Da: la
Contraddizione, 141,
Roma 2012 - gianfrancopala è un economista italiano. - https://rivistacontraddizione.wordpress.com/
limiti, risorse, sostenibilità ... felicemente “decrescendo”
Sono
molti, troppi, anni
che gli imbonitori vanno cianciando di limiti delle risorse, di
sostenibilità dello sviluppo, di altro-mondo-possibile (l’“altro
mondo” forse?), ...
“felicemente” affidandosi all’assenza di qualunque fondamento
nella realtà mondiale, magari alla ricerca della pietra filosofale
di una felicità
interna lorda [dicono un fil
che deve sostituire il pil, prodotto
interno lordo]. Ma guai a toccare il modo
di produrre, da cui dipende quel pil che teoreticamente deve misurare
solo la scambiabilità
della merce
prodotta come valore,
e non invece stimare l’auspicabile raggiungimento di una felicità
attraverso la ricchezza,
non solo quella materiale ma anche quella spirituale, prodotta e
utilizzabile in quanto tale dall’intera comunità. Già è stato
discusso, nelle linee generali, nel numero scorso il tema complesso
della “felicità dei cittadini”, come fine formale dello stato,
secondo Hegel. E prima ancora di lui, nel settecento, addirittura si
ponevano le basi di tale obiettivo nei principii dello stato, in
quanto all’epoca la felicità era intesa come “idea nuova”,
“mutata ai nostri giorni nell’idea di "benessere" cui
aggiungere, oltre al consumo di beni materiali, la conquista di "beni
relazionali"” [cfr. no.140]. Non si ripete perciò qui che
pure fin dalla remota antichità si è discusso di felicità entro le
forme della vita
associata e del
reciproco controllo dei poteri. Ma lo stato borghese, non assolutista
e tuttavia sempre più corrotto, dura soltanto dunque “finché le
circostanze particolari impongono ai cittadini di sopportarlo, alla
ricerca di risposte sociali alla "felicità" mancata”.
Codesto fondamento attiene alla non permanenza del modo di produzione
capitalistico, il cui rovesciamento
diviene pertanto esiziale.
Dunque
“la felicità è altra cosa; spesso è compagna della malinconia e
perfino della tristezza e del dolore per la perdita e lo scempio” –
ha scritto recentemente un compagno, Sergio Arioli – criticando
contingentemente il turismo in montagna; ma l’osservazione si può
riferire a tutta la natura
originaria, la terra in senso lato, il mare e le acque. In una
razionalità compiuta – secondo quello che Marx aveva chiamato
“ricambio organico”
con la natura, in cui
la portata del pianeta
si stabilisce in un rapporto dialettico con la crescita limitata
della popolazione,
di ogni popolazione, a finire quindi con quella umana che invece si è
sottratta alle leggi della natura – ciò vuol dire che ci devono
essere delle condizioni oggettive comuni,
in maniera che si possano condividere tutte
le situazioni non solo i momenti migliori ma anche le sofferenze. In
simili circostanze sociali, qualora si riesca a determinarle, è
altresì ovvio che miseria e dolori anche personali siano
ineliminabili; molto spesso la consapevolezza fa sì che si abbia
pure cognizione che “malinconia e tristezza, perdita e scempio”
sono ineliminabili per la forza e l’arroganza del nemico
– di classe.