elezione del Presidente ecc.). Con una discutibile sentenza, la Corte
Costituzionale decise di ammettere il referendum, probabilmente anche per
effetto della pressione dell’opinione pubblica, debitamente pilotata dai mass
media attraverso una accorta gestione dell’inchiesta “Mani Pulite” che fu
l’ariete di sfondamento della manovra.
Superato l’ostacolo del referendum, la manovra
proseguì introducendo una forma surrettizia di presidenzialismo, con
l’indicazione del candidato Presidente del Consiglio, la cui scelta, secondo il
dettato costituzionale, sarebbe spettata esclusivamente al Presidente della
Repubblica. Per la verità, questa norma implicita trovò applicazione imperfetta
e discontinua, perché, pur se in modo difettoso, la nostra continuava ad essere
una Costituzione parlamentare, per cui, di fronte alla alle turbolenze di
maggioranza, il Presidente nominò Capi del governo privi di investitura
popolare (Dini nel 1995, D’Alema nel 1998, D’Amato nel 2000). Questa prassi,
sul lungo periodo ha prodotto paradossalmente un iper protagonismo del
Presidente della Repubblica, la cui figura ha finito per essere sempre più
simile a quella del Presidente “regnante” della Costituzione gaullista
francese. Non solo il Presidente ha ripetutamente nominato Capi del Governo di
suo gradimento e con maggioranze ribaltate (Monti nel 2011, Letta nel 2013,
Renzi nel 2014) ma si è posto come supervisore e garante, sino a presiedere
riunioni dei capigruppo di maggioranza o, peggio ancora, promuovere processi di
revisione costituzionale scavalcando procedure dell’art 138.
Siamo alla decostituzionalizzazione dell’ordinamento
giuridico. Una sorta di colpo di stato strisciante, apertosi con il referendum
voluto da Occhetto, Segni e Pannella e che oggi passa attraverso la riforma
renziana che non sarà neppure l’ultima, quando l’effetto combinato
dell’assurdo premio di maggioranza dell’Italicum e la sostanziale abrogazione
del bicameralismo, spianerà la strada ad una più complessiva revisione
costituzionale, che forse farà strame della prima parte, quella dei diritti dei
cittadini e dei principi sociali, conformemente a quanto richiesto, due anni fa, dalla grande
banca americana Jp Morgan.
lunedì 31 ottobre 2016
Tempesta perfetta. Nove interviste per capire la crisi*- Tommaso Gabellini
Tempesta Perfetta nasce con l’intento di mostrare l’urgente bisogno di
un dibattito sulle cause della crisi e sulle possibili soluzioni che tengano
conto di un punto di vista autonomo, del lavoro. Occorre partire da un’analisi
seria e disincatata per permettere alla generazione cresciuta nella crisi di capire
che le alternative esistono e che un rovesciamento degli attuali rapporti di
forza sia possibile solo dopo aver elaborato un’attenta critica nei confronti
del paradigma culturale dominante. Il libro offre molti spunti di riflessione
in tal senso, e costituisce un’ottima lettura sia per chi sia a digiuno di
nozioni economiche, sia per chi si interessi già di alcune tematiche ma voglia
avere un quadro d’insieme più ampio.
Si chiama Tempesta Perfetta, è la prima prova
editoriale della Campagna Noi Restiamo, pubblicata da Odradek, raccoglie le
interviste di dieci economisti – Riccardo Bellofiore,
Giorgio Gattei, Joseph Halevi, Simon Mohun,
Marco Veronese Passarella, Jan Toporowski, Richard Walker,
Luciano Vasapollo, Leonidas Vatikiotis, Giovanna Vertova
– sulla crisi;
domenica 30 ottobre 2016
(U.S.)America nell'epoca Tecnetronica*- Zbigniew Brzezinski (1968)
*Versione originale: http://www.unz.org/Pub/Encounter-1968jan-00016 (Traduzione a cura del collettivo)
Leggi come premessa e commento: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/10/brzezinski-e-la-futurologia-america-in.html

"L’intenso coinvolgimento nella conoscenza applicata potrebbe gradualmente provocare l’indebolimento della tradizione di imparare solo per imparare. La comunità intellettuale, comprese le Università, potrebbe diventare un’altra ‘industria’, che recepisce i bisogni sociali come i diktat del mercato, con gli intellettuali che ricercano le ricompense materiali e politiche più consistenti. L’ansia per il potere, il prestigio e la bella vita potrebbe significare la fine dell’ideale aristocratico del distanziamento intellettuale e della ricerca disinteressata della verità."
La nostra non è più la convenzionale era rivoluzionaria; stiamo entrando in una nuova fase di trasformazione nella storia umana. Il mondo è nell’era di una trasformazione più drammatica nelle sue conseguenze storiche e umane di quelle provocate sia dalla rivoluzione francese che da quella bolscevica. Viste da una prospettiva a lungo termine, queste famose rivoluzioni hanno semplicemente scalfito la superficie della condizione umana. I cambiamenti da esse innescati hanno implicato trasformazioni nella distribuzione del potere e della proprietà all’interno della società; essi non hanno toccato l’essenza dell’esistenza individuale e sociale. La vita – personale e organizzata- è continuata quasi come prima, anche se alcune forme esterne (soprattutto politiche) furono trasformate in maniera sostanziale. Per quanto ciò possa apparire sconvolgente ai loro seguaci dovremmo convenire che Robespierre e Lenin sono stati soltanto dei riformatori morbidi, considerando i cambiamenti che si produrranno a partire dal 2000.
Leggi come premessa e commento: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/10/brzezinski-e-la-futurologia-america-in.html

"L’intenso coinvolgimento nella conoscenza applicata potrebbe gradualmente provocare l’indebolimento della tradizione di imparare solo per imparare. La comunità intellettuale, comprese le Università, potrebbe diventare un’altra ‘industria’, che recepisce i bisogni sociali come i diktat del mercato, con gli intellettuali che ricercano le ricompense materiali e politiche più consistenti. L’ansia per il potere, il prestigio e la bella vita potrebbe significare la fine dell’ideale aristocratico del distanziamento intellettuale e della ricerca disinteressata della verità."
La nostra non è più la convenzionale era rivoluzionaria; stiamo entrando in una nuova fase di trasformazione nella storia umana. Il mondo è nell’era di una trasformazione più drammatica nelle sue conseguenze storiche e umane di quelle provocate sia dalla rivoluzione francese che da quella bolscevica. Viste da una prospettiva a lungo termine, queste famose rivoluzioni hanno semplicemente scalfito la superficie della condizione umana. I cambiamenti da esse innescati hanno implicato trasformazioni nella distribuzione del potere e della proprietà all’interno della società; essi non hanno toccato l’essenza dell’esistenza individuale e sociale. La vita – personale e organizzata- è continuata quasi come prima, anche se alcune forme esterne (soprattutto politiche) furono trasformate in maniera sostanziale. Per quanto ciò possa apparire sconvolgente ai loro seguaci dovremmo convenire che Robespierre e Lenin sono stati soltanto dei riformatori morbidi, considerando i cambiamenti che si produrranno a partire dal 2000.
A
differenza delle rivoluzioni del passato la metamorfosi avanzante non avrà
leader carismatici con dottrine contrastanti, ma il suo impatto sarà molto più
profondo. La maggior parte del cambiamento che ha così tanto preso posto nella
storia umana è stato graduale, essendo le grandi ‘rivoluzioni’ meri segni di
punteggiatura in un lento, ineludibile processo. Invece, la trasformazione che
si avvicina giungerà molto più rapidamente e avrà più profonde conseguenze nel
modo e anche forse nel significato della vita umana, che qualsiasi precedente
esperienza fatta dalle generazioni che ci hanno preceduto.
L’America
sta già cominciando a sperimentare questi cambiamenti e in questa fase sta
diventando una società tecnetronica: una società che è plasmata culturalmente,
psicologicamente, socialmente ed economicamente dall’impatto della tecnologia e
dell’elettronica, in particolare dall’uso dei computer e dallo sviluppo delle
telecomunicazioni. Il processo industriale non è più la causa principale dei
cambiamenti sociali, attraverso la modificazione dei costumi, della struttura e
dei valori sociali.
Questo cambiamento sta dividendo gli Stati Uniti dal resto
del mondo, promuovendo un’ulteriore frammentazione in una umanità sempre più
differenziata, e imponendo agli americani
l’obbligo speciale di alleviare i dolori del confronto che ne
scaturisce.
La
società technetronica
sabato 29 ottobre 2016
"Ottobre" di Ejzenstejn
Il Film fu girato quasi interamente a Leningrado e qui proiettato il 20 gennaio 1928: 7 rulli, 2220 metri; ma il metraggio originale era di 3800. La critica legata al regime accusò il regista di eccessivo sperimentalismo ed estetismo, inoltre il regista fu costretto ad eliminare dalla versione definitiva dell'opera i protagonisti della cosiddetta opposizione di sinistra, Trotsky e Zinov'ev, in quei mesi caduti in disgrazia per essersi opposti a Stalin
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2012/10/i-dieci-giorni-che-sconvolsero-il-mondo.html
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2012/10/i-dieci-giorni-che-sconvolsero-il-mondo.html
venerdì 28 ottobre 2016
giovedì 27 ottobre 2016
La migrazione come rivolta contro il capitale*- Prabhat Patnaik**
*Da: https://traduzionimarxiste.wordpress.com/ Link
all’articolo originale in inglese MRZine,
originariamente pubblicato in People’s Democracy
**Prabhat Patnaik è un economista marxista indiano.
Il fatto che un alto numero di rifugiati, specialmente da
paesi che sono stati soggetti negli ultimi tempi alle devastazioni delle
aggressioni e guerre imperialiste, stiano tentando di entrare in Europa viene
visto quasi esclusivamente in termini umanitari. Per quanto una tale percezione
abbia senza dubbio la propria validità, vi è un altro aspetto della questione
che è sfuggito del tutto all’attenzione, ossia che per la prima volta
nella storia moderna il fenomeno della migrazione potrebbe trovarsi al di fuori
del controllo esclusivo del capitale metropolitano. Sino ad oggi i flussi
migratori sono stati interamente dettati dalle esigenze del capitale
metropolitano; ora, per la prima volta, le persone ne stanno violando i
dettami, tentando di dare seguito alle proprie preferenze riguardo a dove
vogliono stabilirsi. In miseria e infelici, e senza essere coscienti delle
implicazioni delle proprie azioni, questi sventurati stanno effettivamente
votando coi propri piedi contro l’egemonia del capitale metropolitano, il quale
procede sempre sulla base del presupposto che le persone si sottometteranno
docilmente ai suoi diktat, anche riguardo a dove vivere.
L’idea secondo la quale il capitale metropolitano avrebbe
fino ad oggi determinato chi dovrebbe rimanere e dove nel mondo,
nonché in quali condizioni materiali, potrebbe apparire a prima vista
inverosimile. Ciò nondimeno è vera. Nei tempi moderni si possono distinguere
tre grandi ondate migratorie, ognuna delle quali dettata dalle necessità del
capitale. La prima è stata il trasporto di milioni di persone ridotte in
schiavitù dall’Africa alle Americhe, per lavorare nelle miniere e nelle
piantagioni al fine di produrre le materie prime da esportare così da far
fronte alle richieste del capitale metropolitano. Dal momento che le vicende
riguardanti la tratta degli schiavi sono presumibilmente ben note, non
discuterò ulteriormente questa particolare ondata migratoria.
Una volta terminato il periodo di fioritura del commercio
degli schiavi, ci fu un nuovo tipo di migrazione. Nel corso di tutto il XIX
secolo e dell’inizio del XX, il capitale metropolitano aveva imposto un processo
di “deindustrializzazione” al terzo mondo, non solo alle colonie tropicali come
l’India ma anche alle semi-colonie e dipendenze come la Cina. Allo stesso tempo
aveva “drenato” una parte del surplus economico di queste società attraverso
svariati mezzi, dalla pura e semplice appropriazione di merci senza
alcun quid pro quo, ricorrendo alle entrate fiscali delle colonie
amministrate direttamente, all’imposizione dello scambio ineguale nella
valutazione dei prodotti del terzo mondo, sino all’estrazione di profitti
monopolistici nel commercio. Le popolazioni delle economie del terzo mondo
impoverite tramite tali meccanismi erano state forzate, viceversa, a restare
dove si trovavano, intrappolate all’interno dei propri universi.
Lavoratori vincolati indiani al loro arrivo a
Trinidad
mercoledì 26 ottobre 2016
Studio su Hegel: Estetica - Stefano Garroni
Quarta parte: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/10/studio-su-hegel-filosofia-storia-etica_13.html
Ultima: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/10/studio-su-hegel-estetica-stefano-garroni.html
Ultima: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/10/studio-su-hegel-estetica-stefano-garroni.html
[8] - Lo Hegel giovane “approfondisce il progetto
schilleriano dell’educazione estetica attribuendo all’arte ed alla poesia
intesa come <maestra dell’umanità> la funzione storica di trasmissione
attraverso la bella apparenza di una razionalità divenuta sentire comune di un
popolo libero. L’azione etica è in tal senso un’azione bella, colui che la
compie è una <bella figura> ed al tempo stesso la sua esistenza è un
ideale, cioè un’idea concretamente calata nella realtà storica.” (AAVV, 7376:
201s).
Interessante Cassirer, 6508: 156-8 - «In seguito i
filosofi hanno cercato di evitare questa conclusione [la condanna platonica dell’ arte]
assegnando all’ arte una meta più elevata. Ci hanno spiegato che l’
arte riproduce non già il mondo fenomenico, ma il mondo sovrasensibile. Questa
idea prevale in tutti i sistemi dell’ estetica idealistica: da Plotino giù giù
fino a Schelling e Hegel. La bellezza, si afferma, non è una mera qualità
empirica o fisica delle cose; è un predicato intelligibile, sovrasensibile.
Nella letteratura inglese troviamo questa concezione, per es., nelle opere di
Coleridge e di Carlyle. In ogni opera d’ arte, afferma Carlyle, noi discerniamo
l’ etermità che traspare nel tempo, il divino reso visibile» (Cassirer, 6508:
158).
«... Baumgarten, sappiamo, propose con notevole successo postumo il nome
intenzionalmente filosofico di “estetica”, per molti decenni accettato però
solo in area tedesca. Kant non lo adoperò mai come nome disciplinare, non
sentendo affatto il bisogno di dare un nome quale che sia a una riflessione che
non era un sapere. Schelling tenne poi lezioni non di “estetica”, ma di
“filosofia dell’ arte”, e anche Hegel avrebbe preferito questo nome a quello,
impostosi in sostanza per ragioni di routine
accademica.» (Garroni, 6631: 37). Platonismo estico di Hegel versus Kant.
(AAVV, 7376: 203).
martedì 25 ottobre 2016
Brzezinski e la futurologia. (America in the Technetronic Age)* - Alessandra Ciattini
*Da: https://www.lacittafutura.it/
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/10/usamerica-nellepoca-tecnetronica.html
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/10/usamerica-nellepoca-tecnetronica.html
L’anziano ex consigliere alla sicurezza di Jimmy Carter, Zbigniew
Brzezinski, è sempre sulla cresta dell’onda e continua ad elaborare analisi
politiche, che da un lato riflettono le intenzioni dei vertici statunitensi,
dall’altro indicano i percorsi da seguire per difendere il ruolo egemonico
della superpotenza. In particolare, in un articolo di qualche mese fa, egli
riconosce che il dominio globale degli Stati Uniti è in crisi a
causa del riemergere della Russia quale attore politico nella
scena mondiale e dell’espansione economica e commerciale della Cina.
A suo parere, pertanto, bisogna prendere misure adeguate a contrastare tale
declino e a impedire un avvicinamento dell’Europa alle potenze emergenti (leggi).
Come è noto, Brzezinski si è sempre dilettato di analisi
politiche volte a delineare gli scenari internazionali futuri. In questo breve
intervento, mi limiterò ad analizzare brevemente un articolo
dell’ex-consigliere, pubblicato nel 1968, dal significativo titolo America
in the Technetronic Age(leggi), nel
quale egli indica i caratteri della società cosiddetta postindustriale o, se
volete, postmoderna. E ciò perché in effetti egli coglie nel segno,
anche perché descrive le linee politiche adottate dalla classe dirigente
mondiale, a cui era ed è strettamente vincolato.
Questo aspetto è ben colto da un autore sovietico, Edward
Arab-Ogly, il cui libro intitolato Nel labirinto dei vaticini è
stato pubblicato in italiano dalle Edizioni Progress (Mosca) nel 1977 e che ho
avuto già modo di menzionare in un precedente articolo per La Città futura. Egli sottolinea,
in questo d’accordo con Brzezinski [1], che la rivoluzione tecnico-scientifica
del Novecento ha determinato “mutamenti profondi e irreversibili con una
conseguente accelerazione dell’evoluzione sociale”. A suo parere “tali
trasformazioni sociali, politiche, economiche che in passato si sarebbero
dipanate per decenni e forse per secoli”, si stanno realizzando vorticosamente
nello spazio di una generazione. Egli aggiunge che nell’epoca contemporanea il
potere che l’uomo ha sulla natura e sul proprio destino è straordinario e che
noi e i nostri posteri potremo godere i frutti di questo avanzamento, ma ci
troveremo anche a “pagare il fio delle nostre attività” (op. cit. 1977: 3).
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