Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/03/reddito-minimo-i-problemi-aperti.html
La teoria Marxista poggia la sua forza sulla scienza... che ne valida la verità, e la rende disponibile al confronto con qualunque altra teoria che ponga se stessa alla prova del rigoroso riscontro scientifico... il collettivo di formazione Marxista Stefano Garroni propone una serie di incontri teorici partendo da punti di vista alternativi e apparentemente lontani che mostrano, invece, punti fortissimi di convergenza...
mercoledì 9 novembre 2016
domenica 6 novembre 2016
sabato 5 novembre 2016
CONTROSTORIA DEL SECOLO BREVE, dalla rivoluzione d'ottobre alla NEP - Renato Caputo
4 LEZIONE. La Rivoluzione d’Ottobre; la Pace di Brest-Litovsk; la
guerra civile e la Terza Internazionale; il comunismo di guerra e la NEP:
guerra civile e la Terza Internazionale; il comunismo di guerra e la NEP:
3 LEZIONE. CAUSE DELLA RIVOLUZIONE D’OTTOBRE: Le cause della
rivoluzione russa; la Rivoluzione di Febbraio; le Tesi d’Aprile di Lenin: https://www.youtube.com/watch?v=8FrXzV6-gFw
rivoluzione russa; la Rivoluzione di Febbraio; le Tesi d’Aprile di Lenin: https://www.youtube.com/watch?v=8FrXzV6-gFw
Lezioni precedenti (1/2): https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/10/controstoria-del-secolo-breve-dalla.html
venerdì 4 novembre 2016
Theodor W. Adorno: Dialettica negativa - Vincenzo Rosito
Da: Grandi
opere filosofiche - Vincenzo Rosito, Docente Ordinario di “Storia e cultura delle istituzioni familiari” presso il Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II. Insegna Filosofia teoretica alla Pontificia Facoltà Teologica San Bonaventura (Roma).
Leggi anche: DIALETTICA DELL'ILLUMINISMO di Adorno e Horkheimer - Carla Maria Fabiani
Vedi anche: La scuola di Francoforte - Antonio Gargano
"La teoria critica e Herbert Marcuse" - Antonio Gargano
Leggi anche: DIALETTICA DELL'ILLUMINISMO di Adorno e Horkheimer - Carla Maria Fabiani
Vedi anche: La scuola di Francoforte - Antonio Gargano
"La teoria critica e Herbert Marcuse" - Antonio Gargano
giovedì 3 novembre 2016
Le basi statunitensi in America Latina*- Alessandra Ciattini
Il fondamento
militare del potere statunitense in America Latina
Alcuni analisti politici hanno sostenuto che i vari i governi progressisti – diversi tra loro - che si sono impiantati in alcuni paesi dell’America Latina, lo hanno potuto fare perché gli Stati Uniti erano impegnati fortemente in altre regioni dello scenario internazionale, che si va facendo sempre più complicato e conflittuale. A ciò bisogna aggiungere che negli anni ’90 del Novecento sono sorti movimenti sociali e forze politiche che hanno messo in discussione in forme diverse le feroci politiche neoliberali, imposte dalle dittature militari brutali (come quelle del Cile e dell’Argentina) o da governi formalmente democratici. Basti citare, per esempio, il movimento indigeno dell’ Inti Raymi sviluppatosi in Ecuador e la forte resistenza delle masse popolari, che nel primo decennio del 2000 ha sconfitto la coalizione neoliberale in Bolivia.
Da sinistra questi governi sono accusati di non aver
promosso riforme profonde che abbiano alterato la struttura del potere
economico, giacché la proprietà delle risorse materiali continua ad essere
concentrata, come il controllo del commercio estero e delle istituzioni
finanziarie, ancora non si è raggiunta nemmeno la sovranità
alimentare. Da destra, invece, si è posto l’accento sui caratteri
autoritari e clientelari del sistema politico. Quanto al primo quesito,
dovremmo chiederci: esistevano le condizioni oggettive per rendere operative
tali trasformazioni radicali o non si è voluto procedere in questa direzione?
Per rispondere, sia pure parzialmente, a questa domanda
penso sia utile fare riferimento a un evento importante realizzatosi a Lima in
Perù alla fine del passato mese di agosto. Intendo riferirmi alla Riunione
dei Partiti comunisti e rivoluzionari dell’America Latina e del Caribe, del
tutto trascurata dai mass media nostrani, nel contesto della quale il sociologo
argentino Atilio Borón, noto anche in Italia, ha fatto presente che gli
Stati Uniti hanno nel subcontinente almeno 80 basi militari, stanziate in
maggior numero in Perù e in Colombia. Fatto che
rende alquanto complicato, se non addirittura arduo, il processo di
trasformazione radicale auspicato da molti [1].
mercoledì 2 novembre 2016
John Locke – Remo Bodei
"L'unica difesa contro il mondo è conoscerlo bene." (J. Locke)
http://www.filosofia.rai.it/articoli/zettel-presenta-locke-e-l%E2%80%99empirismo-%E2%80%93-remo-bodei/32626/default.aspx
martedì 1 novembre 2016
Carovana solidale (per la fine del mondo)*- Panagiotis Grigoriou
*Da: http://comedonchisciotte.org/ Fonte: www.greekcrisis.fr Link: http://www.greekcrisis.fr/2016/10/Fr0539.html#deb
La Grecia è ormai un paese dimenticato nel resto di
Europa. I reporter da Atene non riescono a vendere i propri pezzi ai media
occidentali. L’unica forma di attenzione rimasta è quella di singoli o
associazioni che, ad esempio in Francia, raccolgono medicinali e aiuti per la
popolazione e li portano fin lì (come si faceva con le zone più povere del
terzo mondo). Chi resta, se ha un mestiere, prova a sopravvivere chiudendo i
negozi e le attività per passare alle prestazioni a domicilio, ovviamente in
nero. Chi non evade, del resto, paga fino al 75% di tasse sul fatturato, e deve
pure versarle con un anno di anticipo. L’odio è grande, ma i politici non
sembrano accorgersene, e pensano a reimpasti di governo, dove peraltro l’ultima
parola spetta alla Troika, mentre il 40% della popolazione – tra cui molti
bambini – è povera e oltre 4 milioni di greci vivono in case inagibili o in
famiglie che non hanno alcun reddito, scontando gli effetti di un progetto (la
UE) che non è affatto “degenerato” rispetto a quanto previsto, ma è sempre
stato totalitario fin dall’inizio.
Attenzioni ed apprensioni.
Sulle montagne della Grecia la
prima neve è attesa per la fine della settimana, secondo i meteorologi, e
allora lungo tutto il paese ci si prepara, si compra all’ingrosso la legna, come
accade ogni anno da quando è iniziata la “crisi”. Ad Atene, davanti alle
edicole, i Greci scrutano, o piuttosto commentano molto acidamente ciò che la
stampa crede di potergli raccontare. “Tutti bugiardi”. Buona, questa!
La così detta “crisi” in realtà è una forma di guerra
(economica, culturale, e simbolica che mina la società e distrugge la sovranità
popolare e nazionale così come la … rara democrazia ancora in essere), dati i
cambiamenti, ormai … largamente fatti propri tra i Greci.
Costituzione e sistema elettorale: dalla Costituente proporzionalista al maggioritario.*- Aldo Giannuli

E, per convincersene, bastino poche osservazioni. Ad
esempio, nessun sistema a sistema maggioritario affida al Parlamento la
funzione di revisione costituzionale o, per lo meno, non solo ad esso,
prevedendosi o referendum popolari preventivi, o un ruolo determinante del Capo
dello Stato oppure delle regioni o stati federati o anche di un Senato
altrimenti eletto.
Di fatto, tanto la Costituzione formale quanto quella
materiale hanno avuto il sistema proporzionale come pietra angolare su cui
basarsi. La costituzione materiale perché in questo sistema elettorale
valorizzava il ruolo dei partiti come organizzatori della democrazia, la
Costituzione formale perché esso garantiva tanto la rigidità del testo,
quanto l’accentuato pluralismo del sistema, che induceva a forme di governo di
coalizione e ad intese più ampie della maggioranza di governo per decisioni
delicate come l’elezione del Presidente, dei membri della Corte Costituzionale
e del Csm. Tutto questo realizzava un equilibrio fra poteri di maggioranza e
diritti delle opposizioni che, anche se mai perfetto, tuttavia garantiva un
ruolo dinamico del Parlamento.
Dagli anni settanta, tuttavia, si manifestò una crescente
degenerazione della vita interna dei partiti che produsse la
sclerotizzazione del sistema istituzionale nel suo complesso. Di ciò venne data
indebitamente la colpa al sistema proporzionale e, invece di procedere ad una
regolamentazione per legge dei partiti, in modo da consentire l’intervento del
giudice ordinario nei molti casi delle vere e proprie frodi (a cominciare dai
tesseramenti truccati) e contrastare la degenerazione partitocratica, si
preferì la strada del tutto controproducente del passaggio al sistema
maggioritario, lasciando pericolosamente non mutate le norme più delicate
(art.138, elezione del Presidente ecc.). Con una discutibile sentenza, la Corte
Costituzionale decise di ammettere il referendum, probabilmente anche per
effetto della pressione dell’opinione pubblica, debitamente pilotata dai mass
media attraverso una accorta gestione dell’inchiesta “Mani Pulite” che fu
l’ariete di sfondamento della manovra.
Superato l’ostacolo del referendum, la manovra
proseguì introducendo una forma surrettizia di presidenzialismo, con
l’indicazione del candidato Presidente del Consiglio, la cui scelta, secondo il
dettato costituzionale, sarebbe spettata esclusivamente al Presidente della
Repubblica. Per la verità, questa norma implicita trovò applicazione imperfetta
e discontinua, perché, pur se in modo difettoso, la nostra continuava ad essere
una Costituzione parlamentare, per cui, di fronte alla alle turbolenze di
maggioranza, il Presidente nominò Capi del governo privi di investitura
popolare (Dini nel 1995, D’Alema nel 1998, D’Amato nel 2000). Questa prassi,
sul lungo periodo ha prodotto paradossalmente un iper protagonismo del
Presidente della Repubblica, la cui figura ha finito per essere sempre più
simile a quella del Presidente “regnante” della Costituzione gaullista
francese. Non solo il Presidente ha ripetutamente nominato Capi del Governo di
suo gradimento e con maggioranze ribaltate (Monti nel 2011, Letta nel 2013,
Renzi nel 2014) ma si è posto come supervisore e garante, sino a presiedere
riunioni dei capigruppo di maggioranza o, peggio ancora, promuovere processi di
revisione costituzionale scavalcando procedure dell’art 138.
Siamo alla decostituzionalizzazione dell’ordinamento
giuridico. Una sorta di colpo di stato strisciante, apertosi con il referendum
voluto da Occhetto, Segni e Pannella e che oggi passa attraverso la riforma
renziana che non sarà neppure l’ultima, quando l’effetto combinato
dell’assurdo premio di maggioranza dell’Italicum e la sostanziale abrogazione
del bicameralismo, spianerà la strada ad una più complessiva revisione
costituzionale, che forse farà strame della prima parte, quella dei diritti dei
cittadini e dei principi sociali, conformemente a quanto richiesto, due anni fa, dalla grande
banca americana Jp Morgan.
lunedì 31 ottobre 2016
Tempesta perfetta. Nove interviste per capire la crisi*- Tommaso Gabellini
Tempesta Perfetta nasce con l’intento di mostrare l’urgente bisogno di
un dibattito sulle cause della crisi e sulle possibili soluzioni che tengano
conto di un punto di vista autonomo, del lavoro. Occorre partire da un’analisi
seria e disincatata per permettere alla generazione cresciuta nella crisi di capire
che le alternative esistono e che un rovesciamento degli attuali rapporti di
forza sia possibile solo dopo aver elaborato un’attenta critica nei confronti
del paradigma culturale dominante. Il libro offre molti spunti di riflessione
in tal senso, e costituisce un’ottima lettura sia per chi sia a digiuno di
nozioni economiche, sia per chi si interessi già di alcune tematiche ma voglia
avere un quadro d’insieme più ampio.
Si chiama Tempesta Perfetta, è la prima prova
editoriale della Campagna Noi Restiamo, pubblicata da Odradek, raccoglie le
interviste di dieci economisti – Riccardo Bellofiore,
Giorgio Gattei, Joseph Halevi, Simon Mohun,
Marco Veronese Passarella, Jan Toporowski, Richard Walker,
Luciano Vasapollo, Leonidas Vatikiotis, Giovanna Vertova
– sulla crisi;
domenica 30 ottobre 2016
(U.S.)America nell'epoca Tecnetronica*- Zbigniew Brzezinski (1968)
*Versione originale: http://www.unz.org/Pub/Encounter-1968jan-00016 (Traduzione a cura del collettivo)
Leggi come premessa e commento: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/10/brzezinski-e-la-futurologia-america-in.html

"L’intenso coinvolgimento nella conoscenza applicata potrebbe gradualmente provocare l’indebolimento della tradizione di imparare solo per imparare. La comunità intellettuale, comprese le Università, potrebbe diventare un’altra ‘industria’, che recepisce i bisogni sociali come i diktat del mercato, con gli intellettuali che ricercano le ricompense materiali e politiche più consistenti. L’ansia per il potere, il prestigio e la bella vita potrebbe significare la fine dell’ideale aristocratico del distanziamento intellettuale e della ricerca disinteressata della verità."
La nostra non è più la convenzionale era rivoluzionaria; stiamo entrando in una nuova fase di trasformazione nella storia umana. Il mondo è nell’era di una trasformazione più drammatica nelle sue conseguenze storiche e umane di quelle provocate sia dalla rivoluzione francese che da quella bolscevica. Viste da una prospettiva a lungo termine, queste famose rivoluzioni hanno semplicemente scalfito la superficie della condizione umana. I cambiamenti da esse innescati hanno implicato trasformazioni nella distribuzione del potere e della proprietà all’interno della società; essi non hanno toccato l’essenza dell’esistenza individuale e sociale. La vita – personale e organizzata- è continuata quasi come prima, anche se alcune forme esterne (soprattutto politiche) furono trasformate in maniera sostanziale. Per quanto ciò possa apparire sconvolgente ai loro seguaci dovremmo convenire che Robespierre e Lenin sono stati soltanto dei riformatori morbidi, considerando i cambiamenti che si produrranno a partire dal 2000.
Leggi come premessa e commento: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/10/brzezinski-e-la-futurologia-america-in.html

"L’intenso coinvolgimento nella conoscenza applicata potrebbe gradualmente provocare l’indebolimento della tradizione di imparare solo per imparare. La comunità intellettuale, comprese le Università, potrebbe diventare un’altra ‘industria’, che recepisce i bisogni sociali come i diktat del mercato, con gli intellettuali che ricercano le ricompense materiali e politiche più consistenti. L’ansia per il potere, il prestigio e la bella vita potrebbe significare la fine dell’ideale aristocratico del distanziamento intellettuale e della ricerca disinteressata della verità."
La nostra non è più la convenzionale era rivoluzionaria; stiamo entrando in una nuova fase di trasformazione nella storia umana. Il mondo è nell’era di una trasformazione più drammatica nelle sue conseguenze storiche e umane di quelle provocate sia dalla rivoluzione francese che da quella bolscevica. Viste da una prospettiva a lungo termine, queste famose rivoluzioni hanno semplicemente scalfito la superficie della condizione umana. I cambiamenti da esse innescati hanno implicato trasformazioni nella distribuzione del potere e della proprietà all’interno della società; essi non hanno toccato l’essenza dell’esistenza individuale e sociale. La vita – personale e organizzata- è continuata quasi come prima, anche se alcune forme esterne (soprattutto politiche) furono trasformate in maniera sostanziale. Per quanto ciò possa apparire sconvolgente ai loro seguaci dovremmo convenire che Robespierre e Lenin sono stati soltanto dei riformatori morbidi, considerando i cambiamenti che si produrranno a partire dal 2000.
A
differenza delle rivoluzioni del passato la metamorfosi avanzante non avrà
leader carismatici con dottrine contrastanti, ma il suo impatto sarà molto più
profondo. La maggior parte del cambiamento che ha così tanto preso posto nella
storia umana è stato graduale, essendo le grandi ‘rivoluzioni’ meri segni di
punteggiatura in un lento, ineludibile processo. Invece, la trasformazione che
si avvicina giungerà molto più rapidamente e avrà più profonde conseguenze nel
modo e anche forse nel significato della vita umana, che qualsiasi precedente
esperienza fatta dalle generazioni che ci hanno preceduto.
L’America
sta già cominciando a sperimentare questi cambiamenti e in questa fase sta
diventando una società tecnetronica: una società che è plasmata culturalmente,
psicologicamente, socialmente ed economicamente dall’impatto della tecnologia e
dell’elettronica, in particolare dall’uso dei computer e dallo sviluppo delle
telecomunicazioni. Il processo industriale non è più la causa principale dei
cambiamenti sociali, attraverso la modificazione dei costumi, della struttura e
dei valori sociali.
Questo cambiamento sta dividendo gli Stati Uniti dal resto
del mondo, promuovendo un’ulteriore frammentazione in una umanità sempre più
differenziata, e imponendo agli americani
l’obbligo speciale di alleviare i dolori del confronto che ne
scaturisce.
La
società technetronica
sabato 29 ottobre 2016
"Ottobre" di Ejzenstejn
Il Film fu girato quasi interamente a Leningrado e qui proiettato il 20 gennaio 1928: 7 rulli, 2220 metri; ma il metraggio originale era di 3800. La critica legata al regime accusò il regista di eccessivo sperimentalismo ed estetismo, inoltre il regista fu costretto ad eliminare dalla versione definitiva dell'opera i protagonisti della cosiddetta opposizione di sinistra, Trotsky e Zinov'ev, in quei mesi caduti in disgrazia per essersi opposti a Stalin
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2012/10/i-dieci-giorni-che-sconvolsero-il-mondo.html
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2012/10/i-dieci-giorni-che-sconvolsero-il-mondo.html
venerdì 28 ottobre 2016
giovedì 27 ottobre 2016
La migrazione come rivolta contro il capitale*- Prabhat Patnaik**
*Da: https://traduzionimarxiste.wordpress.com/ Link
all’articolo originale in inglese MRZine,
originariamente pubblicato in People’s Democracy
**Prabhat Patnaik è un economista marxista indiano.
Il fatto che un alto numero di rifugiati, specialmente da
paesi che sono stati soggetti negli ultimi tempi alle devastazioni delle
aggressioni e guerre imperialiste, stiano tentando di entrare in Europa viene
visto quasi esclusivamente in termini umanitari. Per quanto una tale percezione
abbia senza dubbio la propria validità, vi è un altro aspetto della questione
che è sfuggito del tutto all’attenzione, ossia che per la prima volta
nella storia moderna il fenomeno della migrazione potrebbe trovarsi al di fuori
del controllo esclusivo del capitale metropolitano. Sino ad oggi i flussi
migratori sono stati interamente dettati dalle esigenze del capitale
metropolitano; ora, per la prima volta, le persone ne stanno violando i
dettami, tentando di dare seguito alle proprie preferenze riguardo a dove
vogliono stabilirsi. In miseria e infelici, e senza essere coscienti delle
implicazioni delle proprie azioni, questi sventurati stanno effettivamente
votando coi propri piedi contro l’egemonia del capitale metropolitano, il quale
procede sempre sulla base del presupposto che le persone si sottometteranno
docilmente ai suoi diktat, anche riguardo a dove vivere.
L’idea secondo la quale il capitale metropolitano avrebbe
fino ad oggi determinato chi dovrebbe rimanere e dove nel mondo,
nonché in quali condizioni materiali, potrebbe apparire a prima vista
inverosimile. Ciò nondimeno è vera. Nei tempi moderni si possono distinguere
tre grandi ondate migratorie, ognuna delle quali dettata dalle necessità del
capitale. La prima è stata il trasporto di milioni di persone ridotte in
schiavitù dall’Africa alle Americhe, per lavorare nelle miniere e nelle
piantagioni al fine di produrre le materie prime da esportare così da far
fronte alle richieste del capitale metropolitano. Dal momento che le vicende
riguardanti la tratta degli schiavi sono presumibilmente ben note, non
discuterò ulteriormente questa particolare ondata migratoria.
Una volta terminato il periodo di fioritura del commercio
degli schiavi, ci fu un nuovo tipo di migrazione. Nel corso di tutto il XIX
secolo e dell’inizio del XX, il capitale metropolitano aveva imposto un processo
di “deindustrializzazione” al terzo mondo, non solo alle colonie tropicali come
l’India ma anche alle semi-colonie e dipendenze come la Cina. Allo stesso tempo
aveva “drenato” una parte del surplus economico di queste società attraverso
svariati mezzi, dalla pura e semplice appropriazione di merci senza
alcun quid pro quo, ricorrendo alle entrate fiscali delle colonie
amministrate direttamente, all’imposizione dello scambio ineguale nella
valutazione dei prodotti del terzo mondo, sino all’estrazione di profitti
monopolistici nel commercio. Le popolazioni delle economie del terzo mondo
impoverite tramite tali meccanismi erano state forzate, viceversa, a restare
dove si trovavano, intrappolate all’interno dei propri universi.
Lavoratori vincolati indiani al loro arrivo a
Trinidad
mercoledì 26 ottobre 2016
Studio su Hegel: Estetica - Stefano Garroni
Quarta parte: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/10/studio-su-hegel-filosofia-storia-etica_13.html
Ultima: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/10/studio-su-hegel-estetica-stefano-garroni.html
Ultima: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/10/studio-su-hegel-estetica-stefano-garroni.html

Interessante Cassirer, 6508: 156-8 - «In seguito i
filosofi hanno cercato di evitare questa conclusione [la condanna platonica dell’ arte]
assegnando all’ arte una meta più elevata. Ci hanno spiegato che l’
arte riproduce non già il mondo fenomenico, ma il mondo sovrasensibile. Questa
idea prevale in tutti i sistemi dell’ estetica idealistica: da Plotino giù giù
fino a Schelling e Hegel. La bellezza, si afferma, non è una mera qualità
empirica o fisica delle cose; è un predicato intelligibile, sovrasensibile.
Nella letteratura inglese troviamo questa concezione, per es., nelle opere di
Coleridge e di Carlyle. In ogni opera d’ arte, afferma Carlyle, noi discerniamo
l’ etermità che traspare nel tempo, il divino reso visibile» (Cassirer, 6508:
158).
«... Baumgarten, sappiamo, propose con notevole successo postumo il nome
intenzionalmente filosofico di “estetica”, per molti decenni accettato però
solo in area tedesca. Kant non lo adoperò mai come nome disciplinare, non
sentendo affatto il bisogno di dare un nome quale che sia a una riflessione che
non era un sapere. Schelling tenne poi lezioni non di “estetica”, ma di
“filosofia dell’ arte”, e anche Hegel avrebbe preferito questo nome a quello,
impostosi in sostanza per ragioni di routine
accademica.» (Garroni, 6631: 37). Platonismo estico di Hegel versus Kant.
(AAVV, 7376: 203).
martedì 25 ottobre 2016
Brzezinski e la futurologia. (America in the Technetronic Age)* - Alessandra Ciattini
*Da: https://www.lacittafutura.it/
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/10/usamerica-nellepoca-tecnetronica.html
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/10/usamerica-nellepoca-tecnetronica.html

Come è noto, Brzezinski si è sempre dilettato di analisi
politiche volte a delineare gli scenari internazionali futuri. In questo breve
intervento, mi limiterò ad analizzare brevemente un articolo
dell’ex-consigliere, pubblicato nel 1968, dal significativo titolo America
in the Technetronic Age(leggi), nel
quale egli indica i caratteri della società cosiddetta postindustriale o, se
volete, postmoderna. E ciò perché in effetti egli coglie nel segno,
anche perché descrive le linee politiche adottate dalla classe dirigente
mondiale, a cui era ed è strettamente vincolato.
Questo aspetto è ben colto da un autore sovietico, Edward
Arab-Ogly, il cui libro intitolato Nel labirinto dei vaticini è
stato pubblicato in italiano dalle Edizioni Progress (Mosca) nel 1977 e che ho
avuto già modo di menzionare in un precedente articolo per La Città futura. Egli sottolinea,
in questo d’accordo con Brzezinski [1], che la rivoluzione tecnico-scientifica
del Novecento ha determinato “mutamenti profondi e irreversibili con una
conseguente accelerazione dell’evoluzione sociale”. A suo parere “tali
trasformazioni sociali, politiche, economiche che in passato si sarebbero
dipanate per decenni e forse per secoli”, si stanno realizzando vorticosamente
nello spazio di una generazione. Egli aggiunge che nell’epoca contemporanea il
potere che l’uomo ha sulla natura e sul proprio destino è straordinario e che
noi e i nostri posteri potremo godere i frutti di questo avanzamento, ma ci
troveremo anche a “pagare il fio delle nostre attività” (op. cit. 1977: 3).
lunedì 24 ottobre 2016
Il lavoro tra operai digitali e cottimisti del voucher*- Bruno Casati
Solo negli ultimi 5 anni l’Italia ha perso un milione di
occupati, di cui 300mila nel settore metalmeccanico. La piccola risalita fatta
registrare l’anno scorso, pur così enfatizzata (l’Italia della retorica
Renziana che riparte), è stata del tutto assorbita in quanto drogata dagli
sgravi che il Governo regalava agli imprenditori che assumevano. Finita la
droga si è tornati a licenziare in scioltezza e si sono gettati al vento chi
dice 10 chi dice 20 miliardi di Euro. Va così in tutta Europa? Solo in Spagna
si sono verificate perdite di occupati pari a quelle intervenute in Italia. In
Germania invece si è tornati al livello degli anni precedenti la crisi e,
quindi, mentre l’Italia ha perso, come si è detto, 1 milione di occupati, la
Germania ha aumentato i suoi di 1 milione e mezzo.
Pare proprio si sia
configurata un’Europa del Lavoro e dell’Economia a due velocità. Ed allora la
Gran Bretagna ha pensato bene di salutare questa Europa con il referendum di
giugno. E la Gran Bretagna non è la Grecia, che è stata calpestata un anno fa, e
va ascoltata. Perché la Brexit ci costringe per davvero a ragionare
sull’esistenza o meno di un’alternativa “allo stato di cose presenti” che
l’assetto economico assunto dall’UE ci impone, a partire dal lontano trattato
di Maastrich. E quel trattato, impedendo la compressione della disoccupazione,
da allora considerata “elemento funzionale al mantenimento degli equilibri
interni al sistema economico capitalistico”, negava anche l’intervento pubblico
in Economia (bloccati gli aiuti di Stato, eccezion fatta per le Banche ben
s’intende) e imponeva le privatizzazioni. E un furia privatizzatrice spazzò
l’Italia che, con Bersani in testa, enfatizzava privatizzazioni a “lenzuolate”.
Se oggi noi ci apprestiamo a dire no nel referendum costituzionale, è bene
rammentare che fu proprio la UE, imponendo la “coesistenza pacifica” con la
disoccupazione e la cancellazione della mano pubblica in Economia, ad assestare
il primo doloroso colpo di piccone alla nostra Carta Costituzionale che
sostiene esattamente l’opposto. Il secondo, mortale, fu l’imposizione più
recente del vincolo di Bilancio (il pareggio dell’art.81). Da tutto ciò ne
discende che il concetto di “piena occupazione” in Italia è stato riposto nello
scantinato del Novecento, a fianco della Programmazione Economica, l’IRI e le
Partecipazioni Statali. In quello scantinato sono quindi finite le lezioni di
John Keynes che, all’interno dell’Economia di Mercato, sollecitava interventi
di Stato, attraverso i quali il sistema capitalistico avrebbe retto alla sfida,
si era nel trentennio 1945-1975, portata dall’economia di piano dell’Unione
Sovietica. Oggi, che non esiste più l’Unione Sovietica e la sfida se si vuole è
con il “Socialismo di Mercato” della Cina, quelle antiche lezioni tornerebbero
comunque utili perché la crisi economica mondiale, iniziata negli USA nel 2007,
ha, tra le sue cause, lo ricorda l’economista Thomas Piketty, proprio il
fallimento delle politiche neoliberiste spinte dell’ultimo quarto di secolo, da
quando ossia l’Unione Sovietica è uscita di scena e il capitale non aveva più
il nemico.
domenica 23 ottobre 2016
La questione curda, ieri ed oggi*- Samir Amin**
Una grande confusione domina il dibattito su questo tema. La ragione è, a mio avviso, l'allineamento della maggior parte degli attori e degli osservatori dietro ad una visione non storica di questa questione, così come di altre. Il diritto dei popoli all'autodeterminazione è stato innalzato a diritto assoluto, che vorremmo fosse mantenuto valido per tutti e in tutti i tempi (presenti e futuri), così come per il passato. Questo diritto è considerato come uno dei diritti collettivi tra i più fondamentali, al quale si dà di solito più importanza che agli altri diritti collettivi di portata sociale (diritto al lavoro, all'educazione, alla sanità, alla partecipazione politica ecc..).
D'altra parte i soggetti di questo diritto assoluto non sono
definiti in maniera precisa; il soggetto di questo diritto può essere “una
comunità” qualunque, maggioritaria o minoritaria all'interno delle frontiere di
uno stato o di una delle sue province; questa comunità che si definisce essa
stessa come “particolare” per lingua o religione per esempio; e si proclama, a
torto o a ragione, vittima di una discriminazione, se non di un'oppressione. Le
mie analisi e le mie prese di posizione si iscrivono all'opposto di questa
visione transtorica dei problemi della società e dei “diritti” attraverso i
quali si esprimono le rivendicazioni dei movimenti sociali del passato e del
presente. In particolare attribuisco un'importanza capitale alla frattura che
separa lo sviluppo del moderno mondo capitalista dai mondi precedenti.
sabato 22 ottobre 2016
CONTROSTORIA DEL SECOLO BREVE, dalla Rivoluzione di ottobre alla seconda guerra mondiale - Renato Caputo
2 LEZIONE. LA PRIMA GUERRA MONDIALE -
interventismo e neutralismo in Italia; cenni sui
fronti di guerra; la conclusione della prima guerra mondiale; i trattati di
pace e il nuovo assetto mondiale:
1 LEZIONE. LE CAUSE E LA PRIMA FASE DELLA GRANDE GUERRA - Le cause della prima guerra mondiale; gli schieramenti
contrapposti; le fasi iniziali della guerra; dalla guerra di movimento alla
guerra di trincea: https://www.youtube.com/watch?v=29nEf34Fc5M
venerdì 21 ottobre 2016
Le pipeline in Siria e Iraq: il vero motivo strategico della guerra* - Alberto Negri
*(Sintesi di una relazione per il convegno "Cooperazione Regionale e Sviluppo delle
Risorse Energetiche nel Mediterraneo") https://www.facebook.com/alberto.negri.9469?fref=nf
Vedi anche: https://www.youtube.com/watch?v=k7LPILjBAmo
https://www.youtube.com/watch?v=plmoK22uMn4
Gas e petrolio sono da sempre al cuore della questione mediorientale: nelle vene di questa regione strategica per gli equilibri mondiali scorrono tutte le peggiori ragioni per fare una guerra e anche le migliori per fare la pace. Si tratta, in fondo, soltanto di scegliere e di conoscere la storia.
Vedi anche: https://www.youtube.com/watch?v=k7LPILjBAmo
https://www.youtube.com/watch?v=plmoK22uMn4
Gas e petrolio sono da sempre al cuore della questione mediorientale: nelle vene di questa regione strategica per gli equilibri mondiali scorrono tutte le peggiori ragioni per fare una guerra e anche le migliori per fare la pace. Si tratta, in fondo, soltanto di scegliere e di conoscere la storia.
Nel 1947 l’americana Bechtel e la Saudi Aramco decisero di
realizzare un pipeline dai pozzi sauditi alle sponde del Mediterraneo. Si
trattava della famosa Tapline: nel primo progetto doveva arrivare ad Haifa in
Israele ma il piano fu accantonato dopo la dichiarazione di indipendenza dello
stato ebraico. Si scelse così un percorso alternativo che passava dalle colline
siriane del Golan e dal Libano, fino a Sidone. Il Parlamento siriano però
chiese più tempo per esaminare la questione e la risposta fu un colpo di stato
condotto dal colonnello Zaim con l’aiuto dell’agente della Cia Stephen Meade
che rovesciò un governo democraticamente eletto.
Soltanto quattro anni dopo, nel 1953, un altro colpo di
stato anglo-americano detronizzava in Iran il leader Mossadeq che aveva
nazionalizzato il petrolio. Il vero autore del golpe in Iran fu Kermit
Roosevelt jr, nipote del presidente Theodore Roosevelt. La sua foto negli anni
’50 mostra un quarantenne sorridente, con occhiali dalla montatura nera pesante
e l’aria mite di un professore: è il capo del della Cia in Medio Oriente, un
insospettabile uomo d’azione, coraggioso, capace come pochi di volgere gli
eventi a suo favore, anche nelle peggiori condizioni. Fu lui a dirigere sul
campo il colpo di stato contro Mossadeq.
I golpe americani a sfondo energetico e i loro segreti sono
una questione di famiglia: i Roosevelt, i Kennedy e ora i Clinton. C’è qualche
dubbio che coloro che oggi si proclamano “amici della Siria” come Stati Uniti,
Francia e Gran Bretagna lo siano veramente: gli ultimi due sono stati quelli
che si sono spartiti il Medio Oriente un secolo fa con gli accordi di
Sykes-Picot del 1916.
Gli accordi tracciavano i confini del futuro Medio Oriente
dopo la dissoluzione dell’impero ottomano. Ma Georges Clémenceau accettò di
“offrire” Mosul agli inglesi in cambio del controllo francese sulla Siria e sul
Libano.
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