Da: https://futurasocieta.org - Fosco Giannini è un politico e giornalista italiano. Ex senatore di Rifondazione Comunista.
Il capitale impone al governo Meloni, per il profitto, una nuova entrata in Italia di lavoratori stranieri: le contraddizioni della destra e i compiti dei comunisti e dei soggetti della trasformazione sociale.
Lo scorso 30 giugno il governo Meloni, in relazione ai lavoratori migranti, vara il nuovo decreto flussi 2025, pubblicato poi in Gazzetta Ufficiale come DL 146/2025 lo scorso 3 ottobre ed entrato in vigore il successivo 4 ottobre 2025. Cosa caratterizza e cosa colpisce di questo decreto? Colpisce il fatto che (in un contesto ancora fortemente segnato dalla polemica, portata specialmente avanti da Fratelli d’Italia e dalla Lega, oltreché dai movimenti di estrema destra italiana, contro “l’immigrazione clandestina”, polemica che, tuttavia, per i toni e le evocazioni generali, finisce per dirigersi sempre, tout-court, contro tutti gli “stranieri”, contro gli “estranei”, cioè, alla concezione meloniana della “Nazione”) il governo Meloni, subordinandosi ai desiderata delle imprese, del grande, medio e piccolo capitale, avvia, con il decreto flussi 2025, un’imponente entrata, in Italia, di lavoratori immigrati. Saranno, infatti, 497mila i lavoratori migranti ai quali sarà consentito l’ingresso nel triennio 2026-2028. Si parla di stagionali, non stagionali, lavoratori di vari settori produttivi, colf e badanti che rappresenteranno il 10% in più della quota lavoratori migranti del triennio appena trascorso e ciò che, ancora, colpisce è il fatto che per la prima volta, per decreto, si stabilizzano quote di entrate di lavoratori migranti su basi territoriali.
Nel dettaglio: i lavoratori immigrati ai quali sarà consentito il nuovo ingresso saranno 164.850 per il 2026, 165.850 per il 2027 e 166.850 per il 2028 (nel triennio precedente si era data la possibilità di entrare, complessivamente, a 450mila lavoratori migranti). Inoltre, il decreto legge n.146 del 2025 varato dal governo di destra, “fissa e semplifica l’iter per il permesso di soggiorno”.
Da dove provengono sia l’“apertura” all’immigrazione nel mondo del lavoro legiferata in questo ottobre dall’Esecutivo che la semplificazione dell’iter per il permesso di soggiorno? Scelte che appaiono in netto contrasto con “il discorso politico” reazionario e spesso segnato da toni razzisti degli stessi esponenti del governo e in contrasto con la decisione governativa di aprire lager per i migranti fuori dell’Italia, in Albania? E ciò contro i rilievi e i pareri sia della Cassazione che della stessa Unione europea e cioè della sentenza della Corte di Giustizia europea che chiede ai giudici di valutare se davvero “i paesi sicuri” ove inviare i migranti siano “sicuri davvero” e che stabilisce, in posizione critica col governo Meloni, che “se un paese non è sicuro per qualcuno non lo è per nessuno”?
Le decisioni del governo di aumentare per decreto-legge l’area dei lavoratori migranti e semplificare l’iter per i permessi di soggiorno provengono direttamente dagli ordini delle imprese, del capitale industriale, dei padroni delle terre e dei gestori delle reti del “welfare oscuro”, privato e spesso, ormai, semiclandestino. Pressioni sul governo che hanno spinto, alla fine di giugno 2025, Palazzo Ghigi ad emettere una nota di questo tipo: “la manodopera dei migranti si è fatta indispensabile”, aggiungendo – per riconciliarsi con la propria linea tradizionalmente conservatrice e reazionaria e trovare una “ratio” nella contraddizione – che “il provvedimento licenziato dall’Esecutivo è anche uno strumento per contrastare gli irregolari”.
Ma il punto è che, nella cornice politico-ideologica strutturata e mediaticamente imposta da Fratelli d’Italia e dalla Lega, negli ultimi tempi la percentuale di migranti che hanno ottenuto il permesso di soggiorno è stata ben inferiore rispetto alle quote fissate e rispetto alle esigenze produttive delle imprese e ciò ha messo le stesse in grande allarme e da ciò la richiesta al governo di provvedere alla forza-lavoro immigrata necessaria per stabilizzare e sviluppare la produzione ed il profitto. Richiesta fatta propria dal governo per non inimicarsi il capitale.
E’ stata, difatti, la Confindustria, specie quella del nord-est d’Italia, a richiedere pressantemente al governo Meloni, nel 2024 e più volte, più forza-lavoro immigrata; è stata la Coldiretti, i suoi imprenditori, piccole e più grandi, ad alzare più volte la voce, in cerca di manodopera immigrata per i campi, al fine, soprattutto, di ottenere la quota dei 50mila circa lavoratori stagionali, ed è stata la Confagricoltura a lamentarsi pesantemente, anche dopo il “Decreto flussi” varato nel giugno 2025, per “l’ancora inferiore quota di lavoratori migranti stagionali individuata per il settore”, e tutto ciò pensando, peraltro, che il comparto nel quale si rileva la più alta concentrazione di lavoratori immigrati è proprio l’agricoltura , col 40,8% del totale della forza-lavoro nel settore.
Il parziale cedimento del governo Meloni rispetto alla propria linea oltranzista del “no all’immigrazione”, oltreché dalla richiesta di forza-lavoro avanzata dal capitale, è stata data dal cambiamento, vero e tutto materiale, della “questione degli immigrati irregolari in Italia”, questione sulla quale ha costruito la propria narrazione, reazionaria quanto mendace, la destra, sia governativa che estrema. Al 1° gennaio 2024, infatti (dati forniti dalla Fondazione Ismu nel suo “Rapporto sulle migrazioni” del 2024) gli immigrati irregolari in Italia sono stimati in circa 321.000 unità, rappresentando il 5,6% del totale degli stranieri presenti nel Paese. Questa cifra indica un calo significativo rispetto agli anni precedenti, continuando un trend discendente iniziato nel 2019. Si è registrato, cioè, un calo di 137.000 unità rispetto all’anno precedente (458.000 irregolari al 1° gennaio 2023) e il calo è stato determinato da vari fattori, tra i quali la paura, tra gli immigrati e i potenziali immigrati, disseminata a piene mani dalle minacce governative e dall’ideologia razzista delle destre nel senso comune di massa e una diminuzione degli ingressi irregolari attraverso le frontiere dell’Ue.
Ma, naturalmente, è stata la volontà del capitale, la sua esigenza materiale (la borghesia è razzista o antirazzista solo e quasi sempre in relazione al proprio profitto) a subordinare a sé il governo Meloni e piegarne, per ora, “la resistenza ideologica anti immigrati”, costringendolo al decreto dello scorso 3 ottobre, col quale si dà (seppur ancora in modo molto parziale e insufficiente rispetto al vigente mercato del lavoro) risposta positiva alla richiesta di forza-lavoro immigrata avanzata dallo stesso capitale.
Nel settore italiano costruzioni sono impiegati circa 358 mila lavoratori stranieri, pari al 16,4% del totale degli occupati nel settore, come evidenziato dal XIV Rapporto “Gli stranieri nel mercato del lavoro” del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (MLPS), ma nonostante ciò, anche in virtù del fatto che i giovani lavoratori italiani sono, sinora, poco propensi a lavorare nell’edilizia e in relazione al fatto che le condizioni di lavoro sono, nel settore costruzioni, spesso particolarmente dure e rischiose (questione che chiama i comunisti e le forze sindacali di classe ad una più attenta e dura lotta di classe nello stesso settore edilizio generale), la richiesta di forza-lavoro immigrata del settore costruzioni è in costante ascesa e la risposta che dà il decreto legge 146/2025 è ancora largamente insufficiente.
Nel settore del “commercio e riparazioni” i lavoratori immigrati rappresentano il 14,2% del totale della forza-lavoro. Anche in questo caso, anche in questo settore, una presenza rilevante.
Nel settore alberghiero e della ristorazione, secondo dati del Ministero del Lavoro riferiti al XIV Rapporto “Gli stranieri nel mercato del lavoro”, il numero di lavoratori stranieri rappresenta il 17,4% della totalità degli occupati, con una loro presenza molto più marcata nel Nord Italia, dove essi rappresentano il 41% del totale della forza-lavoro.
Il settore metalmeccanico italiano, e quello manifatturiero in generale, includono quasi 400mila lavoratori stranieri, secondo “Openopolis”, e la richiesta, in queste aree della produzione, di lavoratori immigrati, è in crescita, soprattutto nelle regioni del Nord Italia, dove si manifestano maggiori difficoltà nel reperire forza-lavoro per questi settori produttivi.
Per ciò che riguarda i lavori domestici, secondo i dati Inps, nel 2024, nel nostro Paese, risultavano regolarmente assunti circa 817.403 lavoratrici/lavoratori (colf e badanti), ma una stima del 2025 di “Spazio50” indica che l’intero bacino di lavoratori domestici (inclusi quelli irregolari) potrebbe giungere a circa 1,86 milioni, con ben il 51,8% in nero. Le immigrate e gli immigrati costituiscono già ora circa il 70% dei lavoratori domestici, rappresentando, dunque, la vasta maggioranza del settore e poiché tale fenomeno è, in buona parte, una risposta (certamente non in linea con la civiltà di un Paese) alla drammatica crisi e privatizzazione della Sanità pubblica e del welfare italiano, possiamo essere certi che esso si allargherà a dismisura nei prossimi anni, se non verrà messa in campo una trasformazione sociale che ricollochi il welfare pubblico al centro del progetto.
Nel 2023, secondo l’Osservatorio Inps, i lavoratori immigrati in Italia erano (tra comunitari e non comunitari) circa 3,8 milioni, quasi l’11% della forza-lavoro totale ed essi, nell’anno 2024, hanno versato nelle casse dell’Inps, per sostenere il sistema pensionistico generale, circa 11 miliardi di euro.
L’Occidente è già entrato in un declino demografico che, per gli studiosi, continuerà per tutto il resto del secolo. Il vertiginoso calo della natalità in questa, nostra, parte del mondo non ha ancora cause storiche, sociali e culturali strutturalmente definite ed esse, peraltro (fattori economici come l’insicurezza lavorativa e del welfare, l’alto costo dei figli, l’emancipazione femminile con l’aumento dell’istruzione e la difficile conciliazione tra lavoro e maternità, il cambiamento dei valori sociali verso l’autorealizzazione individuale ecc.) sono, alla radice, sia negative (le cause economiche) che positive (la liberazione femminile), ma certo è che, nel loro insieme, pongono il rilevante problema della riproduzione degli assetti sociali su basi produttive collettive (questione in sé rivoluzionaria, poiché pone all’ordine del giorno della storia, ancor più nettamente, l’esigenza del superamento dei rapporti di produzione capitalisti). Ma il problema c’è ed è ben rilevabile da questi, anche se sintetici, dati: in Italia, al 1° gennaio 2024, i giovani nella fascia d’età tra i 15 e i 34 anni erano circa 10 milioni, con una diminuzione di quasi 750mila unità rispetto al 2014 e, ancora: nel 2004 gli occupati italiani tra i 15 e i 34 anni erano 7.632.000, scesi a 5.467.000 nel 2024, con una perdita, in vent’anni, di 2.165.000 di occupati (dati Istat).
Rispetto alla caduta della natalità, alla sempre più forte restrizione delle fasce d’età giovanili, al (felice) allungamento della vita media e al cambiamento culturale di massa (ben più volto alla liberazione individuale, anche dal lavoro, specie dal lavoro pesante e alienante), chi lavorerà? Chi produrrà ricchezza sociale e welfare? È chiaro che, sul piano più strutturale e rivoluzionario, si porrà il problema (anche di fronte all’informatizzazione generale e all’applicazione su vasta scala dell’Intelligenza Artificiale nei processi produttivi) della riduzione secca dell’orario di lavoro, come forma di ampliamento dell’area dell’occupazione e come liberazione stessa dal lavoro. Ma è anche chiaro che, nelle nuove condizioni storiche generali, il contributo della forza-lavoro proveniente dalle immigrazioni sarà tanto decisiva quanto positiva.
E per i comunisti, per le forze rivoluzionarie e della trasformazione sociale, decisiva sarà la lotta contro il razzismo (fenomeno non solo orrendo in sé, ma anche ostacolante della tenuta del welfare generale attraverso la negazione del contributo allo stesso stato sociale della forza-lavoro immigrata) e per la costruzione, attraverso la lotta di classe anticapitalista comune, dell’unità rivoluzionaria tra proletariato “bianco” e “nero”.
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