La teoria Marxista poggia la sua forza sulla scienza... che ne valida la verità, e la rende disponibile al confronto con qualunque altra teoria che ponga se stessa alla prova del rigoroso riscontro scientifico... il collettivo di formazione Marxista Stefano Garroni propone una serie di incontri teorici partendo da punti di vista alternativi e apparentemente lontani che mostrano, invece, punti fortissimi di convergenza...
martedì 25 luglio 2017
domenica 23 luglio 2017
L’ingannevole abbaglio della libertà sessuale*- Alessandra Ciattini**
*Da: https://www.lacittafutura.it **Sapienza Università di Roma
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2015/06/linferiorita-della-donna-tra-natura-e.html
La libertà sessuale non costituisce l’unico obiettivo degli esseri umani, anche se così ci vogliono far credere.
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2015/06/linferiorita-della-donna-tra-natura-e.html
La libertà sessuale non costituisce l’unico obiettivo degli esseri umani, anche se così ci vogliono far credere.
Sebbene
siamo ormai del tutto assuefatti ai contenuti surrettiziamente o
esplicitamente sessuali della pubblicità, degli spettacoli che i
mass media propongono a chi, estenuato dal lavoro, cerca
semplicemente qualcosa che lo distragga dai problemi angosciosi da
cui siamo circondati, non possiamo non distanziarci da questa
ubriacatura, cercando di elaborare una qualche riflessione critica.
Come
scrive Luciano Canfora la libertà
sessuale costituisce
“il
valore assoluto”
nella società contemporanea (La
schiavitù del capitale,
2017: 90) e sarebbe opportuno chiederci perché, dal momento che gli
esseri umani hanno tante altre potenzialità che li potrebbero
stimolare al raggiungimento di gratificazioni assai diverse tra loro.
Sono
ben consapevole che scrivendo queste righe andrò incontro a numerose
critiche e sarò etichettata come moralista (come se anche l’attuale
edonismo fondato sulla ricerca del piacere sessuale non fosse una
scelta morale). Ciò nonostante, seguo per la mia strada e «lascio
dir le genti», convinta che, per affrontare gli immani problemi del
mondo contemporaneo, ci vogliano uomini e donne di una tempra morale
ben diversa da quella di coloro che sono alla continua ricerca della
soddisfazione momentanea (non a caso un film di vari anni fa, di
notevole successo, che contrapponeva romanticamente la poesia al
mondo degli affari e della tecnica, era intitolato L’attimo
fuggente).
mercoledì 19 luglio 2017
INTRODUZIONE AL «CAPITALE»* - Karl Korsch
*Da: http://www.palermo-grad.com - Si tratta dell’Introduzione ad un’edizione del Capitale uscita nel 1932 a Berlino presso la Verlagsgesellschaft des Allgemeinen Deutschen Gewerkschaftsbundes. Porta la data del 28 aprile 1932. Nel testo qui tradotto abbiamo omesso buona parte del quinto paragrafo dedicato ai problemi e criteri specifici dell’edizione in questione.
Si ringraziano Gian Enrico Rusconi per aver concesso la riproduzione della sua traduzione, Valerio Valerio per averla trasferita in Word, Riccardo Bellofiore per alcune minime correzioni al testo e Matteo Di Figlia per la preparazione del pdf del testo.
I. Come l’opera di Platone sullo Stato, il libro di Machiavelli sul Principe, il Contratto sociale di Rousseau, anche l’opera di Marx, Il capitale deve la sua grande e duratura efficacia al fatto che ad una svolta storica ha colto ed espresso in tutta la sua pienezza e profondità il nuovo principio irrompente nell’antica configurazione del mondo. Tutti i problemi economici, politici e sociali, attorno ai quali si muove teoricamente l’analisi marxiana del Capitale, sono oggi problemi pratici che muovono il mondo e intorno ai quali viene condotta in tutti i paesi la lotta reale delle grandi potenze sociali, gli Stati e le classi. Per aver compreso a tempo che questi problemi costituivano la problematica determinante per la svolta mondiale allora imminente, Karl Marx si è rivelato ai posteri come il grande spirito preveggente del suo tempo. Ma neppure come massimo spirito del suo tempo egli avrebbe potuto cogliere teoricamente questi problemi e incorporarli nella sua opera, se essi non fossero già stati nello stesso tempo posti in qualche modo anche nella realtà di allora, come problemi reali. Il destino singolare di questo tedesco del Quarantotto fece sì che egli, scagliato fuori dalla sua sfera d’azione pratica dai governi assoluti e repubblicani d’Europa, grazie a questo tempestivo allontanamento dalla retriva e limitata situazione tedesca, venisse inserito proprio nel suo autentico peculiare spazio storico d’azione. Proprio in seguito a questi molteplici spostamenti violenti del suo campo d’attività, prima e dopo la fallita rivoluzione tedesca del 1848, l’allora appena trentenne pensatore e ricercatore Marx, che attraverso la discussione teorica della filosofia hegeliana aveva già elaborato un sapere vasto e profondo di respiro mondiale in forma filosofica prettamente tedesca, nei suoi due periodi successivi di emigrazione, prima in Francia e in Belgio, poi in Inghilterra, poté entrare nel rapporto più diretto, pratico e teorico, anche con le due nuove forme del mondo di allora più gravide di conseguenze per il futuro. Queste erano, da un lato, il socialismo e comunismo francese, che al di là delle conquiste della grande rivoluzione borghese giacobina spingevano verso nuove mete proletarie; dall’altro, la forma avanzata della moderna produzione capitalistica, e dei rapporti di produzione e di scambio corrispondenti, nata in Inghilterra dalla rivoluzione industriale degli anni 1770 - 1830.
sabato 15 luglio 2017
Capitalismo come forma di vita* - Paolo Vinci**
*Da: http://www.filosofiaroccella.it/
**Università “La Sapienza” di Roma.
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/07/la-via-hegeliana-alla-psicoanalisi.html
Il dibattito: https://www.youtube.com/watch?v=LVnK0BiI9FY
**Università “La Sapienza” di Roma.
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/07/la-via-hegeliana-alla-psicoanalisi.html
Il dibattito: https://www.youtube.com/watch?v=LVnK0BiI9FY
giovedì 13 luglio 2017
A PROPOSITO DI FANTOZZI E DI MR. SMITH - Paolo Massucci*
*(Collettivo di formazione marxista "Stefano Garroni")
Il
“grottesco” smaschera il fallimento dell’uomo contemporaneo
omologato ai valori della cultura borghese
Nei
messaggi e nelle scene dei popolari film di Fantozzi (regista Luciano
Salce), interpretati da Paolo Villaggio, attore da poco scomparso, la
parte migliore non è da rintracciarsi nell’aver saputo
rappresentare virtù e debolezze degli Italiani, come hanno affermato
le televisioni ed i giornali, né, tanto meno, nell’evidenziare la
stoltezza dell’attaccamento al posto fisso di lavoro, come asserito
da Il Corriere della
Sera. Queste sono
solo banali affermazioni ideologiche per nascondere una realtà
inammissibile della nostra società: il completo fallimento
dell’individuo moderno e contemporaneo e delle sue aspirazioni
borghesi a cui l’intera società (non solo quella italiana)
aderisce acriticamente.
L’amara
comicità dei film di Fantozzi infatti si basa sulla distanza,
ovviamente estremizzata, tra gli sforzi per ottenere quanto
desiderato (successo individuale, conquista di status sociale) e i
risultati effettivamente conseguiti. Ma c’è di più: in tutti i
personaggi traspare un’aperta scissione tra aspirazioni del
soggetto e auto narrazione, cioè tra come si è e come si vorrebbe
apparire. Si tratta di quella falsa coscienza che è il riflesso di
una società, appunto, scissa come quella nostra capitalistica. Essa
infatti necessita di una potente e pervasiva ideologia per poter
garantire l’adesione, o almeno la passiva accettazione, ad un modo
di produzione che, al di là delle apparenze, anziché benessere ed
autorealizzazione individuale per tutti, produce (e presuppone)
divisione della società in classi, miseria, guerre e devastazione
ecologica planetaria. Il comico-grottesco e la sensazione di disagio
che prova lo spettatore in questi film scaturiscono proprio dallo
smascheramento di questa falsa coscienza del soggetto omologato ai
valori della società borghese. Tutto ciò è oggi più attuale che
mai: è imbarazzante -e disarmante-, osservare, ad esempio, come mi è
capitato in questi giorni durante un viaggio, nella famosa ed
“elegante” via Montenapoleone a Milano (in realtà semplicemente
una via di shopping per ricchi portafogli), comuni passanti
fotografare con ammirazione e servile devozione Ferrari ed altre
lussuose auto posteggiate.
Il
concetto di inautenticità dei rapporti umani, anche se non
identificato in questi termini, viene da molto lontano -sin
dall’antichità- nella storia del pensiero e della letteratura.
Tuttavia è solo con la modernità, cioè con lo sviluppo del sistema
capitalistico tra la fine del settecento e l’ottocento, che il
problema della falsa coscienza dell’individuo e dell’inautenticità
delle relazioni diventa tanto rilevante. La ragione di ciò è da
rintracciarsi nella contraddizione tra i valori di Liberté,
Egalité
e Fraternité
della
rivoluzione francese assunti a fondamento della nascente ideologia
borghese e la realtà della condizione effettiva dell’individuo
all’interno della stessa società capitalistica. Si pensi a quanto
poco l’universalismo (fraternité)
possa essere compatibile con l’individualismo della privatizzazione
del profitto o a quanto la libertà possa esserlo con il lavoro
salariato del proletario, che per sopravvivere deve accettare quel
dato livello di sfruttamento stabilito e, giocoforza, limitare le
possibilità di scelta personale, come pure di partecipazione allo
sviluppo della vita collettiva e politica, mortificando pertanto
qualsiasi aspettativa di libera scelta ed autorealizzazione; per non
parlare dell’uguaglianza, allorché, come è drammaticamente
evidente in questo tempo, si accentuano sempre più le differenze di
reddito (è quanto ci si deve aspettare in un sistema, quello
capitalistico, il quale si basa, per poter funzionare, sulla
separazione tra individuo possessore di capitale ed individuo
possessore di sola forza lavoro). Poiché tuttavia i suddetti valori
post-rivoluzionati di libertà, uguaglianza e fraternità sono
essenziali per garantire il consenso al sistema capitalistico, essi,
pur privati di sostanza, rimangono ancora vivi all’interno
dell’ideologia della società capitalistica. Ma questa ideologia
allo stesso tempo “strizza l’occhio” anche all’individuo che
“meritocraticamente” compete sempre con gli altri per arricchirsi
ed accrescere il proprio status. Tale contraddizione è alla base
della crisi identitaria e morale dell’uomo moderno.
Nella
grande letteratura, e nell’arte in genere, del Novecento, il tema
della falsa coscienza e della crisi dell’uomo contemporaneo, nelle
sue diverse modalità espressive, è quindi uno dei motivi più
ricorrenti. In tale ambito si può certamente collocare il drammatico
ma brillante romanzo “Mr. Smith” di Luis Bromefield, scritto a
metà Novecento, forse non abbastanza conosciuto, il cui protagonista
racconta la propria storia personale e, alla ricerca di se stesso e
del senso della vita, riflette con lucida schiettezza
sull’inautenticità delle relazioni umane nella nostra società,
conformate alla cultura borghese. La società in cui vive Mr. Smith
non è semplicemente collocata sullo sfondo delle vicende narrate,
ma, nella sua pervasività ideologica, condiziona la maggior parte
dei rapporti umani, omologandoli, falsificandoli e in definitiva
disumanizzandoli. E’ interessante che lo svolgimento del romanzo,
pur partendo dal punto di vista di un uomo, Mr. Smith, appartenente
all’alta borghesia, mostri, nelle riflessioni dello stesso
protagonista, quanto il conformismo borghese eserciti una
irrecuperabile inibizione dello sviluppo della libera personalità ed
un inaridimento devastante di ogni relazione umana.
mercoledì 12 luglio 2017
Hegel e il mondo dell’astratto*- Carla Maria Fabiani**
*Da: http://www.dialetticaefilosofia.it
**Università del Salento
Leggi anche; https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/03/francesco-valentini-soluzioni-hegeliane.html
Note a margine ad alcuni saggi di Roberto Finelli 1
Nel lungo corso della storia del pensiero filosofico politico, Finelli attribuisce piena originalità alla distinzione hegeliana fra società civile e Stato politico. La societas civilis, prima di Hegel, era contrapposta sostanzialmente a societas naturalis. Hegel, nel 1821 e poi nel 1827, concettualizza la bürgerliche Gesellschaft, come parte autonoma del sistema, in cui il principio dell’individualità (particolarità) si trova essenzialmente coniugato a quello dell’universalità.
**Università del Salento
Leggi anche; https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/03/francesco-valentini-soluzioni-hegeliane.html
Note a margine ad alcuni saggi di Roberto Finelli 1
Nel lungo corso della storia del pensiero filosofico politico, Finelli attribuisce piena originalità alla distinzione hegeliana fra società civile e Stato politico. La societas civilis, prima di Hegel, era contrapposta sostanzialmente a societas naturalis. Hegel, nel 1821 e poi nel 1827, concettualizza la bürgerliche Gesellschaft, come parte autonoma del sistema, in cui il principio dell’individualità (particolarità) si trova essenzialmente coniugato a quello dell’universalità.
Anche a Jena Hegel aveva meditato a lungo sul mondo dell’economia e dell’economia politica, ma, a ben vedere, appare originale, nei Lineamenti, la teorizzazione della capacità, da parte della società civile, di autoriprodursi e di autoregolarsi (come un organismo) indipendentemente dall’intervento del mondo della politica. Ed è soprattutto in questo senso che la società civile hegeliana si presenta, nei riguardi dello spirito (del fare consapevole dell’uomo moderno o del suo agire etico-intenzionale), come seconda natura (automatismo naturalistico-inintenzionale), o come riproporsi di elementi e dinamiche naturali in ambito strettamente spirituale. Degno di nota perciò, in Hegel, nel quadro di un progredire apparentemente senza ostacoli dalla natura allo spirito, questa permanenza di natura o addirittura questo regresso alla natura in ambito etico. Ma, bisogna fare attenzione a cosa esattamente si intenda per natura in quest’ambito.
lunedì 10 luglio 2017
La crisi marxista del Novecento: un’ipotesi d’interpretazione*- Stefano Garroni**
*Da: http://www.marxismo-oggi.it **Stefano_Garroni è stato un filosofo italiano.
Quelle che qui seguono sono schematiche osservazioni, spero raccolte con una certa logica e sistematicità, il cui scopo è prospettare una possibilità di lettura d’un groviglio di eventi, quanto mai complicato e dalle molte sfaccettature, che – nonostante certa uggiosa retorica <novista> – costituiscono tuttora la nostra contemporaneità. Che si tratti di una possibilità di lettura significa non solo il limite della mia cultura (ad es., non sono un economista, né uno storico), ma anche che la cosa stessa si dispone secondo diverse prospettive e angolazioni (aspetto questo che certamente non meraviglia chi abbia qualche familiarità con la dialetticità della storia). Come che sia, non è dubbio che quanto andrò scrivendo non solo è unilaterale, ma anche passibile di revisioni (anche profonde) per me stesso – se lo studio ulteriore portasse a conclusioni non compatibili con l’ipotesi, che qui schematicamente espongo.
domenica 9 luglio 2017
"La Metafisica" di Aristotele - Francesco Fronterotta*
*francesco-fronterotta, titolare della cattedra di Storia della Filosofia antica presso l'Università "La Sapienza" di Roma
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/04/aristotele-etica-nicomachea-francesco.html
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/04/aristotele-etica-nicomachea-francesco.html
venerdì 7 luglio 2017
Il radicamento del pensiero antropologico post-moderno nella società contemporanea*- Alessandra Ciattini**
** Sapienza – Università di Roma - Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/10/usamerica-nellepoca-tecnetronica.html
Introduzione
Negli ultimi decenni numerose sono state le opere di più o meno grande diffusione, nelle quali si sono analizzate e sono state ampiamente confutate le tesi sostenute dai cosiddetti autori post-moderni, sia pure nella consapevolezza che tale corrente di pensiero non costituisce un filone omogeneo, giacché contiene in sé varianti, sfumature e tendenze non omologabili in uno stesso cliché. Sono convinta, tuttavia, che il noto pamphet di Terry Eagleton (Le illusioni del post-modernismo, 1998) colga nel segno quando individua le debolezze di questo pensiero, soprattutto quando denuncia con vigore la sua incapacità di dare una risposta seria ai drammatici problemi, con cui si confronta la società contemporanea.
D'altra parte, in opere di tutt'altro spessore (v. per es. Ideologia. Storia e critica di un'idea pericolosa, 2007), lo stesso Eagleton approfondisce tali tematiche, indicando il difficile percorso da intraprendere per rilanciare una visione complessiva e critica della società contemporanea, che sia però schierata dalla parte dei lavoratori, nel senso di tutti coloro che vendono la loro forza-lavoro in un processo, il cui fine ultimo è rappresentato dalla valorizzazione del capitale1.
Un filosofo italiano, Roberto Finelli, è ugualmente critico, sia pure in senso diverso, giacché a suo parere i temi centrali del pensiero postmoderno, dominanti da circa 40 anni, quali: “I miti della fine della storia e dei conflitti, del valore del frammento in opposizione alla totalità e al sistema, del primato del linguaggio e dell'interpretazione, della cancellazione della realtà ad opera del virtuale, sono crollati ad opera della realtà stessa e della sua lezione che ha intensificato la modernità del capitalismo nell'ipermodernità di un capitalismo globale che si propone come unica forma possibile di vita, pur nella dilatazione a <mondo> delle sue scissure, depredazioni e contraddizioni” (http://www.sinistrainrete.info/filosofia/2737-roberto-finelli-dal-postmoderno-allipermoderno.html, p. 2).
giovedì 6 luglio 2017
La Germania incantata*- Collettivo Clash City Workers**
*Da: http://www.rivistapaginauno.it https://sinistrainrete.info
** http://clashcityworkers.org/
Leggi anche: Vaterland http://gondrano.blogspot.it/
** http://clashcityworkers.org/
Leggi anche: Vaterland http://gondrano.blogspot.it/
Il ruolo svolto dalla Germania a livello politico ed economico all'intemo del contesto europeo - e, più in generale, di quello mondiale - è sotto gli occhi di tutti e nelle parole di molti di più.
Il
nesso che si è affermato tra le sue performance economiche e la sua
preminenza politica ha, inoltre, posto la Germania alternativamente
come nemico da combattere o come modello da imitare.
La
luce del 'miracolo' tedesco non dovrebbe però impedirci di
ricostruirne la genesi, considerarne i fondamenti e, così facendo,
cogliere la vasta zona d'ombra che, come vedremo, lo avvolge se si
guarda alla realtà sociale. Così facendo emergono delle linee di
frattura assai diverse: non tanto lungo i confini geografici bensì
interne alla società tedesca stessa, che la accomuna a una
situazione presente in tutta Europa.
Due
eventi possono essere considerati al contempo come spartiacque della
recente storia tedesca e come snodi nel processo di edificazione
della sua egemonia: da un lato, la riunificazione del Paese, avvenuta
nel 1990 e condotta come una vera e propria colonizzazione dell'Est
da parte dell'Ovest, e dall'altro l'operazione politica condotta
sotto il secondo governo del cancelliere socialdemocratico Schroder,
in carica dal 2002 al 2005, meglio nota come "Agenda 2010"
e concretizzatasi nel "Piano Hartz", il tutto nel quadro
della costruzione dell'eurozona. Libertà, democrazia, spirito
umanitario, lotta alla disoccupazione e alla povertà, queste sono le
parole chiave con cui sono stati caratterizzate queste fasi e
provvedimenti. Qualche dubbio sulla loro correttezza però può
sorgere e in questo testo proveremo a leggere nelle pieghe dei numeri
del mercato del lavoro tedesco e capire meglio come è fatto.
Il
Piano Hartz prende il nome da Peter Hartz (1), importante manager
della Volkswagen divenuto consigliere di Schroder proprio per la
riforma del mercato del lavoro con il fine di "risollevare
l'economia tedesca".
In
un discorso divenuto poi celebre (2), però, Schroder dichiarò
quello che forse era il vero obiettivo della legge: "Abbiamo
costruito il migliore Niedriglohnsektor che c'è in Europa". La
parola tedesca è traducibile come "settore a basso salario",
ovvero una porzione del mercato del lavoro strutturalmente
caratterizzata da salari più bassi, e deliberatamente creata per
giocare questo ruolo. Negli ultimi anni, dal 2010 in poi, in Germania
tale settore risulta stabilmente costituito da una porzione degli
occupati oscillante tra il 20 e il 25%. Poco oltre, Schroder,
rivendica come il programma dell'Agenda 2010, "imposto contro
una rilevante opposizione sociale", stia cominciando a
funzionare, producendo tra le altre cose una stagnazione del costo
unitario del lavoro, ovvero del rapporto tra costo di un'ora di
lavoro e sua produttività. In un contesto, come quello tedesco, dove
la produttività è aumentata dal 1995 lentamente ma costantemente,
ciò vuol dire che la retribuzione del lavoro ha subito un
abbassamento, si guadagna uguale producendo di più. Questi due
passaggi, in sostanza, ci restituiscono plasticamente il vero senso
delle riforme Hartz, e per giunta per bocca del loro massimo
sostenitore: abbattere il costo del lavoro.
mercoledì 5 luglio 2017
La via hegeliana alla psicoanalisi. L'antropologia come genealogia della coscienza - Paolo Vinci*
*Filosofo italiano, docente di Filosofia pratica (Filosofia morale) presso la Facoltà di Filosofia dell’Università “La Sapienza” di Roma.
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/08/la-logica-di-hegel-una-grottesca.html
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/06/al-di-la-del-terrore-per-una-nuova.html
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/08/la-logica-di-hegel-una-grottesca.html
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/06/al-di-la-del-terrore-per-una-nuova.html
domenica 2 luglio 2017
Scetticismo, volontarismo o dialettica? Con Gramsci, per orientarsi nel mondo*- Emiliano Alessandroni**
*Da: http://www.marxismo-oggi.it (Relazione al convegno “Antropologia applicata e approccio interdisciplinare”. Prato, 17-19 dicembre 2015). **Urbino
"Carlo Bo", Studi
Internazionali. Lingue, Storia, Culture
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/05/liberta-e-necessita-hegel-sartre.html
La produzione intellettuale gramsciana mantiene la coerenza di una critica, a volte implicita a volte esplicita, a due particolari modi di rapportarsi al mondo, che si ripresentano spesso nel corso dei processi storici e che ritroviamo anche nel nostro presente.
Il primo è quello dello scettico: di colui, vale a dire, che «tende a togliere ai fatti economici ogni valore di sviluppo e di progresso»[1]; di coloro che amano «parlare di fallimenti di ideali, di programmi definitivamente crollati e di altre simili piacevolezze» seguitando a vivere «nel loro scetticismo»[2] privo di responsabilità. Il secondo è quello del volontarista: atteggiamento, afferma Gramsci, «sguaiato e triviale»[3] che tende a rimuovere le condizioni, il quadro complessivo, l'equilibrio di forze oggettive entro cui l'azione si trova a operare, sicché «si immagina che il meccanismo della necessità sia stato capovolto»: ora «la propria iniziativa è divenuta libera. Tutto è facile» e «si può ciò che si vuole»[4].
A tale volontà astratta che conduce all'utopia e al velleitarismo, Gramsci contrappone la volontà razionale: questa sorge quando si comprende che «la libertà coincide con la necessità»[5], quando il volere è «coscienza operosa della necessità storica»[6].
La razionalità di cui sopra, tuttavia, è data soltanto dalla struttura dialettica del reale, dal fatto che questo non costituisce un manto piatto e uniforme, privo di fratture interne, bensì «un rapporto di forze in continuo mutamento di equilibrio»[7].
Il concetto di dialettica percorre e contraddistingue l'intero corpo dei Quaderni. La stessa categoria di egemonia risulta strettamente legata a questo concetto. Egemonia (culturale) significa invero che l'universo ideale e sentimentale di una delle forze che compongono la realtà, occupa la maggior parte dello spazio totale. Ma questo non equivale a dire che lo spazio totale venga occupato, da una di queste forze, nella sua completa estensione. Resta pur sempre, invero, una superficie residua, ancorché ridotta, ricoperta dalle antitesi.
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/05/liberta-e-necessita-hegel-sartre.html
La produzione intellettuale gramsciana mantiene la coerenza di una critica, a volte implicita a volte esplicita, a due particolari modi di rapportarsi al mondo, che si ripresentano spesso nel corso dei processi storici e che ritroviamo anche nel nostro presente.
Il primo è quello dello scettico: di colui, vale a dire, che «tende a togliere ai fatti economici ogni valore di sviluppo e di progresso»[1]; di coloro che amano «parlare di fallimenti di ideali, di programmi definitivamente crollati e di altre simili piacevolezze» seguitando a vivere «nel loro scetticismo»[2] privo di responsabilità. Il secondo è quello del volontarista: atteggiamento, afferma Gramsci, «sguaiato e triviale»[3] che tende a rimuovere le condizioni, il quadro complessivo, l'equilibrio di forze oggettive entro cui l'azione si trova a operare, sicché «si immagina che il meccanismo della necessità sia stato capovolto»: ora «la propria iniziativa è divenuta libera. Tutto è facile» e «si può ciò che si vuole»[4].
A tale volontà astratta che conduce all'utopia e al velleitarismo, Gramsci contrappone la volontà razionale: questa sorge quando si comprende che «la libertà coincide con la necessità»[5], quando il volere è «coscienza operosa della necessità storica»[6].
La razionalità di cui sopra, tuttavia, è data soltanto dalla struttura dialettica del reale, dal fatto che questo non costituisce un manto piatto e uniforme, privo di fratture interne, bensì «un rapporto di forze in continuo mutamento di equilibrio»[7].
Il concetto di dialettica percorre e contraddistingue l'intero corpo dei Quaderni. La stessa categoria di egemonia risulta strettamente legata a questo concetto. Egemonia (culturale) significa invero che l'universo ideale e sentimentale di una delle forze che compongono la realtà, occupa la maggior parte dello spazio totale. Ma questo non equivale a dire che lo spazio totale venga occupato, da una di queste forze, nella sua completa estensione. Resta pur sempre, invero, una superficie residua, ancorché ridotta, ricoperta dalle antitesi.
sabato 1 luglio 2017
CAPIRE L'ECONOMIA CONTEMPORANEA. NODI FONDAMENTALI*- Riccardo Bellofiore**
Il conflitto delle idee nella teoria economica - parte1:
Il conflitto delle idee nella teoria economica - parte 2: https://www.youtube.com/watch?v=g5GYUi0BnUw#t=10.686104
venerdì 30 giugno 2017
mercoledì 28 giugno 2017
Un “ponte sull’abisso”. Lenin dopo l’Ottobre*- Alexander Höbel**
*Da: https://www.lacittafutura.it
**Università di Napoli "Federico II"
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/01/edward-hallett-carr-storia-e.html
**Università di Napoli "Federico II"
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/01/edward-hallett-carr-storia-e.html
In
occasione del Centenario
della Rivoluzione d’Ottobre,
si sta opportunamente riaprendo la discussione sul significato e il
valore storico di quella straordinaria svolta che ha segnato di sé
l’intero XX secolo e che si riflette, per alcuni aspetti, a partire
dal mutamento dei rapporti di forza tra aree del mondo, sulla nostra
stessa contemporaneità. In questo quadro è essenziale approfondire
il significato ma anche i problemi di quella esperienza.
Se l’obiettivo della Rivoluzione socialista era quello
di sottomettere
i meccanismi dell’economia alla volontà cosciente e organizzata
delle masse,
in vista del benessere collettivo, Lenin fu sempre consapevole della
difficoltà di tale sfida, in particolare in un paese arretrato come
la Russia del 1917. La consapevolezza di tale difficoltà andò
crescendo nei mesi e negli anni successivi alla presa del potere,
senza però trasformarsi mai in una diversa valutazione sulla svolta
dell’Ottobre, anzi sempre ribadendo la giustezza della scelta
fatta, l’opportunità di aver colto il momento, di aver sfruttato
al meglio le possibilità offerte da una eccezionale contingenza
storica.
All’indomani
dell’Ottobre,
Lenin individua come “uno dei compiti più importanti” quello di
“sviluppare il più largamente possibile questa libera iniziativa
degli operai [...] e di tutti gli sfruttati [...] nel
campo dell’organizzazione.
Bisogna distruggere ad ogni costo – dice – il
pregiudizio assurdo [...]
secondo il quale soltanto le cosiddette ‘classi superiori’ [...]
possono dirigere lo Stato [...]. No, gli
operai non
dimenticheranno nemmeno per un istante di aver bisogno della forza
del sapere. [...] Ma il lavoro di organizzazione è
anche alla portata di un comune operaio
o contadino che sa leggere e scrivere, conosce gli uomini ed è
provvisto di un’esperienza pratica”. E “ciò che precisamente
fa la forza [...] della rivoluzione d’Ottobre [...] è che
essa suscita queste
qualità, abbatte tutte le vecchie barriere [...] fa
entrare i lavoratori nella via dove creano essi stessi la
nuova vita”,
in modo diversificato e vario. “Dopo secoli di lavoro per altri
[...] per la prima volta appare la possibilità di lavorare
per sé [...]
approfittando di tutte le conquiste della tecnica e della cultura
moderne”[1].
lunedì 26 giugno 2017
Discorso sul colonialismo*- Aimé Césaire**
** Aimé
Césaire è stato un poeta, scrittore e politico francese, originario
della Martinica. wikipedia
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/06/storia-religiosa-dellamerica-latina-
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/06/storia-religiosa-dellamerica-latina-
Una
civiltà che sceglie di chiudere gli occhi di fronte ai suoi problemi
più impellenti è una civiltà ferita.
Una
civiltà che gioca con i propri principi è una civiltà moribonda.
Fatto
sta che la civiltà così detta «europea», la civiltà occidentale,
così come si è costituita in due secoli di regime borghese è
incapace di risolvere i due maggiori problemi generati dalla sua
stessa esistenza: il problema del proletariato e il problema
coloniale; che deferita alla sbarra della «ragione» come a quella
della «coscienza», quella stessa Europa è incapace di
giustificarsi; che, quanto più, si rifugia in una ipocrisia sempre
più odiosa, tanto più diminuiscono le sue possibilità di
ingannare.
L'Europa
è indifendibile.
Questa
sembra essere la constatazione che scambiano a bassa voce gli
strateghi americani.
La
cosa in sé non sarebbe grave.
Grave
è il fatto che «l'Europa» è moralmente e spiritualmente
indifendibile.
domenica 25 giugno 2017
Storia religiosa dell'America Latina e del Caribe (III° Lezione)* - Alessandra Ciattini
*Da: https://www.unigramsci.it/
Nella terza lezione si cercheranno di ricostruire i diversi processi culturali attraverso i quali gli amerindiani interpretano il cattolicesimo e i suoi simboli introdotti in America dagli spagnoli; al contempo, si analizzerà anche l'altra prospettiva, ossia il modo in cui questi ultimi decifrano la religiosità indigena, mostrando di fatto una totale incapacità di comprensione. Tali modalità interpretative sono oggetto ancora oggi di un intenso dibattito e sono ancora operanti nei contesti rituali, che costituiscono i momenti più intesi di espressione della religiosità popolare.
Dall'analisi di tali processi storici scaturisce l'ipotesi che essi siano all'origine del cosiddetto sincretismo religioso; fenomeno che si esprime in vari gradi e che riguarda sia le religioni autoctone che quelle di origine africana, importate con gli schiavi, e che nel corso del tempo ha visto l'incorporarsi di altre tendenze religiose, come lo spiritismo. Il sincretismo non è un fenomeno appartenente al passato; esso è vivo e vegeto, e caratterizzato da uno straordinario dinamismo che gli permette di arricchirsi anche grazie all'incremento degli scambi sociali e culturali. In tale contesto saranno analizzati nel dettaglio due processi di triplice sincretizzazione di due madonne cubane.
Prima lezione: https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/06/storia-religiosa-dellamerica-latina
Seconda lezione: https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/06/storia-religiosa-dellamerica-latina
Nella terza lezione si cercheranno di ricostruire i diversi processi culturali attraverso i quali gli amerindiani interpretano il cattolicesimo e i suoi simboli introdotti in America dagli spagnoli; al contempo, si analizzerà anche l'altra prospettiva, ossia il modo in cui questi ultimi decifrano la religiosità indigena, mostrando di fatto una totale incapacità di comprensione. Tali modalità interpretative sono oggetto ancora oggi di un intenso dibattito e sono ancora operanti nei contesti rituali, che costituiscono i momenti più intesi di espressione della religiosità popolare.
Dall'analisi di tali processi storici scaturisce l'ipotesi che essi siano all'origine del cosiddetto sincretismo religioso; fenomeno che si esprime in vari gradi e che riguarda sia le religioni autoctone che quelle di origine africana, importate con gli schiavi, e che nel corso del tempo ha visto l'incorporarsi di altre tendenze religiose, come lo spiritismo. Il sincretismo non è un fenomeno appartenente al passato; esso è vivo e vegeto, e caratterizzato da uno straordinario dinamismo che gli permette di arricchirsi anche grazie all'incremento degli scambi sociali e culturali. In tale contesto saranno analizzati nel dettaglio due processi di triplice sincretizzazione di due madonne cubane.
Prima lezione: https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/06/storia-religiosa-dellamerica-latina
Seconda lezione: https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/06/storia-religiosa-dellamerica-latina
sabato 24 giugno 2017
PENSARE LA RIVOLUZIONE RUSSA* - Luciano Canfora**
*Da: Passepartout
Asti
**Luciano_Canfora è un filologo classico, storico e saggista italiano.
Leggi anche: https://www.marxists.org/italiano/lenin/1923/3/megliomenomameglio.htm
**Luciano_Canfora è un filologo classico, storico e saggista italiano.
Leggi anche: https://www.marxists.org/italiano/lenin/1923/3/megliomenomameglio.htm
venerdì 23 giugno 2017
LENIN: L'ESTREMISMO - Stefano Garroni
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/12/lenin-opere-complete.html
Stefano Garroni: A me pare che, escluse tre o quattro opere di Lenin, la grandissima maggioranza di quello che lui ha scritto, riproduce lo schema compositivo di quest’opera qua. Voglio dire: l’opera del dirigente politico, che parla di questioni politiche, a militanti politici. Quindi una scrittura molto compatta, che può essere compresa da un qualunque militante che abbia curiosità e che abbia un’esperienza politica. In questo senso la grande maggioranza delle opere di Lenin, non fanno nascere nel lettore la richiesta di un intervento della teoria per risolvere punti, per chiarire aspetti. Il lettore ha sicuramente la possibilità di capire il discorso a prescindere dall’intervento del teorico.
Siccome son passati diversi anni da quando lui ha scritto, quello che può essere utile è l’intervento di uno storico, che ricostruisca nei dettagli le situazioni, che ci consenta di metter carne a certe formule linguistiche che corrisponda un nome: Bordiga chi è? C’è lo storico che ce lo spiega ecc. Ma alla lettura del testo, nella grande maggioranza delle opere di Lenin, non segue il bisogno di un intervento del teorico che chiarisca, che aggiunga informazioni, riflessioni, per risolvere dei punti dubbi del testo di Lenin. Questo con l’eccezione di alcuni scritti come Materialismo ed empiriocriticismo, il Che fare?, la Critica agli amici del popolo, i Quaderni filosofici ecc.
Stefano Garroni: A me pare che, escluse tre o quattro opere di Lenin, la grandissima maggioranza di quello che lui ha scritto, riproduce lo schema compositivo di quest’opera qua. Voglio dire: l’opera del dirigente politico, che parla di questioni politiche, a militanti politici. Quindi una scrittura molto compatta, che può essere compresa da un qualunque militante che abbia curiosità e che abbia un’esperienza politica. In questo senso la grande maggioranza delle opere di Lenin, non fanno nascere nel lettore la richiesta di un intervento della teoria per risolvere punti, per chiarire aspetti. Il lettore ha sicuramente la possibilità di capire il discorso a prescindere dall’intervento del teorico.
Siccome son passati diversi anni da quando lui ha scritto, quello che può essere utile è l’intervento di uno storico, che ricostruisca nei dettagli le situazioni, che ci consenta di metter carne a certe formule linguistiche che corrisponda un nome: Bordiga chi è? C’è lo storico che ce lo spiega ecc. Ma alla lettura del testo, nella grande maggioranza delle opere di Lenin, non segue il bisogno di un intervento del teorico che chiarisca, che aggiunga informazioni, riflessioni, per risolvere dei punti dubbi del testo di Lenin. Questo con l’eccezione di alcuni scritti come Materialismo ed empiriocriticismo, il Che fare?, la Critica agli amici del popolo, i Quaderni filosofici ecc.
Ora, questa descrizione della pagina di Lenin, in realtà è abbastanza equivoca, nel senso che un’opera così compatta, scritta da un politico, su temi politici, che il militante politico comprende, sembra delineare una struttura chiusa. Quasi che nasca e muoia dentro l’orizzonte politico.
In realtà è vero questo: se noi superiamo il punto di vista di chi, fate conto, si chiede: “Cosa pensava Lenin dei sindacati?”, e allora, ecco, questa opera ti dice che cosa Lenin pensava. “Cosa pensava dello Stato?”, quest’altra ti dice cosa pensava dello Stato ecc. Quindi, se evitiamo la mentalità evidentemente dogmatica delle opere scelte in due volumi – ovviamente non abbiamo bisogno di leggere tutti e 40 e rotti volumi dell’opera di Lenin -, però abbiamo bisogno senza meno di leggere varie opere, di vari periodi, in cui Lenin si confronta con vari problemi (ognuna di queste opere potremo capirla perfettamente, discuterla, farla operare dentro di noi), però se le leggiamo in una rappresentanza ampia, a quel punto viene fuori la necessità della chiarificazione teorica. Perché?
giovedì 22 giugno 2017
Prima di andare oltre, leggiamolo*- Marco Palazzotto
È
una “grande costruzione letteraria”, piena di citazioni e battute
di spirito? È “sociologia dell’Ottocento”? È teoria astratta?
È un libro di storia? Il
Capitale di
Carlo Marx è un po’ tutte queste cose insieme e, soprattutto, 150
anni dopo la pubblicazione del Primo Libro, rimane il testo
da cui partire per comprendere il presente e immaginare il futuro del
capitalismo. Un contributo di Marco Palazzotto.
Quest’anno
ricorrono i 150 anni della pubblicazione (1867) del Primo Libro del
testo che avrebbe poi cambiato la storia del Novecento, ovvero la
principale opera di Karl Marx: Das
Kapital.
Dopo
un secolo e mezzo dalla prima edizione tedesca, ci si chiede se
un’opera che ha influenzato la politica mondiale del secolo scorso
sia oggi ancora utile ad offrire strumenti di analisi a chi si pone
come obiettivo la trasformazione della società in senso più
egualitario.
Il
Capitale,
per il livello di astrazione utilizzato da Marx, non poteva fornire
dei consigli politici pratici, mentre è parere consolidato che la
teoria del testo più importante del filosofo di Treviri non abbia
eguali, ancora oggi, quanto a capacità di comprensione e analisi del
modo di produzione capitalistico. Molte delle teorie allora
presentate possono essere ancora applicate all’interpretazione di
svariati fenomeni sociali.
Parlo
ad esempio della crisi quale
elemento strutturale del capitalismo, o della scienza
e l’automazione come
cause di diminuzione del lavoro necessario, tendenza che crea una
disoccupazione endemica, ma che allo stesso tempo deve creare le
condizioni per l’accumulazione.
Questa
tendenza del lavoro necessario (attività utile al lavoratore per
riprodurre i suoi mezzi di sussistenza) verso l’azzeramento deve
essere contrastata da controtendenze, per evitare il calo dei consumi
legati al calo dei salari reali. Pertanto, si verificheranno delle
crisi cicliche dovute alla presenza di queste tendenze opposte. E
tutt’oggi le teorizzazioni marxiane della crisi dimostrano grande
validità.
Anche
la teoria
del valore affrontata
nei primi capitoli del Capitale è fondamentale per capire la teoria
della merce, ovvero la teoria dello sfruttamento e delle relazioni
delle classi antagoniste nella produzione moderna. Teoria ancora più
pregnante se consideriamo quanto il marginalismo – e le sue
formulazioni aggiornate – sia incapace a spiegare i comportamenti
degli operatori economici contemporanei.
martedì 20 giugno 2017
LA FORMA DI MERCE DELLA FORZA-LAVORO*- Gianfranco Pala**
*Bandiera
rossa, 49, Milano 1995 http://www.contraddizione.it/scritti.htm **gianfrancopala economista in pensione...
La capacità di lavoro, se non è venduta, non è niente.
(Jean-Charles-Léonard
Simonde de Sismondi)
la comprensione della sola “ricchezza” del proletariato
1.
“La ricchezza delle società nelle quali predomina il modo di
produzione capitalistico si presenta come una "immane raccolta
di merci" e la merce singola si presenta come sua forma
elementare. Perciò la
nostra indagine comincia con l’analisi della merce”.
2.
“All’inizio la merce
ci si è presentata come qualcosa di duplice, valore d’uso e valore
di scambio. In un secondo tempo s’è visto che anche il lavoro, in
quanto espresso nel valore, non possiede più le stesse
caratteristiche che gli sono proprie come generatore di valori d’uso.
Tale duplice natura del lavoro contenuto nella merce è stata
dimostrata criticamente da me per la prima volta. E poiché questo
punto è il perno intorno al quale ruota la comprensione
dell’economia politica, occorre esaminarlo più da vicino”.
3.
“Il cambiamento di valore del denaro che si deve trasformare in
capitale non può avvenire in questo stesso denaro, poiché esso,
come mezzo di acquisto e come mezzo di pagamento, non fa che
realizzare il prezzo della merce che compera o paga ... Il
cambiamento deve verificarsi nella merce che viene comprata ..., ma
non nel valore di essa, poiché vengono scambiati equivalenti, cioè
la merce vien pagata al suo valore. Il cambiamento può derivare
dunque soltanto dal valore d’uso della merce come tale, cioè dal
suo consumo. Per estrarre valore dal consumo d’una merce, il
possessore di denaro dovrebbe esser tanto fortunato da scoprire,
all’interno della sfera della circolazione, cioè sul mercato, una
merce il cui valore d’uso stesso possedesse la peculiare qualità
d’esser fonte di valore; tale dunque che il suo consumo reale
fosse, esso stesso, oggettivazione di lavoro, e quindi creazione di
valore. E il possessore di denaro trova sul mercato tale merce
specifica: è la capacità di lavoro, ossia la forza-lavoro”.
4.
“Per forza-lavoro o capacità di lavoro intendiamo l’insieme
delle attitudini fisiche e intellettuali che esistono nella
corporeità, ossia nella personalità vivente d’un uomo, e che egli
mette in movimento ogni volta che produce valori d’uso di
qualsiasi genere... La forza-lavoro come merce può apparire sul
mercato soltanto in quanto e perché viene offerta o venduta come
merce dal proprio possessore, dalla persona della quale essa è la
forza-lavoro. Affinché il possessore della forza-lavoro la venda
come merce, egli deve poterne disporre, quindi essere libero
proprietario della propria capacità di lavoro, della propria
persona. Egli si incontra sul mercato con il possessore di denaro
e i due entrano in rapporto reciproco come possessori di merci, di
pari diritti, distinti solo per essere l’uno compratore, l’altro
venditore, persone dunque giuridicamente eguali... Il proprietario di
forza-lavoro, quale persona, deve riferirsi costantemente alla
propria forza-lavoro come a sua proprietà, quindi come a sua propria
merce”.
5.
“Una cosa è evidente, però. La natura non produce da una parte
possessori di denaro o di merci e dall’altra puri e semplici
possessori della propria forza lavorativa. Questo rapporto non è un
rapporto risultante dalla storia naturale e neppure un rapporto
sociale che sia comune a tutti i periodi della storia. Esso stesso è
evidentemente il risultato d’uno svolgimento storico
precedente, il prodotto di molti rivolgimenti economici ... Esso
nasce soltanto dove il possessore di mezzi di produzione e di
sussistenza trova sul mercato il libero lavoratore come venditore
della sua forza-lavoro e questa sola condizione storica comprende
tutta una storia universale”.
6.
“Ormai dobbiamo considerare più da vicino quella merce peculiare
che è la forza-lavoro. Essa ha un valore, come tutte le altre
merci... determinato dal tempo di lavoro necessario alla produzione
e, quindi anche alla riproduzione, di questo articolo specifico
... ossia: il valore della forza-lavoro è il valore dei mezzi di
sussistenza necessari per la conservazione del possessore della
forza-lavoro ... la somma dei mezzi di sussistenza necessari alla
produzione della forza-lavoro include i mezzi di sussistenza delle
forze di ricambio, cioè dei figli dei lavoratori, in modo che questa
razza di peculiari possessori di merci si perpetui sul mercato... È
un sentimentalismo troppo a buon mercato il trovare brutale queste
determinazioni del valore della forza-lavoro, la quale deriva dalla
natura stessa della cosa”.
7.
“La natura peculiare di questa merce specifica, la forza-lavoro, ha
per conseguenza che, quando è concluso il contratto fra
compratore e venditore, il suo valore d’uso non è ancor passato
realmente nelle mani del compratore, ... ma il suo valore d’uso
consiste soltanto nella successiva estrinsecazione della sua forza...
Il valore d’uso che il possessore del denaro riceve, per parte sua,
nello scambio, si mostra soltanto nel consumo reale, nel processo di
consumo della forza-lavoro. Il processo di consumo della forza-lavoro
è allo stesso tempo processo di produzione di merce e di plusvalore.
Il consumo della forza-lavoro, come il consumo di ogni altra merce,
si compie fuori del mercato ossia della sfera della circolazione.
Quindi, assieme al possessore di denaro e al possessore di
forza-lavoro, lasciamo questa sfera rumorosa che sta alla superficie
ed è accessibile a tutti gli sguardi, per seguire l’uno e l’altro
nel segreto laboratorio della produzione sulla cui soglia sta
scritto: Vietato
l’ingresso agli estranei - No admittance except on business.
Qui si vedrà non solo come produce il capitale, ma anche come lo si
produce, il capitale. Finalmente ci si dovrà svelare l’arcano
della fattura del plusvalore”.
8.
“Tutti i termini del problema sono risolti e le leggi dello scambio
delle merci non sono state affatto violate. Si è scambiato
equivalente con equivalente ... La trasformazione del denaro in
capitale deve essere spiegata sulla base di leggi immanenti allo
scambio di merci, cosicché come punto di partenza valga lo scambio
di equivalenti ... deve avvenire entro la sfera della
circolazione e non deve avvenire entro la sfera della circolazione...
Tutto questo svolgimento, la trasformazione in capitale del denaro
... avviene e non avviene nella sfera della circolazione. Avviene
attraverso la mediazione della circolazione, perché ha la sua
condizione nella compera della forza-lavoro sul mercato delle merci;
non avviene nella circolazione, perché questa non fa altro che dare
inizio al processo di valorizzazione, il quale avviene nella
sfera della produzione. E così tout
est pour le mieux, dans le meilleur des mondes possibles”.
“Queste
sono le condizioni del problema. Hic
Rhodus, hic salta!”.
lunedì 19 giugno 2017
Natura, lavoro e ascesa del capitalismo*- Martin Empson**
*Da: Monthly
Review traduzionimarxiste.wordpress
**Martin Empson è autore del volume Land and labour (Bookmarks, 2014).
Il
capitalismo intrattiene un rapporto peculiare, per usare un
eufemismo, col mondo naturale. (1) Karl Marx lo ha riassunto al
meglio nei Grundrisse,
dove ha scritto che con l’ascesa del modo di produzione
capitalistico, “la natura diviene puro oggetto per l’uomo, puro
oggetto dell’utilità; cessa di essere riconosciuta come potenza
per sé; e la stessa conoscenza teoretica delle sue leggi autonome
appare soltanto come un’astuzia per assoggettarla ai bisogni umani
sia come oggetto del consumo sia come mezzo della produzione”. (2)
Nella stessa sezione, egli nota come “il capitale crea dunque la
società borghese e l’appropriazione universale tanto della natura
quanto della connessione sociale stessa da parte dei membri della
società”.
**Martin Empson è autore del volume Land and labour (Bookmarks, 2014).
Questo
rapporto strumentale col mondo naturale contrasta bruscamente con le
modalità attraverso le quali la natura è stata considerata, ed
usata, dalle precedenti società umane. Un’interazione inedita con
la natura emersa dalle violente trasformazioni sociali che hanno
accompagnato lo sviluppo del capitalismo in Europa occidentale,
estendendosi con la diffusione di tale sistema al resto dl mondo.
Marx ha catalogato le molteplici forme di saccheggio e distruzione
perpetuate dal primo capitalismo, nel suo rifare il mondo a propria
immagine: “La scoperta delle terre aurifere e argentifere in
America, lo sterminio e la riduzione in schiavitù della popolazione
aborigena, seppellita nelle miniere, l’incipiente conquista e
saccheggio delle Indie Orientali, la trasformazione dell’Africa in
una riserva di caccia commerciale delle pelli nere, sono i segni che
contraddistinguono l’aurora dell’era della produzione
capitalistica. Questi procedimenti idillici sono momenti
fondamentali dell’accumulazione originaria“.
(3) Il capitale, conclude egli in un celebre passo, fa il suo
ingresso nel mondo “grondante sangue e sporcizia dalla testa ai
piedi, da ogni poro”, nel momento in cui la natura stessa viene
subordinata alle esigenze del sistema. (4)
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