Da: https://futurasocieta.org - dal Canale YouTube Frases de Marx traduzione a cura di Alessandra Ciattini - Damian Sasson docente Università di Congreso Mendoza argentina. Curatore dei 2 canali YouTube Frases de Marx e Sociología para Entender la Sociedad.
In questo breve saggio Damián Sasson analizza l’attuale fase capitalistica in Argentina, che vede il predominio del capitale finanziario, sostenuto dallo Stato, il quale si indebita constantemente comprando dollari per favorire la speculazione borsistica e imponendo severe misure di austerità alla popolazione. L’autore sviluppa anche un’interessante analisi del concetto di Bonapartismo forgiato da Marx, indivuando una serie di tratti comuni alla política di Luigi Napoleone e quella di leader quali Trump, Milei, Bolsonaro.
Il fantasma che ritorna
Gli ultimi anni hanno generato un fenomeno inquietante nella politica mondiale: l’emergere quasi simultaneo di leader che promettono di distruggere l’establishment consolidando al contempo il potere del capitale più concentrato. Javier Milei in Argentina, Donald Trump negli Stati Uniti, Jair Bolsonaro in Brasile. Ognuno con la propria retorica, ma seguendo un copione che Marx ha identificato più di 170 anni fa: il Bonapartismo.
Questo schema non è casuale. È la manifestazione di una logica storica che emerge quando il capitalismo entra in una crisi sistemica e le forme tradizionali di dominio non riescono più a contenere le contraddizioni sociali. Per comprendere cosa sta accadendo in Argentina e in America Latina, dobbiamo tornare all’analisi che Marx ha sviluppato nella sua opera Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte. Il Bonapartismo come forma di dominio borghese.
Marx osservò come nella Francia del 1851 un mediocre nipote di Napoleone divenne imperatore, promettendo di rappresentare “tutto il popolo”. Nel 2025 lo scenario si ripete con sorprendente precisione. Milei sale al potere promettendo di distruggere “la casta”, “ripulire la palude” e di essere il “capitano” salvatore che riscatterà l’Argentina dalla casta politica corrotta.
Ma qui sta la chiave dell’analisi marxista: questo fenomeno non si verifica casualmente, ma in momenti ben precisi. Come spiega Marx, il bonapartismo è una forma specifica di dominio borghese che emerge quando le forme tradizionali di governo – parlamentarismo, partiti d’ordine – entrano in crisi totale e non riescono più a contenere le contraddizioni sociali.
Cosa significa questo in termini concreti? Significa che la borghesia continua a governare, ma deve farlo attraverso una figura che appare “al di sopra” delle classi. Quando nessuna frazione della borghesia riesce a imporre la propria egemonia sulle altre, e quando il proletariato non ha ancora la forza sufficiente per rovesciare il sistema, in questo equilibrio instabile emerge la figura dell'”uomo forte”.
Bonaparte ha caratteristiche ben definite. Si presenta come colui che “metterà ordine nel Paese”, usa un linguaggio “popolare”, ma attua politiche che favoriscono il capitale più concentrato e fa affidamento su settori sociali frammentati.
Chi sostiene Milei? Esattamente i settori che Marx identificava come vulnerabili al Bonapartismo: classi medie e basse impoverite da decenni di crisi. Sono attratti dal Bonapartismo i giovani senza prospettive che trovano uno spazio di identificazione nei social media, i lavoratori precari che non possono organizzarsi collettivamente e piccoli imprenditori soffocati dall’inflazione
Questi settori sono frammentati, precari e divisi. Non possono organizzarsi come classe. Quindi ripongono le loro speranze nell'”uomo forte” che promette soluzioni magiche. Cercano un protettore individuale di fronte alla crisi. Questo è esattamente ciò che Marx descriveva con i piccoli agricoltori francesi: privi della capacità di azione collettiva, diventano una massa plasmabile per qualsiasi progetto autoritario.
È qui che l’analisi diventa rivelatrice. Milei si presenta come un libertario, come il nemico della “casta politica”. Ma cosa fa in pratica?
Governa con Scioli, Bullrich e molti dei soliti vecchi politici. Esattamente la “casta” che diceva di combattere. Interviene nella contrattazione collettiva quando gli fa comodo. Promette di “ridurre lo Stato”, ma crea nuove nomine per amici e familiari. Parla di “meritocrazia”, ma colloca conoscenti e amici in posizioni chiave.
Questa contraddizione non è un’incoerenza. È l’essenza del Bonapartismo: usare la retorica anti-establishment per ottenere il sostegno popolare, ma in realtà servire gli interessi dello stesso establishment a vantaggio del capitale concentrato in poche mani.
E cos’è esattamente questo capitale e come funziona? È Il capitale finanziario. Il meccanismo è quello chiamato “carry trade”: gli speculatori portano i dollari, li depositano in depositi a termine in pesos, approfittando di tassi alle stelle. E poiché Milei mantiene il dollaro “stabile”, quando il ciclo finisce, ritirano i pesos, acquistano dollari e ottengono rendimenti incredibili. Nel frattempo salari e spesa sociale diminuiscono. In altre parole, i settori che hanno votato per Milei, aspettandosi un cambiamento, in realtà subiscono maggiore precarietà, più misure di austerità e sono danneggiati da una maggiore concentrazione della ricchezza.
Ma Milei presenta ogni suo fallimento come prodotto della “resistenza” dell’establishment. Se le politiche non funzionano, non è perché sono utili per il capitale. È perché i “nemici del cambiamento” le sabotano. Questo meccanismo è quello che Marx ha identificato più di 170 anni fa: dividere i settori popolari, offrire loro un riconoscimento simbolico mentre, li sfrutta materialmente, presentando gli interessi del capitale come se fossero gli interessi della “patria”.
Trump fa esattamente la stessa cosa: promette “l’America First”, ma abbassa le tasse alle aziende. Bolsonaro ha promesso “Dio, patria, famiglia”, ma ha implementato una flessibilizzazione del lavoro che distrugge le famiglie dei lavoratori.
È lo stesso copione, applicato in contesti diversi. E questo suggerisce che non abbiamo a che fare con leader incoenti, ma con forme politiche che rispondono alle esigenze specifiche del capitalismo nella sua fase attuale.
Il Bonapartismo nell’era del capitalismo monopolistico
Per capire perché il Bonapartismo stia riemergendo così fortemente oggi, dobbiamo aggiornare l’analisi marxista alle condizioni del capitalismo monopolistico contemporaneo. Il pensatore marxista Nicos Poulantzas ha sviluppato un’analisi cruciale: nel capitalismo monopolistico lo Stato deve svolgere una funzione completamente nuova.
Non può più limitarsi alla repressione. Deve organizzare attivamente il consenso delle classi subalterne. Questo gli conferisce una “relativa autonomia” che consente forme di dominio molto più sofisticate rispetto ai tempi di Marx. Il bonapartista moderno sfrutta questa autonomia per presentarsi come arbitro “neutrale” tra le classi. Ma la sua neutralità è falsa. Quando Milei afferma che “ordinerà” l’economia “al di là degli interessi settoriali”, in realtà sta riorganizzando l’equilibrio di potere a favore del capitale finanziario internazionale. La sua apparente indipendenza è la condizione della sua reale dipendenza.
Questa autonomia consente qualcosa che il Bonaparte del 1851 non poteva fare: disciplinare le frazioni “arretrate” della classe dirigente stessa. Milei può confrontarsi con imprenditori “prebendari”, politici “corrotti” e sindacati “privilegiati”, non perché sia anti-sistema, ma perché rappresenta la frazione più concentrata e transnazionalizzata del capitale, che deve eliminare gli ostacoli alla propria accumulazione.
In Argentina questo significa smantellare le forme di capitalismo “prebendarie” esistenti sotto i governi precedenti, distruggere i sindacati che hanno preso il potere durante il kirchnerismo ed eliminare le normative che limitavano la libertà di movimento del capitale finanziario. Internamente Milei combatte contro i settori borghesi “meno moderni” a favore del settore finanziario più cosmopolita.
Poulantzas ha anche individuato un aspetto cruciale per comprendere la base sociale del progetto: all’interno del capitalismo monopolistico emergono nuove classi medie salariate – tecnici, professionisti, impiegati specializzati – che vivono una contraddizione specifica. Sono oggettivamente lavoratori, ma soggettivamente si identificano con valori piccolo-borghesi.
Il bonapartista impiega proprio questa contraddizione. Milei promette il “vero capitalismo” – senza “distorsioni” statali, senza “privilegi” sindacali, senza “benefit” aziendali. Dice loro che non sono vittime del capitalismo, ma vittime del “falso capitalismo”, della casta politica che impedisce che i loro meriti vengano premiati.
Non offre loro sicurezza collettiva. Promette loro che il “libero capitalismo” darà loro le opportunità individuali che lo Stato nega loro. È l’ideologia perfetta per i settori che aspirano all’avanzamento sociale, ma che vengono oggettivamente proletarizzati dalla concentrazione monopolistica. È l’inganno perfetto perché tocca una verità reale – la meritocrazia viene distrutta – ma offre una falsa soluzione: non è il capitale a distruggere la meritocrazia, ma la “casta corrotta”.
La disputa interimperialista sull’America Latina
Ora dobbiamobbiamo approfondire l’analisi. Non possiamo capire perché gli Stati Uniti sostengano economicamente Milei, se guardiamo solo alla politica argentina. Dobbiamo considerare la disputa imperialista che sta dietro a tutto questo.
La Cina è oggi il principale partner commerciale di Brasile, Perù, Cile e Uruguay. Pechino ha soppiantato Washington nella regione senza sparare un colpo. Come? Acquistando materie prime a lungo termine, finanziando infrastrutture senza condizioni politiche immediate, investendo in progetti che impiegano decenni per produrre profitti.
Il capitalismo cinese può farlo perché il suo sistema finanziario è subordinato allo Stato. Può ancorare il capitale per vent’anni in un porto, una diga o una rete ferroviaria, senza che Wall Street esiga dividendi trimestrali.
Il capitalismo statunitense non può. Il suo capitale è finanziario, non produttivo. Ha bisogno di mobilità, liquidità, rapidità di entrata e uscita prima della prossima crisi. Non può competere costruendo infrastrutture per trent’anni. Ecco perché Brasile, Perù e Cile hanno perso.
L’Argentina sotto la guida di Milei sta attuando un cambiamento geopolitico che gli Stati Uniti devono consolidare. Milei ha annullato il suo ingresso nei BRICS, ha dichiarato il suo allineamento con Washington, ma mantiene lo swap (prestito) da 18 miliardi di dollari con la Cina – di cui 5 miliardi attivati – perché le riserve della Banca Centrale ne hanno disperatamente bisogno.
Ora gli Stati Uniti si offrono di sostituirlo con uno swap da 20 miliardi di dollari. Ma non si tratta di aiuti gratuiti. La contropartita è chiara. Accesso prioritario al litio argentino attraverso il RIGI (Regime di Incentivi ai Grandi Investimenti), controllo sui giacimenti di rame appena riaperti dall’Argentina e definitiva rimozione della Cina dall’accesso alle risorse strategiche del Paese.
Il 10 ottobre 2025, Scott Bessent, Segretario del Tesoro degli Stati Uniti, ha fatto qualcosa di storicamente senza precedenti: il Tesoro statunitense è intervenuto direttamente acquistando pesos argentini. Tra i 100 e i 200 milioni di dollari in un solo giorno, dieci giorni prima delle elezioni di medio termine.
Perché questo è così significativo? Perché l’Argentina non è un mercato rilevante per gli Stati Uniti. Il commercio bilaterale è marginale. Non ci sono ingenti investimenti strategici paragonabili a quelli con il Messico o con il Brasile. Allora perché il Tesoro yankee sta rischiando la propria credibilità in un’operazione che tutti sanno essere insostenibile oltre il breve termine?
Perché l’Argentina non è importante per la sua economía, è importante principalmente per la sua posizione nella disputa tra le due potenze per il controllo del Sud America. L’intervento rivela la contraddizione centrale del progetto imperiale di Trump in America Latina: ha bisogno che il capitale torni nella regione, ma non può forzarlo senza sovvenzionare tale operazione con fondi pubblici. E ogni sussidio, ogni intervento straordinario, ogni violazione delle regole del mercato dimostra che non può più dominare con mezzi puramente economici.
Se gli Stati Uniti potessero competere economicamente con la Cina in America Latina, non avrebbero bisogno che il Segretario del Tesoro acquistasse pesos sul mercato di Buenos Aires per sostenere un alleato fino alle elezioni. L’intervento di Bessent non è una dimostrazione di forza. È una dimostrazione di disperazione.
Il progetto dell’Internazionale reazionaria
Ma l’intervento di Bessent non può essere spiegato solo dalla disputa con la Cina. Esiste una seconda dimensione, inscindibile dalla prima: il progetto politico dell’Internazionale reazionaria.
Il capitalismo globale si trova di fronte a una contraddizione strutturale che si sta acuendo dal 2008. Il tasso di profitto sul capitale produttivo è stagnante o in calo nei centri imperiali occidentali. Il capitale risponde spostandosi massicciamente verso la sfera finanziaria, cercando la valorizzazione attraverso la speculazione, il debito e le attività finanziarie.
Ma questo spostamento crea una contraddizione: il capitale finanziario ha bisogno di estrarre valore dall’economia reale, ma l’economia reale non produce abbastanza plusvalore per sostenere la massa di capitale fittizio accumulata. I debiti crescono più velocemente della capacità di pagarli.
Qual è la via d’uscita? Intensificare lo sfruttamento. Ridurre drasticamente il costo del lavoro. Eliminare tutte le barriere istituzionali che limitano l’estrazione di plusvalore. Trasferire massicciamente la ricchezza dai settori popolari al capitale.
Ma le democrazie liberali borghesi dispongono di mediazioni: sindacati, contrattazione collettiva, legislazione del lavoro, stati sociali residui. Istituzioni che, pur non sfidando il capitalismo, ne limitano la velocità di estrazione.
I reazionari risolvono questo problema. Non amministrano il capitalismo. Lo rifondano eliminando le mediazioni. Milei non ha negoziato con i sindacati. Li ha ignorati. Non ha stretto accordi con i governatori. Li ha sottomessi. Ha mancato di rispetto alle istituzioni. Le ha distrutte. In meno di due anni, ha attuato un trasferimento di reddito dal lavoro al capitale che governi molto meno reazionari avrebbero impiegato un decennio per realizzare.
Nel dicembre 2024, Milei ha dichiarato che la sua Internazionale reazionaria era già operante, formata da Trump, Giorgia Meloni, Nayib Bukele e Benjamin Netanyahu. Questa non è retorica. Si trata di un progetto politico concreto che ha il suo laboratorio più avanzato in Argentina.
Perché? Perché l’Argentina diventa il banco di prova per una domanda cruciale: può un governo reazionario attuare gli aggiustamenti di cui il capitale finanziario ha bisogno e sopravvivere elettoralmente?
Se la risposta è sì, il modello viene replicato. Diamo un’occhiata al calendario elettorale: il Cile elegge un presidente il 16 novembre 2025 con José Antonio Kast, il candidato reazionario, in lizza per la leadership. La Colombia vota nel 2026. Il Brasile vota nel 2026. Il Perù vota nel 2026. L’intera regione entra in un ciclo elettorale segnato da frammentazione partitica, estrema polarizzazione e dall’emergere della retorica trumpista.
Ecco la scommessa di Washington: se Milei sopravvive elettoralmente, se porta avanti il suo programma senza essere sconfitto, diventa il modello per Kast, per i reazionari colombiani, per il bolsonarismo brasiliano.
Ma se Milei fallisce, se perde le elezioni legislative e il suo progetto si indebolisce, si complica notevolmente la vittoria di coloro che promettono di replicare il suo modello. Kast non può promettere un aggiustamento strutturale in stile Milei se quello di Milei è appena stato sconfitto elettoralmente. Il modello diventa invendibile. La sconfitta di Milei prima delle elezioni cilene, colombiane e brasiliane influisce sull’esito delle elezioni, condizionando la praticabilità elettorale dell’intera strategia reazionaria nella regione.
Ecco perché Bessent è intervenuto il 10 ottobre 2025. Non per l’Argentina. Per l’intero progetto politico dei reazionari in America Latina.
Conclusione: Le contraddizioni che generano resistenza
L’intervento del 10 ottobre rivela un paradosso fondamentale: se l’imperialismo statunitense fosse forte, non avrebbe bisogno di infrangere le proprie regole. Se il progetto reazionario fosse praticabile, non avrebbe bisogno di essere sostenuto artificialmente con fondi esteri.
Stiamo vivendo quello che il pensatore marxista Antonio Gramsci chiamava un “interregno”: quel periodo storico in cui il vecchio deve ancora morire del tutto e il nuovo deve ancora nascere. In questi interregni emerge un fenomeno particolare: quando le egemonie si fratturano, quando i centri di potere competono tra loro, quando i progetti politici devono essere sostenuti artificialmente perché non possono più essere riprodotti per consenso, è allora che le persone hanno i maggiori margini per costruire alternative. Marx scrisse che “Le rivoluzioni borghesi, come quelle del XVIII secolo, avanzano rapidamente di successo in successo; i loro effetti drammatici si sovrappongono; uomini e cose sembrano illuminati da bengala; l’estasi è lo stato permanente; ma sono di breve durata… Le rivoluzioni proletarie, d’altra parte, si criticano costantemente […] finché non si crea una situazione che rende impossibile qualsiasi ritirata”. La forma reazionaria, che la controrivoluzione del capitale assume quando non può più avanzare per consenso, costituisce la reazione violenta contro i limiti che le classi lavoratrici e il popolo hanno imposto all’accumulazione capitalistica.
Ma ecco la lezione storica che il capitale dimentica sempre: lo sfruttamento genera resistenza. Non perché i lavoratori siano moralmente superiori, ma perché la contraddizione tra capitale e lavoro è oggettiva, inscritta nei rapporti materiali di produzione stessi.
L’Argentina non ha scelto di essere il laboratorio del conflitto interimperialista. Non ha scelto di essere il banco di prova del progetto politico reazionario globale. Ma è proprio questa posizione che conferisce ai lavoratori argentini una responsabilità storica che trascende i confini nazionali. Ciò che verrà deciso in Argentina nei prossimi mesi determinerà la fattibilità del progetto reazionario per tutta l’America Latina. Determinerà se gli Stati Uniti riusciranno a riconquistare la regione attraverso governi autoritari reazionari che implementeranno brutali misure di austerità. Determinerà se sarà possibile sostenere politicamente il tipo di sfruttamento intensificato di cui il capitale finanziario in crisi ha bisogno per sopravvivere.
In definitiva, come sottolineava Marx: la storia non è scritta dai segretari del Tesoro che intervengono sui mercati esteri. È scritta dai lavoratori quando si organizzano per spezzare le catene che li opprimono. Bessent può avere centinaia di milioni di dollari per comprare pesos. Ma nessuna somma di dollari può fermare la forza storica di milioni di persone che decidono di non essere più il laboratorio di nessuno.
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