
Alla tensione con Pechino provocata dalla politica dei dazi di Washington si aggiunge quella generata dall’aggressività in politica estera del nuovo primo ministro giapponese, Sanae Takaichi, esponente dell’ala più conservatrice e nazionalista del Partito Liberale Democratico, la formazione di destra al governo a Tokio.
Le minacce della “lady di ferro”
La prima premier donna giapponese della storia, insediatasi il 21 ottobre scorso dopo le dimissioni del moderato Shigeru Ishiba, ha immediatamente inasprito le relazioni con la Repubblica Popolare sostenendo una politica estera orientata a “contenere” l’egemonia di Pechino in Asia e allineata con le direttive del governo statunitense.
L’elemento scatenante sono state le dichiarazioni di Takaichi della scorsa settimana. Il 7 novembre infatti la presidente del governo nipponico ha affermato in parlamento che un eventuale attacco cinese a Taiwan, isola che Pechino considera parte del suo territorio nazionale (separatosi dalla madrepatria con il sostegno di Washington nel 1949, dopo la sconfitta delle correnti nazionaliste di destra da parte dei comunisti di Mao), potrebbe scatenare una crisi che «costituirebbe una minaccia esistenziale per il Giappone» che giustificherebbe l’intervento militare delle “Forze di autodifesa” giapponesi a sostegno di Taipei.
Poco prima di essere nominata, Takaichi si è recata sull’isola ed ha proposto una sorta di “alleanza si sicurezza” al presidente Lai Ching-te, considerato da Pechino un “secessionista radicale”. I nazionalisti giapponesi affermano che se la Cina dovesse riprendersi Taiwan, Pechino potrebbe isolare il Giappone dal resto del continente, soprattutto per quanto riguarda i corridoi energetici e commerciali.
All’inizio della scorsa settimana Takaichi ha ribadito il suo pensiero, spiegando che l’intervento giapponese in un potenziale conflitto in Estremo Oriente per il controllo di Taiwan si baserebbe sul principio della “autodifesa collettiva”. Una “autodifesa” che la “lady di ferro” giapponese intende rapidamente potenziare, investendo ingenti somme per rafforzare ulteriormente l’esercito del paese che, nonostante l’eufemistica formulazione imposta a Tokyo dalle potenze vincitrici della Seconda Guerra Mondiale e in particolare dagli Stati Uniti, negli ultimi anni è stato già trasformato in una delle forze armate più moderne e potenti dell’Asia.
Le dichiarazioni della 64enne continuatrice delle politiche militariste e nazionaliste che contraddistinsero il mandato del suo mentore Shinzo Abe – assassinato nel luglio del 2022 – hanno provocato la crisi con la Cina peggiore degli ultimi anni.
Corsa al riarmo
Anche perché le minacce di Takaichi si accompagnano a misure concrete, come la decisione di rendere permanente, da parte di Tokyo, il dispiegamento del sistema missilistico statunitense Typh che, annunciato a settembre, aveva già suscitato le proteste di Cina, Russia e Corea del Nord. Si tratta di un sistema dotato di missili antiaerei a lungo raggio Standard SM-6 ma anche di missili a lungo raggio Tomahawk, che hanno una gittata media di 1600 km.
Il notevole raggio d’azione è stato giustificato con la necessità di dotare la Marina giapponese della possibilità di colpire le navi da guerra cinesi impegnate in un eventuale attacco a Taiwan, ma ovviamente anche le coste cinesi e russe.
Dopo le minacce di Donald Trump di riprendere i test nucleari e le simmetriche reazioni di Pechino e Mosca, gli ambienti più militaristi della destra giapponese sono tornate a chiedere che Tokyo si doti di un proprio arsenale nucleare. Durante la campagna per la scelta della leadership del PLD del 2024, Takaichi aveva già suggerito che il Giappone debba consentire l’installazione di armi nucleari statunitensi sul proprio territorio.
La reazione cinese
Le dichiarazioni e i passi annunciati o compiuti dal nuovo governo giapponese hanno inasprito i rapporti con la Cina proprio mentre si celebrano gli 80 anni della sconfitta del Sol Levante nella Seconda Guerra Mondiale, con Pechino che pone l’accento sui crimini compiuti dalle truppe di occupazione giapponesi dagli anni ’30 fino alla sconfitta del 1945.
La reazione cinese alle affermazioni di Sanae Takaichi è stata immediata e dura. Un portavoce del governo di Pechino ha affermato che il suo governo «schiaccerà con decisione tutti i tentativi di interferire o bloccare gli sforzi di riunificazione della Cina».
I media cinesi hanno iniziato a diffondere i video delle visite effettuate dalla leader ultranazionalista nel tempio di Yasukuni, dove sono sepolti alcuni dei principali criminali di guerra giapponesi, e a riproporre un vecchio filmato degli anni Novanta nel quale criticava l’allora premier Tomiichi Murayama per aver deciso di porgere le sue scuse ai paesi devastati dal colonialismo giapponese.
Intanto il ministero degli Esteri della Repubblica Popolare ha convocato l’ambasciatore nipponico, accusando Takaichi di interferenza negli affari interni del paese mentre i media hanno accusato la premier giapponese di “provocazione deliberata” e di “arroganza militarista”, oltre che di voler riportare in auge il passato imperialista del Sol Levante, di cui la premier liberaldemocratica propone una visione revisionista ed edulcorata.
Il console cinese a Osaka, il falco Xue Jian, ha scritto in un post su X (poi rimosso) che «la testa schifosa che si è esposta di sua iniziativa dovrà essere decapitata senza esitazione».
Venerdì Pechino ha poi sconsigliato ai propri cittadini di recarsi in Giappone a causa di un presunto “deterioramento delle condizioni di sicurezza”, ed ha anche invitato gli studenti cinesi a “valutare attentamente i rischi” prima di trasferirsi o di decidere di rimanere nel paese, con le compagnie aeree della Repubblica Popolare che offrono rimborsi totali ai passeggeri che decidano di rinunciare al loro viaggio a Tokyo.
La mossa ha creato forti preoccupazioni in Giappone a causa dei consistenti legami economici con la Cina, soprattutto nella filiera turistica che teme un crollo dei flussi dei visitatori provenienti dal gigante asiatico. Lo scorso anno in Giappone erano registrati 120.000 studenti cinesi e più di 6,7 milioni di turisti cinesi hanno visitato il Paese nei primi otto mesi del 2025.
Tra l’altro la situazione economica del paese non sembra affatto buona: nel terzo trimestre di quest’anno, infatti, il PIL nipponico è calato dell’1,8% su base annua soprattutto a causa del tonfo delle esportazioni verso gli Stati Uniti, gravate dai dazi imposti da Trump.
La tensione diplomatica si è trasferita anche sul piano militare, con la Guardia Costiera cinese che ha intensificato i pattugliamenti delle isole Senkaku, controllate dal Giappone ma rivendicate da Pechino che le chiama Diaoyu. Da ieri fino a mercoledì inoltre la Cina condurrà delle esercitazioni militari su larga scala a poca distanza da Taiwan. Da parte sua Tokyo ha inviato i caccia a sorvolare le aree contese dopo aver avvistato un drone cinese, mentre alcuni media hanno informato che la Repubblica Popolare è a buon punto nella costruzione della sua quarta portaerei nel cantiere navale di Dalian, con la pubblicazione di nuove immagini che suggeriscono che la nave da guerra sarà a propulsione nucleare.
I sondaggi danno ragione alla premier
Intanto però i sondaggi realizzati in Giappone sembrano sostenere le dichiarazioni di Takaichi. Una rilevazione condotta dall’agenzia di stampa Kyodo afferma che il 48,8% degli intervistati si dichiara favorevole all’esercizio del diritto di “autodifesa collettiva” a fianco degli Stati Uniti contro la Cina in caso di attacco a Taiwan. Addirittura il 60,4% dei giapponesi sostiene i piani predisposti da Takaichi per aumentare le spese militari al 2% del PIL già a marzo del 2026, con due anni di anticipo rispetto ai piani. Secondo il sondaggio pubblicato domenica, il tasso di approvazione del governo sarebbe addirittura del 69,9%, con un aumento del 5,5% rispetto ad ottobre.
Eppure non solo le opposizioni di centrosinistra e sinistra, ma anche le correnti più moderate del Partito Liberale Democratico criticano l’abbandono da parte della “lady di ferro” della tradizionale “ambiguità strategica” del Giappone sulla vicenda di Taiwan che ha sempre schierato Tokyo dalla parte dell’isola ribelle ma senza mai preventivare il coinvolgimento in un eventuale conflitto.
Nel tentativo di abbassare la tensione ieri Masaaki Kanai, funzionario del ministero degli Esteri giapponese responsabile per gli affari dell’Asia e dell’Oceania, è arrivato nella capitale cinese per incontrare il suo omologo, Liu Jinsong.
Ma il premier cinese Li Qiang ha informato di aver escluso la possibilità di incontrare la sua omologa a margine del summit del G20 che si terrà nei prossimi giorni in Brasile. Takaichi ha chiarito che non intende smentire le proprie dichiarazioni degli ultimi giorni anche se ha lasciato intendere che non le ribadirà più esplicitamente. Pagine Esteri
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