lunedì 15 ottobre 2018

La dignità e l’orgoglio che ci fanno dire siamo tutti bastardi - Franco Cardini

Da; http://materialismostorico.blogspot.com - Franco Cardini è uno storico, saggista e blogger italiano, specializzato nello studio del Medioevo.


Blut und Boden, “Sangue” e “Suolo”. Una coppia che il Romanticismo tedesco è riuscito a rendere fatidica e della quale il nazionalsocialismo si è appropriato imponendone un’accezione allarmante. Ma a ben guardare si tratta di qualcosa di molto simile a un sistema di coordinate cartesiane entro il quale si può racchiudere la storia del genere umano. Da una parte la discendenza biologica dalla quale si esce e che si concretizza in termini genealogici; dall’altra il luogo nel quale si nasce e che può essere legato a ciascuno di noi secondo la familiarità che le passate generazioni gli riconoscevano. Delle due parole-chiave che a quei due termini archetipici si riferiscono, la “nazione” tende a privilegiare il carattere familiare e tribale della nostra origine, la nascita appunto; mentre la patria si rifà più propriamente alla terra dei padri, che noi sentiamo nostra in quanto fu anzitutto loro.

Roma, fedele alla mitica consegna del suo fondatore, fondò le basi del suo cammino imperiale e universalistico sulla solida, concreta base del diritto di ogni membro della sua civitas, l’insieme dei cives, a condividere gli stessi diritti e le stesse prerogative. L’affermazione civis Romanus sum, che risuona con la medesima solennità proferita dall’oratore Cicerone e dal tessitore Saulo, ebreo di Tarso, ha il medesimo significato: e traccia una barriera invisibile ma rigorosa tra chi è civis Romanus e chi non lo è: chi è peregrinus, straniero, e come tale certo anche hospes, che però può diventare facilmente un hostis, un nemico. Ma, espandendosi rapidamente tra VIII e I secolo a.C, Roma apprese una lezione sconvolgente: più la sua potenza si allargava, più diminuiva la coesione interna dei suoi abitanti mentre attorno a lei si moltiplicavano peregrini, hospites/ hostes, barbari.

Il diritto di cittadinanza romana, che poteva esser concesso a intere comunità e a singole persone, divenne un vero e proprio motore di aggregazione, producendo fedeltà e lealismo. Poiché, con la ridefinizione imperiale dello Stato, la concessione del diritto di cittadinanza era stata riconosciuta una prerogativa dell’imperatore, essa si trasformò in un motore della rivoluzionaria concezione secondo la quale l’Urbs si riconosceva e s’identificava con l’Orbis: essere romano acquisiva un significato universale, quanto meno entro i confini dell’impero ai quali si attribuiva una potenzialità di espansione illimitata.

Con la Constitutio Antoniniana del 212, l’imperatore Caracalla compì il definitivo passo sulla via di questa dilatazione del diritto di cittadinanza fino allo svuotamento del suo contenuto di status privilegiato e alla sua coincidenza con una pienezza di prerogative giuridiche di tipo universalistico. Tutto ciò, comunque, includeva un problema ulteriore. L’impero aveva già cominciato a entrare in una crisi complessa, un dato qualificante della quale era quello demografico con i conseguenti immediati macrofenomeni dello spopolamento delle campagne, della flessione della produzione, dell’aumento dell’insicurezza. Il collegare saldamente e strettamente la condizione dei singoli alla stabilità dello stato apparve come un provvedimento quanto mai lungimirante.

La frammentazione e la confusione tecnosociologica ed etnoculturale di oggi richiede una ridefinizione in termini di nuova coscienza identitaria. È una sfida alla quale rispondere con coraggio. Alla pressione di genti che in numero sempre più consistente giungono da paesi che lo sviluppo postcoloniale ha messo in crisi e si vanno insediando in paesi a loro volta compromessi dall’arresto o dall’involuzione dello sviluppo demografico, non si può rispondere se non con una scelta forte, esemplare, in grado d’infondere speranza e fiducia: fare del paese nel quale si nasce, anche se i nostri genitori sono venuti da lontano, la propria patria. Che non equivale affatto a un ricominciare da zero né un imporre una cultura estranea ma, al contrario, ad accettare un’eredità consolidata e prestigiosa fatta di lingua, d’istituzioni, di tradizioni, di valori. Tanto meglio poi se i nuovi cittadini sapranno immettere nella loro nuova patria anche il contributo delle tradizioni che i loro padri e le loro madri avranno loro tramandato. Dallo ius soli potrà nascere una società futura differenziata, non livellata: le differenze sono valori, ed è necessario affrontarle forti di una cultura dell’et- et, non dell’aut- aut.

Una futura società di bastardi? Ebbene, sì: e dobbiamo dirlo con dignità e con orgoglio. Siamo tutti bastardi. Lo siamo sempre stati. Le società pure sono frutto di lontane mitologie illuministiche e romantiche del tutto prive di concreta verifica storica. Proprio l’impero romano, che ai suoi massimi livelli almeno dal II secolo d.C. ha espresso imperatori iberici, illirici, arabi, siriaci e perfino berberi (e più tardi, in età bizantina, macedoni e anatolici) è prova di tutto questo. L’Italia, come terra avanzata nel Mediterraneo e protesa a sud, è obiettivamente in prima linea. Se riesce a rovesciare la situazione che si sta prospettando e da futura cavia imporsi come futura protagonista, avrà vinto la sua battaglia per la sopravvivenza e per la civiltà. E dato un esempio di lungimiranza ai governi europei, che stanno dimostrando di averne bisogno. 
21 7 2017 

domenica 14 ottobre 2018

"Il pensiero di Marx come ontologia dell’essere sociale – rileggendo Lukàcs" - Paolo Vinci (1/3)

Da: AccademiaIISF - http://www.iisfscuoladiroma.it 
Paolo Vinci è docente di Filosofia pratica presso la Facoltà di Filosofia dell’Università “La Sapienza” di Roma. - http://www.rivistapolemos.it
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2016/08/la-logica-di-hegel-una-grottesca.html 

I° Incontro:
                    

II° Incontro: "Il pensiero di Marx come ontologia dell’essere sociale – rileggendo Lukàcs" - Paolo Vinci (2/3) 

III° Incontro: "Il pensiero di Marx come ontologia dell’essere sociale – rileggendo Lukàcs" - Paolo Vinci (3/3) 


"lo sono attitudine, facoltà, dapprima solo naturale; questa attitudine non è dunque identica a me in quanto soggetto, in quanto pura soggettività, e così ciò che in me è dapprima solo in quanto natura, poiché non è identico con me, col mio sapere e col mio volere, non è in mio potere; io non ne sono in possesso, si tratta di qualcosa di esterno di cui devo ancora prendere possesso. E’qualcosa che debbo addomesticare, in modo da poterlo usare, da poterlo padroneggiare. Perché le mie dita, il mio braccio, mi obbediscano, devo prima addomesticare tali forze, in modo che l'obbedienza diventi la loro propria natura. Lo stesso vale per le capacità spirituali: la memoria, l'immaginazione, persino il pensiero deve essere educato, mi deve diventare famigliare, spedito, in modo che mi sia presente quando voglio che venga eseguita una determinata attività. Questa è una presa di possesso di determinazioni inizialmente estranee a me, alla mia volontà, alla mia libertà.”
(Hegel, Le filosofie del diritto: 82-3).

sabato 13 ottobre 2018

Discorso sulle donne - Thomas Sankara

da: Thomas Sankara - I discorsi e le idee, 2003 - Edizioni Sankara. Traduzione di Marinella Correggia - https://www.resistenze.org - 
Thomas_Sankara militare, politico e rivoluzionario burkinabé. Noto anche come Tom Sank. 


Discorso sulle donne (1) - 8 marzo 1987, in occasione della giornata internazionale della donna a Ouagadougou

Non accade spesso che un uomo si possa rivolgere a così tante donne in una volta. Né accade spesso che un uomo possa suggerire a così tante donne in una sola volta le nuove lotte da intraprendere.

La prima timidezza che assale l'uomo coincide con il momento in cui diviene cosciente che sta guardando una donna. Così, compagne militanti, capirete che malgrado la gioia e il piacere che provo a indirizzarmi a voi, rimango comunque un uomo, che vede in ciascuna di voi la madre, la sorella o la sposa. Vorrei anche che le nostre sorelle venute sin qui da Kadiogo e che non comprendono il francese - la lingua straniera in cui pronuncerò questo discorso - siano indulgenti con noi come lo sono sempre state, loro che, nostre madri, hanno accettato di portarci nel ventre per nove mesi senza lamentarsi (2).

Compagne, la notte del 4 agosto ha dato al popolo burkinabé un nome e al nostro paese un orizzonte. Corroborati dalla linfa vivificante della libertà, i burkinabé, gli umiliati e proscritti di ieri, hanno ricevuto lo scettro di quel che c'e di più Caro al mondo: la dignità e l'onore. Da allora, la felicità e diventata accessibile e ogni giorno avanziamo nella sua direzione, mentre le nostre lotte testimoniano i grandi passi avanti che abbiamo già compiuto. Ma la felicità egoista non è che un'illusione e noi abbiamo una grande assente: la donna. La donna è stata esclusa da questa processione felice.

Se degli uomini sono già ora vicini al grande giardino della rivoluzione, le donne sono ancora confinate nella loro oscurità spersonalizzante, confrontandosi in silenzio o con clamore sulle esperienze che stanno trasformando il Burkina Faso e che per loro non sono finora che dei clamori. 


giovedì 11 ottobre 2018

Come Ratzinger ha annientato la chiesa del popolo in America Latina - Marc Vandepitte

Da: michelcollon.info - Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare 


 20/02/2013
Joseph Ratzinger è conosciuto essenzialmente come papa ma i suoi principali fatti d'arme vanno ricercati nel periodo durante il quale era Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. In questa veste fu difatti l'architetto di una delle più vaste campagne ideologiche e politiche del dopoguerra, ciò che venne chiamata la "Restaurazione".

Neoconservatorismo

Nel 1978, Karol Wojtyla (Giovanni Paolo II) è chiamato a dirigere la più grande comunità religiosa del mondo. Quella che si trova davanti è una chiesa post-conciliare in stato di profonda crisi: partecipazione alle funzioni religiose e vocazioni in caduta libera, elevato numero di divorzi tra i cattolici, rigetto dell'autorità papale in materia di controllo delle nascite. Un mondo pieno di eresia.

Egli vuole una svolta radicale. Non più rischi, né esperienze, è finito il tempo di pensare e agire di conseguenza. Si guarda probabilmente ai testi del Concilio ma se ne seppellisce lo spirito. Il papa si prepara ad una politica ecclesiastica centralizzata ed ortodossa, corredata da un riarmo morale e spirituale. 

mercoledì 10 ottobre 2018

IL NUOVO DISPOTISMO DEL CAPITALE - Francesco Schettino

Da: https://rivistacontraddizione.wordpress.com - Francesco Schettino è un economista italiano. 



la trasformazione del capitalismo transnazionale post crisi 2008

9 novembre 2016: una data che difficilmente sarà dimenticata negli anni che verranno. Media europei e giornali di tutto il mondo hanno osservato con un malcelato sgomento l’elezione di Donald Trump alla presidenza dello stato capitalista più potente al mondo, gli Usa. La palese collocazione all’estrema destra del neopresidente – appoggio del Kkk, libri con i discorsi di Hitler sul comodino, come ebbe a dire l’ex moglie – non è stato un elemento sufficiente a permettere a Hillary di divenire la prima donna presidente degli Stati uniti (con il cognome del marito, aggiungiamo noi). Considerata genericamente come la candidata dell’establishment, nonostante il sostegno ricevuto da tutti i settori della “cultura” a stelle-e-strisce (e non solo), la sua sconfitta è stata significativa, sebbene il divario in termini di voti ricevuti l’abbiano vista prevalere per circa 2mln di unità, che non è esattamente una cifra di poco conto. Fiumi di inchiostro sono stati versati e di pacchi di parole sono stati inondati tutti i media (asocial compresi) sostenendo tesi e teorie spesso in evidente bisticcio logico e densi di incoerenze frutto di veline passate dalle diverse cordate del capitale in crescente conflitto. Quel che ci proponiamo in questo articolo è, da parte nostra, dar seguito alle promesse fatte nella nota preliminare che alcuni mesi fa abbiamo pubblicato sul blog della rivista (http://rivistacontraddizione.wordpress.com), tentando di fornire una chiave di lettura di classe per le vicende più recenti. Per questo, è di prioritaria importanza provare a fornire una sorta di radiografia delle patologie del capitale contestualizzando i recenti accadimenti (solo apparentemente) di natura politica all’interno della fase critica che l’imperialismo mondiale sta subendo da mezzo secolo e, in maniera ancor più violenta ormai da un decennio.

Già dalla fine dell’anno 2008, ossia dalle settimane che seguirono il crollo di Lehman Bros., e dunque dai momenti appena successivi all’emersione dell’ultima crisi reale – violenta appendice di quella iniziata già agli inizi della decade ’70 –, in palese controtendenza con l’ottimismo di tanti settori della sinistra di classe, evidenziammo l’assenza di una classe subordinata “per sé”, ossia cosciente del suo ruolo storico, avrebbe potuto generare tendenze del tutto opposte a quelle auspicate, nonostante l’arresto dell’accumulazione a livello mondiale. Non a caso, parlammo più volte della necessità di analizzare correttamente la fase attuale nella sua accezione non rivoluzionaria per poi procedere alla progressiva elaborazione di un programma minimo (in questa ottica va letta la pubblicazione dell’omonimo testo di Gamba e Pala a cura del collettivo della Contraddizione, La Città del sole, Napoli, 2015); il nostro obiettivo consisteva, in sintesi, nell’individuare un percorso che, tenendo adeguatamente conto della fase fortemente sfavorevole alla classe subordinata (a livello mondiale e non solo locale), riuscisse a raccogliere alcuni punti attorno a cui permettere quella accumulazione delle forze residue necessaria, al di là di tanti sparuti volontarismi individuali, alla ripresa di lotte significative. Inutile dire che, nonostante iniziali manifestazioni di interesse, per diverse ragioni – non ultima quella del superiore fascino della praticoneria sul complesso e “noioso” processo analitico della realtà – tale appello sia restato praticamente del tutto inascoltato. Ma, aggiungiamo, non è mai troppo tempo per iniziare un nuovo percorso. 

martedì 9 ottobre 2018

Ai confini della docenza. Per la critica dell’Università - Alessandra Ciattini 




Da: https://www.lacittafutura.it - Scuola e Università Approfondimenti teorici (Unigramsci) - 

Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza.

Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/09/il-governo-del-cambiamento-e.html -
                      https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/08/una-scuola-anticostituzionale-ovvero.html -

Il testo: http://www.aaccademia.it/scheda-libro? (*)

Finalmente un libro 
(Ai confini della docenza. Per la critica dell’Università, a cura di R. Bellofiore e G. Vertova, Accademia University Press, Torino 2018) 
che riporta alla ribalta il problema cruciale dell’università, sempre trattato sottovoce dai politici, dagli intellettuali e dai suoi stessi operatori (docenti, personale tecnico-amministrativo, studenti). Non da Confindustria e dalla sua Associazione Treelle, forse coloro che hanno più insistito su di esso, anche perché hanno le loro potenti casse di risonanza e hanno sviluppato idee molto chiare sul problema.
A mio parere, quattro sono gli elementi importanti del libro, cui in questa sede potrò solo accennare brevemente: 
1) la devastazione prodotta a partire dal 2000 (Riforma Berlinguer) dalle continue “riforme” dell’Università; 
2) l’analisi della stretta relazione tra la specificità del capitalismo italiano e il modello di Università che si è voluto impiantare; 
3) il ruolo della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale nella riorganizzazione dell’educazione superiore a livello mondiale con l’imposizione del modello anglo-statunitense [1]; 
4) l’inchiesta innovativa svolta presso l’Ateneo di Bergamo, sovvenzionata dalla FLC-CGIL nazionale e provinciale e non sostenuta dal Consiglio di amministrazione dello stesso; inchiesta, il cui obiettivo è stato quello di analizzare, a tutti i livelli, le condizioni di lavoro nell’università (con l’esclusione degli addetti al portierato e alle pulizie), chiedendo agli intervistati se queste rendono possibile il raggiungimento dei obiettivi stabiliti dalla legge per l’Università. 

lunedì 8 ottobre 2018

Il capitalismo e l'immigrazione operaia - Lenin

Da:  Za Pravdu, n.22 in Opere Complete Vol. 19 - Trascrizione per Resistenze.org a cura di D.B. 
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/09/la-concorrenza-friedrich-engels.html 

29/10/1913
Il capitalismo ha creato un tipo particolare di migrazione di popoli. I paesi che si sviluppano industrialmente in fretta, introducendo più macchine e soppiantando i paesi arretrati nel mercato mondiale, elevano il salario al di sopra della media e attirano gli operai salariati di quei Paesi. 

Centinaia di migliaia di operai si spostano in questo modo per centinaia e migliaia di verste. Il capitalismo avanzato li assorbe violentemente nel suo vortice, li strappa dalle località sperdute, li fa partecipare al movimento storico mondiale, li mette faccia a faccia con la possente, unita classe internazionale degli industriali.

Non c'è dubbio che solo l'estrema povertà costringe gli uomini ad abbandonare la patria e che i capitalisti sfruttano nella maniera più disonesta gli operai immigrati. Ma solo i reazionari possono chiudere gli occhi sul significato progressivo di questa migrazione moderna dei popoli. La liberazione dall'oppressione del capitale non avviene e non può avvenire senza un ulteriore sviluppo del capitalismo, senza la lotta di classe sul terreno del capitalismo stesso. E proprio a questa lotta il capitalismo trascina le masse lavoratrici di tutto il mondo, spezzando il ristagno e l'arretratezza della vita locale, distruggendo le barriere e i pregiudizi nazionali, unendo gli operai di tutti i paesi nelle più grandi fabbriche e miniere dell'America, della Germania, ecc. 

L'America è alla testa dei paesi che importano operai. Ecco i dati sul numero degli immigrati in America:

domenica 7 ottobre 2018

Qual’è la tua idea di comunismo? Riccardo Bellofiore risponde …

Da: https://lestradedibabele.wordpress.com - Trascrizione dell’intervento audio di Riccardo Bellofiore nella trasmissione radiofonica “Le strade di Babele” nella sezione “Quale è la tua idea di comunismo?” che potete trovare qui: http://www.lestradedibabele.it/ - riccardo.bellofiore è docente di "Analisi Economica", "Economia Monetaria" e "International Monetary Economics" e "Dimensione Storica in Economia: le Teorie" presso il Dipartimento di Scienze Economiche "Hyman P. Minsky" dell'Università di Bergamo. (Economisti-di-classe-Riccardo-Bellofiore-Giovanna-Vertova




La verità è che io non ho un’idea di comunismo e credo che a questo punto della storia non ce l’abbia veramente nessuno e questo da un certo punto di vista è una fortuna perché le idee di comunismo quando si sono realizzate hanno prodotto disastri e macerie. Posso dire qual’è lo scritto sul comunismo che più mi ha colpito, che più incrocia la mia sensibilità, ed è uno scritto breve di Franco Fortini,  ne esiste una versione più lunga, ma la versione più breve e più folgorante è quella che uscì credo su un settimanale satirico, deve essere stato Cuore.

L’idea di Fortini era che il comunismo è la lotta per il comunismo ed è non la soluzione delle contraddizioni, non una società pacificata, ma il vivere in una diversa contraddizione, una diversa contraddizione nella quale sia possibile agli esseri umani una scelta, una scelta a partire da uno sviluppo diciamo così, non condizionato dall’alienazione del proprio potere e delle proprie capacità.

È evidente che questa è una risposta da un certo punto di vista evasiva dall’altra affascinante, è una risposta che secondo me ha una sua forza e ha un limite: la forza è che ci dice che il problema del comunismo, essendo la lotta per il comunismo, è oggi per noi qui ed ora la lotta contro il capitalismo.

Io devo dire non ho molta simpatia per i ragionamenti sull’idea di comunismo perché sono ragionamenti idealistici, è come se si avesse una ricetta e la si volesse applicare alla realtà. Il problema è partire dalle contraddizioni che viviamo, dalle contraddizioni del capitalismo, allora qui di battaglie culturali in senso proprio ce ne sono molte da fare perché non è solo crollato il comunismo, sono crollati, anche in questo caso purtroppo, tutta una serie di riferimenti, come dire, della lotta per una società più vivibile, più decente, si è teso ad evadere il nodo del lavoro, quindi l’esperienza concreta dei lavoratori come nodo della contraddizione del rapporto di classe, del rapporto di potere in cui viviamo, collocandolo altrove.

sabato 6 ottobre 2018

"Dallo schiavo al robot. Lavoro, macchine, automazione"- Remo Bodei - (3/3)

Da: AccademiaIISF Remo_Bodei è un filosofo italiano.- 
                                                                                                Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2017/04/il-problema-del-limite-la-scienza-e-il.html -
                                                                                                                    https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/09/lalgoritmo-sovrano-renato-curcio_18.html -


Secondo incontro: https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/09/dallo-schiavo-al-robot-lavoro-macchine_29.html 

 --------Terzo incontro

venerdì 5 ottobre 2018

Aggiornamento Def, né col governo né coi mercati! - Marta Fana

Da: https://www.ilfattoquotidiano.it - Marta Fana è dottore di ricerca in Economia allo IEP SciencesPo Parigi. - https://www.facebook.com/unlibrodimartafana/?tn-str=k*F 


Se siete tra quelli che rischiano il posto di lavoro, che un posto di lavoro non ce l’hanno, che lavorano per pochi euro l’ora, che dovranno oggi o domani cercare un lavoro ma ancora studenti, allora sappiate che questa manovra di bilancio è contro di voi.

Innanzitutto è urgente chiarire che la manovra in atto è tra le più austere degli ultimi anni in termini di rapporto deficit/pil, superiore soltanto al dato del governo Gentiloni (2,3%) ma più basso perfino di Monti. Ma soprattutto, non c’è assolutamente niente di rivoluzionario nel prevedere un rapporto deficit/pil del 2,4% se quel deficit serve solo ed esclusivamente a destinare risorse a chi ne è già ampiamente ricco e che magari le ha anche nascoste al fisco.

Di questo dobbiamo parlare, su questo dobbiamo valutare la nuova legge di stabilità. È possibile fare opposizione guardando alle ricadute sulla maggioranza delle persone, non a quella minoranza che si vuole proteggere facendo leva sulla minaccia dei mercati, sul rischio di soccombere all’ennesima speculazione. Aumentare il deficit è sacrosanto perché significa potenzialmente usare risorse per aumentare gli scarni quando non inesistenti salari italiani, per mettere al sicuro (la sicurezza di cui abbiamo bisogno) le strade dove quotidianamente si susseguono morti senza l’eco che produce una tragedia (come quella di Genova).

La politica non è un’equazione contabile e non si misura su quell’equazione, che si tratti del deficit che si tratti del valore assoluto della misura. La politica sceglie in che modo destinare più o meno risorse, le rivendicazioni di merito che fa. È su questo che bisogna schierarsi e analizzare ciò che abbiamo di fronte. 

giovedì 4 ottobre 2018

Marxismo e revisionismo - Vladimir Lenin (1908)


Da: https://www.marxists.org - Estratto da Opere Scelte - Editori Riuniti 1965 - pag. 443-451. - Scritto nell'aprile del 1908 e pubblicato nella raccolta Karl Marx (1818 - 1883), Pietroburgo, 1908. - Trascritto per Internet da Ivan A., Gennaio 1999 -
Le note indicate con l'asterisco sono di Lenin; le altre, contrassegnate da numeri, sono della redazione.


        Un noto adagio dice che se gli assiomi della geometria urtassero gli interessi degli uomini, si sarebbe probabilmente cercato di confutarli. Quelle dottrine delle scienze storiche e naturali che colpiscono i vecchi pregiudizi della teologia hanno provocato e provocano tuttora una delle lotte più accanite. Nulla di strano quindi che la dottrina di Marx, la quale serve in modo diretto a educare e organizzare la classe d'avanguardia della società moderna, indica i compiti di questa classe e dimostra che, grazie allo sviluppo economico, la sostituzione dell'attuale ordinamento sociale con un ordine nuovo è cosa ineluttabile nulla di strano che questa dottrina abbia dovuto farsi strada lottando ad ogni passo.

Non parliamo della scienza e della filosofia borghesi, insegnate ufficialmente da professori ufficiali allo scopo di istupidire la giovane generazione delle classi possidenti e di "aizzarla" contro i nemici interni ed esterni. Questa scienza non vuol nemmeno sentir parlare del marxismo, dichiarandolo confutato e distrutto; e i giovani scienziati che fanno carriera confutando il socialismo, e le vecchie cariatidi che fanno la guardia a tutti i possibili e immaginabili comandamenti di "sistemi" vetusti, tutti con lo stesso zelo attaccano Marx. I progressi del marxismo, la diffusione e l'affermarsi delle sue idee in seno alla classe operaia, accrescono inevitabilmente la frequenza e la violenza di questi attacchi borghesi contro il marxismo. Questo però, dopo ogni "colpo di grazia" infertogli dalla scienza ufficiale, diventa più forte, più temprato, più vitale di prima.

Ma anche fra le dottrine che hanno un legame con la lotta della classe operaia e sono diffuse particolarmente fra il proletariato, il marxismo è ben lungi dall'aver rafforzato di colpo le sue posizioni. Nei primi cinquanta anni della sua esistenza (a partire dal decennio 1840-1850) il marxismo combattè contro le teorie che gli erano radicalmente ostili. Nella prima metà del decennio 1840-1850 Marx ed Engels aggiustarono i conti con i giovani hegeliani radicali che in filosofia erano idealisti. Verso la fine di questo decennio la lotta si porta nel campo delle dottrine economiche, contro il proudhonismo. Negli anni 1850-1860 questa lotta viene coronata dalla critica dei partiti e delle dottrine che si erano manifestate durante il tempestoso 1848. Dal 1860 al 1870 la lotta passa dal campo della teoria generale a un campo più direttamente vicino al movimento operaio: cacciata del bakunismo dall'Internazionale. All'inizio del decennio 1870-1880 in Germania si fa avanti per un breve periodo di tempo il proudhoniano Mülberger; [1] alla fine di questo decennio, il positivista Dühring. Ma l'influenza esercitata sul proletariato tanto dall'uno che dall'altro è già insignificante. Il marxismo ha già trionfato in modo indiscusso di tutte le altre ideologie del movimento operaio.

mercoledì 3 ottobre 2018

Contro le sinistre "codiste" - Emiliano Brancaccio

Da: http://espresso.repubblica.it - emilianobrancaccio insegna Economia politica ed Economia internazionale presso l’Università del Sannio, a Benevento.


Stralci dell’intervento di Emiliano Brancaccio alla conferenza GUE/NGL tenuta a Napoli il 25 settembre 2018.


Pochi mesi fa alcuni giornalisti molto noti in Italia, che potremmo definire “liberali”, hanno partecipato a una serie di dibattiti con il leader di CasaPound, tra l’altro tenuti proprio nelle sedi dell’organizzazione neofascista. Enrico Mentana è la più nota delle illustri firme del giornalismo italiano che hanno partecipato a quei dibattiti.
Le motivazioni di Mentana e degli altri giornalisti liberali si possono riassumere nella celebre massima attribuita a Voltaire, peraltro apocrifa: “non condivido nulla di ciò che dici ma sono disposto a morire purché tu possa dirlo”.
Ebbene, non saprei dire esattamente il perché, ma da qualche giorno la mia mente viene continuamente catturata da un’immagine: quella del militante fascista tipo che ascolta con attenzione e deferenza questa massima, mentre lucida la sua spranga in attesa di qualche nuova testa da spaccare.

***
Naturalmente Mentana non è l’unico responsabile di una sottovalutazione del potenziale di sviluppo della violenza fascista.
La minimizzazione della minaccia nera, talvolta persino le connivenze con essa, sono aspetti tipici del rapporto controverso che molti liberali hanno storicamente intrattenuto con i fascisti.
Persino Benedetto Croce, il più celebre filosofo liberale italiano e critico del fascismo, commise in fin dei conti un errore di sottovalutazione: egli concepì il fascismo come una banale “ubriacatura”, un accidente pressoché casuale, una fugace “parentesi” causata dalla guerra. Altri studiosi, di orientamento analogo, hanno aggiunto che il fascismo è stato una mera reazione alla minaccia comunista e che in assenza di questa non possa mai riaffiorare.
Gli odierni liberali la pensano più o meno in questi modi, direi tutti piuttosto rassicuranti. A loro avviso, ieri il fascismo fu una parentesi accidentale e oggi non costituisce una reale minaccia.

lunedì 1 ottobre 2018

- "LO SPECCHIO DI ATENE": LA GIUSTIZIA, LA FORZA, IL POTERE - Mario Vegetti e Mauro Bonazzi

Da: Casa della Cultura Via Borgogna 3 Milano

In occasione della presentazione dei libri:
"Chi comanda nella città. I greci e il potere" di Mario Vegetti (Carocci Editore)
"Atene, la città inquieta" di Mauro Bonazzi (Einaudi Editore)
Intervengono oltre agli autori Eva Cantarella e Franco Trabattoni

domenica 30 settembre 2018

STORIA DEL GENERE UMANO - Giacomo Leopardi

Da: Giacomo Leopardi, Operette_morali,  (1827) - https://it.wikipedia.org/wiki/Analisi_delle_Operette_morali 

        Narrasi che tutti gli uomini che da principio popolarono la terra, fossero creati per ogni dove a un medesimo tempo, e tutti bambini, e fossero nutricati dalle api, dalle capre e dalle colombe nel modo che i poeti favoleggiarono dell'educazione di Giove. E che la terra fosse molto più piccola che ora non è, quasi tutti i paesi piani, il cielo senza stelle, non fosse creato il mare, e apparisse nel mondo molto minore varietà e magnificenza che oggi non vi si scuopre. Ma nondimeno gli uomini compiacendosi insaziabilmente di riguardare e di considerare il cielo e la terra, maravigliandosene sopra modo e riputando l'uno e l'altra bellissimi e, non che vasti, ma infiniti, così di grandezza come di maestà e di leggiadria; pascendosi oltre a ciò di lietissime speranze, e traendo da ciascun sentimento della loro vita incredibili diletti, crescevano con molto contento, e con poco meno che opinione di felicità. Così consumata dolcissimamente la fanciullezza e la prima adolescenza, e venuti in età più ferma, incominciarono a provare alcuna mutazione. Perciocché le speranze, che eglino fino a quel tempo erano andati rimettendo di giorno in giorno, non si riducendo ancora ad effetto, parve loro che meritassero poca fede; e contentarsi di quello che presentemente godessero, senza promettersi verun accrescimento di bene, non pareva loro di potere, massimamente che l'aspetto delle cose naturali e ciascuna parte della vita giornaliera, o per l'assuefazione o per essere diminuita nei loro animi quella prima vivacità, non riusciva loro di gran lunga così dilettevole e grata come a principio. Andavano per la terra visitando lontanissime contrade, poiché lo potevano fare agevolmente, per essere i luoghi piani, e non divisi da mari, né impediti da altre difficoltà; e dopo non molti anni, i più di loro si avvidero che la terra, ancorché grande, aveva termini certi, e non così larghi che fossero incomprensibili; e che tutti i luoghi di essa terra e tutti gli uomini, salvo leggerissime differenze, erano conformi gli uni agli altri. Per le quali cose cresceva la loro mala contentezza di modo che essi non erano ancora usciti della gioventù, che un espresso fastidio dell'esser loro gli aveva universalmente occupati. E di mano in mano nell'età virile, e maggiormente in sul declinare degli anni, convertita la sazietà in odio, alcuni vennero in sì fatta disperazione, che non sopportando la luce e lo spirito, che nel primo tempo avevano avuti in tanto amore, spontaneamente, quale in uno e quale in altro modo, se ne privarono. 

        Parve orrendo questo caso agli Dei, che da creature viventi la morte fosse preposta alla vita, e che questa medesima in alcun suo proprio soggetto, senza forza di necessità e senza altro concorso, fosse a disfarlo. Né si può facilmente dire quanto si maravigliassero che i loro doni fossero tenuti così vili ed abbominevoli, che altri dovesse con ogni sua forza spogliarseli e rigettarli; parendo loro aver posta nel mondo tanta bontà e vaghezza, e tali ordini e condizioni, che quella stanza avesse ad essere, non che tollerata, ma sommamente amata da qualsivoglia animale, e dagli uomini massimamente, il qual genere avevano formato con singolare studio a maravigliosa eccellenza. Ma nel medesimo tempo, oltre all'essere tocchi da non mediocre pietà di tanta miseria umana quanta manifestavasi dagli effetti, dubitavano eziandio che rinnovandosi e moltiplicandosi quei tristi esempi, la stirpe umana fra poca età, contro l'ordine dei fati, venisse a perire, e le cose fossero private di quella perfezione che risultava loro dal nostro genere, ed essi di quegli onori che ricevevano dagli uomini. 

venerdì 28 settembre 2018

La concorrenza - Friedrich Engels

Da: [Archivio Marx-Engels] - Friedrich Engels, La situazione della classe operaia in Inghilterra (1845) -





"Del resto se anche solo alcuni cadono vittime della fame, quale garanzia ha l'operaio di non cadervi l'indomani? Chi gli assicura la sua posizione? Se viene licenziato dai suoi padroni, con o senza motivo, chi gli garantisce ch'egli potrà resistere con i suoi sino a che avrà trovata un'altra occupazione che gli dia pane? Chi garantisce all'operaio che la buona volontà di lavoro, che onestà, intelligenza, economia e tutte le altre virtù che gli vengono raccomandate dai saggi borghesi, lo condurranno veramente sulla via della felicità? Nessuno. Sa che oggi ha qualchecosa e che non dipende dalla sua volontà, l'avere qualchecosa domani; sa che ogni fiato, ogni capriccio di chi gli dà lavoro, ogni cattiva combinazione commerciale, può ricacciarlo nella lotta selvaggia, dalla quale si è temporaneamente salvato e nella quale gli è difficile, spesso impossibile restar vittorioso."

Tradotto direttamente dall'originale tedesco da Vittorio Piva (†1907) e trascritto da Leonardo Maria Battisti, giugno 2018


                                 IV.
Noi abbiamo veduto nella prefazione, come la concorrenza, subito al principio del movimento industriale, creò il proletariato, innalzando per la crescente domanda di stoffe tessute il salario del tessitore e inducendo perciò i tessitori-agricoltori ad abbandonare la coltivazione dei loro campi per poter guadagnare tanto di più al telaio; noi abbiamo veduto come soppiantò i piccoli agricoltori per il sistema della cultura in grande, come li trasformò in proletarii e quindi come in parte li trasse nelle città; noi abbiamo veduto in qual modo rovinò, nella grande maggioranza, la piccola borghesia e come parimenti gravò sui proletarii, come centralizzò il capitale nelle mani di pochi e la popolazione nelle grandi città, Queste sono le vie diverse ed i mezzi mediante i quali la concorrenza, come pervenne nell'industria moderna alla piena luce e al libero sviluppo delle sue conseguenze, creò ed allargò il proletariato. Ora noi abbiamo da considerare la sua influenza sul già esistente proletariato. E qui in primo luogo dobbiamo spiegare nelle sue conseguenze la concorrenza dei singoli lavoratori tra loro.

La concorrenza è l'espressione più completa della guerra dominante di tutti contro tutti nella moderna società borghese. Questa guerra, guerra per la vita, per l'esistenza, per ogni cosa, quindi in caso di necessità una guerra per la vita e la morte, non esiste soltanto tra le classi diverse della, società, ma inoltre tra i singoli individui di queste classi; ognuno è sulla via dell'altro ed ognuno cerca quindi di soppiantare tutti coloro che sono sul suo cammino e di porsi al loro posto. I lavoratori si fanno concorrenza tra loro, i borghesi fanno altrettanto. I tessitori meccanici concorrono contro i tessitori a mano, il tessitore occupato o mal pagato contro quello occupato o meglio pagato e cerca di soppiantarlo.

Ma questa concorrenza dei lavoratori, degli uni contro gli altri, è per essi il lato più triste delle odierne condizioni, l'arma più acuta contro il proletariato nelle mani della borghesia. Quindi gli sforzi dei lavoratori per sopprimere con le associazioni questa concorrenza; quindi il furore della borghesia contro queste associazioni ed il suo trionfo per ogni sconfitta toccata ad esse.

martedì 25 settembre 2018

Il governo del cambiamento e l’università - Alessandra Ciattini

Da: https://www.lacittafutura.it  - Scuola e Università Approfondimenti teorici (Unigramsci)  
Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza.


Il degrado dell’educazione superiore e della ricerca non incontra un’opposizione efficace.

Il ministro dell’Istruzione, non più pubblica [1], Marco Bussetti, laureato in Scienze motorie, è un sostenitore della politica anti-sbarchi di Salvini, ma non trova questo atteggiamento in contraddizione con la politica di inclusione che sarebbe attuata dal suo ministero (v. intervista al Corriere della Sera). Misteri della logica o della sua assenza.

Negli ultimi mesi si sono susseguiti gli incontri tra i rappresentanti del ministero e le organizzazioni sindacali del comparto, che però si sono presentate separatamente e non come “tavolo unitario” come avvenuto in precedenza. Nello specifico, la Federazione Lavoratori della Conoscenza (FLC-CGIL) ha incontrato il 26 luglio scorso il sottosegretario Lorenzo Fioramonti (Movimento 5 stelle) “in un clima cordiale”, nel corso del quale ha fatto presenti gli antichi problemi dell’università a partire dalla svolta controriformistica degli ultimi decenni: l’immutabile scarsità dei finanziamenti, la situazione del precariato dilagante in attesa di una necessaria stabilizzazione, la riforma del pre-ruolo, che preveda un percorso tutelato e con autentici sbocchi lavorativi nelle università e negli enti di ricerca, il grave problema del diritto allo studio con relativi finanziamenti, la rivalutazione del ruolo del Consiglio universitario nazionale (CUN). Ci sarebbe da aggiungere la fatiscenza degli edifici non restaurati da decenni, del mobilio, la vecchiezza delle attrezzature, la scarsità del personale a tutti i livelli (dai tecnico-amministrativi agli addetti alle pulizie ormai organizzati in cooperative per pochi spiccioli).

lunedì 24 settembre 2018

Il mongoloide alla Biennale - Pier Paolo Pasolini



Nessuno oggi si sognerebbe di utilizzare parole come "mongoloide" o "subnormale" per indicare una persona affetta da sindrome di Down o da altre forme di disabilità. Lo stesso termine "disabile" viene volentieri sostituito da "diversamente abile", " cieco" da "non vedente" e così via. Questa specie di igiene linguistica, che mette il pudore nelle parole e la  peggiore spudoratezza nell' annullamento dei diritti sostanziali, non si era ancora affermata all'epoca in cui Pasolini scrisse il suo articolo. Ma Pasolini aveva compreso molto meglio di tanti altri intellettualini che il '68 era l'inizio della fine. Le battaglie combattute allora furono l'estrema e fallimentare difesa contro il venir meno di ogni critica razionale al mondo capitalistico:  gli attori di quello spettacolo si travestivano da rivoluzionari marxisti, da Lenin a Mao, svolgendo  (come diceva Marx) una riedizione in forma di farsa di grandi e magnifiche tragedie storiche. Oggi abbiamo il risultato: un mondo abbandonato alla furia cieca del capitale e della volontà di potenza insieme alla disgustosa cosmesi pietistica dei dieci euro al mese che Teleton chiede ogni sera a favore dei bambini colpiti da malattie rare. L'enfasi sulle minoranze copre l'abbandono della gran parte dell'umanità alla violenza del mercato e del profitto, entrambi bonificati da un linguaggio ormai vuoto e complice dell'imbecillità e dell'ignoranza erette a regola. Salvini e Di Maio a profusione e nessun Pasolini. Molti gay e nessun frocio. Centinaia di milioni di morti di fame che beneficiano della definizione romantica di "migranti". Ma si può ancora dire che fa schifo? (Aristide)
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Quale è il punto in comune tra marxista e qualunquista per Pasolini? Di quale marxismo stiamo parlando, dato che non ce ne è uno solo? Sicuramente Pasolini si riferiva ad un certo marxismo, ma quale?  Anche il movimento del '68 è molto variegato, anche se poi la tendenza successiva, l'esito finale è stato il trionfo dell'individualismo e la libertà intesa in senso soggettivo, tale che l'anticonformismo è stato e lo è oggi in pieno, il leitmotiv di quasi tutta la pubblicità della merce offerta dal capitalismo. Pasolini  è decadente e non ha aiutato certo il movimento comunista; tuttavia la sua sensibilità intellettuale è stata notevole...                                                                                                                   purtroppo forse ha avuto ragione lui. (Paolo)
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"Questa identità del linguaggio ideologico ha consentito una specie di amalgama fra la neoavanguardia e il movimento studentesco: ha consentito cioè ai neoavanguardisti disimpegnati di passare disinvoltamente nelle file degli studenti, al contrario così impegnati, e ha consentito agli studenti di usufruire di argomenti già pronti contro l’“impegno” dei vecchi. [...] Questa mostruosità incombe in ogni momento della vita italiana di questi anni. Infatti, anche fuori dalla letteratura tale mostruosità, come fusione – attuatasi nella sottocultura storica – di due punti di vista culturali inconciliabili, si manifesta nella vita di ogni giorno"Ecco un passaggio cruciale dell'articolo di Pasolini in riferimento ad accadimenti avvenuti mezzo secolo distante da noi. Quello che lascia interdetti e anche un po' stupiti è ritrovare oggi la stessa confusione fra una destra cinica e qualunquista e molti ex studenti invecchiati ma non per questo più maturi e senza dubbio lo stesso ignoranti.  (Ermanno)