Nonostante l’impennata della mortalità registrata dall’ISTAT nel primo trimestre del 2017 andremo tutti in pensione cinque mesi più tardi, persino a 71 anni per chi ha iniziato a lavorare dal 1996, senza che il governo si curi se le aziende manterranno il posto di lavoro ai sessantenni e settantenni o se ne libereranno prima.
Tale assurdità e malvagità svela la realtà del rapporto cittadini-governanti in un paese capitalista definito democratico.
Con il meccanismo attuale l'età della pensione può solo aumentare all'infinito.
Nel triennio 2014–2016 l’ISTAT ha certificato, con un complesso calcolo statistico peraltro contestato da alcune sigle sindacali, un aumento di cinque mesi dell’aspettativa di vita a 65 anni. Detto triennio costituisce il periodo di riferimento per l'adeguamento automatico dell'età della pensione (e dei coefficienti di trasformazione che ne stabiliscono l’importo) da applicarsi da gennaio 2019. Dal 1 gennaio 2019 pertanto l’età pensionabile sarà aumentata di cinque mesi e saranno applicati i nuovi coefficienti che ne riducono l’importo.
Sull’argomento, nel mio precedente articolo del 30/09/2017 pubblicato su La città futura (https://www.lacittafutura.it/interni/la-truffa-si-vive-meno-ma-aumenta-l-eta-per-andare-in-pensione.html) riportavo -riprendendo il giornale cattolico l’Avvenire (https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/il-vero-deficit-italiano)- l’impennata del tasso di mortalità generale del + 15% registrata dall’ISTAT nel primo trimestre del 2017, quindi nel periodo immediatamente successivo al triennio del calcolo suddetto. Circa l’andamento nei mesi successivi dell’anno in corso non sono ancora disponibili dati, ma non si può escludere che il gran caldo estivo ne possa aver determinato un ulteriore incremento.