giovedì 3 luglio 2025

"contro le due destre" - Moni Ovadia

Da: Lavinia Marchetti - Moni Ovadia, Salomone Ovadia detto Moni, è un attore, cantante e scrittore italiano di origine bulgara. (moniovadia)

Leggi anche: IL VELO E LA BOMBA - Lavinia Marchetti 


Questa è la mia trascrizione di un discorso di Moni Ovadia, in un convegno al senato del 28 Maggio 2025 per la presentazione del libro "contro le due destre". Non ha detto chissà cosa, ma quello che ha detto non lo dice nessuno che abbia anche solo un minimo di rappresentanza. Che l'opposizione in Italia non esista ce ne eravamo accorti da molto tempo, e allora, per questo, è bello che un 80enne, in senato, ricordi i nostri valori e ristabilisca un principio di realtà. (Lavinia Marchetti)

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"Sono un militante. Lo sono dall’età di 14 anni. Non mi sono mai voluto occupare direttamente di politica, perché mi occupo di cultura, nella forma delle arti scenico-rappresentative. Tuttavia, sono stato un militante molto appassionato. E da un certo punto in avanti, come tanti italiani – tantissimi – mi sono sentito raggirato. 

Per anni ho militato nella sinistra, e poi, da parecchi anni – persino tre decenni – mi sono sentito come un criceto nella ruota. Ogni elezione continuo a girare, ma non succede nulla di nulla. Poi ho capito che nei confronti di noi cittadini veniva perpetrata una truffa. L’elezione era solo una sanzione di parvenza democratica per non cambiare niente. 

Secondo me lo si è capito dal linguaggio che ha cominciato a entrare in circolo. Il linguaggio annuncia le trasformazioni. Quando ho sentito per la prima volta la parola “risorse umane”, ho capito che stavano fottendo i lavoratori. 

Mi è capitato di essere invitato a parlare in contesti sindacali, e siccome io sono gloriosamente un estremista – lo rivendico – l’ho detto anche una volta a quel ciuciolone di David Parenzo. È stata una delle rare volte in cui sono stato invitato in TV. Soprattutto perché vengo considerato un terrorista, un ebreo antisemita. “State attenti, perché lui è un estremista”. Io ho detto a Parenzo, che purtroppo conosco da quando portava ancora i pantaloncini all’inglese: “Grazie per la definizione. Ma chi ha governato questo Paese per 75 anni? I moderati.” 

E guarda dove cazzo siamo finiti. L’Italia è l’unico Paese in cui la parola “moderazione” porta con sé una ferocia dilatoria. Qui siamo molto moderati, per cui la mafia impera, ma guai a fare troppo chiasso.
Anche la parola “divisivo”, d’origine americana: cosa significa? Che non c’è più opposizione, perché se critichi sei divisivo. Ebbene, io sono antifascista. Non posso non essere divisivo. Persino l’ANPI è caduta in questa trappola. 

Ho persino pensato di restituire le mie due tessere dell’ANPI: una con medaglia d’onore, l’altra mia. Stavo già pensando di strapparle, perché io vorrei vedere, il 25 aprile, un corteo che sfili con le bandiere del popolo palestinese. Solo così oggi si fa Resistenza. 

Per me, dunque, è stata una grande boccata d’ossigeno essere coinvolto, pur nei miei limiti. Sono un teatrante, lo ripeto, ma porto il piccolo contributo che posso, perché riesco a raggiungere persone che da anni non militano più, che non votano più, ma che conservano un sentimento. Nella loro amarezza per essere stati raggirati, mantengono ancora un ardore d’indignazione per ciò che stiamo vedendo.
La democrazia – se mai c’è stata – è morta. A mio modesto parere, votare ciclicamente non è democrazia. In fondo, come diceva Gaber, libertà è partecipazione. 

Poi un’altra cosa fondamentale: è stato bandito dal linguaggio – hanno cominciato le destre – il principio più alto che l’umanità abbia mai conquistato, a mio parere, nel suo travagliato e doloroso cammino: il principio dell’uguaglianza. 

Io, come teatrante e un po’ giarratano, mi sono persino permesso di criticare i rivoluzionari francesi, dicendo che commisero un errore: non “liberté, égalité, fraternité”, ma “égalité, liberté, fraternité”. Perché solo fra uomini uguali si può parlare di libertà. Altrimenti, la parola “libertà” diventa l’arbitrio dei ricchi e dei potenti. Infatti, Berlusconi l’amava moltissimo: “Casa della Libertà”, che significava “faccio i cazzi miei, e i poveracci si fottano”. 

Questa iniziativa è un’iniziativa per cui vale la pena rimboccarsi le maniche. Io sono un uomo ormai proprio sul crinale della vecchiaia – l’anno prossimo compirò 80 anni – ma è una battaglia per cui vale la pena combattere. Mettere a menare fendenti – intendo, metaforicamente. Sarà una lotta non facile, perché – come è stato detto – l’informazione è in mano al potere. Anzi, direi che l’informazione non c’è, perché non informano su nulla, tranne che autoreferenzialmente. L’abbiamo visto con la questione della Palestina. 

Per me è stato un dolore terribile. Come ebreo, mi sono sentito pugnalato alla schiena, al cuore, alla gola. I sionisti sono, a mio parere, il più grande fallimento della storia ebraica. Una catastrofe – non solo per i palestinesi, con cui io sto – ma anche per l’ebraismo. 

Il monoteismo ebraico è la prima fonte culturale e spirituale che dichiara l’uguaglianza degli uomini su una base incontrovertibile, perché afferma – parlo del Genesi – che tutti gli uomini discendono da un solo esemplare. I sionisti hanno distrutto il presupposto fondante della Torah ebraica. 

Per questo io considero Netanyahu non una deviazione, ma la vera anima del sionismo. 

Il velato “due popoli due stati” è una truffa sanguinosa. I moderati che dicono che Israele “ha diritto a difendersi” sono complici di questo genocidio, che è stato definito tale dal professor Amos Goldberg, docente di Storia dell’Olocausto presso il Dipartimento di Storia Ebraica dell’Università Ebraica di Gerusalemme. 

E poi, c’è la dolorosa questione dei sopravvissuti alla Shoah, e noi ne siamo stati coinvolti. Io sono un grandissimo amico della senatrice Liliana Segre, che da qualche tempo non frequento più per non crearle problemi. Però mi corre l’obbligo di dire una cosa. 

A Londra, il sopravvissuto Stephen Kapos, deportato ad Auschwitz all’età di sette anni, gira davanti al numero 10 di Downing Street con appeso al collo un cartello: “Stop genocide in Gaza”. E con lui ci sono altri sopravvissuti. Quindi lasciamo fuori la Shoah da questa storia. 

Io, come ebreo, dico che lo sfregio più grande alla Shoah lo hanno fatto i sionisti, facendone uno strumento di aggressione, da sbattere addosso ai galantuomini che difendono i diritti di tutti gli esseri umani su questa terra.  

Grazie." 
Moni Ovadia

mercoledì 2 luglio 2025

«Un genocidio redditizio»: Francesca Albanese denuncia il sistema economico dietro la distruzione israeliana di Gaza

Da: https://pagineesteri.it - Francesca Albanese è una giurista e docente italiana, specializzata in diritto internazionale e diritti umani. Dal 2022 è relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati. 

Vedi anche: Fame e speculazione a Gaza - Chris Hedges intervista Francesca Albanese 

“In Italia si fa disinformazione su Gaza. Rai e La7 non mi vogliono perché accuso Israele di genocidio” - Francesca Albanese a Enrico Mingori (TPI) 

Nel nuovo rapporto presentato oggi all’Onu, Francesca Albanese – relatrice speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani nei Territori palestinesi occupati – accusa apertamente: «Il genocidio a Gaza non si fermerà, perché è redditizio». La giurista italiana, attaccata più volte per la sua fermezza nell’attribuire a Israele responsabilità e crimini gravissimi, alza ulteriormente il livello: il massacro in corso non è solo l’effetto della violenza coloniale, ma anche di interessi economici radicati e strutturati.

Il documento, che segue il precedente rapporto del marzo 2024 (“Anatomia di un genocidio”), propone una lettura più ampia e incisiva del conflitto, legando la distruzione sistematica della Striscia di Gaza al ruolo di aziende, banche, fondi di investimento, università e industrie belliche che traggono beneficio diretto o indiretto dalla repressione israeliana.

«Dietro il genocidio – ha dichiarato Albanese – esiste una rete di complicità che alimenta la violenza: chi fornisce armi, tecnologia, cemento, fondi, chi firma contratti, chi investe in start-up legate alla sicurezza, chi offre legittimità accademica o diplomatica. È una catena di profitto globale che attraversa Stati Uniti, Europa e Israele».

Il rapporto parla di “capitalismo coloniale”: un sistema nel quale la distruzione e lo spossessamento del popolo palestinese diventano occasioni per sperimentare tecnologie militari e di sorveglianza, testare armi su popolazioni civili, consolidare l’industria bellica israeliana – la stessa che poi esporta nel mondo intero, pubblicizzando i propri prodotti come “combat-tested”, testati in battaglia.

Albanese denuncia anche l’omertà dei grandi media e il silenzio colpevole dei governi occidentali, che non solo rifiutano di riconoscere il genocidio in atto, ma continuano a fornire appoggio militare, economico e politico allo Stato israeliano. Secondo la relatrice, «i Paesi che finanziano e armano Israele mentre questo commette crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio, violano il diritto internazionale e hanno l’obbligo giuridico di fermarsi e intervenire».

Nel rapporto si ricorda che anche la Corte Internazionale di Giustizia, in più occasioni, ha riconosciuto “verosimile” che a Gaza sia in corso un genocidio, disponendo misure cautelari mai rispettate da Israele. Nonostante ciò, sottolinea Albanese, nulla è stato fatto per bloccare le forniture d’armi, né per sospendere gli accordi commerciali con Tel Aviv.

Tra le aziende citate nel rapporto (l’elenco completo sarà pubblicato la prossima settimana), figurano multinazionali del settore bellico, colossi della tecnologia legati alla sorveglianza, società di costruzione che operano nei Territori occupati, e persino istituti accademici coinvolti in programmi congiunti di ricerca militare. Il documento chiede un’indagine internazionale e sanzioni mirate.

Francesca Albanese ha inoltre denunciato le crescenti intimidazioni e minacce che riceve da mesi. «Per la prima volta ho paura», ha dichiarato in un’intervista. «Ma continuerò a parlare. Il mio compito è dire la verità e difendere la dignità umana, anche quando fa comodo ignorarla».

La relatrice speciale conclude il rapporto con un appello: «I genocidi del passato sono stati riconosciuti troppo tardi. Questa volta possiamo e dobbiamo intervenire prima. La giustizia non può aspettare la fine del massacro».

martedì 1 luglio 2025

NON ABBIAMO CAPITO NULLA!

Da: Pubble - https://www.facebook.com/Pubbleart - Paola Ceccantoni, conosciuta sul web come Pubble è un'ex vignettista, opinionista e youtuber italiana (Pubble Satira). 

Vedi anche: LABORATORIO PALESTINA -

Non ci abbiamo capito nulla, nessuno. Persi a cercare di capire se i danni a Fordow ci siano stati oppure no, persi a cercare di capire chi ha vinto, chi ha perso in questa "guerra dei 12 giorni" tra Israele e Iran con intervento Usa, abbiamo completamente perso di vista quello che in realtà stava accadendo. Dal 7 ottobre a oggi molte domande erano rimaste sospese, molti perchè non trovavano risposta. Ad oggi le risposte ci sono e si stanno materializzando sotto i nostri occhi alla luce delle recenti dichiarazioni. E le risposte sono dolorose, purtroppo!

                                                                           

lunedì 30 giugno 2025

Breve storia del nucleare israeliano - Massimo Zucchetti

Da: facebook.com/Massimo Zucchetti - Massimo Zucchetti è professore ordinario dal 2000 presso il Politecnico di Torino, Dipartimento di Energia. Attualmente è docente di Radiation Protection, Tecnologie Nucleari, Storia dell’energia, Centrali nucleari. - Massimo Zucchetti - https://zucchett.wordpress.com

Nella foto: Mordechai Vanunu

Riassunto. 
Israele possiede armi nucleari. Non ci sono dubbi, nonostante non l'abbia mai ammesso (o "quasi" come vedremo). 

1. Poche date e dati
Le stime delle sue scorte variano dalle 90 alle 400 testate nucleari e si ritiene che il Paese disponga di tre opzioni di lancio: i caccia F-15 e F-16, i missili da crociera lanciati da sottomarini classe Dolphin e la serie Jericho di missili balistici a gittata intermedia e intercontinentale.
Si ritiene che la sua prima arma nucleare lanciabile sia stata completata tra la fine del 1966 e l'inizio del 1967.
Per il primo test nucleare, Israele fu partner nei primi test francesi del 1960; poi ci fu un test sotterraneo israeliano, nel 1963.
Infine, un ulteriore test israeliano fu segnalato nell'incidente di Vela del 1979.
Scorte attuali: stimate appunto tra 90 e 400 testate. Tutte termonucleari, cioè Bombe H a fusione innescate da un ordigno al Plutonio.
Gittata massima dei missili: stimata fino a 11.500 km. 

2. Mezze ammissioni
Israele mantiene una politica di deliberata ambiguità, non negando mai o ammettendo ufficialmente di possedere armi nucleari.
Tuttavia, nel novembre 2023, nel mezzo della guerra di Gaza, il giovane Ministro del Patrimonio Amihai Eliyahu considerò pubblicamente l'idea di sganciare una bomba nucleare su Gaza, una tacita ammissione del possesso di tale capacità; il Primo Ministro Benjamin Netanyahu rimproverò e sospese Eliyahu in risposta.
Inoltre, i commenti dell'allora primo ministro Yair Lapid nel 2022, in cui si faceva riferimento ad "altre capacità" di "mantenerci in vita finché noi e i nostri figli saremo qui", sono stati interpretati come un riferimento alla necessità di mantenere per sempre le armi nucleari. 

3. Rogue state (stato-canaglia)
Israele non ha firmato il Trattato di non proliferazione delle armi nucleari (TNP), nonostante le pressioni internazionali in tal senso. Sostiene che i controlli nucleari non possono essere implementati isolatamente rispetto ad altre questioni di sicurezza.
Tutti gli Stati del mondo, tranne loro ed altri tre, aderiscono fattivamente al TNP, compreso l'Iran.
Addirittura, Israele ha sviluppato la "Dottrina Begin" di controproliferazione e attacchi preventivi, che mira a impedire ad altri attori regionali di acquisire le proprie armi nucleari. L'Aeronautica Militare israeliana ha condotto l'Operazione Opera e l'Operazione Orchard, che hanno distrutto i reattori nucleari iracheni e siriani rispettivamente nel 1981 e nel 2007. Si ritiene che il malware Stuxnet, che ha gravemente danneggiato gli impianti nucleari iraniani nel 2010, sia stato sviluppato congiuntamente da Stati Uniti e Israele.
L'attacco all'Iran del 2025 è quindi soltanto l'ultimo episodio di una scoperta politica di aggressione e di ritenersi giudici supremi e indiscussi. 

4. Se periremo noi, periranno tutti.
Ad oggi, Israele rimane l'unico paese del Medio Oriente a possedere armi nucleari.
Ed in più, cosa spaventosa, minacciano di distruzione l'intero pianeta. L'opzione Sansone si riferisce alla capacità di Israele di usare armi nucleari "contro gli aggressori e contro tutti" come extrema ratio di fronte a minacce militari esistenziali per la nazione. Se periremo noi, perirà tutto il mondo, appunto. 

5. Poca storia e un martire
Israele iniziò a studiare la scienza nucleare subito dopo aver dichiarato l'indipendenza nel 1948 e, con la cooperazione francese, iniziò segretamente a costruire il Centro di Ricerca Nucleare del Negev, una struttura vicino a Dimona che ospitava un reattore nucleare e un impianto di riprocessamento alla fine degli anni '50.
I primi dati dettagliati del programma di armi giunsero il 5 ottobre 1986, con la copertura mediatica delle rivelazioni di Mordechai Vanunu, un tecnico precedentemente impiegato presso il centro. Vanunu fu presto rapito dal Mossad e riportato in Israele, dove fu condannato a 18 anni di prigione per tradimento e spionaggio. Passò in galera molti più anni, in isolamento totale. In ripetute occasioni, rilasciato, lo hanno rimesso dentro. Ora ha 70 anni, ma non smetteranno mai di perseguitarlo finché campa. Nessuno dei suoi colleghi israeliani ha mai detto mezza parola per aiutarlo. 

domenica 29 giugno 2025

Gli Usa nel caos provocato da Trump - Alessandra Ciattini

Da: https://futurasocieta.org - Alessandra Ciattini (collettivo di formazione marxista "Stefano Garroni”) ha insegnato Antropologia culturale alla Sapienza, collabora con https://www.unigramsci.it

Negli ultimi giorni gli Usa sono stati teatro di ampie manifestazioni popolari contro le politiche di Trump – tariffe, austerità, supporto al genocidio, guerre, deportazione dei migranti, favori ai ricchi – ovviamente, violentemente represse. Tuttavia, da queste potrebbe nascere una vera e propria opposizione al partito unico di Wall Street.

Sabato passato, 14 giugno, si sono svolte numerose e partecipate proteste in varie città degli Usa contro la politica reazionaria e guerrafondaia di Trump che si è presentato come l’incaricato dal popolo di un programma antipopolare di tariffe, deportazioni, austerità, esenzioni fiscali per i ricchi, già decise durante il suo primo mandato e ribadite nel secondo. Quando dico guerrafondaio non mi riferisco solo alle guerre in atto, che si vorrebbero solo congelare, ma anche alla guerra di classe contro i lavoratori statunitensi che, però, hanno cominciato a manifestare in massa contro di lui e i suoi consiglieri miliardari.

Slogan delle proteste erano “No kings”, con riferimento al desiderio di Trump di stabilire una sorta di dittatura civile sul Paese, e “We are the power”, che implica la chiara rivendicazione dell’origine democratica del potere, in realtà assai discutibile nel sistema di potere statunitense.

Negli ultimi mesi, Trump e i suoi fedeli (in realtà non troppo), i suoi amici miliardari, i suoi alleati statali e locali hanno portato avanti violenti attacchi, spesso illegali, contro i sindacati, gli immigrati, i dipendenti federali con la falsa affermazione della lotta alla corruzione, contro chi protestava contro il genocidio dei palestinesi e contro il movimento studentesco, che insieme ai docenti intende difendere il sistema educativo dai tagli sistematici. La logica di questi interventi sta nella esplicita volontà di colpire l’opposizione alla politica reazionaria trumpiana, rafforzare il già forte potere esecutivo, dare dei contentini alla base populista, (i bianchi declassati), che ha votato questa amministrazione credendo al sogno illusorio dell’America sempre grande.

Contemporaneamente e contraddittoriamente, Trump ha cercato di mantenere legata a sé la parte più conservatrice dell’élite dirigente, ribadendo i tagli fiscali e avviando ulteriori misure di deregolamentazione che rendono più agevole lo sfruttamento del lavoro, riducendone il costo con la complicità dei sindacati.

sabato 28 giugno 2025

Fame e speculazione a Gaza - Chris Hedges intervista Francesca Albanese

Da: https://chrishedges.substack.com - https://www.lantidiplomatico.it - (Traduzione de l’AntiDiplomatico) - 

Chris Hedges è un giornalista vincitore del Premio Pulitzer, è stato corrispondente estero per quindici anni per il New York Times, dove ha lavorato come capo dell'Ufficio per il Medio Oriente e dell'Ufficio balcanico per il giornale. - 

Francesca Albanese è una giurista e docente italiana, specializzata in diritto internazionale e diritti umani. Dal 2022 è relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati.

Leggi anche: “In Italia si fa disinformazione su Gaza. Rai e La7 non mi vogliono perché accuso Israele di genocidio” - Francesca Albanese a Enrico Mingori (TPI) 

La follia di una guerra con l'Iran - Chris Hedges 

Vi presentiamo la trascrizione del colloquio – intervista tra il giornalista Premio Pulitzer, Chris Hegdes e la relatrice ONU per la Palestina, Francesca Albanese, sul genocidio di Israele nella Striscia di Gaza. 

Quando verrà scritta la storia del genocidio a Gaza, una delle figure più coraggiose e schiette nella difesa della giustizia e del rispetto del diritto internazionale sarà Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani nei territori palestinesi. Albanese, giurista italiana, ricopre la carica di relatrice speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani nei territori palestinesi dal 2022. Il suo ufficio ha il compito di monitorare e segnalare le “violazioni dei diritti umani” commesse da Israele contro i palestinesi in Cisgiordania e a Gaza.

Albanese, che riceve minacce di morte e subisce campagne diffamatorie ben orchestrate da Israele e dai suoi alleati, cerca coraggiosamente di assicurare alla giustizia coloro che sostengono e alimentano il genocidio. Lei denuncia aspramente quella che definisce “la corruzione morale e politica del mondo” per il genocidio. Il suo ufficio ha pubblicato rapporti dettagliati che documentano i crimini di guerra commessi da Israele a Gaza e in Cisgiordania, uno dei quali, Genocide as Colonial Erasure, ho ristampato come appendice nel mio ultimo libro A Genocide Foretold.

Sta lavorando a un nuovo rapporto che smaschera le banche, i fondi pensione, le aziende tecnologiche e le università che aiutano e favoriscono le violazioni del diritto internazionale, dei diritti umani e i crimini di guerra da parte di Israele. Ha informato le organizzazioni private che sono “penalmente responsabili” per aver aiutato Israele a compiere il “genocidio” a Gaza. Ha annunciato che se, come è stato riportato, l'ex ministro degli Esteri britannico David Cameron ha minacciato di tagliare i fondi e ritirarsi dalla Corte penale internazionale (ICC) qualora questa emettesse mandati di arresto per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il ministro della Difesa Yoav Gallant, Cameron e l'ex primo ministro britannico Rishi Sunak potrebbero essere accusati di reato penale ai sensi dello Statuto di Roma. 

venerdì 27 giugno 2025

IA: le differenze tra la Cina socialista e l'occidente - Pino Arlacchi

Da: Il Fatto Quotidiano | 24 giugno 2025 - https://www.lantidiplomatico.it - Pino Arlacchi è un sociologo, politico e Ex vice-segretario dell'Onu. (https://www.facebook.com/PinoArlacchi - Pino Arlacchi). 

La narrativa corrente sull’intelligenza artificiale assomiglia a quella sulla globalizzazione. Mostra solo il lato illuminato della medaglia. I costi umani dell’applicazione dell’Ia al mondo dell’industria, del commercio e della finanza vengono ignorati o minimizzati. Essi sono in realtà molto alti, e sono temuti soprattutto nell’Occidente più avanzato. Non è un caso che siano gli Stati Uniti il paese dove vige il minore entusiasmo verso l’Ia. La gente teme che la cosiddetta “distruzione creativa” di Schumpeter – l’innovazione che distrugge le produzioni esistenti per crearne di nuove, come appunto l’Ia – sia la ripetizione di quanto accaduto negli anni 70 e 80 con la deindustrializzazione di un bel pezzo dell’America, trasformata dal capitale finanziario in un deserto di fabbriche arrugginite e di popolazione disperata e ammalata senza che ci sia stata alcuna rinascita.

L’impatto dell’Ia sul capitalismo occidentale lo obbligherà ad attraversare una valle di lacrime prima di emergere trasformato e, secondo le speranze dei suoi fedeli, potenzialmente più dinamico. Si stima che entro il 2030-35, 50 milioni di lavoratori americani dovranno cambiare occupazione, creando costi di riqualificazione stimati in 1 trilione di dollari. Un peso che il sistema non ha alcun modo di gestire, semplicemente perché la sua logica profonda non lo consente. Il capitalismo occidentale non è congegnato per ridurre la distruzione creativa ma per favorirla. In Europa e negli Usa il welfare pubblico è già sotto pressione e non è in grado di assorbire i costi dell’estesa sofferenza sociale generata dall’automazione della sua economia.

giovedì 26 giugno 2025

Forza militare per coprire debolezza economica. Al b-movie di Trump pare credere solo l’Europa - Alessandro Volpi

Da: https://altreconomia.it - Alessandro Volpi docente di Storia contemporanea, di Storia del movimento operaio e sindacale e di Storia sociale presso il Dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. 


Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il segretario generale della Nato, Mark Rutte, all'avvio del vertice dell'Alleanza atlantica a L'Aia il 24 giugno 2025 © Shutterstock Editorial / IPA 


Di fronte allo sgretolamento dei beni rifugio simbolo degli Stati Uniti, ovvero il dollaro e il debito, il presidente, mettendosi un cappellino rosso in testa e creando una war room da film di quart’ordine, ha pensato di persuadere il mondo del “Primato” statunitense, schierando la potenza militare, ormai l’unico vero elemento di forza degli Usa. Che però sanno, a queste condizioni, di potersi permettere ancora per poco. L’analisi di Alessandro Volpi 


Uno dei motivi principali dell’attacco degli Stati Uniti all’Iran è stato probabilmente la volontà di Donald Trump di dimostrare la propria forza militare nel tentativo di riconquistare la “fiducia” del mondo, o di una parte di esso, nei confronti dei simboli dell’economia statunitense, costituiti dal dollaro e dai titoli del debito pubblico.  

In realtà non si tratta solo di simboli perché il dollaro sta perdendo sempre più rapidamente la condizione di valuta di riserva e di scambio internazionale; una condizione che permetteva alla Federal reserve (Fed) di stampare dollari a suo piacimento per finanziare la spesa federale americana, dunque per coprire gli investimenti militari, per fare giganteschi salvataggi come nel caso delle banche dopo la crisi economica del 2007-2008, per stimolare i consumi interni con continui incentivi e per evitare di aumentare le imposte.  

Oggi questa prerogativa, di fatto, non esiste più: solo nei confronti dell’euro il dollaro è ormai ben sotto la parità, con un cambio sceso da 0,95 a 0,86 in pochissimo tempo e non si tratta solo di una manovra di voluta svalutazione ma di vera perdita di credibilità, ancora più marcata verso altre monete mondiali. In queste condizioni se gli Stati Uniti emettessero carta moneta per affrontare la crisi -cosa che non fanno peraltro dal 2020- è molto probabile che il dollaro vedrebbe ulteriormente ridotto il proprio valore. 

mercoledì 25 giugno 2025

L’intelligenza filologica - Luciano Canfora e Federico Condello

Da: Pandora Rivista - Luciano Canfora, filologo, storico, saggista, professore emerito dell’Università di Bari, membro del Consiglio scientifico dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana e direttore della rivista Quaderni di Storia, Dedalo Edizioni. (Luciano Canfora Podcast) -
Federico Condello è professore ordinario di Filologia classica all'Alma Mater Studiorum-Università di Bologna. Insegna Filologia classica e coordina il Laboratorio di traduzione specialistica dalle lingue antiche (TraSLA)

                                                                            

martedì 24 giugno 2025

IL VELO E LA BOMBA - Lavinia Marchetti

 Da: Lavinia Marchetti - 


"Il nemico del mio nemico non è mio amico."
 voce di donna in esilio, Teheran, giugno 2025 

È di nuovo tempo di salvezza. Salvezza coatta, militare, mediatica, commossa. È di nuovo tempo di guerra. Guerra giusta, guerra umanitaria, guerra femminista. Le due cose, quando si parla di Medio Oriente, coincidono sempre. 

Da vent’anni, o da due secoli, l’Occidente ama salvare le donne orientali. Le salva con insistenza, con superiorità, con esibizionismo. Le salva, ma non le ascolta. Le salva, ma le sorvola. Le salva, infine, bombardandole. 

Lo avevamo già visto. 

L’Afghanistan dei talebani divenne, nel 2001, lo scenario perfetto per esercitare una nuova grammatica imperiale: la donna come soggetto da redimere, il burqa come simbolo da abbattere, la bomba come chiave dell’autonomia. La democrazia divenne sinonimo di svelamento forzato, e l’esercito americano si travestì da liberatore con in mano uno specchio occidentale: “guardati, adesso sei libera”. 

Nel 2025 la scena si ripete. Cambia l’oggetto, non più Kabul ma Tehran, ma la macchina retorica resta intatta. Le rivolte sacrosante delle donne iraniane, Zan, Zendegi, Azadi, vengono cooptate, disarticolate, brandite. Il femminismo diventa un oggetto bellico. Il velo ritorna ad essere un casus belli. La nudità, la ribellione, il canto, la danza, le chiome al vento: tutto può essere piegato alla logica imperiale, se lo si rende icona. E quando il corpo femminile diventa immagine, allora può giustificare tutto. Anche la distruzione. 

lunedì 23 giugno 2025

L'intero pianeta è tenuto in ostaggio da un culto della morte - Pepe Escobar

Da:  La Zona Grigia - Fonte: https://www.unz.com/.../the-whole-planet-is-being-kept... - Traduzione: La Zona Grigia - Emilio Pepe Escobar è un giornalista brasiliano. È noto per la sua collaborazione con i media alternativi online e i suoi lavori sono apparsi su riviste come Asia Times, Mondialisation.ca, CounterPunch, Al-Jazeera, Press TV, Russia Today, Sputnik, Strategic Culture Foundation e Guancha. 


Non c'è da stupirsi che Washington sia completamente coinvolta. Questa è ormai la Guerra del Direttore del Circo.
Di Pepe Escobar - 13 giugno 2025 

Andiamo al dunque. Il devastante attacco all'Iran da parte dell'etno-suprematista psicopatico e Genocida "scelto" insediato a Tel Aviv, una dichiarazione di guerra di fatto, è stato coordinato nei dettagli con il Presidente degli Stati Uniti, il Direttore del Circo Donald Trump. 

Questo Narciso afflitto dall'infantilismo, annegato nella pozza della sua stessa immagine, ha svelato il gioco, lui stesso, in un post sconclusionato. Punti salienti selezionati: "Ho dato all'Iran una possibilità dopo l'altra per raggiungere un accordo". Nessun "accordo"; In realtà, le sue richieste unilaterali. Dopotutto, ha affossato l'accordo originale, il JCPOA, perché non era il suo "accordo". "Ho detto loro che sarebbe stato molto peggio di qualsiasi cosa sapessero, prevedessero o gli fosse stata detta". La decisione di colpire era già stata presa. "Alcuni estremisti iraniani hanno parlato coraggiosamente, ma ora sono tutti morti, e la situazione non potrà che peggiorare!". Il compiacimento fa parte del gioco. "I prossimi attacchi già pianificati saranno ancora più brutali". Totale allineamento con la tipica strategia israeliana della "decapitazione", un marchio di fabbrica. "L'Iran deve raggiungere un accordo, prima che non rimanga nulla, e salvare quello che un tempo era conosciuto come l'Impero iraniano". Era l'Impero persiano, ma dopotutto si tratta di un uomo che non legge né studia. Notate l'arte della diplomazia: accettate il mio accordo o morite. 

Questo decennio, incandescente, è stato inaugurato dall'assassinio del Generale Soleimani a Baghdad, come ho sottolineato nel mio libro del 2021 "Racing Twenties" (Corsa Degli Anni 2020). Era in missione diplomatica. Il via libera è arrivato personalmente dall'allora Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. 

La metà degli anni '20 è ora sull'orlo di una guerra devastante in Asia Occidentale, con ripercussioni globali, a causa dell'assassinio seriale dei vertici del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica a Teheran, da parte dell'entità Sionista Psico-Genocida. Dopo un elaborato teatrino di inganni, il via libera a Tel Aviv, avanti tutta, è arrivato anche dal Presidente degli Stati Uniti, Trump 2.0 (che ha affermato di essere "a conoscenza" degli attacchi). 

domenica 22 giugno 2025

COSA NON SI FA PER AMORE DELLA LIBERTÀ - Andrea Zhok (15/06/2025)

Da: https://www.facebook.com/andrea.zhok.5 - Andrea Zhok, nato a Trieste nel 1967, ha studiato presso le Università di Trieste, Milano, Vienna ed Essex. È dottore di ricerca dell’Università di Milano e Master of Philosophy dell’Università di Essex. 

Leggi anche: La logica della crisi corrente - Andrea Zhok  

Il lavoro secondo Andrea Zhok - Alessandra Ciattini 


Il senso dei valori. Fenomenologia, etica e politica di Andrea ZhokMimesis, 2024.

Una rapida escursione sulle pagine dei principali giornali, telegiornali e talk show mostra come sia partito l’ordine di scuderia alle giumente da lavoro del giornalismo italiano: “È il momento del dissidente iraniano!” E così da ieri si fa a gara a intervistare fuoriusciti e dissidenti iraniani, a dare voce con sguardo compunto e addolorato alle loro sofferenze spirituali e materiali, nel sacro nome della Libertà. 

Il pattern è sempre lo stesso dall’era dei dissidenti russi, agli esuli cubani, ai rifugiati libici, iracheni, siriani, ecc. ecc. È come andare in bicicletta, una volta imparato lo fai anche ad occhi chiusi. Si alimenta e facilita economicamente, con permessi di soggiorno speciali, ecc. il costituirsi di reti di fuoriusciti, che devono alimentare la narrazione per cui il paese X, che vorremmo smantellare, altro non è che l’ennesima incarnazione del Male da espungere. Simultaneamente si esercitano tutte le pressioni sanzionatorie esterne per rendere la vita nel paese d’origine il più miserabile possibile, in modo da far crescere il numero degli scontenti. Se tutto funziona a dovere, prima o poi l’opinione pubblica è cotta abbastanza da giustificare qualunque porcata purché sia a detrimento di quell’incarnazione del Male, dalla Baia dei Porci al bombardamento di Baghdad. 

(Per inciso, ogni tanto mi domando cosa accadrebbe se qualcuno facesse lo stesso gioco con i 100.000 giovani che lasciano l’Italia ogni anno. Dubito sarebbe difficile trovarne qualche centinaio che applaudirebbe a reti unificate la prospettiva di un “regime change” in Italia). 

Bisogna dire che è sempre ammirevole vedere quanto terribilmente a cuore ci stanno i diritti umani violati (a nostro insindacabile giudizio) nel paese X, quando X possiede risorse che non è disposto a cedere per una bustarella. Allora il cuore dell’informazione italiana batte forte, desideroso di salvare dall’oppressione e dall’illibertà questa o quella “categoria debole” nei paesi oppressori. 

sabato 21 giugno 2025

Il genocidio di Gaza tra decolonizzazione e competizione vittimaria - Fabio Ciabatti

Da: https://www.carmillaonline.com - Fabio-Ciabatti Redattore della rivista Carmilla ha recentemente pubblicato insieme al Gruppo di studio Antongiulio Penequo “Il viaggio rivoluzionario dell’eroe” (Mimesis 2019) e ha partecipato ai libri collettanei “L’epidemia delle emergenze” (Il Galeone 2019) e “Guerra civile globale” (Il Galeone 2020). 

Pankaj Mishra  è un saggista, scrittore e attivista indiano. Collabora con testate di fama internazionale come il Guardian, il New York Times, il New Yorker. Per Guanda ha pubblicato il romanzo I romantici. 

Leggi anche: L’opera aperta di Marx: un pensiero della totalità che non si fa sistema - Fabio Ciabatti  

La rivoluzione oltre il comunismo novecentesco - Fabio Ciabatti

P. Mishra, Il mondo dopo Gaza, Guanda, Milano 2025, p. 187, edizione kindle.

Sentimento di impotenza di fronte alla tragedia, senso di “colpa metafisica” per non aver fatto tutto il possibile per evitare l’abisso, sensazioni di vertigine, di caos e di vuoto. Il libro Il mondo dopo Gaza ci descrive queste angoscianti emozioni del suo autore, lo scrittore e saggista indiano Pankaj Mishra, di fronte al terrificante destino riservato ai palestinesi. Reazioni più che giustificate se è vero che la posta in gioco, politica ed etica, non è mai stata così alta come quella che ci propongono le vicende della martoriata Striscia di terra tra Israele e Egitto: le atrocità commesse a Gaza, approvate senza vergogna dall’élite politica e mediatica del cosiddetto mondo libero e sfacciatamente rivendicate dagli israeliani, non si limitano a minare la nostra fiducia nel progresso, ma mettono in discussione la nostra stessa concezione della natura umana, soprattutto l’idea che essa sia capace di empatia.

L’antisemitismo, oramai lo sappiamo, è stato cinicamente trasformato nella foglia di fico dietro cui si nasconde la ferocia di un genocidio trasmesso in diretta. Ma “La narrazione secondo cui la Shoah conferisce legittimità morale illimitata a Israele non è mai apparsa più debole”.1 Infatti “molta più gente, dentro l’Occidente e fuori, ha iniziato ad abbracciare una contronarrazione secondo cui la memoria della Shoah è stata pervertita per consentire degli omicidi di massa, mentre al tempo stesso si oscurava una storia più ampia di moderna violenza occidentale al di fuori dell’Occidente”.2 

Come è possibile che tanta atrocità abbia un appoggio internazionale così ampio, nonostante il comportamento israeliano neghi alla radice qualsiasi forma di autorappresentazione della civiltà occidentale? Certamente ci sono fondamentali ragioni di natura geopolitica. Ma c’è anche qualcosa di più che ha a che fare con il fatto che il cosiddetto mondo sviluppato si rispecchia in qualche modo nello stato sionista.

Tra i movimenti maggioritari c’è un forte senso di identificazione con uno stato etnonazionale che scatena la sua forza letale senza alcun vincolo. Questo spiega, molto meglio di qualsiasi calcolo di interesse geopolitico ed economico, la sorprendente complicità di molti occidentali in quella che è una trasgressione morale assoluta, vale a dire un genocidio3

Tutto ciò ha a che fare con il ritorno del suprematismo bianco nel cuore dell’Occidente che, a differenza del passato, non è la baldanzosa ideologia di una civiltà che si impadronisce del resto del mondo, ma l’espressione delle paure di quella stessa civiltà che oggi si percepisce sotto assedio.

venerdì 20 giugno 2025

Il pianeta Marx meticolosamente illustrato. 1. Farsi l’idea di un fatto. Cronache marXZiane n. 17 - Giorgio Gattei

Da: http://www.maggiofilosofico.it - Giorgio Gattei è uno storico del pensiero economico ed economista marxista italiano. Professore di Storia del Pensiero Economico presso la Facoltà di Economia dell'Università di Bologna. 


I precedenti: Tassazione e interesse (solo per astronomi esperti). Cronache marXZiane n. 16 - Giorgio Gattei




«Perché? – Perché l’universo non è una favola».
(Cixin Liu, Nella quarta dimensione, 2018)





1. A questo punto devo dar conto del significato d’esistenza di quel “pianeta Marx” che sto lentamente esplorando e descrivendo in queste mie Cronache. Ho già detto altrove che, dopo Nietzsche, siamo consapevoli che ci sono i fatti ma pure le loro interpretazioni e che noi, che viviamo nei fatti, ci muoviamo secondo le interpretazioni che ce ne facciamo. Abitiamo così in due ambiti simultanei di esistenza: quello delle esperienze concrete (che rimangono personali e indicibili, dato che soltanto noi sappiamo quanto è veramente accaduto), ma pure dentro quei concreti di pensiero di cui ha detto Karl Marx nelle uniche pagine sul metodo che ha lasciato nella Introduzione alla critica della economia politica (1857) contrapponendo al “concreto fuori di noi”, che è «sintesi di molte determinazioni, cioè unità del molteplice», un “concreto dentro di noi” che altro non è se non «la riproduzione del concreto lungo il cammino del pensiero» come lo riflette il cervello, «come un tutto del pensiero che è un prodotto dal cervello che pensa e che si appropria del mondo nell’unico modo a lui possibile, almeno fino a quando il soggetto si comporta solo speculativamente, solo teoricamente». Certamente sono i fatti che inducono al pensiero (se nulla accade, nemmeno nulla si pensa), però su quei fatti noi ci facciamo dei penseri e sono questi che indirizzano il nostro comportamento nel confronto di quei fatti.

giovedì 19 giugno 2025

“Sono ebrea” - Natalia Ginzburg

Da: https://abianchi.altervista.org/gli-ebrei/- Natalia Ginzburg, Gli ebrei, La Stampa del 14 settembre 1972. - Natalia Ginzburg è stata una scrittrice, drammaturga, traduttrice e politica italiana, figura di primo piano della letteratura italiana del Novecento

Vedi anche: Mixer - Faccia a faccia - Intervista a Netanyahu (1986) - https://www.raiplay.it/video/2025/05/Mixer-Intervista-a-Benjamin-Netanyahu-


Questo è il link all’archivio de La Stampa con la scansione dell’originale.


II giorno successivo ai fatti di Monaco, l’Associazione della stampa cattolica mi ha telefonato dicendo che faceva un’inchiesta a proposito della strage e mi chiedeva di esprimere un’opinione. Ho rifiutato di rispondere. Ho detto che non rispondo mai alle inchieste. Pronunciare al telefono quattro frasi mi sembrava stupido e inutile. Ma in seguito, mi è venuto il desiderio di rispondere ai Giornalisti cattolici a lungo e per disteso. Non avevo una sola opinione da esprimere, ne avevo molte, e soprattutto volevo radunare alcuni pensieri che trovavo dentro di me sparpagliati. Rispondo qui. Quando avviene una disgrazia nel mondo, ci accade di pensare, come avremmo agito noi stessi se ne fossimo stati i protagonisti o se avessimo avuto il potere di agire. Essendo il potere lontanissimo dalle nostre mani, questi pensieri sono solo vacue fantasie. Però anche se si tratta di vacue fantasie, dirò lo stesso come avrei agito nei fatti di Monaco se avessi avuto il potere di agire.

Se fossi stata Golda Meir, avrei liberato i duecento prigionieri, come i guerriglieri chiedevano. Dicono che non si deve, mai sottostare ai ricatti. A me sembra che anche i ricatti si devono accettare, nel caso di una grande disgrazia comune. Dicono che i duecento prigionieri, una volta liberi, avrebbero ancora catturalo innocenti e disseminalo stragi. Ma il mondo oggi è costruito in una forma così disastrosa che è necessario decidere di minuto in minuto come difendersi e chi difendere. Penso che quei nove ostaggi andavano salvati e ogni altra considerazione lasciala in disparte. Penso che se Golda Meir avesse liberato i duecento prigionieri, avrebbe dato al mondo una lezione, non di debolezza, ma di forza. O almeno dell’unica forza in cui è legittimo credere, la forza che se ne infischia di vincere ed è pronta a perdere, la forza che non risiede nelle armi, nel petrolio o nell’orgoglio ma nello spirito.

Se fossi stata il capo della polizia tedesca, avrei lasciato che i guerriglieri andassero via illesi e portassero i nove ostaggi dove essi credevano. Se esisteva anche solo un atomo di possibilità che uno fra i nove ostaggi riuscisse a salvarsi, questo atomo doveva da tutti essere contemplato come essenziale.

Aggiornamento sulle regole per discutere delle guerre israeliane - Caitlin Johnstone

Da: https://www.facebook.com/assopace.palestina - https://www.assopacepalestina.org - Caitlin-Johnstone è una giornalista, saggista, pittrice e poetessa finanziata dai lettori che vive a Melbourne, in Australia. Scrive con il marito americano, Tim Foley. Ha pubblicato i suoi scritti su numerose testate.

Regola 1: Israele non è mai l'aggressore. Se Israele attacca qualcuno, lo fa in risposta a un'aggressione avvenuta in passato, oppure in via preventiva per sventare un'aggressione imminente in futuro. 

Regola 2: La storia ricomincia automaticamente dalla data dell'ultimo atto di aggressione contro Israele. Se qualcuno attacca Israele, lo fa senza alcuna provocazione, perché prima dell'attacco a Israele non è successo nulla. 

Regola 3: Qualsiasi azione negativa compiuta da Israele è giustificata dalla Regola 2. Questo è vero anche se compie azioni che sarebbero considerate del tutto ingiustificabili se fossero compiute da una nazione come la Russia o la Cina. 

Regola 4: Israele ha il diritto di difendersi, ma nessun altro lo ha. 

Regola 5: Israele non bombarda mai i civili, bombarda i Cattivi. Se un numero impressionante di civili muore è perché in realtà erano Cattivi, o perché i Cattivi li hanno uccisi, o perché un Cattivo si è trovato troppo vicino a loro. Se nessuna di queste ragioni è valida, allora è per qualche altra misteriosa ragione che stiamo ancora aspettando che l'IDF indaghi. 

Regola 6: Criticare qualsiasi cosa faccia Israele significa odiare il popolo ebraico. Non c'è altra ragione possibile per cui qualcuno si opponga ad atti di massacri militari se non un odio ardente e ossessivo per una piccola fede abramitica. 

Regola 7: Nulla di ciò che Israele fa è mai grave quanto le critiche odiose descritte nella Regola 6. Le critiche alle azioni di Israele sono sempre peggiori delle azioni stesse di Israele, perché quei critici odiano gli ebrei e desiderano commettere un altro Olocausto. Prevenirlo deve assorbire il 100% della nostra energia e attenzione politica. 

Regola 8: Gli israeliani sono sempre e solo le vittime e mai i carnefici. Se gli israeliani uccidono gli iraniani, è perché gli iraniani odiano gli ebrei. Se gli iraniani uccidono gli israeliani, è perché gli iraniani odiano gli ebrei. Israele è un agnellino innocente che vuole solo farsi gli affari suoi in pace. 

Regola 9: Il fatto che Israele sia letteralmente sempre in stato di guerra con i suoi vicini e con le popolazioni indigene sfollate deve essere interpretato come prova che la Regola 8 è vera, anziché come prova che la Regola 8 è una ridicola assurdità. 

Regola 10: Le vite dei musulmani sono molto, molto meno importanti per noi delle vite degli occidentali o degli israeliani. A nessuno è permesso di riflettere troppo sul perché questo accada. 

Regola 11: I media dicono sempre la verità su Israele e sui suoi vari conflitti. Se ne dubitate, probabilmente state violando la Regola 6. 

Regola 12: Affermazioni infondate che ritraggono i nemici di Israele in una luce negativa possono essere riportate come notizie di fatto senza alcuna verifica dei fatti o qualificazioni, mentre i precedenti ampiamente comprovati di criminalità israeliana devono essere riportati con estremo scetticismo e qualificazioni discutibili come "Hezbollah dice" o "secondo il Ministero della Salute guidato da Hamas". Questo è importante perché altrimenti si potrebbe essere accusati di essere propagandisti. 

Regola 13: Israele deve continuare a esistere nella sua attuale forma, a prescindere da quanto costi o da quante persone debbano morire. Non è necessario presentare ragioni logiche o morali che giustifichino questa affermazione. Se lo contestate, probabilmente violate la Regola 6. 

Regola 14: Il governo degli Stati Uniti non ha mai mentito su nulla ed è sempre dalla parte giusta in ogni conflitto. 

Regola 15: Israele è l'ultimo baluardo di libertà e democrazia in Medio Oriente e pertanto deve essere difeso, non importa quanti giornalisti debba assassinare, non importa quante istituzioni di stampa debba chiudere, non importa quante proteste debbano smantellare i suoi sostenitori, non importa quanta libertà di parola debba eliminare, non importa quanti diritti civili debbano cancellare i suoi sostenitori occidentali e non importa quante elezioni debbano comprare i suoi lobbisti. 

mercoledì 18 giugno 2025

Il filo rosso che lega Israele all’Ucraina - Gianandrea Gaiani

Da: https://www.analisidifesa.it - Il Contesto - Gianandrea Gaiani. Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. 

Leggi anche: Il vero motivo per cui Israele ha attaccato l’Iran https://www.aljazeera.com/.../the-real-reason-israel... 

Dopo una fase di titubanza che aveva indotto a ritenere che fosse stato messo irreparabilmente in ginocchio dall’attacco israeliano, l’Iran ha sferrato una durissima rappresaglia che ha palesemente colto di sorpresa la classe dirigente di Tel Aviv per portata ed efficacia. Al punto da spingere il governo guidato da Netanyahu a richiedere l’intervento degli Stati Uniti, che per tramite del presidente Trump si sono mostrati possibilisti in merito al raggiungimento di un accordo, nonostante l’Iran abbia annunciato il ritiro dai negoziati accusando Washington di coinvolgimento nell’Operazione Rising Lion. Posizioni critiche nei confronti della Casa Bianca di fatto speculari a quelle iraniane sono state assunte anche da figure chiave della galassia che sostiene il movimento “Maga”, come Tucker Carlson, Rand Paul e Merjorie Taylor Greene. Parallelamente, le monarchie sunnite del Golfo Persico e la stessa Turchia condannano l’attacco israeliano senza tuttavia assumere misure concrete. Il Pakistan, al contrario, ha espresso pieno sostegno all’Iran e invocato l’unità dei Paesi musulmani dinnanzi all’affronto israeliano. Cina e Russia, dal canto loro, hanno condannato l’attacco israeliano in sede Onu, mentre il presidente Putin si accredita come mediatore tra Tel Aviv e Teheran incassando il sostegno di Trump. Verso quale scenario ci stiamo orientando? Cerchiamo di comprenderlo assieme a Gianandrea Gaiani, giornalista, saggista e direttore della rivista «Analisi Difesa».     
                                                             
                                                                         

La vicenda di Alessandra...

 Da: https://www.facebook.com/Mortidilavoro - 


La vicenda di Alessandra Casilli - l’insegnante precaria morta a 54 anni mercoledì 11 giugno in un incidente stradale in galleria a Macchia d’Isernia, mentre tornava a Fiano Romano da Campobasso dopo aver sostenuto gli esami del concorso docenti – ha mosso prima le coscienze e i cuori di studenti e docenti del liceo Lorenzo Rocci di Fara in Sabina (Rieti), dove quest’anno aveva insegnato come supplente di matematica, e ora deflagra sui media e sui social nel silenzio del ministro Valditara, che tutti chiamano in causa. 

Riproponiamo qui la lettera aperta indirizzata al ministro dai colleghi di Alessandra Casilli.
 


Gentile ministro,
questa è una lettera aperta che le invia la comunità scolastica del Liceo Rocci di Fara in Sabina, in provincia di Rieti. 

Lo scorso 11 giugno la nostra comunità è stata colpita da una notizia devastante: la nostra collega Alessandra Casilli ha perso la vita in un incidente stradale. La sua macchina, per ragioni ancora da accertare, ha invaso la corsia vicina scontrandosi con un mezzo che procedeva in direzione opposta. Non c’è stato nulla da fare. 

Alessandra era sulla statale 85 Venafrana in direzione di Passo Corese, dove la sera la sua classe la attendeva per la cena di fine anno a cui non è mai arrivata. Alessandra era ripartita da poco da Campobasso, dove era andata a sostenere la prova orale del concorso per la classe di concorso A040 – Scienze e tecnologie elettriche ed elettroniche. 

Chi di noi in questi anni si è sottoposto ai concorsi per uscire dal precariato conosce bene la stanchezza, la pressione, l’ansia di queste situazioni valutative. E tante volte ci siamo domandati se davvero tali prove servano a valutare le nostre competenze didattiche e non siano piuttosto solo un modo per scoraggiarci, per far sì che molti rinuncino prima di tentare. 

Non riusciamo a smettere di pensare ad Alessandra. Soprattutto, non riusciamo a smettere di pensare che non sia stata solo un’assurda tragedia, ma l’epilogo peggiore di una situazione inaccettabile, quella della precarietà e del sistema folle dei concorsi in questo paese. 

In un anno passato con noi come supplente Alessandra ha mostrato sempre grande professionalità: si è messa in gioco nella valutazione educativa, ha studiato, fatto didattica, frequentato corsi di formazione; il tutto mentre preparava i concorsi. Non sappiamo se Alessandra sia stata sopraffatta dalla stanchezza, ma sicuramente era andata così lontano per poter avere un lavoro stabile nella scuola. Crediamo che la sua professionalità meriti di essere rivendicata, che la sua perdita sia una responsabilità che anche lo Stato si deve assumere. 

Il precariato, signor ministro, è una realtà strutturale della scuola italiana. Una realtà spesso comoda per le casse dello Stato. Per andare a fare i concorsi, ad esempio, i docenti non di ruolo debbono chiedere un giorno di permesso, che però non viene loro retribuito. E infatti i posti messi a bando nei concorsi non bastano mai per coprire le cattedre disponibili. 

I concorsi poi sono spesso lontani perché, per risparmiare, si accorpano le commissioni di più regioni e non sempre c’è la possibilità di farsi accompagnare da un familiare, un parente, un’amica che guidi al posto tuo, dopo una prova tanto spossante. Perché sì, è stressante fisicamente e mentalmente sostenere una prova che prevede l’estrazione di una traccia su cui costruire una lezione da discutere il giorno successivo: la notte passata davanti al pc, poi la prova, poi si guida verso casa perché il giorno dopo c’è il lavoro e perché una notte d’hotel non ce la rimborserà nessuno. 

Ma anche se ci fossero le possibilità economiche, fermarsi in hotel dopo una notte insonne sarebbe comunque complesso, se non impossibile, soprattutto in certi periodi. Periodi tipo questo, quando ci sono gli scrutini ed è difficile se non impossibile assentarsi per più di un giorno. 

Signor ministro, crediamo che l’unico modo sensato di impiegare questa rabbia che sentiamo per la morte di una collega è denunciare l’inaccettabilità di certe nostre condizioni lavorative, che se anche non sono direttamente la causa della morte di Alessandra sicuramente hanno contribuito a precarizzarne la vita. 

La scuola, signor ministro, è fatta da lavoratori e lavoratrici che sono persone. E queste persone spesso viaggiano, si muovono da una provincia all’altra, a volte da una regione all’altra, per essere ogni mattina alle 8 in classe, con la lezione pronta, i compiti corretti. La salute, la sicurezza sul lavoro, la sostenibilità della didattica non sono tuttavia mai al centro dell’attenzione né mediatica né politica. 

I concorsi, i diritti, gli stipendi, i dimensionamenti, ci permetta di dirlo, sembrano anzi avallare quella retorica nazionale di una categoria che lavora poco, fa tante vacanze e quindi merita stipendi tra i più bassi d’Europa, magari dopo anni di precariato. A ben poco serve inasprire la normativa sulla condotta quando nemmeno il nostro datore di lavoro sembra volerci riconoscere condizioni di lavoro adeguate. La nostra autorevolezza passa prima di tutto per l’essere rispettati come lavoratori e lavoratrici. 

Non si può morire sul lavoro, di lavoro, per un lavoro. Lo dice anche la Costituzione. Noi ci teniamo a ribadirlo a lei e a tutti i ministri che l’hanno preceduta e che hanno avallato questo sistema di precarietà e di concorsi scellerati. 

Ci sembra giusto farlo anche per la memoria di Alessandra. 

Le docenti e i docenti del Liceo Lorenzo Rocci